martedì 22 ottobre 2019

NOVEMBRE 1942. L'ESODO DEI GALIZIOLI DA RODENGO SAIANO A VERDERIO di Marco Bartesaghi

Nel novembre del 1942 si trasferiscono a Verderio due famiglie provenienti da Rodengo Saiano, paese in provincia di Brescia. Sono le famiglie dei fratelli Ernesto e Pietro Galizioli.

Ernesto Galizioli


Carolina Inverardi















Quella di Ernesto, il maggiore, classe 1896  è composta, oltre che da lui, dalla moglie Carolina Inverardi, 1899, e da sette figli, sei femmine e un maschio: Angela, 1924; Luigia e Maria, gemelle, 1925; Angelo, 1927; Barbara, detta Rina, 1930; Giuseppina, 1933; Agnese, 1935. Le tre sorelle più giovani vivono ancora: Barbara e Agnese abitano a Verderio, Giuseppina a Robbiate. Ernesto e Carolina avevano avuto un’altra figlia, la prima, nata nel 1922 e morta a due anni per il  “mal del gróp”, “un nodo alla gola che non lasciava più respirare e contro il quale, allora non si poteva far niente”:  la malattia, che così mi è stata descritta, dovrebbe corrispondere alla difterite.

Le sorelle Galizioli, figlie di Ernesto, al matrimonio del fratello Angelo. Nella prima fila dietro i bambini, da sinistra, Rina, Angelo, sua moglie Augusta Salomoni, Maria. In ultima fila, sempre da sinistra, Giuseppina, Agnese, Luigia, Angelina


                                   
                                            
                                             
    
La famiglia di Pietro, che era nato nel 1899, comprendeva la moglie, Natalina Medici, 1904,  e sette figli: Santina, 1926; Carmelita, 1928; Giovanni, 1930; Giuseppe, 1934; Elisa, 1936; Pierino, 1938;  Aronne, 1940.  A Verderio, nel 1947, nasce  Luigi, l’ottavo figlio, e un’altra bambina che però muore appena dopo la nascita, non prima però di essere stata battezzata. Degli otto fratelli vivono ancora Giovanni, Elisa e Luigi.  Aronne, che faceva il prestinaio a Cornate, è morto nel 1960 a Brivio, in un incidente in moto. La famiglia comprendeva anche la nonna materna e il suo secondo marito, Fausto Medici, il cognato che aveva sposato quando era rimasta vedova.


                                                 
Pietro Galizioli
Natalina Medici

A Rodengo i Galizioli erano contadini e lavoravano i terreni, che avevano in affitto, con un altro fratello. Utilizzavano già il trattore e un aratro proveniente dalla Germania,  più moderno rispetto a quelli ancora in uso a Verderio.

Allevavano un buon numero di animali, fra vacche, buoi e cavalli, che alla loro partenza rimasero al fratello che non li aveva seguiti.

A Verderio  vengono per lavorare, con contratto a mezzadria, i terreni a nord ovest del paese (ex Superiore), di proprietà di  Alessandro Gnecchi Ruscone. A lui, un fratello che aveva possedimenti in provincia di Brescia, aveva segnalato  le loro famiglie come “brave ed affidabili”. Si trattava  probabilmente di Giuseppe Gnecchi Ruscone, che gestiva l’azienda agricola ereditata dal padre Antonio, a Cologne Bresciano.

I Galizioli vanno ad abitare nella cascina S. Antonio ai Boschi. Costruita nel  1942,  è dedicata a sant’Antonio, in memoria di Gian Antonio Gnecchi Ruscone, figlio di Alessandro, imbarcato sull’incrociatore Zara e scomparso durante la battaglia di Matapan del 28/29 marzo 1941.

Lapide murata sul muro esterno della Cascina Sant'antonio a Verderio

Prima del trasferimento di tutta la famiglia, Pietro ed Ernesto acquistano una coppia di buoi al mercato di Rovato, li attaccano  ad un carro e in due giorni, fermandosi la notte a dormire a Seriate, li portano a Verderio. Poi tornano a Rodengo a prendere gli altri.

Pietro, la moglie, la cognata, i figli e i nipoti giungono  fino a Paderno d’Adda in treno e da qui si dirigono verso casa  sfilando a piedi per Verderio, sotto lo sguardo incuriosito degli abitanti, già informati del loro arrivo. Qualcuno è scettico e mormora che “ai Boschi” andranno a patire la fame.

Ernesto e la figlia  Angelina, li avevano preceduti in bicicletta,  per far trovare la polenta pronta.  La consumeranno tutti insieme sotto il portico della cascina. 


Per le prime notti  si devono adattare a dormire nella stalla e in due piccoli edifici adibiti a roccoli di caccia, poiché la costruzione della casa non è ancora completata.

Un'immagine recente della Cascina Sant'Antonio a Verderio

Per alcuni anni devono affrontare anche il problema dell’approvvigionamento dell’acqua. Quella potabile la prendono alla vicina cascina Airolda, fino a quando non si collegano con una conduttura  alla Fonte Regina, presso la cascina Alba, sulla strada per Cornate. 

