martedì 20 gennaio 2015

27 GENNAIO - GIORNO DELLA MEMORIA



Sulla famiglia Milla puoi leggere su questo blog l'articolo:

L'ARRESTO E LA DEPORTAZIONE DI UNA FAMIGLIA DI EBREI A VERDERIO SUPERIORE (1943)
pubblicato il 22 marzo 2009





MONS. ANDREA GHETTI RACCONTA "OSCAR", ORGANIZZAZIONE SCOUT COLLOCAMENTO ASSISTENZA RICERCATI a cura di Vittorio Cagnoni

Non tutti i gruppi scout ubbidirono, quando il 9 aprile del 1928 il regime fascista sciolse le loro associazioni. In particolare si ribellò a questa decisione il gruppo Milano II della chiesa del San Sepolcro. Guidato dal suo capo, il ventiquattrenne Giulio Cesare Uccellini, il gruppo scout continuò clandestinamente le attività, assumendo il nome di Aquile Randagie. Fra i ragazzi che seguirono Uccellini in questa avventura c’era un sedicenne, Andrea Ghetti, che in seguito, ordinato sacerdote, del gruppo diventerà assistente ecclesiastico. L’attività clandestina induce i giovani a scegliersi uno pseudonimo: Uccellini diventa Kelly, Ghetti  Baden. Svolgono le attività nella periferia di Milano e sulle montagne lombarde. In particolare scoprono la Val Codera, con la quale lo scoutismo italiano da allora mantiene un legame particolare.
Quando nel settembre del 1943 l’Italia è occupata dai tedeschi e nasce la Repubblica Sociale, gli scout, che hanno iniziato la loro ribellione al fascismo già da molti anni, sono pronti al salto di qualità e ad essere attivi nella Resistenza con una loro organizzazione di nome OSCAR che si occupa del salvataggio delle persone perseguitate.
Il racconto che segue, di monsignor Andrea Ghetti, Baden per gli scout, è tratto dal libro di Vittorio Cagnoni: “BADEN Vita e pensiero di mons. Andrea Ghetti”, pubblicato nel 2014 dalla casa editrice TIPI. Ringrazio l’autore, Vittorio Cagnoni, per avermi concesso il privilegio di poter pubblicare sul blog queste pagine, e quelle del post successivo.
Il testo di don Ghetti, che è il risultato di un collage di suoi interventi sull’argomento, è qui introdotto da Cagnoni con alcune notizie su Baden e sull’organizzazione OSCAR.
M.B.


ANDREA GHETTI - BADEN di Vittorio Cagnoni

Andrea Ghetti – Baden nasce a Milano l’11 marzo 1912.
A quindici anni, proprio mentre il regime fascista decretava lo scioglimento dei Riparti ASCI, pronuncia la Promessa scout.
Incerto sulla sua chiamata sacerdotale si iscrive alla facoltà di filosofia, conseguendo la laurea. Maturata la vocazione, frequenta il seminario Lombardo di Roma e l’università Gregoriana, dove conosce e stringe salda amicizia con mons. Montini, futuro Paolo VI.




1962 - Milano, mons. Ghetti tra il cardinale Montini - futuro papa Paolo VI - e Giuseppe Lazzati



Tornato a Milano, sostiene il movimento clandestino scout delle Aquile Randagie ed anima la FUCI milanese.
Durante il periodo bellico fonda la struttura clandestina OSCAR (Organizzazione Scout – termine poi sostituito con “Soccorso” – Collocamento Assistenza Ricercati) per il salvataggio dei perseguitati dai nazifascisti.
Divenuto parroco, trasforma la parrocchia di Santa Maria del Suffragio in una grande famiglia, impegnata in un’intensa attività di carità e di servizio ai più bisognosi.
Numerosissimi e vari sono i campi in cui opera co generosità. Come giornalista dirige fin dalla fondazione “Il Segno”, mensile della diocesi di Milano, e la rivista scout “Servire”,
Muore il 5 agosto 1980 in un incidente stradale in Francia, durante il campo estivo dei suoi Rover. Le sue spoglie riposano a Milano, nella cappellina della sede del Comitato Regionale Lombardo dell’Agesci, in via Burigozzo 11
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Le due lapidi che ricordano don Ghetti in val Codera. Questa si trova sul muro di cinta del cimitero di Codera ...
... questa invece si torva sul muro di un'edicola sacra in località Bresciadega.
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Gli studiosi e vari testimoni hanno individuato storicamente varie organizzazioni di salvataggio attive a Milano nel periodo della Resistenza, attribuendo ad esse una particolare specificità, anche nel caso di intrecci fra loro. Fra queste OSCAR, che è stata il coagulo di un esteso gruppo di persone, perlopiù appartenenti al territorio della Diocesi milanese, che si sono rese disponibili all’occorrenza per collaborare.
L’acronimo OSCAR è stato interpretato in tantissimi e svariatissimi modi, ma la dicitura esatta don Ghetti l’ha chiarita in un articolo de L’Italia del 13 maggio 1945, e Giulio Uccellini, Kelly, l’ha ripetuta ne Il Popolo del 28 agosto 1945: Organizzazione Scout Collocamento Assistenza  Ricercati.


