mercoledì 25 dicembre 2024

LETTERA DALL'ALDILÀ di Alberto Motta (1969-2024)


Alberto Motta su questo BLOG:

ALBERTO MOTTA (ALBI): DIPINTI E POESIE 

14 gennaio 2012

https://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2012/01/alberto-motta-albi-dipinti-e-poesie.html

LE POESIE DI ALBERTO MOTTA

22 aprile 2022

https://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2022/04/le-poesie-di-alberto-motta-di-alberto-e.html

 ALBERTO SU YOUTUBE

Su youtube potete trovare alcuni filmati su Alberto al seguente indirizzo:



martedì 24 dicembre 2024

UN AUGURIO AGLI "OGGIONI" SPARSI IN TUTTO IL MONDO di Giulio Oggioni

 


Giulio Oggioni con il suo
libro sulle famiglie Oggioni di Verderio
                                                                                                                                            

Nel 2015 mi è venuta l’ispirazione di scrivere un libro dal titolo “La dinastia degli Oggioni, storia di una grande famiglia di Verderio”. Avevo stampato circa 200 copie pensando che comunque sarebbero state troppe per il nostro piccolo paese e le famiglie interessate. Mi sbagliavo: nel giro di pochi mesi, fosse per il “passa parola” ho dovuto ristampare il libro ben tre volte.
Non so come ma “gli eredi Oggioni” spuntavano ovunque, non sono nei paesi vicini, pur con altri cognomi per via di matrimoni, ma che, secondo loro, avevano comunque origini Oggioni. Per me, è stata un’impresa ricostruire le loro richieste storiche.
Ma la cosa più sorprendente è che mi sono giunte richieste del libro anche dall’estero: Francia, Brasile, Canada e Stati Uniti. Complice Merateonline che, attraverso il loro blog, mi hanno potuto contattare. Come? Solo il buon Dio lo sa!

La storia nasce dal lontano 7 dicembre 1892, quando Gesuina Colombo e Graziano Oggioni e i loro sette figli piccoli di Verderio Superiore lasciano la Cortenuova in centro paese per salire su una nave diretta in Brasile e sbarcano il 13 gennaio 1893 nel porto di Espirito Santo in Brasile e si assestano in una “fazenda” di Alegre.
Gli Oggioni arrivarono a Verderio forse alla fine del 1700 e poi si divisero in ben otto rami, tra cui i “Pulét” con diverse famiglie tra cui un Graziano Oggioni. Là nacque un altro figlio e la famiglia, nel nuovo secolo, si ampliò e a loro volta, i figli adulti si trasferirono anche a Rio de Janeiro, Minas Gerais, San Paolo e altre città del sud Brasile. Attualmente sono centinaia di famiglie, pur con cognomi diversi per l’unione con gente brasiliana, ma orgogliose di appartenere originariamente agli Oggioni di Verderio Superiore.


 Mary degli USA, la seconda in alto da sinistra,
con la famiglia e il libro

Tre anni fa hanno iniziato i contatti con me e proprio in questi giorni, José Oggioni di Espirito Santo mi ha mandato un messaggio dicendo che ha organizzato un ritrovo di tutte le famiglie che hanno origini Oggioni e mi ha inviato alcune foto. Mi ha chiesto poi di mandare a tutti gli interessati di Verderio e altrove i loro auguri di Buon Natale e Felice 2025, nella speranza di incontraci… non si sa mai! A loro si unisce anche Mary che ha sposato un americano degli USA e ora vive nel Massachusset.

 José Oggioni, con il libro, al raduno


Quindi, da tutti i nativi Oggioni dell’Italia e del Mondo, attraverso Merateonline, attraverso queste foto, tantissimi auguri a tutti coloro che hanno radici Oggioni e sono sparsi in tutto il mondo.