Realizzano  essi stessi lo scavo, scendendo i primi 40 cm con l’aratro, trainato da una pariglia di buoi alternata a una di cavalli, e proseguendo poi con piccone e badile fino alla profondità stabilita.
 

Anche  per l’acqua necessaria agli animali non sono autosufficienti e d’estate, quando la loro riserva non basta, devono rifornirsi in paese con il carro cisterna.

Solo due o tre anni dopo il loro insediamento, arriva l’energia elettrica a sostituire l’acetilene per l’illuminazione.

***

I primi anni non sono facili neanche per il lavoro. Una parte dei terreni  era in precedenza occupata da bosco, perciò i primi raccolti non sono buoni. Poi le cose migliorano, anche perché la proprietà introduce l’uso di macchine fino allora pressoché sconosciute nella zona.

Così come era stato quando vivevano a Rodengo Saiano, l’allevamento del bestiame, , assume importanza rilevante nella loro attività anche a Verderio. 
Hanno in media una trentina di capi (le famiglie di Verderio ne avevano solitamente non più di due) fra vacche, buoi, cavalli e vitelli. Comprano questi ultimi  nella bergamasca, dalle parti di Solza e Medolago, ma li vanno a prendere a Porto d’Adda, in riva al fiume dove vengono trasportati con la  barca. Li fanno crescere nella loro stalla e poi li vendono.

Quando avranno anche il toro, i contadini della zona, che per la monta portavano le loro vacche a Paderno d’Adda da un certo “Paulin”, cominciarono a servirsi da loro per questo servizio.

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Nel 1958 la proprietà della cascina e dei fondi ad essa legati passa da Alessandro Gnecchi a suo genero, Rodolfo Gavazzi, e nasce l’Azienda Agricola Boschi, dedita all’allevamento di bovini

I Galizioli devono scegliere se continuare a lavorare lì, con la nuova proprietà, o lasciare e trasferirsi. Angelo figlio di Ernesto, vorrebbe continuare. I suoi cugini invece, figli di Pietro, hanno già abbandonato il lavoro agricolo per la fabbrica.

La posizione di Gavazzi, il nuovo proprietario, è però decisa: o entrambe le famiglie restano, o entrambe se ne devono andare.



Bovini dell'attuale Azienda Agricola ai Boschi
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I Galizioli lasciano e si trasferiscono in paese.

Pietro va ad abitare in Curt de la Palasína, a Verderio Inferiore.

Ernesto, con il figlio Angelo e la sua famiglia, sta per un paio d’anni nella casa dei Pirovano (i Scigùla), in via Sant'Ambrogio,  per poi trasferirsi nella corte dei Pelot, in via ai Prati.


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lunedì 21 ottobre 2019

"GUIDA PER MANAGER DISORIENTATI". UN LIBRO DI DANILO VILLA di Marco Bartesaghi






Mi ha fatto molto piacere, ma anche messo un po’ in imbarazzo, ricevere l’invito  da Danilo Villa alla presentazione del  suo libro “GUIDA PER MANAGER DISORIENTATI. Dialogo su come fare innovazione”.
 

Piacere perché e una persona che stimo, con cui è bello parlare, discutere e che è sempre interessante ascoltare. Certamente prima che si distaccasse dalla politica locale le occasioni di incontro erano più frequenti. Allora le posizioni fra noi erano spesso contrapposte, soprattutto in occasione del primo referendum sulla fusione di Verderio Inferiore con Verderio Superiore, di cui  lui era stato un tenace avversario, io un sostenitore. Chissà se si ricorda di una litigata telefonica, penso l’unica della mia vita,  terminata con il reciproco sbattere delle cornette (ah, la cornetta che da come la riappendevi si capiva  il tuo umore).  Era avvenuta circa a mezzogiorno. La sera stessa, al dibattito fra favorevoli e contrari, pace con pacche sulle spalle e risate non di convenienza.
 

Perché, allora, l’imbarazzo? Perché io un po’ disorientato lo sono senz’altro, ma cosa c’entro con i manager? e non ho neanche un vestito adatto e non capirò niente.
 

Però ci sono andato e ho fatto bene, perché si parlava di cose che mi riguardano, non come manager, ovviamente, ma come cliente della grande distribuzione, insomma uno di quelli che i manager devono cercare di accontentare.

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La presentazione è avvenuta il 19 settembre a Milano, alla Casa della Cultura. La registrazione dell’incontro può essere ascoltata a questo indirizzo:  https://www.casadellacultura.it/casa-della-cultura-incontri-video.php?id=2696&t=stream1 

Il libro è pubblicato dalla casa editrice Franco Angeli. È  scritto a due mani e si presenta sotto forma di intervista: Danilo risponde alle domande di Leonardo Cilia, un esperto di formazione nel campo dello sviluppo organizzativo.



Presentazione del libro di Danilo Villa alla Casa della Cultura a Milano. Da sinistra Paolo IACCI,presidente i AIDP Promotion, Danilo Villa, Guido Galardo e Daniele Ferrè, rispettivamente ex presidente e presidente di Coop Lombardia.
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Quali sono le aziende più attrezzate a rispondere alle sollecitazioni del mondo globale? alla spasmodica velocità di cambiamento della realtà? alla concorrenza sempre più invasiva dell’e-commerce – il canale di vendita via internet? Come possono farlo? Queste, mi sembra, le domanda di fondo del libro. 
 