MONSIGNOR GHETTI RACCONTA "OSCAR"

In ogni momento della vita ognuno di noi è posto di fronte a delle scelte: quella, per esempio, di misurare fatti od avvenimenti sul metro dell’utile o della convenienza, non solo materiale, oppure di valutare la realtà che ci circonda sulla dimensione dei valori fondamentali dell’uomo, quei valori senza i quali il nostro esistere perde il suo senso. Così il cristiano che crede nelle realtà soprannaturali deve continuamente fare riferimento ad esse: non può mai giocare al compromesso che ignora il messaggio evangelico.. Questo è stato il punto di partenza!
Nella situazione politica di inizio secolo l’antifascismo rimase di pochi!Una vasta suggestione travolse il mondo cattolico nella visione costantiniana dell’unione di trono e altare, della spada e della croce. Come non ricordare il primo numero del periodico degli studenti di AC con la testata Credere? Nell’articolo di presentazione l’allora Presidente della GC sottolineava il titolo esaltando la tr5ilogia mussoliniana : credere, obbedire, combattere! Si salarono da questo plagio universale solo quelle persone abituate ad un senso critico, alla capacità di confronto dei fatti correnti con i valori, quelli educati al coraggio di pagare di persona.
Non si deve omettere che la filosofia ufficiale del fascismo era l’idealismo gentiliano, per il quale la religione è solo un momento – empirico – della dialettica dello spirito. E come accettare le aberrazioni di Mistica fascista imperniate su concezioni di potenza e di razza? Come aderire ad un bolso e talora ridicolo culto della personalità che portava all’idolatria del Duce, cui era concessa la grazia di non sbagliare mai?
Le scelte ebbero tutte momenti di prove e di sofferenza, quando da più parti, voci autorevoli indicarono nel plebiscito del 1929 un modo per esprimere l’appoggio alla politica religiosa del Regime conclusasi con il concordato col Vaticano. Plebiscito del resto svoltosi all’ombra della baionetta della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.

1935 - Parco delle Groane. Attività delle Aquile Randagie. Andrea è il terzo da destra.
 Il fascismo per la sua conclamata mentalità di aggressione non poteva non sfociare nella guerra. Aggiogato al carro nazista doveva seguirne le sorti. Tra i primi effetti di una più stretta alleanza con la Germania fu il rincrudirsi della lotta razziale. Perché cristiani ci ribellammo a scelte inique e prendemmo le parti dei perseguitati. Fu rifiuto deciso ad ogni discriminazione, fu aiuto prestato a gente senza difesa. Del resto il nostro “NO!” alla guerra, scatenata in nome di una ideologia politica, fu totale. Invano si cercò di creare artificiosamente un odio verso popoli e nazioni vicine: la nostra gente, umile e generosa, intuì la carenza di ogni contenuto ideale a una guerra imposta. Molti partirono sapendo di dover morire in un conflitto senza scopo. Non ci scoprimmo antifascisti, come tanti, il 25 luglio 1943.
Non posso al proposito non accennare al Movimento clandestino Scout, in quanto primo, se non unico, gruppo antifascista di giovani cattolici. Radicato in quei valori che il fascismo derideva – non violenza, apertura internazionale, spirito di Servizio, rispetto delle altrui convinzioni – impegnò un pugno di giovani a rifiutare , appunto perché cristiani un Regime fondamentalmente anticristiano. Negare la libertà individuale è qualcosa di radicalmente opposto alla peculiarità dello scoutismo, secondo cui è il singolo a dover emergere per rendere migliore la comunità, senza rinunciare alle prerogative personali.
Se da un lato l’iniziativa non costituiva in fondo che il collaudo dello Spirito Scout di fronte alla vita – vivere cioè nella dimensione più totale, lo spirito di servizio, le parole della Promessa “aiutare gli altri in ogni circostanza”  e tutti i dieci articoli della Legge Scout – d’altra parte storicamente, essa costituiva un inserimento attivo nelle forze della Resistenza, un allinearsi delle forze cattoliche, modeste, ma validamente operanti, accanto a quanti collaboravano al movimento di liberazione.
È da sottolineare la convinzione con la quale chi scelse di pronunciare una Promessa non si limitò a professare solennemente una formula, ma ne ha vissuto i contenuti fino all’estremo limite di essere disposto a donare in qualsiasi momento la propria vita per l’altro e questo è il frutto di una seria scelta ponderata e condivisa.
L’operatività degli Scout dette prova della sua validità nella coesione che il Capo aveva saputo creare nel gruppo, l’abitudine a una vita rischiosa per gioco, la resistenza fisica, la tecnica Scout del collegamento e della segnalazione.
Per quel che mi riguarda anche i Circoli della FUCI divennero scuola per gli studenti, educandoli ad un giudizio oggettivo, fuori da ogni suggestione, dei contenuti ideologici del fascismo e per il loro atteggiamento spesso furono oggetto alle rappresaglie.
L’8 settembre è una data che ricordo con terrore ed angoscia: governo in fuga, soldati abbandonati dagli ufficiali, ufficiali senza ordini, in modo che pochi tedeschi fecero prigionieri interi reggimenti e i nostri giovani finirono, su vagoni piombati, nei campi di concentramento in Germania. L’esercito italiano si dissolse.

1936 - Il chieerico Andrea Ghetti in un'attività delle Aquile Randagie, con giulio Cesare Uccellini - Kelly