Raduno "Oggioni" a Espirito Santo





 Giulio Oggioni



mercoledì 18 dicembre 2024

LETTERA AL FAI PER SALVARE UNA VILLA STORICA DI VERDERIO

È veramente triste vedere una villa con una storia di almeno cinquecento anni giacere, insieme al suo parco, in stato di abbandono. È quello che sta succedendo oggi a una delle due ville storiche di Verderio, la villa che fu dei marchesi Arrigoni  prima e poi della famiglia Gnecchi Rusconi.

Per questo alcuni cittadini hanno pensato di richiamare l'attenzione del FAI,  Fondo Ambiente Italiano, con una lettera e di farla  sottoscrivere da un buon numero di persone.

Sono già state raccolte più di 400 firme.

Chi volesse ancora aderire lo può fare direttamente presso il negozio di alimentari RIva , in via Principale, o presso l'edicola-cartoleria in via Tre Re; oppure può inviare una mail a questo indirizzo: marco.bartesaghi@libero.it                                                                                                       

Villa ex Arrigoni di Verderio


LETTERA  AL FAI
Con questa lettera vogliamo sottoporre all'attenzione del FAI lo stato di degrado in cui si trova una delle due ville storiche di Verderio, ex-Verderio Superiore, quella più orientale, che chiameremo ex-Arrigoni.
Alcune notizie sull’edificio.
Nel 1512 Rainaldo Airoldi, della nobile famiglia di Robbiate, acquistò dalle monache di S.Agostino di Milano i beni che possedevano a Verderio. Alla morte di Rainaldo la proprietà passò al figlio Giovanni Battista e, in seguito, alle nipoti, Lucrezia e Caterina. Gli eredi di Caterina, il 22 marzo 1651, cedettero la loro parte, che comprendeva la villa conosciuta oggi come Villa Gnecchi, a Pietro Paolo e Giuseppe Confalonieri. A loro volta i discendenti di Lucrezia, sposata Porro, l’1 febbraio 1661, vendettero la loro parte al Marchese Emilio Arrigoni, che divenne così proprietario della villa oggetto di questa lettera. Nel 1824 questa villa, insieme agli altri possedimenti Arrigoni in territorio di Verderio, fu acquistata da Giacomo Ruscone e nel 1842, alla sua morte, fu ereditata dai suoi nipoti, i fratelli Carlo e Giuseppe Gnecchi (da allora Gnecchi Ruscone) ed è rimasta proprietà della famiglia fino agli anni sessanta del Novecento, per subire in seguito vari passaggi di proprietà.

La villa, sottoposta a vincolo monumentale (decreto legislativo 42/04 int. 10), fino a una ventina di anni fa era in buone condizioni, da allora in poi è andata via via degradandosi fino allo stato attuale di abbandono. Non avendo la possibilità di accedervi, poche sono le notizie che abbiamo sulla situazione degli interni dell’edificio. Ci risulta solo che uno dei locali più antichi, affrescato su tutte le pareti, abbia il soffitto pericolante e quindi sia sostenuto da una fitta puntellatura.
Visibile è invece il cattivo stato delle parti esterne e, soprattutto, del parco. Sono pericolanti, ad esempio, i cornicioni dell’ala orientale dello stabile, quella che si affaccia su una strada pubblica, la Stretta di Sant’Ambrogio, che per questo motivo è da anni chiusa al passaggio delle persone.
Completamente abbandonato e ridotto a una selva quasi impenetrabile è il parco, che ha un’ampiezza di circa 7700 mq ed è ricco di alberi di alto fusto.
Dopo il fallimento dell’ultimo proprietario, la villa è sottoposta ad asta giudiziaria. 
Al FAI chiediamo di valutare la possibilità di intervenire, direttamente o indirettamente, per porre rimedio a questa situazione di degrado e svilimento di un patrimonio storico a nostro avviso da tutelare e valorizzare. 