La risposta? Le aziende “che brillano di luce propria, indipendentemente dalla fama e dall’importanza del fondatore”, che possiedono “la cultura della responsabilità diffusa”, sanno “gestire aspettative elevate, facendole diventare il motore della motivazione  e del senso di appartenenza”, hanno “capacità di rigenerare continuamente qualità, ampiezza  e profondità dell’offerta e una pervasiva attenzione all’insegna, ai valori, ai prodotti. La parola magica è: innovazione”.
 

All’opposto, dimostrerebbero una minor propensione all’innovazione le aziende in cui “l’obbedienza è il principale fattore comportamentale dell’organizzazione”.
 

Le aziende che “ce la fanno” sono quelle, scrive Danilo, che “manifestano consapevolmente la loro identità, cioè la loro missione e i loro valori distintivi, agiscono sulla base di una strategia ben declinata in programmi e progetti congruenti, sono costantemente all’opera per semplificare i processi operativi e minimizzare errori e sprechi, adottano un modello organizzativo che definisce con chiarezza responsabilità e ruoli delle diverse unità, hanno uno stile di gestione che invita tutti i dipendenti a collaborare al miglioramento continuo delle attività, grazie alla piena consapevolezza dell’impatto di ogni singolo operato sul risultato finale”.

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Danilo ha 62 anni, è nato a Milano ma è sempre vissuto a Verderio (suo papà, Armando, di Verderio Superiore è stato sindaco per quarant’anni). È sposato con Fiorella, sua coetanea e compagna di scuola all’“asilo”, alle elementari e alle medie. Ha tre figli e due nipoti.
Ha frequentato il liceo a Seregno e si è laureato in filosofia all’Università Statale di Milano.
 




Proprio dalla sua laurea in filosofia – una di quelle che vengono sconsigliate, invitando a propendere per gli indirizzi scientifici – parte la nostra chiacchierata. Gli chiedo se gli sia servita per diventare un manager esperto.


Non mi risponde direttamente, mi racconta prima il suo percorso nel mondo del lavoro.
Dall’idea iniziale di fare l’insegnante – da qui la scelta di “filosofia” – all’assunzione in Telettra. Nella fabbrica di Vimercate nell’ufficio personale. Formazione lavoro, selezione e antinfortunistica. 


Lo stabilimento Telettra negli anni sessanta (foto dal web)

Dopo tre anni la Digital, allora una delle aziende leader nel campo dell'informatica. Ci resta per più dieci anni.
 

“Digital era come un grande campus universitario, gente che inventava, che faceva progetti. L'informatica cresceva a due cifre. L'amministratore delegato spiegava dove saremmo dovuti andare; cosa saremmo stati dopo 5 , dopo 10 anni...”.
 

Poi però arrivano gli anni novanta e tutto cambia. Le “aziende clienti” si liberano dalla schiavitù dei sistemi proprietari e i colossi dell'informatica saltano per aria, più o meno velocemente.

Danilo negli ultimi anni diventa il direttore delle risorse umane e dell'organizzazione della divisione servizi per il sud Europa.


Lascia Digital e passa a DHL, un azienda che fa trasporto espresso nel mondo. I fondatori sono stati tre studenti californiani che inventano il business di consegnare i documenti  di sdoganamento delle navi americane nei paesi aldilà dell'oceano prima del loro arrivo. Dopo i documenti cominciano a portare i pacchi e, via via, DHL diventa il primo “corriere espresso” al mondo.
Danilo fa il direttore del personale, ma si avvicina anche ai temi del business: è responsabile dell'ufficio acquisti, della  direzione legale; ha  il “real estate”, ossia il compito di  identificare i posti dove  aprire nuove sedi, prenderle in affitto e ristrutturarle; è direttore commerciale del canale indiretto; il franchising.



Poi riceve un’offerta da “Pirelli” e diventa direttore del personale di “Pirelli Pneumatici” per sette anni.
“Una grande, importante azienda italiana e una bellissima esperienza internazionale”.



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sabato 19 ottobre 2019

ALLA GIPSOTECA GIUSEPPE MOZZANICA DI PAGNANO IL GESSO CHE SERVÌ PER IL MONUMENTO AI CADUTI DI VERDERIO INFERIORE di Marco Bartesaghi

  


Il 4 novembre 1961, con una manifestazione popolare che coinvolse tutto il paese, Verderio Inferiore inaugurò il suo Monumento ai Caduti, per il quale era stata trovata una sistemazione in piazza Annoni, vicino alla torre dell'acquedotto, abbattuta pochi anni orsono.
Il monumento comprende una lapide, dove sono scolpiti i nomi dei caduti, e una statua in bronzo che rappresenta un soldato  che, con il braccio destro teso verso l'alto, regge una bandiera.







