lunedì 30 agosto 2010

AMBROGIO COLNAGHI, "Ul Campée di Casa Gnecchi" di Beniamino Colnaghi





Nel 1866, cinque anni dopo l'Unità d'Italia, Verderio Superiore, Verdée de sura, contava poco più di 900 abitanti, era incluso nel mandamento III di Brivio e faceva parte della provincia di Como. Sindaco era Giuseppe Gnecchi Ruscone, che guidò l'amministrazione comunale dal 1859 al 1889.



Verderio, come del resto la maggior parte dei comuni brianzoli, era composto da un piccolo nucleo di case, prevalentemente concentrate nel centro storico, e da alcune cascine, abitate da famiglie contadine, Paisòn, che vivevano di agricoltura e di piccoli allevamenti di animali domestici. Considerato che, in quel periodo storico, i contadini erano condannati all'ignoranza, alla superstizione ed alla fame, e che in Italia meno del 10% della popolazione concentrava nelle proprie mani circa il novanta per cento della ricchezza nazionale, la legge era, come scriveva Gaetano Salvemini, "la voce del padrone". I contadini non avevano molto di che vivere, perché il loro sostentamento dipendeva, oltre che dalla forza delle braccia e dalle condizioni meteorologiche, dal fatto che il raccolto doveva essere diviso con la famiglia Gnecchi, i Gnecch, proprietaria pressoché di tutte le terre e degli immobili di Verderio. Fino ai primi anni 20 del '900, le assegnazioni dei beni ai coloni avvenivano con contratti di mezzadria, successivamente, a seguito del "Biennio Rosso" (1919-1920) che generò numerosi scioperi e proteste di operai e contadini, che reclamavano l'aumento delle paghe e condizioni di vita più umane, si passò al cosiddetto pagamento misto dell'affitto, ossia al versamento ai padroni di una quota in denaro ed alla consegna di parte dei raccolti e degli animali. Pier Paolo Pasolini ha narrato instancabilmente quel mondo ormai perduto, ha raccontato nei suoi scritti l'Italia dei contadini, del dialetto e delle tradizioni secolari, ha espresso continuamente il rimpianto per la fine della civiltà contadina e arcaica conosciuta in Friuli, ed ha monitorato, fino al suo tragico omicidio, l'evoluzione delle borgate e dei piccoli centri rurali, dal dopoguerra agli anni del potere capitalistico. E' stato lui a parlare per primo di omologazione culturale e di mutazione antropologica degli italiani alle prese con la modernizzazione senza valori ed il consumismo sfrenato.

oto 1
Ambrogio Colnaghi e Clementina Brivio


Ambrogio Colnaghi, detto Bös, nasce a Verderio Superiore il 5 luglio 1866 in "Cùrt dei Barbìs" (baffi), cortile che si affaccia sulla Via Angolare, oggi corrispondente al civico numero 2.



Si presume che, storicamente, i cognomi Colnago e Colnaghi abbiano avuto origine da soprannomi legati al toponimo Colnago di Cornate d'Adda. Dalle ricerche, tuttora in corso, che sto svolgendo per comporre il mio albero genealogico, risulta che una famiglia Colnago si insediò a Verderio Inferiore, presumibilmente intorno alla prima decade dell'800, forse anche prima, alla Cascina Casa Nuova, ora Canova, adiacente la Bergamina. Sui registri anagrafici relativi a quegli anni, consultati presso la Parrocchia di Verderio Inferiore, risulta che la Cascina Casa Nuova era classificata frazione di Verderio Inferiore.



Un giovane componente di quella famiglia patriarcale, Luigi Colnago, dopo essersi sposato con Cecilia Gesuina Scaccabarozzi, nativa di Ornago, si trasferì a Verderio Superiore e mise su casa in Cùrt dei Barbìs. La coppia ebbe cinque figli maschi: il primogenito, Felice, mio bisnonno paterno, nacque nel 1864, mentre il secondo lo chiamarono Ambrogio, Bös appunto, il quale sposò Clementina Brivio, detta Mentina, che da nubile abitava a Contra di Missaglia, dalla quale ebbe quattro figli: Luigia, Carolina e Angelo che morirono in tenera età, e Angela, Angiulina, che, invece, si è spenta alla veneranda età di 95 anni. La foto n. 1 ritrae Ambrogio e Clementina già avanti con gli anni.



