mercoledì 29 febbraio 2012

INSALATA DI CEDRO di Marco Bartesaghi


DESCRIZIONE, NON SCIENTIFICA, DEL FRUTTO DEL CEDRO.



Il cedro è il frutto di un albero chiamato citrus medica. È un agrume, giallo come un limone, grande come e più di un pompelmo ma con la parte succosa delle dimensioni di un mandarino.







 
Il resto è buccia: lo strato esterno giallo e bitorzoluto; quello interno bianco, liscio e di sapore dolce.







LA RICETTA
Che farne di un frutto così: una spremuta? Neanche a parlarne, sarebbe uno spreco incredibile.
Una bella insalata


Togli accuratamente - ma senza eccedere per non sprecare - lo strato giallo della buccia.



Taglia il frutto rimasto a fette di circa mezzo centimetro di spessore.



Riduci le fette a "bastoncini" dello stesso spessore.



Metti in una marmitta e condisci con sale pepe e olio extra vergine di oliva.




Aggiungi un vasetto di yogurt naturale,





mescola e mangia. Buon appetito



La buccia gialla si può probabilmente "candire", ma io non sono capace e quindi la butto via.

MESSAGGIO SFACCIATAMENTE PROMOZIONALE
I cedri io li compro da Giovanni Terranova, agricoltore siciliano che, ormai da sette anni, vende i prodotti dei suoi agrumeti, arance, limoni e cedri, davanti alla mia edicola, in piazza Marconi a Vimercate.



La sua stagione di vendita inizia a novembre e finisce, solitamente, ad aprile; l'orario, da martedì a sabato, è circa, dalle 7,00 alle 18,30.
Oltre ai frutti della sua azienda vende altri prodotti siciliani: vino, olio , formaggio, cibi in vaso, dolci.











Questo messaggio promozionale è naturalmente gratuito, se non si tiene conto dei caffè che Giovanni mi offre quasi tutte le mattine.





lunedì 27 febbraio 2012

TRE CASCINE SCOMPARSE: FORNACETTA, SAN GIUSEPPE E BORGONOVO di Giulio Oggioni

Il testo che segue è un brano di un libro che Giulio Oggioni ha scritto  e sta cercando di pubblicare.  Riguarda tre cascine di Verderio Inferiore: due completamente cancellate  - la san Giuseppe e la Borgonovo - e l'ultima, la Fornacetta, ridotta ad un rudere. Ringrazio Giulio per avermi concesso di pubblicarlo sul blog e mi auguro di poter vedere presto il libro completo. M.B.

Tre cascine scomparse: Fornacetta, san Giuseppe e Borgonovo
Dopo la seconda metà del secolo scorso, tre cascine sono rimaste disabitate: la san Giuseppe, la Fornacetta e la Borgonovo. In balìa delle intemperie, sovrastate dalla crescita delle piante e dalle erbe selvatiche, i muri che sostenevano le grosse travi di sostegno iniziarono a sgretolarsi, fino al crollo definitivo.
Nella cascina san Giuseppe, più conosciuta come pulentel, così chiamata perché qualcuno amava la polentina, vivevano due ceppi di famiglie: i Villa e gli Oggioni. Dei primi non è rimasto nessun discendente in paese. Forse emigrarono altrove. Ci sono ancora, invece, alcuni componenti degli Oggioni, sparsi un poco ovunque, ma sempre presenti nei nostri due paesi. La loro è una storia di migratori. Infatti, inizialmente facevano parte del ceppo familiare che abitava alla cascina Salette, a Verderio Superiore. A seguito delle divisioni familiari, si trasferirono per un breve periodo alla Borgonovo e definitivamente, nel 1927, approdarono alla cascina san Giuseppe, appena fuori del centro abitato, in direzione Francolino.
Le famiglie contadine erano spesso costrette a cercare nuovi spazi liberi, a causa di divisioni familiari e di matrimoni interni con l'aumento della prole. I locali a disposizione non bastavano per tutti e quindi si coglieva l'occasione per occupare locali lasciati vuoti da altre famiglie che cambiavano residenza, per stabilirsi al loro posto, alla ricerca di una propria indipendenza e fortuna.