Per un intero secolo, a partire dalla metà dell’Ottocento, la famiglia Gnecchi Ruscone è stata presente sul territorio di Verderio, in particolare di Verderio Superiore, e ha avuto un ruolo fondamentale, avendo dotato il paese dei principali edifici pubblici o ad uso pubblico che ne caratterizzano ancora oggi la fisionomia: l’Asilo Giuseppina, oggi scuola materna, il cimitero, l’acquedotto Fonte Regina, la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano, la casa parrocchiale, il municipio, che comprendeva anche le aule scolastiche, l’ambulatorio e la maternità.
Essa è stata artefice di importanti interventi anche sugli edifici di sua proprietà. Alla famiglia si deve l’aspetto attuale della villa che oggi porta il suo nome, Villa Gnecchi, acquistata nel 1888 insieme a tutti gli altri beni Confalonieri. Negli anni venti del Novecento fu installata la Fontana di Nettuno, nel terreno di fronte alla villa, e realizzato, sul retro, dal limite dei giardini fino al confine con Paderno d’Adda, il parco che oggi chiamiamo “di Meleagro”.
La prima casa di Verderio di proprietà della famiglia Gnecchi, fu proprio la villa ex-Arrigoni su cui, con questa lettera, vogliamo attirare la Vostra attenzione.
L’interesse del FAI per la sorte di questo edificio potrebbe essere l’unica carta disponibile per la sua salvezza.
Confidando in una Vostra positiva risposta, ringraziamo per l’attenzione e porgiamo i nostri più distinti saluti.

Il parco della villa come si presentava nel 2007


LE EMOZIONI DI UN CHIRURGO TRAPIANTISTA, PAOLO ASENI di Marco Bartesaghi

Paolo Aseni è un medico chirurgo che ha dedicato la sua carriera professionale ai trapianti di fegato. Con lui voglio parlare delle emozioni legate al suo lavoro: la gioia, il dolore, la paura, …

Nato nel 1950 a Palo del Colle, in provincia di Bari, si è trasferito a Milano quando aveva 5 anni …


Paolo (P) – Il Papà era già qui da un anno quando noi, io la mamma e mia sorella, l’abbiamo raggiunto, nel 1955. Quando siamo arrivati a Milano lui era un ambulante, si alzava alle quattro ogni mattina ed era sul mercato alle cinque e mezza. Qualche volta l’ho accompagnato per vedere quanta fatica facesse. Dopo cinque anni era riuscito a mettere da parte un gruzzoletto e aveva aperto un negozio di maglieria intima, camice e calze. La mamma gli dava una mano.

Papà era una bellissima persona, positiva, ottimista; molto severo, autoritario, ma anche molto gioviale. Vedevo ed ero colpito dai sacrifici drammatici che i miei genitori dovevano fare, per permettere a me e a mia sorella di studiare. Questa è stata una delle molle che mi hanno fatto pensare: “Bisogna che io restituisca qualche cosa al buon Dio, che mi ha dato tutta questa fortuna”.

Marco (M) – Si è laureato a Milano?

P – Sì, all’Università Statale, nel 1975, dopo 6 anni di medicina. Prima mi sono diplomato al liceo scientifico Alessandro Volta, dove ho avuto un professore di lettere straordinario, che sicuramente, anche se involontariamente, mi ha portato verso la scelta di iscrivermi alla facoltà di medicina. Questo professore, che è stato il miglior allievo di Giovanni Gentile, il grandissimo filosofo Giovanni Gentile, ha condotto me e i miei compagni, lungo un percorso di riflessione, fatto di studi e di racconti. Perché le sue lezioni non erano solo Seneca, piuttosto che Pascoli, che a lui piaceva tantissimo, erano anche il racconto della sua vita: dalla sua storia di partigiano che non aveva mai sparato un colpo, perché l’aveva detto subito “io non sparo”, ad altre situazioni in cui si era trovato che ci avevano commosso. Ci aveva fatto capire che qualcosa bisogna fare per le persone che vivono dove c’è ingiustizia, dove c’è sofferenza. Io e un gruppo di compagni della mia classe ci trovammo nei bagni della scuola chiedendoci “Se vogliamo combattere la sofferenza, cosa dobbiamo fare?”. La conclusione fu “Facciamo medicina”.

M - Come si chiamava il professore?