Risultati immagini per giuseppe mozzanica scultore
Giuseppe Mozzanica
La scultura è opera Giuseppe Mozzanica (Pagnano 1892 - 1983) che, per Verderio Inferiore, realizzò una copia di una sua statua già presente nel monumento ai caduti di Dervio, località situata sulla sponda orientale del lago di Como.

A Giuseppe Mozzanica è dedicata una Fondazione che ha lo scopo di preservare e far conoscere la sua opera. Cuore della fondazione è una gipsoteca dove sono conservati i gessi utilizzati per la sua produzione artistica. Fra questi gessi è conservato anche quello che servì per i monumenti di Dervio e Verderio Inferiore.

 







LA MOTONAVE GHISALLO IN UN MODELLO DI ENRICO COLOMBO di Marco Bartesaghi


La motonave  "Ghisallo", che fa servizio di linea autotraghetto fra le sponde del lago di Como, più precisamente fra Varenna, Bellagio, Cadenabbia e Menaggio, è il terzo e ultimo elemento di una serie chiamata Spluga, composta anche dalle motonavi Stelvio e  Spluga. 

La motonave  "Spluga", che dà il nome alla serie di traghetti di cui fa parte anche il "Ghisallo"

Le tre imbarcazioni sono state costruite negli anni sessanta dai Cantieri Navali Breda (VE) e possono trasportare un massimo di 185 passeggeri.

La motonave traghetto "Ghisallo" in arrivo a Bellagio






Traghetto "Ghisallo": lo sbarco dei passeggeri



















 
Traghetto "Ghisallo": particolare della torretta





















 Enrico Colombo, modellista provetto, ha recentemente realizzato un modello  “Ghisallo”.

Enrico Colombo, nella sua soffitta - laboratorio, mostra il modello del "Ghisallo"

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giovedì 17 ottobre 2019

23 NOVEMBRE 1963. BRUCIA LA RAFFINERIA ILSEA DEL MELGONE di Giorgio Buizza

Nel novembre del 1963 avevo 16 anni ed ero studente alle superiori; vivevo con mio fratello maggiore, Luigi, in via dei Pini, rione di Castello, al 7° piano dell’edificio denominato “la Torre”, con magnifica vista sul lago.
 

Quando udimmo lo scoppio di intensità non comune andammo istintivamente al balcone per vedere cosa fosse successo. Non era infatti uno dei soliti botti provenienti dalle cave di marna di Maggianico a cui eravamo abituati.
 

Furono sufficienti alcuni secondi di orientamento per vedere una colonna di fumo nero salire dalla zona della riva dal lago al Moregallo. Dal balcone fu facile capire che il fumo nero aveva a che fare con la raffineria ILSEA che operava in quella zona.
 

Mio fratello possedeva una macchina fotografica Zeiss a obiettivo fisso; pochi secondi per scendere le scale, salire sulla Lambretta 150 che avevamo a disposizione e rapidamente, in pochi minuti, arrivammo a Parè e poi in zona raffineria.

La lunga galleria non c’era ancora e la strada seguiva la sponda del lago. La trovammo interrotta e presidiata. Lasciammo la Lambretta a bordo strada e salimmo per qualche minuto sul versante del monte per avere un punto visuale dominante.
Effettivamente le fiamme che salivano dalla raffineria erano ancora in pieno vigore e il fumo era nero e denso. La temperatura era sensibilmente più alta del normale e la parete del monte retrostante riverberava il calore verso il lago.
Dal punto più alto raggiunto, inerpicandoci tra gli arbusti, scattammo alcune fotografie.


Incendio ILSEA 1963 - foto 1




























 
Incendio ILSEA 1963 - foto 2



 
Incendio ILSEA 1963 - foto 3




























Passata la prima fase più violenta, con le fiamme in fase di riduzione grazie anche all’opera di spegnimento attivata dal sistema antincendio, il fuoco ed il fumo calarono di intensità.
Dopo poco scendemmo sulla strada e riuscimmo a raggiungere il piazzale antistate l’ingresso della raffineria senza incontrare alcun ostacolo né alcun blocco.



 
Incendio ILSEA 1963 - foto 4

























 
Incendio ILSEA 1963 - foto 5



Incendio ILSEA 1963 - foto 6
































Scattammo ancora qualche fotografia dal basso. Sul piazzale era in azione l’autopompa dei Vigili del Fuoco.
Nell’arco di tempo di circa mezz’ora abbiamo avuto la sensazione che il peggio fosse passato e che l’incendio fosse ormai sotto controllo.