Componenti della famiglia Passoni, abitante della cascina Borgonuovo


Alla Borgonovo, burnoeuv in dialetto, abitavano le famiglie Passoni. In una di queste viveva la sorella di mia nonna Isolina, di nome Antonia, ma che tutti chiamavano per Tugnina. Non era una cascina come le altre, assomigliava di più ad una casa colonica, con stalle, fienili ed abitazioni in un solo corpo. La cascina si trovava all'estremo confine ovest del paese, attorniata da molta terra, con piante da frutta e vigneti di uva clinton, con la quale i contadini locali producevano un vino molto modesto, dal gusto acerbo, ma apprezzato perché non c'era altro. Lo chiamavano pincianell. Nelle vicinanze un grande bosco di robinie che, per l'inverno, garantiva abbondante legna ai camini e alle stufe.
Una piccola curiosità: proprio da bambino, al burnoeuv, la mia incoscienza mi portò alla prima ed unica sbornia, dopo aver bevuto un bicchiere di vino rosso. Non aveva molti gradi, ma non poteva certo essere tollerato facilmente da un ragazzo di dieci anni. La strada di ritorno fino alla cascina Salette, dove abitavo, circa cinquecento metri, la feci tutta a ruzzoloni.
Le cascine Borgonovo e san Giuseppe erano di proprietà della Curia milanese. Nei due secoli scorsi, come già per Verderio Superiore, anche a Inferiore, i lasciti dei benefattori venivano investiti nella costruzione di piccoli cascinali e nell'acquisizione di terreni. In questo modo si creava un tornaconto per le parrocchie, chiamate ad amministrare i beni e a riscuotere  gli affitti. Ancora oggi, la Curia è proprietaria di terreni nel nostro territorio, mentre altri appezzamenti sono stati venduti recentemente per costruire abitazioni. In cambio, il donatore usufruiva di sante Messe perpetue per tutta la vita della parrocchia.

In questa e nelle fotografie che seguono, che risalgono al febbraio 2010, la cascina Fornacetta

La cascina Fornacetta, Furnaseta, ha una storia un poco più lunga. Nel Catasto Teresiano del 1722 si dice che il proprietario era un certo Nicola Majnone. Nel 1769 passò alla famiglia Taveggia, mentre nel Catasto Cessato del 1856 figura un altro propietario: Sottocornola. Nel 1898 venne ristrutturata dai nuovi proprietari, i fratelli Villa Antonio e Francesco, di Cernusco Lombardone. Nella cascina, in aperta campagna e attorniata da ampie zone coltivabili, sul 





confine di Cornate d'Adda, abitavano sei famiglie i cui cognomi erano: Pirovano, Crippa e Pozzoni: con genitori, figli e prole, formavano un nucleo di oltre ottanta persone. I due fratelli Villa, scapoli, erano, a detta di un testimone, persone facoltose, tanto da destinare in beneficenza decine di milioni di lire. Pare che il più beneficiato dalla loro generosità sia stato l'ospedale di Vimercate.
In cascina, oltre alle abitazioni, c'erano diverse stalle con mucche, asini, cavalli e maiali. In un angolo, era stata costruita anche una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana che serviva per abbeverare le bestie. Ogni anno veniva svuotata per essere ripulita dalla melma che si depositava sul fondo. L'acqua era così sempre limpida ma non potabile. Quest'ultima veniva attinta dai pozzi delle cascine vicine o al posto pubblico in paese.

Mattoni cotti al forno, a sinistra, e cotti al sole, a destra
 
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo a mancare l'attività agricola contadina, iniziò la fuoriuscita dallacascina di alcuni giovani, freschi di nozze, che si trasferirono nelle corti del paese. L'esodo terminò nel 1979 e la cascina rimase disabitata. Nel giro di pochi anni iniziarono a sgretolarsi i muri e a cadere i tetti, fino al crollo definitivo.

LA CASCINA BORGONUOVO (BURNOEUV) fotografie di Luigi Oggioni

















giovedì 16 febbraio 2012

ATTENZIONE!!! AVEVO COMUNICATO CHE LA CONFERENZA SI SAREBBE TENUTA A VERDERIO SUP.