P - Carlo Salani, una persona straordinaria; eravamo un po’ intimoriti, ma nello stesso tempo innamorati di lui; una personalità estremamente variegata, di un’umanità che colpiva con i suoi gesti. Ci aveva fatto prendere coscienza che noi eravamo molto fortunati e tanti altri, invece, non lo erano e bisognava un po’ pareggiare i conti: era etico che chi aveva di più mettesse a disposizione qualcosa in termini di buona volontà: alcuni miei compagni andarono in Burundi, a fare un po’ di servizio civile; c’era chi andava a dare una mano, tramite la chiesa, nella periferia di Milano, o nella Bassa Milanese; c’era Mani Tese che portava i ragazzi in varie parti del mondo a fare volontariato.

M - E dopo la laurea?

P - Dopo la laurea sono entrato in un pronto soccorso, come avevo visto fare da un collega.

Mi serviva come esperienza, perché eravamo stati molto mal seguiti durante gli anni di medicina. Avevamo avuto professori forse validi professionalmente, ma certamente non validi dal punto di vista didattico e come tutor; non voglio neanche esprimere giudizi, perché non sarebbero molto eleganti, sulle persone. Sei anni di medicina trascorsi tra il panico e la noia di materie meravigliose, rese noiosissime; sei anni un po’ così, comunque importanti per sviluppare la mole di conoscenze necessarie.

Avevo il papà malato di fegato e quindi, facendo di necessità virtù, le mie attenzioni erano rivolte particolarmente a questo organo. Al terzo anno scelsi di fare la tesi di laurea in un reparto specialistico di malattie del fegato e in seguito decisi di coltivare questo interesse anche dal punto di vista chirurgico.

Non fu facile all’inizio, perché non conoscevo l’ambiente, e così andai al Fatebenefratelli. Anche lì, purtroppo, l’insegnamento e la capacità di fare da tutor, anche su una base puramente psicologica, non c’era.

La svolta avvenne durante il servizio militare, dove incontrai un bravo collega che mi mise al corrente di tante situazioni molto interessanti. Lui, anestesista intensivista, mi parlò della terapia intensiva a livelli molto alti e dell’ospedale Niguarda. Facendo servizio in aeronautica, a Milano in piazza Novelli, avevo un certo numero di notti libere. Le trascorrevo in rianimazione presso il reparto Bozza, della terapia intensiva di Niguarda, dove imparai moltissimo. Stavo in piedi fino alle due, dalle due alle sei dormivo su una poltrona o su un divano e poi tornavo in caserma presso il Comando dell’Aeronautica Militare, dove mi firmavo il permesso per poter rientrare. Me lo consentiva il Maggiore che, anche lui medico, mi dava una mano.

In questo periodo ho avuto la fortuna di vedere operare due tra i migliori chirurghi con competenze specifiche sul fegato: il professor Lino Belli, che poi è diventato mio primario e mio maestro, e il professor Piero Belinazzo. Pensai così di lasciare la terapia intensiva e l’anestesia per un percorso di chirurgo interessato, in particolare, alla chirurgia del fegato. Parlai con gli assistenti del professor Belli, perché era molto difficile parlare con lui direttamente, metteva molta paura, aveva occhi grigi che perforavano il buio.

M - Era molto anziano?

P - No, non era una persona anziana, in quegli anni, 1975, aveva meno di 50 anni, era diventato primario giovanissimo; veniva dalla grande scuola chirurgica di Padova, poi era stato al Policlinico.

Alla fine i suoi assistenti mi accolsero e capii, con molto timore, che era una squadra davvero speciale, dove si giocava ad altissimo livello. Sono stato volontario per quattro anni prima di essere assunto. Per la mia professione ho imparato non tantissimo: di più!

Facevamo di tutto: chirurgia polmonare, epatobiliare, esofagea, vascolare.

E trapianti. Era già iniziata l’epoca in cui i trapianti di rene andavano bene.

Tutto, come dicevo. In particolare la chirurgia dell’ipertensione portale, che è attinente alle gravi malattie del fegato e che nessuno faceva perché estremamente complessa. Il mio primario è stato il primo in Italia a praticare un intervento imparato a New York da un famoso chirurgo che aveva messo a punto questa tecnica. Eravamo un riferimento per tutta l’Italia.