Iniziava il periodo più tragico della storia della nazione, in balia dei tedeschi e dei risorti fascisti, armati di odio e assetati di vendetta. Giovani braccati, ebrei senza casa e difesa, di contro una forza bruta protesa a fare dinnanzi a sé terra bruciata. L’Italia si trovò divisa in due parti: da una parte un Governo legittimo, dall’altra un occupante senza scrupoli, Ancora una volta s’imponeva una scelta: come cristiani ci mettemmo dalla parte dei perseguitati.
La Resistenza fu primariamente un fatto dello spirito, una ricerca di giustizia e di libertà: fu gesto di solidarietà con chi era in pericolo. Immediatamente – quasi per istinto – preti, suore, laici, strutturarono soccorsi, assistenza agli sbandati.
Nel caos della guerra la vita non aveva nessun valore. Si poteva essere uccisi per un rifiuto, per essere trovati in possesso del giornale “il ribelle” ; finire in prigione o nei campi di concentramento o uccisi per un gesto caritativo.
I bandi fascisti e tedeschi fecero salire in montagna giovani sul cui capo pendeva la pena di morte. Non solo: il fantomatico Governo di Salò e le forze di occupazione iniziarono una feroce repressione con deportazioni di massa, condanne a pena capitale, sequestro di beni, requisizioni di impianti industriali perché fossero trasportati in Germania.
Fu una scelta dura allora, ma lucida: in nome della propria vocazione di cristiani, per i quali non ci può essere dignità umana senza verità e giustizia, per la difesa dei valori supremi di un popolo, per opporsi all’aggressore, fu necessario prendere le armi. Qui è utile una precisazione: i cattolici combatterono nelle varie formazioni per realizzare un domani di libertà e giustizia fra i popoli. Fu perciò una lotta ideale. Per questo i nostri fratelli sono morti davanti ai plotoni di esecuzione , perdonando all’uccisore. Così come si sono consumati nei lager di sterminio fissando Colui che è morto per renderci liberi. La Resistenza dei cattolici fu tutta fondata su contenuti spirituali: riflesso di essi è la “Preghiera del Ribelle” di Olivelli. Invece per altri partiti politici la resistenza era prodromo di una rivoluzione per la conquista del potere: con qualsiasi mezzo. Da qui episodi di azioni partigiane – respinte dallo stesso CLN – le cui conseguenze pagarono spesso inermi popolazioni.
Ben si può dire che la coscienza di molti cattolici rifiutò sempre, fin dall’inizio, il fascismo scorgendo in esso i germi di una concezione destinata a portare nel tempo lo sfacelo di una nazione. Fu resistenza attuata in nome dei valori cristiani: per la difesa dell’uomo senza odio, senza vendetta. Così che alla fine della guerra – nel gioco dei rancori incontenibili, nella mescolanza di cieche passioni – furono i cattolici a salvare da morte certa persone accusate di collaborazionismo.
Mi pare che a conclusione ben si possa dire che i cattolici  - pochi o molti – a seconda dei periodi  - hanno avuto un comportamento coerente scegliendo non l’utile immediato, ma la difesa dei valori cristiani. Per questa fedeltà molti sono caduti: furono martiri, cioè testimoni del messaggio di Cristo, che vale per tutti i tempi e per tutti i popoli: messaggio di verità, carità, libertà e giustizia.
La Resistenza Scout prese contorni precisi e aspetti di combattimento e di lotta contro l’invasore, con anzitutto un atteggiamento morale ed ideale, ma anche vita concretamente vissuta, tanto più difficile da conservarsi in quanto col passare degli anni, il regime si andava consolidando: “Tra cinquant’anni tutta l’Europa sarà fascista o fascistizzata”  affermava Mussolini, e da più parti voci autorevoli suggerivano una capitolazione.
Dopo l’8 settembre, nello spirito di Servizio, gli Scout rimasti – molti erano dispersi sui vari fronti di guerra – dettero vita ad OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) insieme ad altri caritatevoli, mettendosi immediatamente in aiuto degli oppressi: prigionieri di guerra, piloti abbattuti, soldati alleati di ogni nazionalità,; soldati italiani appartenenti ai corpi rimasti privi di comando e di armi ed esposti al pericolo di essere catturati dai tedeschi; renitenti alla leva della Repubblica di Salò; giovani sbandati e uomini rastrellati per essere internati in Germania; politici e antifascisti ricercati; rifornimento di viveri ai senza tessera; fabbricazione di documenti falsi; ebrei che le leggi razziali perseguitavano; sostegno ai partigiani; ospitalità ai ricercati; trafugamento e fornitura di armi ai partigiani; raccolta di fondi per gli espatri; rapimenti di piantonati negli ospedali; soccorsi ai detenuti e alle famiglie; distribuzione della stampa clandestina; espatrio di tedeschi e fascisti; soccorso ad ex internati nei campi di concentramento.