INVECE, ESSENDOSI LIBERATA LA SALA CONSILIARE, SI TERRA' COME AL SOLITO A VERDERIO INFERIORE.


LA SCIENZA NEL 3° MILLENNIO
L'uomo e l'ambiente


Venerdì 24 febbraio 2012
Ore 21,00
Sala Civica di Verderio Inferiore
ENERGIE DA FONTI RINNOVABILI
Relatore Marco FIALA
Professore di Ingegneria Agraria dell'Università
degli studi di Milano
AMMINISTRAZIONI COMUNALI DI VERDERIO INFERIORE E SUPERIORE

lunedì 13 febbraio 2012

DIARIO DELLA MIA VITA MILITARE di Aldo Colombo - seconda parte





La prima parte del diario di Aldo Colombo è stata pubblicata su questo blog il 27 gennaio 2012. M.B.

Aldo Colombo in una foto del periodo di "premilitare"

Retro dell'immagine precedente


 -Seconda parte-

E così, a malincuore, lasciammo la nostra nave al grido di EVVIVA BADOGLIO e con la compagnia dei nostri ex alleati con i mitra in mano. L'indomani ci fecero salire su di un piroscafo stracarico, issando la bandiera della CR e ci alloggiare in un collegio.
Appena giunti il comandante della nostra nave, malgrado che aveva perso la sua autorità, si comportò come un padre di famiglia, ci consiglio in bene, cioè ci disse di stare uniti e di seguire la massa, perché forse solo lui sapeva la verità. Le voci che erano di rimpatriare attraverso la Jugoslavia erano poco credibili perché i partigiani greci ci dissero che ci inviavano in campo di concentramento in Germania.
Chi aveva il coraggio di nascondersi tra di loro forse avevano molte probabilità di evitare il peggio. Io personalmente, data la mia poca esperienza, non ho osato tanto perché anzitutto seguivo il consiglio del comandante e poi vedevo che anche gli anziani accettavano la sorte. Avevo saputo che solo il comandante in seconda era fuggito su di un veliero verso la Turchia. Il comandante in prima penso che restò fra ufficiali, in attesa di trasferimento. Si era verso il 15 settembre del '43 quando ci fecero sapere con le belle maniere, di essere pronti per il rimpatrio, che però si doveva prolungare perché tanti ponti erano stati fatti saltare dai partigiani slavi. Così composero la colonna di camion fra gli equipaggi del "Solferino", del "Castelfidardo" e una ventina di soldati di fanteria. Ci portarono per un centinaio di chilometri verso Salonicco. Quindi ci fecero salire su una tradotta che non era che un treno merci con i vagoni tutti scoperti, assieme ad altri militari ... e così iniziammo il cammino della speranza verso nord. Si era al tramonto quando partimmo, a mezzanotte arrivammo in una località appena passato il confine con la Bulgaria, ci dettero della minestrina e poi restammo 6 o sette ore in attesa senza avvisarci, così girammo un po' il paese, ricordo che incontrammo un contadino che aveva presso le sue figlie le quali erano molto impaurite. Ci disse che ci portavano in Germania e che se volessimo ci teneva nascosti, tanto i soldati tedeschi non si vedevano in giro. È stato un momento drammatico, alcuni fuggirono quando il treno rallentava, si vedeva qualcuno che si buttava giù con lo zaino e quindi si nascondeva negli arbusti, certamente di notte. Passarono i giorni, perché era più il tempo che si era fermi, si passava poi in Romania, ricordo che un giorno che eravamo fermi in una località vidi passare una tradotta sul cui tetto di un vagone vidi un mio amico Enrico che proveniva anche lui dalla Grecia e che seppi che fu malato e rimpatriato. Ricordo che passai cinque capitali di altrettante nazioni quali: Grecia (Atene) 2° Sofia (Bulgaria) 3° Bucarest (Romania) Budapest (Hungheria) Vienna (Austria).
Dopo tante peripezie (il viaggio durò ventidue giorni) giungemmo, come erano le previsioni al Lager di Bad di Sulsa, una località al centro della Germania, che era anche campo di concentramento.
Aldo Colombo, in centro, con due commilitini
Ci lasciarono così la prima notte all'addiaccio, io non avevo ne la coperta ne il cappotto  e così dovetti camminare intorno a un falò fino al mattino come se avessi fatto [...] Km a piedi, stanco morto ma speranzoso di una giornata migliore.