Un episodio mi aveva convinto che quella sarebbe stata la mia strada: si presentò da noi un giovane affetto da una gravissima malattia epatica, che occludeva le vene di sbocco del fegato. L’intervento necessario non era stato provato che in pochissimi posti e in questo caso c’era una complessità superiore, che rendeva impossibile l’intervento consueto. Dovemmo confrontarci con un caso analogo, operato da un cardiochirurgo a Zurigo, che si era riproposto di ideare un intervento possibile in questi casi. Lo studiammo per parecchio tempo e alla fine ci decidemmo, con grande paura da parte del primario, perché non lo aveva ancora tentato nessuno: l’intervento consisteva nel collegare la vena del fegato al cuore, quindi senza un’esperienza diretta di cardiochirurgia. Andò molto bene e, se il ragazzo avesse superato i primi giorni, poi sarebbe stato definitivamente guarito.

Quando il primario uscì dalla sala operatoria confortò subito il papà e la mamma del ragazzo. La suora che aveva ascoltato queste parole, chiamò tutti gli infermieri che fecero un applauso. Mi commossi, anche se c’entravo molto poco dato che avevo tirato solo le valve, perché mi sentivo parte di una squadra particolare, che mi avrebbe permesso di dedicarmi a quella parte di chirurgia un po’ particolare, per la quale non è facile trovare un’equipe così specializzata.

M - In che anni siamo?

P - Stiamo parlando della fine degli anni settanta, inizio anni ottanta, quando cominciammo ad affrontare anche il problema del trapianto di fegato. Nel 1984 eseguimmo il primo trapianto in un povero ragazzo che venne trasferito, già morente, in elicottero dalla Sardegna. Andò male. Sapevamo che sarebbe stato molto difficile, ma piangemmo tutti, perché ci sentimmo impotenti di fronte a una malattia devastante, di fronte a questo giovane che non ce l’aveva fatta.

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STRANE BUSTE SULL'ASFALTO DELL'AUTOSTRADA di Paolo Aseni

 

Dis aliter visum: agli dei piacque diversamente, Virgilio, Eneide

23 giugno 2009 ore 12 circa 

Sto attraversando di fretta uno dei tanti viali alberati del nostro grande Ospedale. Un’infermiera in camice azzurro sembra seguirmi e con voce sonora mi apostrofa: "Dottore, dottore cosa è successo 10 anni fa?” 

Sento una voce chiara e squillante di un’infermiera che non mi pare di conoscere. “Dico a lei dottore, si ricorda o no cosa è successo dieci anni fa?”.

“Mi scusi, dice a me?” guardo stupito l’infermiera che mi sorride e che proprio non mi riesce di riconoscere. 

Non saprei, non ricordo, che cosa è successo 10 anni fa? Forse l’Inter, la mia squadra del cuore ha vinto la “Champions League?" Sparo a caso la prima stupidaggine che mi viene in mente e la guardo incuriosito. 

“Ma allora proprio non se lo ricorda, dieci anni fa cosa è successo?” con un sorriso più aperto. 

“Mah! Non saprei, veramente ne sono successe tante di cose” aggiungo prudentemente. 

Glielo ricordo io cosa è successo dieci anni fa: la mia mamma ha ricevuto un bel fegato e lei ha rischiato la vita in un brutto incidente!”. 

In una frazione di secondo capisco e rivedo tutto: è la ricorrenza del mio incidente il 23 giugno, esattamente dieci anni dopo. 

Le chiedo subito: “Ma come sta la sua mamma adesso?” 

“Molto bene, molto bene, meglio di me che ho sempre un sacco di acciacchi. Le farebbe piacere rivederla?” 

“Eccome! la porti in ambulatorio quando vuole, mi farà molto piacere rivederla. Ma mi scusi, in questi dieci anni perché non l’ho più rivista?” 