Immagine tratta dal libro "Una Resistenza" di Silvio Puccio


La conseguenza di un modo di vivere e pensare forgiatasi in netta contrapposizione con la mentalità del momento storico fu alla base della nascita di OSCAR. La finalità era chiara e precisa: reagire all’ingiustizia, al sopruso ed aiutare coloro che erano in pericolo indipendentemente da chi fossero.
A muoverci non fu l’ideologia, un odio o una causa politica: si trattava di mettere in salvo donne, uomini, famiglie intere,punto e basta e lo facemmo senza sparare un colpo d’arma da fuoco.
OSCAR, nome proprio di persona, serviva ad eludere vigilanze telefoniche o di corrispondenza.
Per prima cosa s’impiantò una centrale per la produzione di carte d’identità false, di timbri di permessi di circolazione, ecc.: fu un lavoro enorme e nel contempo rischioso. Nel portare colonne di ricercati al confine svizzero si ebbero momenti drammatici per evitare posti di blocco fascisti o pattuglie tedesche in perlustrazione: molto servì in tali frangenti, l’abitudine Scout all’esplorazione.
Si trasportarono e si diffusero copie de “il ribelle” , il giornale clandestino della resistenza: fino a farle giungere nelle caserme fasciste o nelle Prefetture, creando violente reazioni per la beffa subita.
La figura più bella degli appartenenti all’OSCAR è stata quella di Carlo Bianchi, che era membro del CLN ed è stato ammazzato a Fossoli. Ma come non ricordare Giulio Cesare Uccellini – Kelly, don Motta, don Barbareschi, gli amici Pestarini e don Giussani, il comandante Gianni Vignali, che sempre portò sul giaccone partigiano il giglio Scout, presenti nelle formazioni in val di Taro? Furono capi seguiti e ammirati, che seppero trasferire nei loro uomini uno spirito di sacrificio e di dedizione. Così Dino Del Bo, arrestato e massacrato dai fascisti, e Pino Glisenti, coraggiosa staffetta tra la Svizzera e il Comando del CLN di Milano. Nino verri, in fuga con altri compagni durante un pesante rastrellamento, si offrì di fermarsi presso un ferito, ben sapendo quale fine lo attendeva: furono fucilati sul posto.
Ogni giorno era un rischio mortale che accompagnava le imprese di questi giovani. Erano pur essi “ribelli per amore” nella volontà di servire la Patria – secondo la loro Promessa – in ore di angoscia e di devastazione: senza odiare nessuno, senza recriminare. Educati a una scuola di libertà questi giovani giocarono la vita per rimanere uomini liberi. Finita la guerra nulla chiesero, di nulla menarono vanto, nella coscienza di avere semplicemente compiuto il loro dovere.
Contemporanea all’azione di OSCAR vi fu quella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, caratterizzata dall’opera di un religioso, p. Carlo da Milano (Domenico Varischi). Si trattava di assistere gli ebrei, sistemarli, trovar loro un rifugio o di avviarli subito, nei casi più urgenti e gravi alla frontiera. Giungevano da tutte le parti, ogni giorno in più gruppi. Per un’attività di questo tipo occorreva una vasta rete di collaboratori: case ospitali in cui nascondere i “fuorilegge”, luoghi sicuri di passaggio in Svizzera; mezzi finanziari.
La situazione degli ebrei a Milano era quella generale in Italia dopo le leggi razziali, quando avevano perso i posti pubblici, la possibilità di una certa sopravvivenza in rapporto all’attività commerciale e professionale. Dopo l’8 settembre la situazione divenne drammatica perché fu la caccia all’ebreo, soprattutto sotto la direzione delle SS, a cui le stesse autorità fasciste erano sottoposte. Perciò per gli ebrei non rimaneva altra soluzione di nascondersi pur avendo poi il rischio della mancanza di tessera annonaria e qui la preoccupazione del clero fu di creare immediatamente un centro per la fabbricazione di documenti falsi: tessere, permessi di circolazione carte d’identità, ecc. che venivano intestati a nomi fittizi con la residenza in territori occupati già dalle truppe alleate, in modo da rendere più difficile l’identificazione.
La maggior parte di questi ebrei poté trovare  alloggio presso conventi o case ecclesiastiche. Qualcheduno continuò coraggiosamente la sua attività professionale pur correndo il rischio di essere arrestati. La massa preferì rifugiarsi nella vicina Svizzera.
Perciò l’organizzazione clandestina di assistenza agli ebrei nacque così: questi al solito si rivolgevano ad ecclesiastici, una centrale di questo smistamento fu il collegio San Carlo ed anche il convento di San Francesco a Porta Manforte, in viale , in viale Piave dove c’erano p. Giannantonio e p. Genesio.

1970 - Don Andrea con papa Paolo VI

L’ebreo  veniva poi affidato a degli accompagnatori sconosciuti, perché c’era sempre il rischio che la spedizione andasse male e gli espatriandi catturati non dovevano essere in grado di fare nomi o dare informazioni compromettenti, che li portavano nella zona di confine del varesotto o del comasco e affidati a contadini e contrabbandieri locali. In principio si ebbe anche l’appoggio abbastanza efficace della Guardia di Finanza che si prestava ad aprire varchi nelle reti di confine.
Queste partenze dall’8 settembre proseguirono con una certa velocità e con poco pericolo fino a circa i primi di novembre. L’organizzazione in luogo era di collegamento senza però possibilità di conoscenza reciproca, in modo che se qualcuno veniva a cadere questi non poteva riferire di altri.
A Milano queste persone venivano accompagnate alla stazione delle ferrovie dove degli incaricati li raccoglievano e li accompagnavano a Varese e da qui ci si portava con mezzi pubblici di solito nella zona della Marmorea per poter raggiungere poi Cantello.
La popolazione locale si prestò, dietro ricompensa, pagata dagli espatriandi dove possibile, mentre nei casi di necessità direttamente da OSCAR. Le somme variavano a seconda del tragitto, delle ore di cammino e del rischio delle guide. Si partiva da 3000 lire, già somma ingente a quel tempo. Ci fu qualche approfittatore che fece, di questa attività di accompagnamento degli ebrei, un’attività di lucro ed addirittura qualche losco che incassò la cifra pattuita e vendette poi le persone ai nazifascismi, riscuotendone la taglia.. Altri che ingannarono gli ebrei portandoli a fintedestinazioni e abbandonandoli prima di raggiungere il confine. In generale però le imprese di OSCAR risultarono quasi tutte positive.
Per precauzione, gli espatriandi non dovevano assolutamente né parlare, soprattutto se stranieri, né compiere gesti sospetti in pubblico. Una sola parola, un solo atteggiamento non controllato, una esclamazione magari in lingua non italiana erano un ripetersi di probabilità di arresti e di fucilazioni o campo di concentramento. A volte bisognava convincerli a lasciare oggetti, valigie sospette, alleggerirli, togliendo loro di dosso un vero e proprio guardaroba, nascosto sotto l’ultimo cappotto. Molte volte si dovette farli passare nei boschi, perché vi erano pattuglie tedesche che perlustravano ed occorreva talora procedere strisciando con le tecniche apprese nei giochi Scout!
Come ripeto la situazione fu fluida finché non ci fu la collaborazione fascista, la quale peggiorò la situazione in quanto che, conoscendo la zona, potevano bloccare con più facilità.
In seguito i nazifascismi istituirono la zona di confine  in modo che chiunque era preso in quella fascia era sottoposto immediatamente alle armi. La cosa diventò perciò ancora più complicata. Ma la difficoltà più grave venne quando le autorità elvetiche strinsero i freni di una certa accettazione e ci rivolgemmo al vescovo di Lugano, mons. Jelmini, che intervenne per raccogliere coloro che rischiavano l’espulsione.
Altri pericoli gravi vennero dagli stessi esuli politici e razziali che, liberi ormai dal continuo stato di tensione e paura in cui avevano vissuto per anni, raccontavano liberamente la loro avventura, facendo nomi, indicando luoghi che venivano carpiti da apposite spie, infiltrate nei campi di raccolta, e trasmesse immediatamente in Italia.