 
Incendio ILSEA 1963 - foto 7

Siamo tornati a casa con la consapevolezza di essere stati spettatori di un evento d’eccezione e di averlo documentato “in diretta” provando una certa emozione.
Le immagini di quel giorno, una volta stampate (allora ci volevano alcuni giorni) sono finite in archivio a memoria di un episodio irripetibile, significativo per la città.
Probabilmente anche a causa dell’incendio la raffineria fu sottoposta a verifiche ed accertamenti, ridusse in seguito l’attività fino a cessare definitivamente dopo non molti anni.
In quella circostanza non ci furono morti né feriti ma, come spesso succede, partirono le verifiche e i controlli su tutta l’attività. Per la salute del lago la chiusura della raffineria fu un passaggio positivo.
Chi, allora, andava a fare il bagno sulla sponda di Parè, Moregallo, Onno, (pochi disperati) usciva dall’acqua con i piedi sporchi di catrame che si depositava in piccoli frammenti sul fondo dopo aver galleggiato a lungo nell’acqua. Quel tratto di sponda era infatti poco frequentato dai bagnanti sia per l’odore acre delle esalazioni della raffineria sia per la presenza dei depositi di sostanze catramose nell’acqua e sul fondo.
L’area della raffineria fu poi occupata da una cava di inerti denominata appunto “cava di Moregallo”, materiale particolare, usato per sottofondi stradali e per strade bianche; ma questa è un’altra storia che dura ancora oggi.
Della raffineria ILSEA non è rimasta traccia sul terreno. Della cava rimangono ancora le ferite sul versante della montagna che la natura e gli uomini, nonostante gli sforzi, fanno fatica a rimarginare.


Giorgio Buizza
 

IL PONTE DI PADERNO IN ALCUNE CARTOLINE REALIZZATE TRA LA FINE DEL XIX E LA PRIMA METÀ DEL XX di Marco Bartesaghi

Un paio di mesi fa ho ricevuto una mail dalla signora Mariangela G. di Merate. In allegato la mail aveva  una cartolina che la signora aveva pensato, a ragione, potesse essere utile per il mio blog.

896 PADERNO - Ponte sull'Adda

Al centro della cartolina il ponte di ferro, conosciuto come  “ponte” di Paderno o di Calusco, a seconda dei punti di vista, o come ponte San Michele, il nome che dovrebbe mettere d'accordo tutti. 

In primo piano la diga di Paderno, dove un gruppo di gitanti è in posa per la fotografia.


 
896 PADERNO - Ponte sull'Adda -particolare



Ringrazio la signora Mariangela e colgo l'occasione per pubblicare altre quattro cartoline che fanno parte della mia collezione.

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Nella prima, la diga di Paderno sembra essere ancora in fase di costruzione e quindi la cartolina dovrebbe risalire alla fine dell'ottocento.

2267 PADERNO - Il gran Ponte sull'Adda dalla Diga
Tutti i personaggi che animano la cartolina sono momentaneamente in posa per essere fotografati:gli operai, tre o quattro, sui due barconi che, accostati, sostengono un'impalcatura; il signore che forse li dirige, in piedi sulla diga, con le mani ai fianchi;


 
2267 PADERNO - Il gran Ponte sull'Adda dalla Diga -particolare 1


  i due personaggi a sinistra, sull'alzaia.

 
2267 PADERNO - Il gran Ponte sull'Adda dalla Diga -particolare2


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Nella seconda cartolina, la diga è ancora in primo piano.

L'Adda e il Ponte di Paderno - tip CAIMI - Brivio - 1900

Nella parte sinistra dell'immagine un uomo è seduto su un muro,con le gambe penzoloni e i piedi incrociati.Porta il cappello;forse sta fumando perché, ha la mano sinistra  vicina al volto. Sta guardando verso il ponte che un treno merci sta attraversando
 



La cartolina, edita dalla tipografia Caimi di Brivio ha una data: 1900.

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mercoledì 16 ottobre 2019

LE ELEZIONI COMUNALI A VERDERIO DEL 26 MAGGIO 2019

Domenica 26 maggio 2019 si sono svolte a Verderio le elezioni per il rinnovo dell'Amministrazione Comunale. Alla competizione hanno partecipato tre liste: SiAmo Verderio, Impegno e amore per Verderio, Cambia Verderio.
Nelle tabelle che seguono, tratte dal sito del comune, i risultati.


RISULTATO OTTENUTO DAI CANDIDATI ALLA CARICA DI SINDACO

RISULTATO OTTENUTO DALLE LISTE E DAI SINGOLI CANDIDATI

LA COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE E GLI INCARICHI DEI DIVERSI CONSIGLIERI. SOTTOLINEATI IN GIALLO I COMPONENTI DELLA GIUNTA

 I DATI DELL'AFFLUENZA ALLE URNE

LE LISTE, I CANDIDATI, I PROGRAMMI

In questa sezione del post, presento i tre gruppi che si sono sfidati. Lo faccio attraverso il materiale di propaganda da essi prodotto che sono riuscito a reperire. Ci sono delle evidenti lacune, ad esempio mancano i profili dei candidati di Impegno e amore per Verderio. Con il vostro aiuto posso colmarle. 