“Dottore abbiamo avuto un po’ vergogna per la mia gaffe e ci siamo sempre fatti seguire in ambulatorio da un altro suo collega cercando di non capitare mai con lei; ma la mamma chiede sempre di lei”

”La cosa importante è che la mamma stia bene e che il fegato funzioni bene” aggiungo sorridendole. 

“Il fegato funziona benissimo” risponde l’infermiera e con chiaro accento milanese fa un cenno con la mano per abbozzare una carezza e aggiunge “grazie doctor, siete tutti meravigliosi”.

Rivedo molte immagini del mio incidente e mi sforzo di ricordare i dettagli della gaffe a cui sta alludendo l’infermiera. 


Il dottor Aseni, seduto, con una parte della sua equipe. Fra le mani un testo del professor Thomas Starzl, pioniere dei trapianti

23 giugno 1999 ore 5 

Far finta di sonnecchiare poteva essere un buon sistema per tentare di recuperare un po' di energia necessaria per lavorare ancora alcune ore in sala operatoria al nostro rientro previsto per le sei del mattino a Milano. 
Erano le 5 e 15 circa ed avevamo da poco imboccato l'autostrada Brescia-Milano. Il fegato e il pancreas prelevati dalla povera donna donatrice deceduta per emorragia cerebrale erano stati riposti separatamente negli appositi sacchetti. La Mercedes silenziosa e fiera filava veloce lungo la corsia di sorpasso per riportarci il più velocemente possibile in Ospedale.
Il mio giovane e bravo collaboratore di origine persiana che avevo soprannominato Avicenna, specializzando del 1° anno della Chirurgia d’Urgenza, mi aveva appena ricordato che eravamo digiuni da ormai 24 ore. L'intervento chirurgico di prelievo multiorgano era iniziato, come spesso accade, con molte ore di ritardo sull'orario previsto. Pensavo al nostro rientro in sala operatoria alla probabilità di recuperare al volo un croissant e di poter sorseggiare un caffè prima di immergermi nel successivo e delicato lavoro di preparazione degli organi al banco. Il 23 giugno del 1999 si prospettava una giornata serena e il cielo terso consentiva di scorgere in lontananza, oltre le colline del bresciano, le prime luci dell'alba.

All’improvviso un’esplosione secca ed intensa come un colpo di cannone precedette un balenio di scintille cui seguì un terrificante fragore di ferraglia e lamiere. Un improvviso dolore lacerante mi aveva trafitto contemporaneamente il torace, poi il collo sino ad esplodere nel cervello. Ricordo l'ultimo pensiero prima di perdere conoscenza: “Signore che hai creato questo bellissimo cielo azzurro abbi pietà di me”. 
Non so per quanto tempo rimasi privo di conoscenza. Avevo tentato di uscire dall'abitacolo della Mercedes ridotta a una scatola deforme, ma il dolore lancinante al torace non mi consentiva di spostarmi neppure di un centimetro. Intravedevo accasciato sull'erba lungo la corsia d'emergenza il nostro conducente, che con un filo di voce invocava aiuto. Capivo di essere in condizioni gravi e cominciavo a temere di non poter ricevere soccorso in tempo utile. Poi, alla comparsa della figura del mio giovane collaboratore “Avicenna” un po’ zoppicante, ma in posizione eretta, avevo riacquistato un po' di fiducia. 
“Ehi doc come va?” - mi disse con voce sicura - “stai tranquillo! Sono riuscito a telefonare in sala operatoria ed ho bloccato l'intervento sulla paziente ricevente. Il fegato e il pancreas sono là sull’asfalto: sono stati sbalzati fuori dal vano bagagli, ma sono ancora nelle loro buste sull’asfalto dell’autostrada. Purtroppo il mio cellulare si è scaricato mentre chiamavo la sala operatoria. Sono riuscito a trovare quello dell'autista che sta cercando di chiamare i soccorsi. Tu non devi muoverti!".