Grazie ad un documento notarile lasciatomi in eredità da mio padre, che negli anni 1952-1954 comprò dalla famiglia Gnecchi Ruscone il terreno che coltivava in Via dei Maggioli e gli immobili ubicati proprio in quella corte, ho recentemente scoperto che, per un certo periodo di tempo, il cortile venne denominato "Cùrt del Campari". Presumo che tale nome fosse stato assegnato alla corte in virtù del fatto che Ambrogio ricoprisse l'incarico di "Campée", Camparo, di Casa Gnecchi.



Il Camparo, un mestiere che oggi non esiste più, oltre ad essere una delle figure più caratteristiche del paese, era colui che occupava un ruolo importante nella gestione e manutenzione delle proprietà terriere della famiglia borghese del luogo. Non saprei dire con precisione in quale anno venne nominato Camparo. Ritengo che ciò possa essere avvenuto entro la prima decade del '900. Possiedo il certificato di nascita di suo figlio Angelo, datato 1908, sul quale risulta che Ambrogio svolgesse già l'attività di Camparo.



Ambrogio, oltre ad avere il compito di controllare, regolare e mantenere in buono stato i fossi ed i canali irrigui che portavano acqua ai campi coltivati, dirigeva e coordinava, con esperienza e serietà, le attività dei contadini e dei salariati. Dopocena, quando la regiùra sparecchiava la tavola, annotava su un piccolo registro i lavori e le attività svolte durante la giornata dai lavoranti e appuntava le ore impiegate, che poi trasferiva al sciùr Giüli, Giulio Beretta, il fattore di Casa Gnecchi, che provvedeva a contabilizzarle e pagarle ai salariati.



Bös mi è stato descritto un bell'uomo, di alta statura, con un paio di folti baffi che, spesso, incutevano soggezione e sprigionavano autorità. Portava spesso un vestito di velluto marrone ed un cappello a larghe tese. Possedeva un carattere forte e fiero, intraprendente e rigoroso, che gli permetteva di svolgere le proprie mansioni nell'esclusivo interesse dei suoi padroni, i quali ponevano in lui piena e incondizionata fiducia. Nello stesso tempo era anche un uomo apprezzato dai contadini di Verderio, grazie alla sua competenza e alla dedizione che metteva nel proprio lavoro.



Nell'attuale struttura del centro ricreativo di Via dei Contadini Verderesi, erano ubicati diversi locali contenenti materiali vari e un deposito di fieno. In uno di questi locali, Ambrogio aveva ricavato il proprio laboratorio, nel quale riparava gli attrezzi agricoli, affilava le falci atte al taglio dell'erba e dei cereali, assegnava il lavoro ai contadini quando essi venivano impiegati nelle proprietà Gnecchi. Sua nipote Fulvia mi ha recentemente confidato che Bös era molto abile nel costruire attrezzi agricoli in legno e che le sue specialità erano i rastrelli e i Bàger, il basto di legno da mettere sulle spalle per poter trasportare due secchi alla volta.

L'area detta Breda, dove c'era il frutteto







Oltre il lavoro di Campée, Bös svolgeva altri mestieri, altrettanto preziosi e utili "all'economia aziendale" della famiglia Gnecchi Ruscone.



Mio padre mi ha spesso raccontato, e Felice Colnaghi, suo nipote, mi ha recentemente confermato che durante i periodi dell'anno nei quali maturava la frutta, Ambrogio radunava i contadini nelle proprietà della famiglia Gnecchi coltivate a frutteto e dava loro disposizioni per la raccolta della frutta che, ma ciò è pleonastico ricordarlo, veniva poi caricata sui carri agricoli trainati dai cavalli e interamente portata nei depositi situati presso la villa padronale. Il frutteto probabilmente più grande di Verderio Superiore si trovava nell'area, detta Breda, tuttora cinta da un alto muro, che oggi fiancheggia Via Gramsci. In quell'area erano presenti decine e decine di piante da frutto, di diverse qualità, in prevalenza meli, peri, ciliegi, viti, cachi, noci e noccioli.







Foto 2a
foto 2b
Immagini della sezione cacciatori
di Verderio .
Ambrogio Colnaghi è in centro
con il gagliardetto




Bös era anche presidente della sezione cacciatori di Verderio Superiore, carica che, si presume, mantenne fino alla sua morte. Da un documento Gnecchi intitolato "Denuncia delle armi", datato 23 agosto 1919, si apprende che Ambrogio fosse in possesso di un fucile da caccia marca Vinchester a due canne parallele. Seppur Verderio fosse un piccolo paese, pare che la sezione verderiese avesse una quarantina di iscritti che si riunivano periodicamente presso una saletta del Prestinèe, l'attuale panificio Riva. Al centro delle foto che seguono (foto n. 2 a e2 b), Ambrogio è ritratto in piedi con in mano il gagliardetto tricolore della sezione. Alla sua destra, in posa con il fucile, è riconoscibile Giovanni Riva, soprannominato Gion, classe 1902, che abitava in "Cùrt di Giòn" (Via Angolare 3), la stessa da dove proveniva mia nonna Clelia, conosciuta in paese con il soprannome di scighéra (nebbia).