Di fatto verso le dieci del mattino ci dettero da mangiare delle patate cotte e più tardi ci radunarono e ci chiesero, tramite un ufficiale che parlava italiano se volevamo restare in campo di concentramento oppure arruolarsi alla Wermach o viceversa lavorare nelle fabbriche. Io ho seguito la massa cioè a lavorare. Mi dettero dei vestiti e più tardi salimmo su due camion circa 50 uomini, metà dei quali eravamo gli equipaggi delle due navi che ci presero a Suda nell'isola di Creta. Facemmo circa 40 km in mezzo a delle basse colline e quando arrivammo a sera trovammo dei nuovi anziani che fecero segno al militare di scorta di metter al muro e poi giungemmo in una fabbrica che ci trovammo abbastanza bene e sistemati in una grande mansarda che aveva solo tre finestrini, composta di 26 letti a castello doppi, dei tavoli e sedie e inoltre una ventina di lavabo con acqua fredda e calda, i servizi erano al piano terreno quindi si doveva chiedere permesso al militare. E così cominciò la nuova vita di prigioniero.
Si cominciò dalle ore 7 alle 19, con mezzora di pausa a mezzogiorno. Alla sera terminato il lavoro si doveva lavarsi bene e poi il caporale ci faceva la rivista e poi si mangiava.
La sveglia al mattino era alle 6.30 si faceva il te o caffè, verso le 9 ci dettero un panino sempre a chi lavorava e gli altri solo un brodo. C'è voluto un po' di tempo ad ambientarsi e presto facemmo conoscenza con altri lavoratori stranieri, quali francesi, belgi e polacchi. Io conobbi una ragazza belga che si chiamava Nadj che lavorava vicino a me e subito c'è stata simpatia e qualcosa di più perché comprese la mia situazione mi aiutò in qualche modo, tutto quello che gli cercavo mi soddisfava ma dopo tre mesi sparì dalla circolazione. Non seppi più niente e dispiace tanto che gli avevo dato tante mie foto e le sue lettere che mi recava tutti i giorni e che non le tenevo per paura che me le trovasse il tedesco. Pochi giorni prima ci eravamo messi d'accordo di vederci di fuori al termine del lavoro, assieme ad una sua socia e un mio amico, ma fatalmente venne fuori anche un capo tedesco che mi riconobbe e che all'indomani riferì al caporale il quale venne giù in officina e che mi fece una predica , poi alla sera mi fece l'ispezione, [...] e con la lente per verificare penso se avevo avuto un rapporto, magari.
Feci una penitenza per circa 20 giorni, all'orario della mensa dovevo andare giù a pulire 20 gabinetti.
Il mio sogno era finito, più che la fame sentivo la nostalgia ... ma la vita continua se poi ci pensavo non sarei qui a scrivere ma pensavo anche di superare tutte le avversità pur di rivedere i miei cari.
Forse la mia [...] Odette non è più tornata a casa, se no mi avrebbe scritto perché aveva il mio indirizzo, io non ho più ricordato il suo anche perché è passato tanto tempo, di lei mi son rimaste solo tre foto. Volevo fare un annuncio tramite un giornale belga di CHALES ROIL, ma poi non feci più nulla. Di lei ho conservato un dolce ricordo, certamente se fosse rimasta mi sarei unito per sempre ma purtroppo il destino non è stato favorevole. Ricordo il Natale 1943 che è stato triste, quello precedente è stato abbastanza felice anche se lontano da casa.
Così la vita di prigioniero continuò. Fecero i turni undici ore di giorno e undici di notte. Chi lavorava di giorno lavorava anche il sabato fino alle 17. Tutti alla domenica mattina si faceva circa tre ore alla stazione a scaricare i vagoni merci, poi si faceva la doccia al pomeriggio ci portava in giardino e ci faceva fare un po' di corsa oppure qualche passeggiata in collina. Tutta questa vita sotto il soldato durò circa sette mesi poi ci chiesero se volevamo passare civili dal patto del Duce che al momento giusto ci salvò dagli stenti in tempo anche se molti sono morti. Anche da noi un bravo ragazzo di Torino morì senza essere curato da una brutta malattia altri due in seguito a ferite da bombardamento, proprio il giorno prima che arrivassero gli americani.
[...] da qualche mese che gli alleati intensificavano i bombardamenti e noi se eravamo in fabbrica andavamo sotto il tunnel sotto la collina che circonda quasi tutta la città e ci voleva circa dieci minuti di corsa.