Un’altra forma di assistenza era quella di sottrarre gli ebrei dalle prigioni. Questo si tentò qualche volta nel trapasso dal carcere di S. Vittore ai treni convoglio verso la Germania, corrompendo gli ufficiali tedeschi. La cosa però non riuscì e fu l’occasione in cui fu arrestato don Barbareschi.
Ci furono anche le imprese di OSCAR direttamente di attacco agli ospedali, di modo da poter liberare anche  prigionieri ricoverati, o aggredendo la custodia o, con forme di astuzia, farli scomparire dagli ospedali medesimi.
Di solito gli ebrei andavano presso amici o presso famiglie o presso conventi di monache, che li nascondevano nei tempi di preparazione dell’espatrio, poiché occorrevano sempre 5-6 giorni per poter strutturare la fuga, in quanto bisognava fare tutta la linea in modo che partendo da Milano si sapeva che nel giro di poco tempo erano già nella Svizzera senza soste.
Altre volte li nascondevamo a Varese presso il collegio S. Carlo o la casa di don Motta o presso le suore o presso qualche parroco mentre si preparava la linea di fuga.
Quando la situazione degli ebrei peggiorò, rendendo impossibile vivere in Italia, alcuni si sono salvati, ripeto, con documenti falsi, ma la maggior parte si portò verso la svizzera e allora tutta l’organizzazione consisteva nella velocità con cui si poteva farli espatriare.
Devo ricordare che avevamo anche degli informatori della polizia fascista i quali ci avvisavano in tempo quando veniva spiccato  una dato mandato di cattura, per cui noi potevamo anticipare i tempi e farli scomparire prima che arrivassero i nazifascisti ad arrestarli.
Tutti usavamo nomi di battaglia, in modo che non potevamo essere scoperti.
La maggior parte degli ebrei sono caduti per denuncia; alcuni non  siamo riusciti ad individuarli, la maggior parte  perché aveva cambiato residenza.
Oltre a salvare vite umane OSCAR attirava l’attenzione dei tedeschi e dei fascisti, distraendoli, innervosendoli, impegnandoli.
Le autorità fasciste denunziavano a noi sacerdoti l’azione di distribuzione di stampa contro di loro e tutta l’azione per gli ebrei, promettendo morte per chi si attivava per queste opere, ignorando che spesso le persone con le quali interloquivano erano i principali responsabili.
Altra nostra attività è stata quella di sviare i poliziotti nella ricerca di persone, in modo da indirizzarli su piste sbagliate e facendo perdere loro gran tempo nella ricerca di persone inesistenti.
Abbiamo combinato anche delle beffe, come quando abbiamo sottratto all’ospedale di Varese il bambino della famiglia Balcone, che fu ospitato in casa di don Motta e dormì con la testa contro il muro della camera dove dormiva la guardia fascista che lo stava ricercando.
Fu certo una tensione psicologica e fisica fra le più terribili, che durò fino ai primi di aprile del 1945, quando si ebbe il crollo della sorveglianza.


*Tutte le immagini di questo e del prossimo articolo , tranne le due lapidi della val Codera (mie) e la testata de Il Ribelle (Silvio Puccio), sono tratte dal libro di Vittorio Cagnoni dedicato a Baden. M.B.



LE ATTIVITA' DI OSCAR: I CASI DI SALVATAGGIO ATTRIBUITI A DON GHETTI di Vittorio Cagnoni




Questo testo, come il precedente, è tratto integralmente dal libro di Vittorio Cagnoni: "BADEN, vita e pensiero di Mons. Andrea Ghetti". Di mio ho aggiunto solo alcune note, che trovate prima e dopo il paragrafo intitolato: "Rapimento del figlio della famiglia Balcone". 
L'articolo, soprattutto questo paragrafo, è piuttosto lungo. L'ho perciò interrotto per leggerlo tutto dovete cliccare su CONTINUA A LEGGERE . m.b.



LE ATTIVITA' DI OSCAR: I CASI DI SALVATAGGIO ATTRIBUITI A DON GHETTI di Vittorio Cagnoni


L’attività di OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) può essere riassunta in oltre 2000 espatri clandestini (il numero esatto non lo si saprà mai), 500 preallarmi, 3000 documenti falsi, 10 milioni di lire di spesa
La particolare natura di don Ghetti, silenzioso su questo periodo di storia non ha permesso di conoscere casi particolari ai quali ha partecipato rischiando la vita. Sappiamo da testimonianze trasversali che gli espatri, particolarmente difficili e rischiosi, erano guidati direttamente dai sacerdoti di OSCAR. Don Ghetti accompagnava le persone presentandosi come Antonio o Andrea Andreotti, travestito da operaio, da contadino, persino da vigile del fuoco, e ritornava vestito da prete. Spesse volte capitava che, giunti al confine, gli espatriandi gli chiedessero l’ammontare dell’onorario e si sentivano rispondere: “Niente, sono un prete”.


