Dis aliter visum: agli dei piacque diversamente, Virgilio, Eneide
23 giugno 2009 ore 12 circa
Sto attraversando di fretta uno dei tanti viali alberati del nostro grande Ospedale. Un’infermiera in camice azzurro sembra seguirmi e con voce sonora mi apostrofa: "Dottore, dottore cosa è successo 10 anni fa?”
Sento una voce chiara e squillante di un’infermiera che non mi pare di conoscere. “Dico a lei dottore, si ricorda o no cosa è successo dieci anni fa?”.
“Mi scusi, dice a me?” guardo stupito l’infermiera che mi sorride e che proprio non mi riesce di riconoscere.
Non saprei, non ricordo, che cosa è successo 10 anni fa? Forse l’Inter, la mia squadra del cuore ha vinto la “Champions League?" Sparo a caso la prima stupidaggine che mi viene in mente e la guardo incuriosito.
“Ma allora proprio non se lo ricorda, dieci anni fa cosa è successo?” con un sorriso più aperto.
“Mah! Non saprei, veramente ne sono successe tante di cose” aggiungo prudentemente.
Glielo ricordo io cosa è successo dieci anni fa: la mia mamma ha ricevuto un bel fegato e lei ha rischiato la vita in un brutto incidente!”.
In una frazione di secondo capisco e rivedo tutto: è la ricorrenza del mio incidente il 23 giugno, esattamente dieci anni dopo.
Le chiedo subito: “Ma come sta la sua mamma adesso?”
“Molto bene, molto bene, meglio di me che ho sempre un sacco di acciacchi. Le farebbe piacere rivederla?”
“Eccome! la porti in ambulatorio quando vuole, mi farà molto piacere rivederla. Ma mi scusi, in questi dieci anni perché non l’ho più rivista?”
“Dottore abbiamo avuto un po’ vergogna per la mia gaffe e ci siamo sempre fatti seguire in ambulatorio da un altro suo collega cercando di non capitare mai con lei; ma la mamma chiede sempre di lei”.
”La cosa importante è che la mamma stia bene e che il fegato funzioni bene” aggiungo sorridendole.
“Il fegato funziona benissimo” risponde l’infermiera e con chiaro accento milanese fa un cenno con la mano per abbozzare una carezza e aggiunge “grazie doctor, siete tutti meravigliosi”.
Rivedo molte immagini del mio incidente e mi sforzo di ricordare i dettagli della gaffe a cui sta alludendo l’infermiera.
|
Il dottor Aseni, seduto, con una parte della sua equipe. Fra le mani un testo del professor Thomas Starzl, pioniere dei trapianti |
23 giugno 1999 ore 5
Far finta di sonnecchiare poteva essere un buon sistema per tentare di recuperare un po' di energia necessaria per lavorare ancora alcune ore in sala operatoria al nostro rientro previsto per le sei del mattino a Milano.
Erano le 5 e 15 circa ed avevamo da poco imboccato l'autostrada Brescia-Milano. Il fegato e il pancreas prelevati dalla povera donna donatrice deceduta per emorragia cerebrale erano stati riposti separatamente negli appositi sacchetti. La Mercedes silenziosa e fiera filava veloce lungo la corsia di sorpasso per riportarci il più velocemente possibile in Ospedale.
Il mio giovane e bravo collaboratore di origine persiana che avevo soprannominato Avicenna, specializzando del 1° anno della Chirurgia d’Urgenza, mi aveva appena ricordato che eravamo digiuni da ormai 24 ore. L'intervento chirurgico di prelievo multiorgano era iniziato, come spesso accade, con molte ore di ritardo sull'orario previsto. Pensavo al nostro rientro in sala operatoria alla probabilità di recuperare al volo un croissant e di poter sorseggiare un caffè prima di immergermi nel successivo e delicato lavoro di preparazione degli organi al banco. Il 23 giugno del 1999 si prospettava una giornata serena e il cielo terso consentiva di scorgere in lontananza, oltre le colline del bresciano, le prime luci dell'alba.
All’improvviso un’esplosione secca ed intensa come un colpo di cannone precedette un balenio di scintille cui seguì un terrificante fragore di ferraglia e lamiere. Un improvviso dolore lacerante mi aveva trafitto contemporaneamente il torace, poi il collo sino ad esplodere nel cervello. Ricordo l'ultimo pensiero prima di perdere conoscenza: “Signore che hai creato questo bellissimo cielo azzurro abbi pietà di me”.
Non so per quanto tempo rimasi privo di conoscenza. Avevo tentato di uscire dall'abitacolo della Mercedes ridotta a una scatola deforme, ma il dolore lancinante al torace non mi consentiva di spostarmi neppure di un centimetro. Intravedevo accasciato sull'erba lungo la corsia d'emergenza il nostro conducente, che con un filo di voce invocava aiuto. Capivo di essere in condizioni gravi e cominciavo a temere di non poter ricevere soccorso in tempo utile. Poi, alla comparsa della figura del mio giovane collaboratore “Avicenna” un po’ zoppicante, ma in posizione eretta, avevo riacquistato un po' di fiducia.