Il 15 aprile fu un grande disastro, io feci in tempo appena ad entrare nel RICOVERO che una bomba che cadde vicino mi buttò a terra, ma dopo qualche minuto sono uscito a vedere se gli aerei erano andati e così sentii gridare e implorare aiuto e vidi quattro miei soci che si sorreggevano essendo feriti quindi gli sono andato incontro e li ho portati al rifugio, ma purtroppo uno ci rimase sulla collina, ferito a una gamba e che dovettero amputarla ma dopo quattro giorni ci lasciò ...
L'ultimo attacco aereo avvenne verso le dieci del mattino col preavviso, al pomeriggio, siccome temevamo il saccheggio nell'imminenza delle truppe alleate ci incamminammo verso sud, prima nelle grosse arterie e poi nelle campagne. Ci sorvolavano dei cacciabombardieri americani i quali capirono che eravamo gli sfollati. Facemmo una camminata di circa venti chilometri e di notte sostammo vicino ad un bosco ma io e altri soci pensammo di tornare in città..
Al mattino ci fermammo in una borgata (?) per poter mettere in bocca qualche cosa, prima trovammo un automezzo civile che si spartivano delle scatolette di pesce e che pure noi ne abbiamo avute. Poi mentre su una rupe un falso piano trovammo un campo di patate. Io e un socio eravamo andati giù nelle case  a cercare qualche latta per far cuocere le patate ad un tratto sentimmo dei colpi di mitra e abbiamo visto una pattuglia di SS che sparavano verso a delle finestre perché avevano steso le lenzuola bianche in segno di resa e poi se ne erano andate e poi udimmo un forte scoppio che si trattava del ponte della ferrovia che dovevamo passare noi per ritornare a Gera. Da quel momento passarono una decina di minuti che sentimmo dei rumori dei cingoli dei carri armati, chissà pensammo che fossero tedeschi, ma quando apparvero con il simbolo della stella bianca capimmo che erano americani la nostra emozione fu tale che ci videro esultare, ma non convinti venne su un autoblindata che ci costrinsero ad esibire i nostri documenti d'identità e poi ci dettero degli alimenti.
A questo punto per noi cinque superstiti era finita la guerra tutto si risolve per il meglio. Noi non pensammo altro che ritornare alla base, cioè da dove eravamo partiti, quindi ci incamminammo per una decina di chilometri con le patate lessate nei recipienti trovati in quella borgata che non dimenticheremo facilmente per le emozioni provate.
Quindi giungemmo a Gera e poi nella nostra fabbrica, i dirigenti ci accolsero con cordialità poiché la guerra era finita anche per loro, però avevano paura delle nostre reazioni di quello che abbiamo provato durante il lavoro. Però hanno capito che noi italiani non siamo vendicativi perché il nostro pensiero era quello di ritornare presso le nostre famiglie e dimenticare tutto il passato.
Ci trattenemmo circa una settimana nella fabbrica, poi vennero gli americani e ci sistemarono in una caserma, dove scampai alla morte per miracolo. È successo che mentre mi recavo in un posto per fare certi comodi, qualche ex soldato slavo trovò un'arma potente e senza volere la fece azionare, di lì a qualche secondo si sentirono diversi scoppi potenti che fecero un macello, quando mi accorsi vidi [... ] una decina di morti, altrettanto di feriti che correvano e poi caddero per terra, poverini, dopo aver passato tanti brutti momenti, proprio adesso che la guerra è finita, hanno lasciato la pelle.
Il giorno dopo ci spostarono fuori città a circa sei chilometri, [...] in un vecchio stabilimento, però sistemato per cinquecento persone  con letti e armadi, con la cucina. E così passammo circa tre mesi finché giunsero i soldati russi, che vennero a occupare quella zona e quindi dovemmo trasferirci in zona americana e cioè a Eisenach.