Ma ciò che più di ogni altra cosa mi incuriosiva, e mi generava fantasie tipiche di quell'età e di quel periodo storico, consisteva nei racconti di mio padre sul Roccolo, Ròcul, (o Bressana) la cui gestione i Gnecchi avevano affidato ad Ambrogio, il quale deteneva il possesso delle chiavi del casello ed il compito di tenere l'area in ordine e ben curata.



Il Roccolo era formato dal casello (foto n. 3), che ancora oggi è visibile nelle vicinanze dell'azienda agricola Boschi, e da un piccolo boschetto di carpini a forma geometrica, attrezzato per la cattura degli uccelli. C'era anche un pozzo dal quale si attingeva acqua fresca per abbeverare gli animali.

foto 3
Il casello del Roccolo



Il casello era strutturato su due piani: al piano terra vi era un locale nel quale si appendevano le gabbie con gli uccelli da richiamo: merli, fringuelli, usignoli, quaglie, allodole etc., mentre il primo piano era adibito a deposito. Il boschetto di carpini era costituito da due fila di piante disposte a ferro di cavallo (nella foto n. 4 è rappresentato un boschetto friulano), ben curate dalla potatura effettuata dai contadini, lungo le quali venivano tese le reti. L'addetto, dopo aver disposto nel boschetto le gabbiette prelevate dal casello contenenti i richiami, si appostava dietro un paravento in legno, nel quale erano stati ricavati piccoli spioncini, e, al momento opportuno, emetteva versi che imitavano i segnali di allarme degli uccelli nei confronti dei rapaci e, contemporaneamente, manovrava lo spauracchio (un filo al quale erano appesi barattoli e campanacci) che spaventavano i volatili causandone la fuga verso le reti, nelle quali rimanevano impigliati e subito catturati.

foto 4
Un roccolo friulano



In buona sostanza, l'uccellagione, ossia la pratica della cattura degli uccelli con reti, col vischio e con altre insidie, era molto diffusa nelle pianure e nelle Prealpi del nord Italia fino agli anni '60 del secolo scorso. Il motivo prevalente era dovuto al fatto che la gente era povera ed affamata e, attraverso la caccia e l'uccellagione, colmava le carenze alimentari dovute alle difficili condizioni di vita. Oggi, a ragione, queste tecniche sono state abbandonate fino alla completa chiusura dei Roccoli, avvenuta in seguito al recepimento delle direttive europee in materia di caccia.



In merito al Roccolo ho due brevi aneddoti, raccontatimi recentemente da Fulvia e Felice Colnaghi.



Presso l'azienda Boschi erano in corso dei lavori sotto l'attenta direzione di un membro della famiglia Gnecchi. Verso mezzogiorno arrivò il calesse a prelevare il padrone per ricondurlo alla villa per il pranzo. Ma il padrone confidò a Bös che non aveva appetito e che avrebbe rinunciato volentieri al prelibato pasto. Ambrogio, invece, aveva fame e rispose: "oh sciùr padron", io sto aspettando l'arrivo della mia nipotina che mi porterà "ul stüen", recipiente di metallo col manico, colmo di minestra di patate e verdure o di "pulenta e pult"; considerata la fame che ho, per me qualsiasi cibo va bene.



L'altro aneddoto si riferisce ad un periodo in cui avvenivano dei furti di cereali e di altri prodotti della terra nei campi adiacenti il Roccolo. Bös, per cercare di arginare il fenomeno e individuare i responsabili, decise di fermarsi fino a tarda sera o addirittura di dormire nel casello. Una sera, mentre stava percorrendo a piedi la stradina campestre (oggi corrispondente alla Via Cantù) che portava verso il Roccolo, fu affrontato da due "fantasmi" coperti da lenzuola bianche, due figuri un po' stupidotti, menga tònt scrocch, che avevano l'obiettivo di spaventarlo e di farlo desistere dal suo intento. La cosa si ripeté per altre due o tre volte, finché Ambrogio si spazientì, e, munito di una roncola, affrontò e rincorse gli sprovveduti fantasmi che, da allora, non si fecero più vedere.