Luoghi di espatrio utilizzati da OSCAR


L’ufficiale della RAF (1)
Don Ghetti accompagna un giovane ufficiale della RAF alle ferrovie Nord, attraversando la città pressochén ridotta ad un cumulo di macerie, dopo il bombardamento del 1943. Il soldato, interrompendo il silenzio e voltandosi di scatto, dice con voce commossa al suo accompagnatore: “E voi, dopo tutto questo, ci aiutate ancora?”
 

Due anziane signore e la stola di volpe
Dopo aver accompagnato a pochi metri dal confine due vecchiette ebree, una di loro si accorge di aver peso il collo di pelliccia del suo soprabito, sua unica ricchezza, e cade in una profonda desolazione e sconforto. Di fronte a quel dolore don Ghetti non rimane insensibile e, a costo di gravi pericoli, ritorna sui suoi passi, recupera il capo d’abbigliamento e glielo porge. “Fu una sofferenza in meno per la signora” è il commento.
 

Incontro con la milizia confinaria
Don Ghetti, di ritorno da un’impresa di espatrio alla rete di confine, incontra la ronda fascista. Tutti si fermano di colpo. Con prontezza di spirito continua imperterrito il cammino verso di loro che confabulano e lo guardano minacciosamente. Il momento è di particolare tensione: giunto a pochi passi don Ghetti saluta educatamente e continua diritto per la sua strada mentre i fascisti lo lasciano passare. Il peggio sembra dietro le spalle, quando improvvisamente la ronda fa dietrofront, lo insegue e … lo supera continuando a correre!
 

Il console greco con famiglia
Il console greco si presenta a don Ghetti con moglie, i numerosi figli e pesanti bagagli di cui non vuole assolutamente alleggerirsi. Caricato l’ingombrante fardello su un carretto  due ruote con lunghe stanghe, si procede faticosamente sulla pista del bosco, impegnando però più tempo del necessario. Arrivati finalmente al confine, spunta da lontano la ronda delle guardie ed il panico si diffonde nel gruppo. Conscio del pericolo don Ghetti trascina la famiglia aldilà del confine e, ritornato sui suoi passi, spinge con forza il carretto, che tra i sobbalzi transita oltre il confine, per poi darsi a precipitosa fuga.
 

Il pediatra
Al piano terra di una casa a Varese abita un fascista accanito accusatore di ebrei e don Ghetti gli nasconde sopra la test il ricercatissimo dottor Schwartz. Proprio giocando sull’avversione dell’inquilino invasato, Schwartz è sicuramente protetto poiché il fascistone non può minimamente immaginare che un ebreo abbia la spudoratezza di abitare nella sua stessa palazzina e per di più sopra di lui. Dopo un breve soggiorno Schwartz è accompagnato in Svizzera e diventerà uno dei più quotati primari del mondo della pediatria
 

don Andrea Ghetti con il fazzolettone scout



Rapimento di un bambino ebreo
Nell’autunno del ’44 don Ghetti, accompagnato da due ragazzi delle Aquile Randagie (AR) (2) Anderloni, VCSq. e Silvio Croda CSq. (3), si reca in un ospedale e dà precise indicazioni ai ragazzi posizionandoli sotto a una finestra del piano rialzato, con la consegna di aspettare. I due Scout trascorrono tranquillamente il tempo di attesa, quando improvvisamente la finestra si apre e don Ghetti, in camice bianco sussurra: “È pesante” passando uno strano involucro nel quale rinvengono, esterrefatti, un bambino.
 

Il cosacco in Casa Linati
Il pensionato per ragazzi Casa Linati è spesso utilizzato da don Ghetti e dall’AR Mario Munari per il momentaneo parcheggio di espatriandi, protetto dal frequente andirivieni di giovani e di personale. Una sera don Ghetti accompagna una persona molto alta, che si rifocilla con i famigliari Linati senza proferire parola, ma al termine della cena, con un gran sorriso e un filo di voce, dice : “Spasiba!”. Al mattino la famiglia scopre che lo straniero è sparito. Solo dopo molti anni papà Linati svelerà al figlio paolo che di buon mattino don Ghetti aveva prelevato il cosacco per farlo espatriare e che in russo aveva detto: “Grazie!”.
 

Cimitero provvidenziale
Sul finire della guerra un frate benedettino dell’esercito tedesco rischia di finire in un campo di prigionia. Alcune fucine (4), che lo conoscono bene, sono informate della situazione ed avvisano immediatamente don Ghetti che le rassicura: “Ci penso io!”. Istruite a dovere le fucine accompagnano il padre al convento delle suore tedesche dove a sera, smessi gli abiti militari, indossa quelli civili ed insieme a due lituani è accompagnato alla stazione delle ferrovie Nord diretto a Varese, dove ad aspettarli c’è don Ghetti. Usciti di stazione questi si dirige verso la periferia camminando su un marciapiede mentre gli altri, sul marciapiede opposto, ripetono esattamente quello che fa lui. È ormai notte, quando da un certo punto in lontananza spuntano le luci della ronda fascista. Senza perdersi d’animo don Ghetti fa cenno ai tre fuggiaschi di infilarsi nel vicino cimitero e di nascondersi dietro le tombe e controlla la situazione da un angolo in penombra, fino a quando i militari si allontanano. Scampato il pericolo si riprende la marcia fino alla frontiera, dove i tre espatriandi possono entrare in territorio elvetico.
 