Aldo Colombo

In una delle ultime pagine del quaderno su cui Aldo Colombo ha scritto il suo diario militare, egli ha riassunto alcuni dati riguardanti la prigionia.



TRASCRIZIONE:
1943-45. Elenco di ex compagni prigionieri in Gera - Turingia (Germania Federale).
N.50 - 4 morti (1 in seguito ferite da bombard - aereo)
(N..25 marinai tra i quali 4 sott'u marescialli) facendo parte degli equipaggi cacciatori CASTELFIDARDO e SOLFERINO per un totale di 250 unità.
Altri 25 uomini erano dell'Esercito che dislocava all'isola di Creta (Grecia).

MADONNA CON BAMBINO o REGINA PACIS A CASCINA SAN CARLO di Marta Cattazzo

LOCALITA': Verderio Superiore
UBICAZIONE: Cascina San Carlo (Casina del Curat), via San Carlo 6
ICONOGRAFIA: Madonna con Bambino o Regina Pacis
COLLOCAZIONE: portico; a destra del vano scale; da terra cm. 180
DIMENSIONI: cm 78x140
PROPRIETA': privata; la corte





Fig. 1 Immagine ridipinta (foto 2001)





DESCRIZIONE
L'immagine della Madonna risulta essere stata dipinta direttamente sopra la precedente, come mi ha confermato lo stesso autore Garzotti, il quale sostiene di non aver cambiato l'impostazione sottostante, poiché aveva l'intento di ritoccare unicamente i colori. Purtroppo mi è stato impossibile recuperare una qualsiasi documentazione fotografica  a riguardo, per fare un esatto confronto, quindi dovrò esclusivamente basarmi sulla presente santella.
I colori sono decisi, accesi con una predominanza di toni blu, probabilmente meno accentuati nella precedente versione.



fig. 2 Immaginetta raffigurante la Regina Pacis con Bambino


Iconograficamente l'immagine della Regina Pacis, come reca la scritta sottostante, è confrontabile con quella di un'immaginetta molto simile (fig. 2) come impostazione frontale sia della Vergine che del Bambino, il quale compare con la medesima inclinazione del corpo verso sinistra e il braccio opposto teso con il ramoscello di ulivo in mano.

fig. 3 Immagine originale di un'edicola di Bernareggio , particolare
Anche un'edicola che era a Bernareggio (fig. 3) presentava qualche analogia con questa di Verderio: gli sguardi rivolti verso l'osservatore, al quale va oltretutto l'invito alla pace, il  Bambino in braccio alla madre, sempre con un braccio reclinato e l'altro teso col rametto di ulivo, sebbene in questo caso il figlio fosse sul fianco di Maria.
Si potrebbe parlare dunque di uno schema abbastanza rigido dell'atteggiamento dei due corpi, ma non eccessivamente poiché può trattarsi indifferentemente di un busto come di una figura intera.





DATI STORICI INERENTI
La cascina fu realizzata dalla parrocchia in quanto necessitava di una nuova casa colonica.
Essa occupa infatti il terreno che faceva parte del beneficio parrocchiale. Il complesso consta di tre corpi: uno ad uso abitativo, gli altri adibiti a rustico, insieme formano una corte a T.
Il più remoto accenno circa la Cascina S. Carlo si trova nel Liber Chronicus redatto da don Luigi Galbiati (1847-1923) e risale al 1905; vi si parla di costruire un edificio “di 24 locali più le stalle, i ripostigli, ecc.” per spitare i “Coloni del Parroco” che, per mancanza di spazio, si erano dovuti rivolgere alla famiglia Gnecchi per avere delle abitazioni in affitto. Il capomastro risultò un certo Luigi Picciotti. L'atto formale di consegna della casa colonica
risale al 1907.
A quei tempi l'edificio era denominato Cascina S. Luigi. In seguito, quando nel 1923 a Don Luigi successe come parroco don Carlo Greppi (nato nel 1876), la cascina prese il nome attuale.
Per quanto riguarda la datazione della santella originale collocata nel portico della cascina, si può ipotizzare che, poiché la casa fu voluta dal parroco, un'immagine sacra difficilmente potesse mancare: il dipinto originale, quindi, potrebbe risalire esattamente al 1907.
Altra ipotesi potrebbe far coincidere la data della pittura al 1912: quell'anno, infatti, un fulmine colpì violentemente la casa in questione e un "Per Grazia Ricevuta" venne deposto presso la Grotta della Madonna di Lourdes situata fuori dalla chiesa parrocchiale, come ringraziamento degli abitanti della cascina per non avere subìto gravi danni. Anche questo fatto, avvenuto cinque anni dopo la costruzione dell'edificio, potrebbe aver spinto i residenti a voler dipinta l'immagine mariana a protezione della cascina e delle famiglie che vi abitavano.
La devozione a questa immagine è ancora viva, poiché segue la tradizione di soffermarsi davanti a recitare il rosario e partecipare alla messa un giorno del mese di maggio