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martedì 11 giugno 2019

LEONARDO DA VINCI E GLI STUDI IDRAULICI. UN ITINERARIO LUNGO IL MEDIO CORSO DELL'ADDA. Tesi di laurea di Romina Villa


Questa è la tesi di laurea in “Operatore del turismo culturale” che Romina Villa ha discusso il 25 giugno 2013 all’Università degli Studi di Ferrara.
Romina - che vive a Verderio, è nata il 3 aprile 1967, è sposata con Gianfranco e ha un figlio, Gianluca, di 18 anni –  ha sempre lavorato nell'editoria,  in particolare nei settimanali femminili, prima “Gioia” e ora “Elle”.
Si è iscritta all’Università dopo i quarant’anni, potendola frequentare, continuando a lavorare, grazie alla frequenza a distanza: “Non è stato facile. Gianluca era piccolo e il mio lavoro è sempre stato molto impegnativo. L'appoggio della mia famiglia e dei miei amici è stato fondamentale”. 
A Ferrara ha trovato un corso in grado di unire la sua passione per i viaggi con le sue materie di elezione, in particolare la storia dell'arte
“Mi sono iscritta per pura passione – racconta -  poi con il tempo, confrontandomi spesso  con i compagni di corso, ho capito che la passione poteva diventare anche un lavoro. Infatti dopo la laurea ho preso il patentino di guida turistica ed oggi sto cercando di sviluppare il mio piano B. La Brianza "operosa" sta scoprendo solo in questi anni la sua vocazione per il turismo, in particolare quello culturale e sono certa che tanto avrà da dire in futuro”.
La tesi è stata l'occasione per approfondire la figura di un grande della storia che per vari periodi della sua vita ha vissuto e lavorato nei nostri territori. Un argomento che l’ha appassionata, tanto che i suoi studi su Leonardo non si sono fermati lì.
Romina è attiva anche in paese: oggi è al suo secondo mandato come presidente della giovane Proloco di Verderio. M.B.
 

La tesi di Romina Villa è qui pubblicata pressoché integralmente. Le modifiche che ho apportato sono dovute al fatto che, per le caratteristiche del blog, il testo non è suddiviso in pagine. Perciò ho tralasciato di indicarle nel sommario, non ho pubblicato l'indice analitico e ho trasformato le note  piè di pagina in note a fine testo.
Mi sono permesso anche di aggiungere al testo le prime tre fotografie. M.B.

 
LEONARDO DA VINCI E GLI STUDI IDRAULICI. UN ITINERARIO LUNGO IL MEDIO CORSO DELL'ADDA.


SOMMARIO

Premessa
Introduzione
Cronologia della vita e delle opere di Leonardo

LEONARDO DA VINCI E LA SCIENZA. DA ARTISTA E INVENTORE A TEORICO DELLA NATURA. L’EVOLUZIONE INTELLETTUALE ATTRAVERSO L’ESPERIENZA DEI SOGGIORNI MILANESI

La lettera di presentazione al Duca di Milano
Leonardo e l’importanza dell’esperienza formativa nella bottega del Verrocchio
I rapporti con Lorenzo il Magnifico e il neoplatonismo della corte medicea
Leonardo lascia Firenze per Milano
 Milano e gli Sforza
Il difficile esordio sulla scena milanese
L’accettazione a corte e il compimento di una brillante carriera
Leonardo e Donato Bramante
Leonardo e Luca Pacioli
Leonardo e Francesco di Giorgio Martini

LEONARDO E L’ACQUA. DALLA PRATICA ALLA FORMULAZIONE TEORICA

La natura come essere vivente alla base del metodo scientifico
Gli studi idraulici nei manoscritti leonardeschi
Acqua vettore e matrice di vita
Acqua come risorsa economica e fonte di energia
Dall’ingegneria idraulica allo studio scientifico dei flussi. Il contributo di Leonardo
Esperienza e processi mentali
I risultati di Leonardo nell’ingegneria idraulica lombarda
Il secondo soggiorno milanese
Gli studi per rendere navigabile l’Adda

 
Immagine fuori testo


SULLE ORME DI LEONARDO. L’IMPRONTA DEL GENIO IN UN ITINERARIO LUNGO IL MEDIO CORSO DELL’ADDA

Il Parco Adda Nord. L’ambiente naturale e i caratteri storico-culturali
L’Ecomuseo di Leonardo
Il traghetto di Imbersago
 Il ponte in ferro di Paderno
Il Naviglio di Paderno
La chiesa di Santa Maria della Rocchetta
Le centrali idroelettriche. Bertini, Esterle, Taccani
Il villaggio operaio di Crespi
Verso Vaprio
 


Appendice. I manoscritti leonardeschi
Indice analitico
Bibliografia
Sitografia
Ringraziamenti 

***


Costruire una sintesi di questo Grande
nell’ignoranza di tanta parte di ciò che pensò
e scrisse e nella scarsezza di monografie
coscienziose, sarebbe opera vana; né io volli
tentarla.
Edmondo Solmi “Leonardo” (1923)