“Ehi doc come va?” - mi disse con voce sicura - “stai tranquillo! Sono riuscito a telefonare in sala operatoria ed ho bloccato l'intervento sulla paziente ricevente. Il fegato e il pancreas sono là sull’asfalto: sono stati sbalzati fuori dal vano bagagli, ma sono ancora nelle loro buste sull’asfalto dell’autostrada. Purtroppo il mio cellulare si è scaricato mentre chiamavo la sala operatoria. Sono riuscito a trovare quello dell'autista che sta cercando di chiamare i soccorsi. Tu non devi muoverti!".
PER CONTINUARE LA LETTURA CLICCA SU "CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO"
Bella roba, pensai. Questo stupido vuol fare l'eroe: prima avvisa la sala operatoria per bloccare l'intervento e poi chiama i soccorsi per noi! Così perdiamo tempo prezioso e il prossimo donatore potrebbe essere il sottoscritto! Inconsciamente rimossi l'orribile pensiero con il consueto gesto “apotropaico” degli inguaribili chirurghi superstiziosi.
Il barrito lacerante dei segnali acustici dei Tir che sopraggiungevano senza fermarsi sia da destra che da sinistra era impressionante. L'autovettura dentro la quale ero incastrato era nel bel mezzo della carreggiata ed i numerosi autocarri sfrecciavano incuranti dell’incidente ai lati della vettura accartocciata, rischiando di procurarmi il colpo di grazia.
Dopo qualche esitazione il coraggioso “Avicenna” entrò nell’abitacolo deformato, girò le chiavi sul cruscotto riuscendo a mettere in moto la vettura e a spostarla di 5-6 metri dalla corsia centrale a quella d'emergenza con gran fragore di lamiere.
Furono interminabili quei 50 minuti che intercorsero sino all'arrivo delle ambulanze e poi della Polizia Stradale a sirene spiegate. Durante l'estrazione dall'abitacolo del Mercedes stavo perdendo conoscenza ma quando sentii l'infermiere che dava ordine di trasportarmi presso un piccolo ospedale dei dintorni cercai di gridare con un filo di voce:
“Per favore trasportatemi in un grande Ospedale attrezzato, potrei avere gravi lesioni toraciche".
Dovetti convincere con tutte le mie forze la collega del coordinamento dell’emergenza e spiegarle tramite cellulare che il trasporto in un piccolo Ospedale senza Chirurgia Toracica e Neurochirurgia poteva essere una scelta fatale per me.
Avevo intanto appreso la modalità dell'incidente. Una banda di malviventi a bordo di un'Alfa Romeo aveva speronato la nostra Mercedes nel tentativo di fermarci e poi impossessarsi dell'autovettura. I malviventi sorpresi dalla violenza dell'incidente da loro procurato, erano fuggiti senza lasciare alcuna traccia. Questa tipo di furto di auto di grossa cilindrata era piuttosto diffuso in quell’anno lungo l’autostrada Milano - Venezia.
Dopo circa 20 minuti, trafitto da dolori lancinanti, arrivammo separatamente con tre diverse ambulanze al Pronto Soccorso dello stesso Ospedale Civile di Brescia da cui eravamo partiti un'ora prima. Ricordo il giovane collega di guardia, probabilmente uno specializzando, che assonnato dopo averci visitato ci ricoverò tutti e tre presso la Divisione di Chirurgia d'Urgenza. Sei coste fratturate con versamento pleurico, il trauma cranico e cervicale, una duplice frattura dei corpi vertebrali era il bilancio delle lesioni riportate e in cuor mio pensavo che forse Qualcuno avesse stabilito che non era ancora giunto "il mio momento".
Il fegato e il pancreas prelevati ed impacchettati in tre sacchetti con il nuovo liquido di perfusione, nonostante fossero stati sbalzati al di fuori dell'autovettura durante l'impatto, erano stati raccolti da alcuni agenti della Polizia Stradale su suggerimento di Avicenna. Trasportati rapidamente presso il nostro Ospedale e quindi in sala operatoria, gli organi avvolti in un triplo involucro di plastica, erano miracolosamente rimasti illesi e pertanto perfettamente utilizzabili e infine erano stati trapiantati con successo.
***
Tornai a lavorare in reparto una mattina di settembre di quell’anno un po’ scricchiolante dopo meno di due mesi di convalescenza. Facevo molta fatica nel salire i due piani di scale per raggiungere il mio reparto chirurgico: mi ero imposto di fare un po’ di esercizio fisico per riguadagnare in fretta il tono muscolare perduto durante la convalescenza.