C'è una bella foto d'altri tempi (n. 5), mostratami da Fulvia Colnaghi, riprodotta anche sul libro di Giulio Oggioni "Quand serum bagaj", che ritrae "Ul Campée Bös" in bella posa con alcuni suoi parenti: Ernesta Aldeghi, zia Nesta, originaria della Cascina Salette, moglie di suo nipote Luigi, che tiene in braccio Felice Colnaghi, e parecchi nipotini, fra cui la stessa Fulvia, Vittoriano e mio padre Giovanni. La foto, che dovrebbe risalire all'estate del 1930, è stata scattata nel terreno che la sua famiglia aveva in affitto al Saruchèn, l'area alla destra dell'attuale Via S.Rocco.

foto 5
Verderio Superiore - anno 1930
In piedi da sinistra:
Giovanni Colnaghi, Ambrogio Colnaghi, Fulvia Colnaghi
Ernesta Aldeghi con, in braccio, Felice Colnaghi.
Terzo da sinistra seduto, Vittoriano Colnaghi


Ambrogio è deceduto il 4 aprile 1942 all'età di 75 anni ed è stato sepolto nel cimitero del paese.


Oggi i suoi resti riposano nell'ossario comune posto sotto la cappella centrale del vecchio cimitero.




In memoria di mio padre.



Ringrazio sentitamente Fulvia, Tina e Felice Colnaghi per avermi permesso di realizzare queste brevi note storiche, che avevo in serbo di fare da tempo, attraverso la presa visione di alcune fotografie di Ambrogio e la divulgazione di preziose ed utili informazioni sulla sua vita.



Sono grato ai parroci di Verderio Superiore e Verderio Inferiore per avermi concesso l'autorizzazione a consultare gli archivi parrocchiali.

Beniamino Colnaghi



domenica 29 agosto 2010

TORTA PAESANA? IO LA FACCIO COSI' di Giovanna Villa

La torta paesana, o torta di latte, o michelasc (michette e latte) è il dolce che tradizionalmente si prepara a Verderio, Inferiore e Superiore, nelle domeniche di settembre in cui si svolgono, con rigorosa separazione, le sagre dei due paesi. La ricetta per la sua preparazione ha probabilmente tante varianti quante sono le famiglie. Qui è presentata quella di Giovanna Villa, mia moglie. M.B.


Gli ingredienti:
Un litro di latte; 4 michette rafferme ma non secche;400 grammi di amaretti; 150 grammi di cacao, metà dolce e metà amaro; un etto di burro; un etto di zucchero; uvette, cedro candito e pinoli; una bustina di vanillina; un pizzico di sale; un uovo


Spezzare il pane



sbriciolare gli amaretti




aggiungere il latte



mescolare e lasciare riposare.



Dopo qualche ora mescolare energicamente
con le mani o con la frusta elettrica



Aggiungere il burro morbido,



l'uovo,



il cacao e lo zucchero,



uvetta, cedro e pinoli,



il pizzico di sale e la
vanillina.




Imburrare la teglia




e cospargerla di pan grattato.




Travasare il preparato e mettere in forno per circa un'ora
a 180°.






Romina Villa, un'amica di Verderio Superiore mi ha fatto avere queste due ricette Vimercatesi della torta paesana.

Il vecchio libro di ricette che possiede la mia mamma è stato stampato nel 1975.
Si intitola: Vecchia Brianza in cucina di Ottorina Perna Bozzi - Aldo Martelli/Giunti Editore
Romina Villa



Torta paesana
Ricetta di Vimercate:
 

1 litro di latte intero
5 panini (michette)
gr. 250 di zucchero
gr. 100 di cacao amaro
gr. 150 di cacao dolce
gr. 200 di biscotti secchi
gr. 200 di amaretti tritati
gr. 100 di Uva di Corinto
1 bustina di zucchero vanigliato
1 bustina di droghe per dolci (??? ndr)


Torta paesana bianca,
sempre di Vimercate:


mollica di pane gr. 400 (meglio il pan francese)
latte due bicchieri
3 uova
zucchero gr. 100
sugo e buccia gialla di un limone
sale un pizzichino burro gr. 50
Mettere a bagno la mollica per qualche ora e quando ha assorbito tutto il latte, spremerla e lavorarla col cucchiaio insieme al resto, meno il burro, che va sciolto in una padella, dove si versa il composto lavorato bene al fuoco per 20'. Preparare una tortiera imburrata e impanata, versarvi il composto e metterlo al forno con qualche fiocchetto di burro. Servirla anche calda, spolverizzata di zucchero.