Dal S. Carlo
Giovanni Pesce, Medaglia d’Oro della resistenza, nome di battaglia Sauro, comandante del Terzo gap, partigiano comunista del milanese, è incaricato di contattare OSCAR al Collegio S.Carlo, per organizzare l’espatrio di due ebree austriache , Hilde Sara Hirsch e Helene Sara Schwenk, rispettivamente madre e figlia, e della famiglia Fossati, formata da padre, madre e figlio diciottenne. L’abboccamento avviene su indicazione di un altro partigiano, il prof. Collina, già insegnante al S.Carlo, caduto nell’azione pochi giorni prima.
Sauro incontra OSCAR nella persona di don Ghetti e due Scout suoi collaboratori. Dopo un vivace scambio di opinioni sul tema religioso e politico, Sauro apprezza sia il lavoro sia la statura del prete che, con molto rischio, si incarica di fornire documenti falsi e far espatriare le cinque persone attraverso il percorso Milano – Valle Cannobina e provvede a far travestire la giovane ebrea da monaca di clausura dalle suore Benedettine di via Bellotti. Dopo un rocambolesco peregrinare i cinque raggiungono la Svizzera.


NOTE

(1) Royal Air Force è l’aeronautica del Regno Unito
(2) Aquile Randagie era il nome adottato dagli scout di Milano e Monza che, dopo la soppressione dell’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani) da parte del regime fascista, continuarono a svolgere attività scout clandestinamente e che diedero vita, nell’autunno del 1943, a OSCAR.
(3) CSq. e VCSq. significano rispettivamente Capo Squadriglia e Vice capo Squadriglia. La squadriglia è un gruppo di 5 -8 “esploratori”, cioè ragazzi dai 12 ai 16 anni. Alcune squadriglie formano un “reparto”scout. Si noti quindi che i due ragazzi che aiutarono don Ghetti nell’azione descritta avevano al massimo 16 anni.
(4) Aderenti alla FUCI, Federazione Universitari Cattolici Italiani




Rapimento del figlio della famiglia Balcone.
Angelo Balcone, sposato con l’ebrea austriaca Caterina Frankfurter, con un figlio di quattro anni, è proprietario, insieme a Giuseppe Perego, di un laboratorio a Milano.
Nella prima settimana del dicembre 1943 viene a sapere  che la moglie è ricercata e decide di scappare con tutta la famiglia. Ha sentito dire che nel luinese ci sono concrete possibilità di espatrio e il 18 mattina parte presto, con la famiglia, per Luino. Ha fretta e, fidando nella sorte, entra in un albergo, e chiede di parlare con il proprietario dicendogli: “Devo espatriare, mi aiuti. Pagherò.”. Per tutta riposta l’albergatore mette alla porta i tre.
Nevica, fa freddo, i piedi gelano nella neve.. Verso mezzogiorno sono nella sala da pranzo di un altro albergo. Balcone ritenta. Questo albergatore è servizievole, sorridente e lo rassicura: “Sì, posso farvi accompagnare alla frontiera, basta pagare la guida”. L’indomani, l’albergatore dà le minime istruzioni e i tre escono. Poco meno di cento metri dopo sono arrestati da quattro SS.
Il padre viene condotto nelle affollatissime carceri di Miogni, in via Morandi a Varese. Madre e figlio sono internati all’Opera Pia Casa S. Giuseppe, di via Griffi5, in attesa di essere trasferiti a Buchenwald. Questa istituzione è retta da don Sonzini, coadiuvato dalle suore Ancelle di S. Giuseppe. La casa funge anche da succursale delle stracolme carceri femminili. Nello stesso edificio trovano alloggio anche le donne e i bambini che OSCAR intende salvare, mentre gli uomini e i ragazzi sono naascosti nello sfollato Collegio S. Carlo. Don Ghetti e don Giussani vi vengono spesso a celebrare la Messa, mantenendo i contatti con gli uomini “particolari” della Casa.
Il 19 dicembre la superiora, suor Lina Manni, informa don Ghetti della nuova situazione Balcone e di un passaggio in Svizzera non riuscito di un ragazzo di circa 12 anni e della sorella Anna di circa 16.
La domenica successiva don Ghetti e una squadra di milanesi, capeggiati da Torregiani di Gallarate, organizzano nella casa una messinscena: tagliano i fili del telefono, danno alcune spintarelle alle suore, sparano in aria alcuni colpi di pistola, mentre i due fratelli, adeguatamente istruiti, raggiungono un ingresso dove li attende un auto. Mezz’ora dopo sono salvi in Svizzera.
Il colpo prevedeva anche l’espatrio di mamma e figlio Balcone, ma la donna si rifiuta categoricamente, perché ricattata dai tedeschi, che l’hanno minacciata di uccidere il marito se avesse tentato la fuga. 

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domenica 18 gennaio 2015

OLTRE IL RAZZISMO PER CONOSCERE E PER NON DIMENTICARE, classe V elementare, Verderio S., 1994/95/95












Quando, l'11 dicembre 1994, fu posta la lapide in ricordo della famiglia Milla, che da Verderio, cinquantun anni prima, era stata deportata ad Auschwitz, gli insegnanti della classe quinta elementare di Verderio Superiore organizzarono un'attività didattica sulla persecuzione nazista degli ebrei e, più in generale, sul tema del razzismo.
Di questa attività è rimasto il fascicolo intitolato: “OLTRE IL RAZZISMO PER CONOSCERE E PER NON DIMENTICARE”. In un suo capitolo sono raccolte le riflessioni degli alunni, oggi trentenni, sulla poesia “Shemà” di Primo Levi.
Ecco la poesia, che qui viene chiamata “Se questo è un uomo”, che in realtà è il titolo del libro che la contiene,e le riflessioni dei bambini. M.B.









SE QUESTO È UN UOMO
Primo Levi

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il ventre
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa
la malattia vi impedisca
e i vostri nati torcano il viso da voi.