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lunedì 16 dicembre 2024

LE EMOZIONI DI UN FOTOGRAFO NATURALISTA, FABIO OGGIONI di Marco Bartesaghi

Fabio Oggioni, che a Verderio quasi tutti conoscono, per tutta la sua vita lavorativa ha fatto il
Fabio Oggioni in versione musicista

meccanico d'auto. Delle emozioni legate a questa professione non oso chiedergli, per paura di prendermi degli insulti, se non dei calci nel sedere. 
Da quando è in pensione però, la passione per la fotografia naturalistica, rivolta soprattutto, ma non solo, agli uccelli, che già prima coltivava nel tempo libero, ha preso il sopravvento e ora le si dedica quotidianamente. Per questo, chiedergli delle emozioni che prova inseguendo con il teleobbiettivo un volatile o un altro animale selvatico, equivale a parlargli del suo attuale lavoro. Gli ho chiesto quindi di scegliere fra i suoi scatti alcuni che l'hanno maggiormente emozionato e di parlarmene.



IL LUPO

 


L'AQUILA





IL FALCO PESCATORE




Sull'attività di fotografo naturalista di Fabio ho già pubblicato su questo blog due articoli:

A CACCIA DI UCCELLI CON LA MACCHINA FOTOGRAFICA


UCCELLI E ALTRA FAUNA DI MONTAGNA, NELLE FOTOGRAFIE DI FABIO OGGIONI

Marco Bartesaghi

martedì 10 dicembre 2024

UN BUON LIBRO SUI DIECI SOLDATI FUCILATI A CURTATONE IN UNA DELLE PRIME STRAGI NAZIFASCISTE di Claudio Consonni





Guanzate (Co) 18 settembre 1943: "altro dei miei cugini, Francesco Rimoldi, fu catturato durante un rastrellamento. Fu portato a Curtatone, vicino a Mantova. Qui fu disgraziatamente trovato il cadavere di un tedesco e fu perciò decisa la fucilazione di nove militari rastrellati e del loro cappellano. Fra questi ci fu anche Francesco. Prima di eseguire la condanna i ragazzi vennero malmenati e seviziati. Il padre di uno di loro, salito su un'altura, riuscì ad assistere alla drammatica scena. Lo strazio lo fece uscire di testa ma a distanza di qualche anno, dopo essersi curato, fu in grado di indicare il luogo esatto dell'esecuzione. Nel 1945 i corpi furono disseppelliti ed ebbero degna sepoltura. Quello di mio cugino è tuttora nel cimitero di Guanzate". 

Questa risposta alla domanda: "quale impatto ha avuto la guerra sulla sua vita di ragazza e di Suora?" fu proposta la sera del 18 dicembre del 2008 a Suor Emerenziana Molteni (nel secolo Angela) nata a Guanzate nel 1924, delle "Operaie della Santa Casa di Nazareth" e fa parte delle numerose "testimonianze orali" raccolte nella tesi di laurea di Paola Galuppini sulle "Religiose bresciane tra guerra e Resistenza" col Professor Giorgio Vecchio all'Università di Parma (aa 2008-2009).

La vivida testimonianza di suor Emerenziana potrà offrire qualche ulteriore spunto alle ricerche, come pure a livello della storia locale di Rogeno (Lc), con le sue due vittime, il lavoro significativo di Roberta Frigerio "Rogeno e il suo territorio 1943-1945" voluto dall'Amministrazione comunale e pubblicato da Cattaneo, Lecco 2006.

Domenica 19 settembre del '43 quando l'armistizio era appena conosciuto dagli italiani, dieci militari caddero per la ferocia nazifascista nella valletta dell’Aldriga in riva al Lago Superiore nel comune di Curtatone (Mn).