BENIAMINO COLNAGHI nota biografica

Nasce a Verderio Superiore nel 1955, in Cùrt dei Barbìs.
Trascorre l'infanzia e l'adolescenza in paese. Apprende il dialetto locale partecipando alla vita del paese, conosce la cultura e le tradizioni dei contadini prima, e degli operai poi, ne apprezza la vita semplice e modesta, ma densa di segni e riti secolari.
Chierichetto dal 1964 al 1966.
A 18 anni si iscrive alla sezione del PCI di Verderio Superiore. Dopo alcuni anni di gavetta ne diventa segretario. Prosegue l'esperienza politica prima nel PDS e poi nei DS.
E' eletto consigliere comunale di minoranza per tre consigliature.
Nel 1999 è eletto Sindaco di Verderio Superiore e nel 2004 viene riconfermato con il 61% dei voti.
Attualmente non è iscritto a nessun partito.
Sposato e padre di una figlia. Diplomato. Buon lettore di libri e quotidiani.
Amante dell'India, del Tibet e dell'Asia in generale, nonché, anche se può apparire una contraddizione, della Svezia e della Repubblica Ceca.
In Boemia trascorre spesso le proprie vacanze, alla ricerca di simboli, luoghi e tradizioni di quella terra. E' per questi motivi che scrive per il blog del suo amico Marco alcuni articoli su quei luoghi.
Ama la storia e le migliori tradizioni dei popoli, crede nelle identità e nella preservazione delle culture locali, ma, nello stesso tempo, come affermava P.P. Pasolini, è fermo oppositore della separazione e frammentazione nazionale.










sabato 28 agosto 2010

MI PIACCIONO I GRAFFITI di Marco Bartesaghi




Foto 1
Milano

Lo dico piano, per paura di perdere troppi amici: mi piacciono i graffiti.
Sì, i dipinti sui muri, la street art o come altro si chiama, insomma le immagini e le parole che appaiono sui muri delle città o sulle saracinesche dei negozi.
Non mi piacciono sempre, non dappertutto, non tutti ma, in generale, mi piacciono.


Foto 2
Porta Genova
Milano

Non mi piacciono, naturalmente, quelli o insignificanti; quelli nel posto sbagliato: su edifici o monumenti che meritano di essere apprezzati per come sono, senza sovrapposizioni; quelli che impediscono la funzionalità della cosa su cui sono stati fatti: i finestrini dei treni o degli autobus, ad esempio. In questi casi devo ammettere però di non essere molto coerente: quando io sono all'interno del treno e i finestrini imbrattati mi impediscono l'aspetto più bello del viaggio, lo sguardo sul paesaggio in movimento, sono più severo; quando vedo il treno dipinto dal marciapiede della stazione lo sono di meno: debolezze!
Quando mi piacciono? Quando sono belli, naturalmente; quando sono imprevedibili (foto 3)  e riescono a stupirmi; quando si adattano alla superficie e allo spazio a disposizione con intelligenza (foto 5)
foto.3
CARTA IGIENICA
Via Mercanti, Milano

e creatività; quando sono ironici (foto 4). Apprezzo le opere complesse, ma anche le semplici o le sole firme, le "tags" (Foto 6).

Foto 4
Darsena, Milano


Tante volte mi sembra di non capirli, perché ermetici, strani:ma mi succede con quasi tutta l'arte contemporanea, e con gran parte della poesia: penso si debba continuare a guardare quella, e leggere e ascoltare questa, in attesa che uno spiraglio si apra, e comincino a parlarti.
Fotografo i graffiti che incontro; qualche volta li vado a cercare dove è più probabile che ci siano, periferie, stazioni, sottopassaggi, edifici dismessi; mi piace quando riesco a trovarne di riconducibili allo stesso autore in luoghi diversi.



Foto 5
Como


Da qui in avanti presenterò serie di graffiti sul blog, cercando di corredarle con qualche notizia o qualche leggero commento. Pubblicherò anche quelli che qualche frequentatore del blog mi volesse mandare, ma a mia discrezione.



Foto 6
Piaza Marconi
Vimercate


I GRAFFITI DI CASCINA FORNACETTA di Marco Bartesaghi

La prima serie di graffiti che presento si trova nei ruderi di CascinaFornacetta a Verderio Inferiore. Sono alcuni "mostriciattoli" disegnati sul muro esterno delle stalle. La cascina si raggiunge da un viottolo, "la Strada dei Boschi" che si imbocca, sulla sinistra, qualche decina di metri oltre il cimitero di Verderio Inferiore.