PREMESSA

Ernst H. Gombrich, in un saggio che dedicò a Leonardo da Vinci, scrisse: «Si dovrebbe essere Leonardo per discutere qualsiasi aspetto di Leonardo; e anche in questo caso non si arriverebbe probabilmente mai a una conclusione»(1). Parole che suonano come un ammonimento a chiunque si appresti ad affrontare l’opera vinciana, spesso fonte di dubbi e incertezze.
Leonardo è universalmente chiamato «il genio», ma nessuno come lui seppe condensare nel suo agire la vera essenza dell’essere umano, ricercando con inesauribile tenacia la verità delle cose. «Questo è il vero motivo» - ebbe a scrivere una volta Mario De Micheli - «per cui possiamo ritenerlo un contemporaneo a tutti gli effetti»(2).
Fin dalla sua prima apparizione sulla scena fiorentina, dimostrò di aver appreso la lezione del primo Rinascimento e dell’Umanesimo che aveva spalancato le porte alla visione di un uomo nuovo che ora rifiutava l’ideologia medievale e i suoi rigidi principi teologici, per andare ad occupare il centro della realtà visibile. Per Leonardo, tuttavia,l’uomo riveste un ruolo di comprimario nel complesso e mirabile sistema della natura,che egli cercherà di indagare in tutti suoi aspetti con una carica intellettuale e una meticolosità pari a pochi.
La comprensione del suo pensiero non può prescindere dallo studio dei suoi manoscritti (3). I quaderni, in cui si sono condensati gli studi di tutta una vita, testimoniano l’incursione di Leonardo in ogni campo della scienza allora conosciuta (o filosofia naturale, com’era chiamata allora) e da sempre hanno suscitato la meraviglia degli studiosi tanto quanto quella suscitata dalla sua produzione pittorica, peraltro ridotta a un numero limitato di opere. I codici leonardeschi sono un concentrato impressionante di scritti e disegni, che raccolgono non solo le riflessioni sapienti sui fenomeni da lui osservati, ma anche note che rimandano alla quotidianità, il tutto in una specie didisordine apparente, reso ancor più ostico dalla tipica scrittura speculare. Queste «stratificazioni cronologiche oltre che d’argomenti» (4) che a prima vista confondono il lettore, si fanno più chiare proseguendo la loro scoperta;testimoniano innanzitutto «l’universalità del genio leonardesco» e spianano la strada alla conoscenza di quelmetodo scientifico che egli elaborò e di cui si parlerà più approfonditamente nelle pagine che seguono. Un metodo che presupponeva un’indagine posta su differenti livelli e campi del sapere in un continuo e inevitabile confronto tra di essi.
Alla morte di Leonardo, avvenuta il 2 maggio 1519 ad Amboise in Francia,i manoscritti (si ritiene fossero 13mila fogli) e la biblioteca furono ereditati per via testamentaria dal discepolo e amico Francesco Melzi d’Eril (5) che li riportò in patria dove vennero gelosamente conservati nella villa di Vaprio d’Adda, vicino a Milano. Negli anni seguenti Melzi cercò di riordinare l’ingente materiale, distinguendo i fogli con lettere alfabetiche o sigle e aggiungendo personali osservazioni. Dando realtà poi ad un’intenzione mai realizzata del suo maestro, il fedele discepolo lesse e organizzò i fogli dedicati alla pittura costituendo il famoso Trattato che un amanuense trasferì nel codice Urbinate (ora Vaticano 1270).
 

 
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La dispersione dei manoscritti cominciò inesorabile dopo la sua morte avvenuta nel 1570, quando gli eredi non compresero il valore di quei documenti e ne permisero l’asportazione sistematica dalla soffitta della villa, dove erano stati nel frattempo relegati. La vicenda dei codici è complessa, a tratti avvincente, e merita una trattazione a parte. Per più di due secoli, chiunque entrò in possesso dei manoscritti, cercò di riordinarli secondo criteri discutibili, ritagliando e assemblando arbitrariamente i fogli, costituendo raccolte ex novo suddivise per argomento. Si stima che almeno metà dei
manoscritti siano andati perduti durante i vari passaggi di mano, tra una nazione e l’altra dell’Europa. Oggi si conservano circa 6000 fogli. Le collezioni più consistenti si trovano in Italia, Francia, Inghilterra, Spagna e Stati Uniti (6).
Tornando infine all’incertezza e ai dubbi espressi all’inizio di questa riflessione, appare saggio rivolgersi proprio a Leonardo per cominciare a dipanare la matassa. Egli scrisse:
«Noi conosciamo chiaramente, che la vista è delle veloci operazioni che sia, e in un punto vede infinite forme, nientedimeno non comprende se non è una cosa per volta.Poniamo caso: tu, lettore, guarderai in una occhiata tutta questa carta scritta, e subito giudicherai, questa essere piena di varie lettere, ma non conoscerai in questo tempo,che lettere sieno, né che voglian dire; onde ti bisogna fare a parola, verso per verso, a voler avere notizia d’esse lettere; ancora se vorrai montare a l’altezza d’un edifizio ti converrà salire a grado a grado, altrimenti fia impossibile pervenire alla sua altezza. E così dico a te, il quale la natura volge a quest’arte, se vogli avere vera notizia delle forme delle cose, comincerai alle particule di quelle, e non andare alla seconda, se prima non hai bene nella memoria e nella pratica la prima; e se altro farai, getterai via il tempo e veramente allungherai assai lo studio. E ricordoti ch’impari primo la diligenza, che la prestezza» (7).
La conoscenza si raggiunge facendo piccoli passi, uno dietro l’altro. E senza fretta.