STRUTTURA E CONTENUTO DEL TESTO
La poesia ricorda la drammatica situazione dei prigionieri nei campi di concentamento nazisti e invita a non dimenticarla.
La poesia è composta da quattro parti.
1 - il poeta si rivolge a chi vive tranquillo, sereno, senza preoccupazioni, libero (come noi;
2 – invita a considerare le condizioni di vita DISUMANE di uomini e donne nei campi di concentramento;
3 – esorta a riflettere e a non dimenticare […];
4 – minaccia terribili punizioni per chi dimenticherà.
RIELABORATO INSIEME

PENSIERI PERSONALI …

Per me il poeta Levi vuole farmi capire che questo avvenimento non è per niente inventato […], come alcune persone credono. Questa poesia mi dice come in quel tempo gli ebrei venivano massacrati e torturati.
Serena

Io penso che non sia giusto trattare in quel modo così orribile persone, che se anche di religione non uguale sono come noi. Meditando ho pensato: e se i tedeschi erano al loro posto? Avrebbero capito la tortura a cui avevano sottoposto gli ebrei?
Riccardo G.
Io penso che la terribile ingiustizia contro gli ebrei, non deve essere lasciata impunita, perché quello che avevano fatto agli ebrei i soldati, era una forma di razzismo molto grave. Loro li sterminarono solo perché erano di religione differente
Sabrina C.
Il poeta esprime parole giuste e tutti, uomini donne bambini devono ricordarsi di questo avvenimento e persino pubblicarlo perché tutti lo debbono sapere. Per non dimenticare!
Alberto M.

Io penso che questo scrittore, se non fosse stato ebreo, non avrebbe scritto questa poesia, perché lui è stato veramente deportato nei campi di concentramento.
Questa poesia è molto giusta e significativa.
Ho imparato ad amare tutte le persone, perché sono tutte uguali senza distinzione di sesso, di razza, di colore, di religione.
Elena M.

Per me questa poesia è molto significativa, nella seconda parte soprattutto, perché mi fa capire come vivevano la tragedia gli ebrei nei campi di concentramento mentre i […] si godevano tutte le comodità che si possono avere nella vita.
Gli ebrei dovevano essere trattati come uomini e non come cose perché sono ugluali a noi.
Sara B.

Per me tutti gli uomini e le donne di RAZZA e di RELIGIONE diversa dalla mai sono sempre uguali a noi e devono essere trattati bene perché non importa se uno è NERO, BIANCO non importa se è EBREO o ITALIANO, sono tutti fratelli.
Questa poesia è molto triste perché parla della […] delle persone naziste che non sapevano cosa volesse dire la parola AMORE.
Silvia M.

Io penso che era ingiusto catturare e imprigionare gli ebrei perché non sono diversi da noi, e quindi dovevano essere trattati meglio come se fossero i loro migliori amici.
Per me la loro vita doveva essere più libera e pacifica.
Qui a Verderio Superiore è vissuta una famiglia di ebrei, Milla, che è stata trasportata nel terribile campo di concentramento di Auschwitz.
Però due componenti, Serena milla e sua madre Lea, che dopo è morta di vecchiaia, sono riusciti a scappare.
Per fortuna Serena è ancora viva e vive, non troppo felice, perché, impresso in lei sono rimasti molti ricordi brutali e terrificanti.
Michela M.

Per me questa poesia è molto giusta perché esprime parole molto importante. […] dobbiamo voler anche bene, perché siamo tutti figli di Dio, il padre di tutti.
Elisa P.

La poesia mi fa capire che non bisogna […] gli altri per il colore della pelle, per la religione, perché potremmo essere noi nei loro panni.
Ho imparato che bisogna rispettare gli altri e amarli.
Elena S.

Questa poesia mi fa riflettere su quanto io sia fortunata ad avere una casa, l'amore dei miei genitori.
Per fortuna, della famiglia Milla è rimasto un componente, Serena e questo mi rende felice.
Oggi purtroppo ci sono ancora delle forme di razzismo, che non sono così devastanti, però ci sono!
Roberta L.
Noi abbiamo tutto quello che gli ebrei non avevano: amici, cibo, casa.
I tedeschi li trattavano come animali e non è giusto, perché noi dovremmo essere tutti amici.
Queste parole mi hanno fatto rinascere, nella mia mente, quel momento tragico e mi sento triste.
Federico

Secondo la mia opinione non è stato giusto che i nazisti abbiano torturato gli uomini ebrei.
Questa poesia mi fa capire la condizione in cui venivano trattati, perché lo scrittore Primo Levi ha vissuto quella tragedia.
Ad Auschwitz venivano uccisi bambini molto piccoli, persino neonati e questo mi fa riflettere sulle cose che sprechiamo, quando invece gli ebrei non potevano godere del dono più grande “LA VITA”.
Anna S.
Il poeta ci invita a riflettere su questa poesia perché, anche se gli ebrei professavano una religione diversa, sono persone come noi.
Quindi i tedeschi non li dovevano torturare.
Per loro provo uno stato di pena perché, da come racconta il poeta, vivevano in condizioni disumane.
Riccardo R.

Il poeta ci fa riflettere su quei duri momenti che anche lui, perché ebreo, ha vissuto nel campo di concentramento.
Queste parole scritte sono significative e ci fanno pensare com'era la vita prima che noi nascessimo.
Secondo me gli ebrei dovevano essere liberi come gli altri, anche se appartenenti a una religione diversa.
Io mi ritengo fortunato ad avere una famiglia che mi vuole bene e una casa calda dove vivere e poter essere libero.
Davide S.



METROPOLITANA di Marco Bartesaghi

Qualche fotografia e un breve video ripresi nella metropolitana milanese.