22 MAGGIO1912. FULMINE A CASCINA SAN LUIGI (ORA SAN CARLO): CRONACA DI DON LUIGI GALBIATI. PARROCO DI VERDERIO SUPERIORE

Il terzo giorno delle Rogazioni (1) non si poté fare la Processione per le campagne a motivo del cattivo tempo. Verso sera di questo medesimo giorno 22 scoppiò un forte temporale pregno di elettricità con formidabili tuoni da incutere timore. Infatti caddero ben tre fulmini: uno presso la Cascina Malpensata (2) sulla strada di Cornate, un altro in contrada Principale, senza alcun danno, ma il terzo caduto sulla Cascina S. Luigi (3), di proprietà del Parroco abbatté due comignoli, sconquassò un'ala del tetto, dalla canna del camino passò nella casa, ove Motta Ferdinando stava cuocendo la polenta, penetrò in una stalla ov'era Motta Pietro a distribuire stramaglie alle bestie, indi sbucò a conficcarsi nel terreno adiacente con spavento di tutti, che per mero miracolo rimasero illesi, sebbene alquanto storditi. In ringraziamento al Signore di averli preservati da tanto pericolo, quei cascinali appesero alla Grotta di Lourdes un quadretto di Grazia Ricevuta.



Questo brano,contenuto nel  "liber cronicus"  redatto da Don Luigi Galbiati tra il 1897 e il 1913, ricorda l'evento metereologico ricordato da Marta Cattazzo nell'articolo precedente a questo. L'avevo trascritto nel 1985/86 quando, avendo con altri intrapreso una ricerca sulle cascine di Verderio, mai andata in porto, avevo avuto il permesso di consultare dal parroco, don Giuseppe Brivio, l'archivio comunale. M.B

NOTE
(1) Processioni per il buon esito delle semine e dei raccolti, celebrate con apposita liturgia il 25 aprile e tre giorni prima dell'Ascensione.
(2) Più conosciuta come "Casinéta", si trova in via per Cornate all'imbocco della via Brugarola, strada che conduce a Verderio Inferiore
(3)Cascina San Luigi è l'attuale cascina San Carlo, nell'omonima via. Notizie sulla sua costruzione di questa cascina in questo blog, sotto l'etichetta "edifici rurali", in data 9 febbraio 2009

sabato 11 febbraio 2012

GRAFFITI DI TENIA fotografati da Giulio, Luisa e Daniele

Da tre amici, Giulio, Luisa e Daniele, ho ricevuto alcune fotografie di disegni murali firmati Tenia, un autore di cui avevo gia pubblicato altre opere. Presento le immagini ricevute in questo post e vi invito a vedere, o rivedere, quello vecchio, rintracciabile sotto l'etichetta "graffiti", datato 12 agosto 2011 e intitolato "SEGUENDO UNA FIRMA: TENIA".
Desiderio: sarebbe bello che "Tenia", imbattendosi casualmente in questo blog, si mettesse in contatto con me per rispondere a tante domande che mi piacerebbe fargli sul suo lavoro"notturno".
Intanto ringrazio Giulio, Luisa e Daniele per la collaborazione.M.B.


 1 Como









2, 3,4 Oggiono



5 Lecco, località "Bione"



6 Olginate, localita "Fornasette"