INTRODUZIONE

La riscoperta dell’opera di Leonardo da Vinci ebbe inizio nel XIX secolo, quando i suoi quaderni - o meglio, ciò che rimaneva di tutto il materiale ereditato da Francesco Melzi dopo la sua dispersione - rivide la luce dopo secoli di oblio. Dalle polverose collezioni private i manoscritti vinciani presero la via delle grandi istituzioni culturali pubbliche, come i musei, le biblioteche nazionali e gli archivi di Stato, che da allora promuovono lo studio e la divulgazione della sua opera.
Nell’odierno immaginario collettivo Leonardo da Vinci continua ad occupare un posto di primaria importanza; nonostante la storiografia recente abbia ridimensionato il suo contributo di inventore e di scienziato, sbriciolando luoghi comuni nati più dalla leggenda che da certezze storiche, la sua popolarità non conosce battute d’arresto.
Dei seimila fogli manoscritti che sono pervenuti a noi, gli studiosi ne hanno studiato ogni riga e analizzato ogni disegno, mettendo a confronto l’opera di Leonardo con quella dei suoi contemporanei; eppure l’estrema complessità del suo pensiero, unita alla scarsità di notizie certe, generano continue revisioni e nuove ipotesi da parte della critica, costretta a esprimersi su di lui sempre con molte riserve.
Per il mondo scientifico quindi Leonardo da Vinci rimane una sfida e una fonte di probabili sorprese; nel 1967, la casuale scoperta di nuovi manoscritti presso la Biblioteca Nacional di Madrid ha da allora nutrito la speranza di ritrovare altro materiale, che potrebbe – ancora una volta – rimettere in discussione le tesi finora affermate e svelare l’incerto. Per il grande pubblico, Leonardo rimane una superstar, il   genio unico e inarrivabile. E l’artista che ha dipinto il quadro più famoso di tutti i tempi.
 

Leonardo e Milano. Nelle pagine che seguono si è deciso di analizzare l’evoluzione del pensiero scientifico di Leonardo alla luce delle sue esperienze di vita e di lavoro in Lombardia come tecnico e ingegnere, prima al servizio di Ludovico il Moro (1482-1499) poi come celebrato artista presso la corte francese a Milano (1506-1513). Questi due lunghi soggiorni, che messi insieme corrispondono a più di un terzo della sua esistenza, vedono la sua lenta e difficoltosa trasformazione da inventore e ingegnere praticante a teorico della scienza.
L’analisi della sua evoluzione intellettuale ci offre l’occasione per mettere in luce un lato di Leonardo meno noto, o, se vogliamo, quello debole. E’ difficile – ad esempio -immaginarsi il genio per eccellenza in difficoltà, nel tentativo di farsi notare alla corte sforzesca o intento a colmare le sue carenze di formazione con studi tardivi. La storiografia recente ci ha restituito un Leonardo diverso, forse più “umano” ma proprio per questo, più straordinario. Curiosità scientifica e tensione intellettuale uniche gli hanno permesso di oltrepassare dei confini come nessun altro prima di lui aveva saputo fare.
 

Leonardo e l’acqua. La progressione delle sue conoscenze e il passaggio dalla pratica alla teoria scientifica si può ravvisare con chiarezza negli appunti e nei disegni che trattano il tema delle acque. L’acqua, in tutti i suoi significati, fu insieme alla pittura,l’argomento di studio prediletto da Leonardo. Per comprendere meglio il suo approccio alla scienza ci si è domandati in queste pagine cosa hanno significato per lui l’elemento acqua con le leggi fisiche e meccaniche che da essa derivano, seguendo quell’intreccio tra invenzioni ingegneristiche e teorie sul moto dei fluidi che, come un filo conduttore, attraverserà tutto l’arco della sua carriera.
 

 
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Leonardo e l’Adda. Acqua significa fiume e fiume significa Adda. E’ la storia di un incontro vissuto soprattutto durante il secondo soggiorno milanese, quando per un periodo Leonardo fu ospite a Vaprio d’Adda presso la villa del nobile Girolamo Melzi, padre dell’allievo prediletto Francesco. Nei territori abduani si dice che questo fiume sia “femmina”, ed è proprio nel tratto tra Lecco e Vaprio (quello – per intenderci -frequentato e studiato da Leonardo) che l’Adda manifesta i tratti “femminili”, perché come una donna, ora è placida, ma un attimo dopo diventa capricciosa; così le sue acque tranquille nel giro di pochi chilometri si fanno turbolente e si vorrebbero imbrigliare e domare, come anche Leonardo progettò di fare.
Egli rimase affascinato da questo fiume e dalla natura che lo circonda. Ne furono contagiate sia la sua arte sia la sua scienza. Oggi è possibile rivivere le sue sensazioni percorrendo un itinerario – esclusivamente ciclo-pedonale – che segue il corso del fiume, a sud del lago di Lecco e prosegue per poco meno di trenta chilometri in un ambiente naturale di selvaggia bellezza, tra gli echi della presenza di Leonardo e le opere che l’uomo ha saputo fare dopo di lui seguendo il suo esempio, per sfruttare il fiume senza danneggiare l’ambiente circostante. Una vera fortuna questa, se si pensa a quanto siano state antropizzate queste zone.



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