1. Arisi Giuseppe, 10/10/1912, 31 anni, n. Brignano Gera d’Adda (Bg)


2. Bianchi Giuseppe, 21/01/1916, 27 anni, n. Caravaggio (Bg)


3. Binda Luigi, 28/10/1923, 20 anni, n. Rogeno (Lc)


4. Colombi Mario, 29/09/1916, 27 anni, n. Salerano sul Lambro (Lo)


5. Colombo Bruno, 24/01/1916, 27 anni, n. Lurago d’Erba (Co)


6. Corradini Mario, 17/03/192, 19 anni, n. Canneto sull’Oglio (Mn)


7. Corti Angelo, 19/06/1908, 35 anni, n. Rogeno (Lc)


8. Passoni Attilio, 21/02/1924, 19 anni, n. Monza (M B)


9. Pecchenini Luigi, 22/02/1924, 19 anni, n. Pagazzano (Bg)


10. Rimoldi Francesco, 27/01/1924, 19 anni, n. Guanzate (Co).

Come si può vedere, anche se le province attuali sono più numerose di quelle dell’epoca, questi dieci giovani rappresentano quasi mezza Lombardia: storie ed età diverse e purtroppo, stando alle commemorazioni dell'80°, poco ricordate.


Qui la sintesi che nella bibliografia non poteva comprendere il nuovo libro che di seguito andiamo a presentare

https://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/Episodio_di_Curtatone.pdf



Una feroce rappresaglia, tra le prime delle tante che insanguinarono l’Italia fino all’aprile del 1945, si svolse di nascosto in un terreno quasi paludoso anche se pochi terrorizzati, richiamati dagli spari, riuscirono a vedere qualcosa.

Carlo Benfatti ha ripercorso gli eventi e il contesto di quei drammatici giorni, grazie a una lunga ricerca di documenti disponibili soprattutto d'archivi militari, e alle voci dei testimoni. Nel volume, che offre una ricca documentazione fotografica, troviamo anche la memoria popolare del tragico evento, con le celebrazioni che negli anni hanno accompagnato la ricorrenza ma non solo: anche poesie, canzoni, e addirittura un docufilm contribuiscono a tenere vivo un ricordo doloroso ma fondamentale del Novecento.

La pubblicazione è stata meritoriamente patrocinata dagli Enti Locali Provincia e Comune di Mantova oltre che città di Curtatone, assieme ad ANPI, Associazione Mutilati e invalidi e Istituto di storia contemporanea sempre mantovani. Notando il fatto che la sola vittima di Canneto sull’Oglio fosse mantovana, dovremmo concludere che la memoria dei più sia stata persa? Speriamo di no e per questo ci permettiamo di guardare alle prossime agende.

Per la collocazione del cippo di Memoria di questi dieci martiri conviene guardare ai prossimi 19 settembre di sabato del 2026 e della domenica del 2027 in quanto il Comune dove si svolse la strage non ebbe caduti per cui si attiene alla doverosa cerimonia fissa sulla data del 19 settembre.

Per comodità indichiamo il punto esatto del monumento che non corrisponde al luogo delle fucilazioni

https://g.co/kgs/bXgurmi

facendo presente che non è possibile fermarsi al bordo della trafficatissima SS10 e, nemmeno, attraversare a piedi se non  a 200 e passa metri di distanza. Complesso molto noto che si raggiunge da quella strada è l'Antichissimo Santuario della Beata Vergine delle Grazie, divenuto meta internazionale da 50 anni dei "madonnari", comunemente quanto erroneamente associato al capoluogo. Altro e ben più grande monumento nelle vicinanze, degno di considerazione, è quello nazionale ai caduti delle guerre d'Indipendenza con le indicazioni delle diverse università italiane dalle cui aule erano partiti i giovani volontari.

Importante sarebbe fare le commemorazioni nei singoli paesi e città. IL sito web del comune di Cinisello Balsamo contiene la storia di Luigi Pecchenini che vi si era trasferito. A Monza solo lo scorso anno colsi l'occasione per presentare il libro in biblioteca e fummo confortati dalla presenza di un pronipote di Attilio Passoni.

Il professor Benfatti accoglie gentilmente e volentieri fa da guida fino alla riva paludosa della valletta dell'eccidio

Carlo Benfatti,  "I Martiri dell'Aldriga - Storia e memorie di un eccidio nazista"

Sometti, Mantova 2023, pp. 208 | cm 15x21 illustrato

euro 15,00

978-88-7495-897-9


Claudio Consonni - claudio@consonni.info