Lungo il corridoio in reparto si notava una signora che inveiva e si lamentava con alcuni miei colleghi: da mezz'ora stava aspettando il medico addetto al turno di ambulatorio e questo non si era ancora visto: era una vergogna! Aveva voluto parlare con il Primario della Divisione per esprimergli tutta la sua rabbia per l'increscioso ritardo. Sua madre trapiantata di fegato due mesi prima dimessa già da un mese, attendeva che quel lazzarone di un medico si degnasse di arrivare per cambiare la medicazione alla sua mamma, una semplice medicazione! Non potevano trascorrere l'intera giornata ad attendere il comodo di "lorsignori medici".
Il mio Primario volle essere severo a sostegno delle lamentele di quella parente e mi riprese piuttosto aspramente per la mezz'ora di ritardo, il tutto dinanzi ai colleghi che al contrario mi salutavano sorridenti al mio rientro in servizio. La giovane signora tutta impettita e soddisfatta per l’umiliazione da me subita aggiunse: "E ora non perdiamo altro tempo! Lavoro anch’io in Ospedale da anni e non ho mai sopportato i lazzaroni".
Frastornato e un po’ amareggiato per l’inattesa modalità di accoglienza da parte del mio Primario e di questa signora entrai in tutta fretta in ambulatorio. Una donna di poco più di cinquanta anni giaceva distesa sul lettino e attendeva una semplice medicazione di una ferita deiscente ma ormai guarita. Notai dalla cartella clinica che la data del trapianto risaliva alla stessa data del mio incidente e intuii che ero di fronte alla paziente per la quale avevo rischiato la vita due mesi prima. Dovetti soffocare a fatica un cenno di rabbia ma una forte sensazione di sconforto ebbe il sopravvento. La paziente si accorse del mio disagio dai miei occhi che si erano visibilmente inumiditi.
Dopo la medicazione mi chiese:
"Dottore forse c'è qualcosa che non va?".
"Non si preoccupi Signora, va tutto bene" risposi "solo credo che ricorderò a lungo la data in cui lei è stata sottoposta a trapianto".
La paziente a sua volta intuì immediatamente che forse si trovava di fronte al chirurgo che aveva rischiato la vita per il prelievo del suo nuovo fegato. La vicenda era apparsa su molti quotidiani. Le due donne, paziente e figlia, visibilmente con profondo disagio si prodigarono a quel punto in mille scuse per il triste episodio di poco prima. Mi scusai a mia volta per il mio ritardo e sorridendo porsi loro la mano per salutarle.
Dopo solo qualche mese avevo ripreso il mio lavoro di chirurgo con qualche scricchiolio osseo, ma, tutto sommato, il ritrovato entusiasmo mi aiutava a ritrovare le energie perdute e l’entusiasmo.
Rividi quella mattina Avicenna cui raccontai della precedente gaffe dell’infermiera. Mi abbracciava commosso perché lo trasferivano in un altro centro ospedaliero: “In fondo ci è andata bene, doc!"
“Direi proprio di sì Avicenna, ci è andata molto bene” risposi.
Ora Avicenna, l’autista ed io potevamo raccontare questa strana storia di buste sull’asfalto.
Paolo Aseni
Questa vicenda proprio non conoscevo. Ed ora mi sento orgoglioso ed onorato aadi avere tra le mie amicizie quella di un Collega che oltre ad essere un formidabile esempio di professionalità oggi scopro essere un eroe della deontologia medica. Mario Ravini
RispondiEliminaAnch'io sono una collega di Paolo, col quale ho condiviso i momenti più disparati e disperati della nostra professione e lui è stato il primo a riconoscere una patologia misteriosa che invalidava mio padre. Per me è un onore conoscerlo. Giuliana Fantini
RispondiEliminaEmozionante ricordo; tranche de vie da citare ai molti che guardano e giudicano, spesso con stile sufficientemente privo di pregio. Grazie, Paolo. M.Bossi.
RispondiEliminaGrande Paolo! Ricordo vagamente quell’episodio, ma ricordo perfettamente il tuo impegno e la tua dedizione, e di tutta l'equipe, all’attività dei trapianti, avete rischiato ma ridato la vita a molti pazienti!
RispondiEliminaElisabetta Benazzi
Una storia vera che, se letta senza saperlo sembra la trama di un romanzo. Complimenti Paolo sei un bravissimo chirurgo che ha salvato molte vite, mi hai veramente emozionato con il tuo racconto!
EliminaGrazie
Simonetta
Grazie, infinite grazie al dott. ASENI, unico medico ad aver dedicato tempo e compassione per capire cosa fosse stato fatto, o meglio, non fatto per salvare la mia povera sorella abbandonata a morire in una camera di lusso di un ospedale arcinoto. Non smetterò mai di essere grata e riconoscente per la generosità d’animo, la competenza e il coraggio dimostrati dal dott ASENI. Unica luce nella notte.
RispondiElimina