martedì 8 gennaio 2013

VENDITORE O VENDITRICE AMBULANTE - MASCIADER O MASCIADRA di Anselmo Brambilla


Arrivavano con una grossa cesta colma di  biancheria, gomitoli  di lana colorata, spolette di filo per cucire, aghi e quant'altro utile per la donna. Solitamente venivano da lontano. Mi ricordo di una che chiamavano la Mantovana, presumo venisse da quella città o provincia, pare arrivasse con il treno ad Olgiate e poi a piedi con la grossa cesta in testa girasse tutte le case del paese, prima di spostarsi in un altro posto, accontentandosi sovente, per risparmiare, di alloggi e sistemazioni logistiche di fortuna.
Questo per tutta l'estate poi in inverno se ne tornava al suo paese, per ricomparire l'estate successiva. Noi la chiamavamo semplicemente "la sciura cun la cavogna in coo"  la signora con in testa una cesta.

Anselmo Brambilla


* Disegno è di Sara Bartesaghi

"NANDO DI PULET", MIO PAPA' di Fabrizio Oggioni


Fabrizio Oggioni


Mio papà si chiamava Ferdinando Oggioni, ma tutti lo conoscevano, e molti ancora lo ricordano, come "Nando di Pulèt", essendo, Pulèt, il soprannome del ramo degli Oggioni di Verderio Superiore che abitava alla "Curt Növa", in via sant'Ambrogio.
Era nato il 4 settembre 1916 da Gerolamo e da Luigia Oggioni. Per quel che mi ricordo, ha sempre fatto il muratore.
Chiamato al servizio di leva con la classe del 1916, è congedato nel 1936, per essere richiamato, una prima volta il 17 maggio 1937 e poi il 14 settembre del 1939, nel 7° Reggimento Artiglieria.
Il 20 dicembre 1940 si imbarca a Bari sul piroscafo Gallia e il giorno dopo giunge e Durazzo, in Albania, dove viene trasferito al 13° Reggimento Artiglieria Guardia a Frontiera. Ha l'incarico di cuciniere.
Queste fotografie che lo ritraggono con i suoi commilitoni sono fra le poche cose che di lui mi sono rimaste: non è tanto alto e, dalle immagini, sembra un tipo allegro e di compagnia.

Fotografie scattate in Albania. Un'altra serie di immagini a fine articolo

L'11 settembre 1943 il suo reparto si arrende ai tedeschi. Prigioniero, viene deportato in Germania, nel campo di lavoro Staleg - XII -F, a Biesmengen - Bolchen, nel Saarland , vicino al confine con la Francia. Questo è il testo di una sua lettera alla mamma, mia nonna:

" 8-2-1944
Cara mamma avendo l'occasione di avere questo biglietto vi faccio sapere che la mia salute è ottima così spero anche di voi e famiglia ora vi fo sapere che ho spedito il modulo per mandarmi il pacco lo sapete già cosa dovete mettere mangiare e sigarette perché sigarette qua non le danno. Mamma mi raccomando di non pensare a me cercate di restare in gamba vedrete che tutto passerà ne sono passate tante quindi passerà anche questa quindi non pensate su di me. Termino non avendo altro che dirvi solo di lasciare i miei saluti a voi e famiglia parenti cugini cognati e cognate fratelli sorelle e bacioni ai nipoti che sempre li ricordo di nuovo ricordandovi sempre vostro figlio
Nando
Ciao ciao arrivederci presto"

Il 9 luglio 1945, finita la guerra, viene liberato. Rimpatriato, giunge a Bolzano dove resta alcuni mesi prima di essere congedato e rimandato a casa.
Il 4 ottobre 1947 ha sposato mia mamma, Antonia Acquati (1921/2000); dal loro matrimonio, nel 1949 è nato mio fratello Sergio e, nel 1953, sono nato io.
In una fotografia papà è ritratto mentre collabora alla costruzione della sede del Circolo San Giuseppe, la cooperativa di cui era stato socio.

"Nando", in centro, durante la costruzione della sede della cooperatica San Giuseppe , edificio che attualmente ospita il ristorante Mediterraneo"


Ho ben pochi ricordi personali e diretti di mio papà, perché pochi mesi prima che io nascessi, nel cantiere edile dove lavorava è stato vittima di un gravissimo incidente: durante la costruzione di un palazzo a Milano, le pareti dello scavo dove era impegnato sono crollate e lui è rimasto sotto la terra e le macerie. Colpito alla spina dorsale, è rimasto paralizzato ed ha trascorso il resto della sua vita in un letto d'ospedale, prima a Milano, al Niguarda, poi a Pietra Ligure. 
È morto il 27 agosto 1961.




lunedì 7 gennaio 2013

LA "MAPPA" DEGLI OGGIONI A VERDERIO di Giulio Oggioni


Durante le feste di fine anno 2012, Marco Bartesaghi, nell'inviarmi gli auguri per il Nuovo Anno, mi ha chiesto un piccolo favore: fare una mappa degli Oggioni che, in passato, erano presenti nella nostra comunità. Esaudisco la sua richiesta con grande piacere.Giulio Oggioni

Nel mio libro, Quand sérum bagaj, che ha avuto un discreto successo, tanto da dover fare una seconda edizione (esaurita pure quella), avevo già accennato ai diversi cognomi e i loro soprannomi, con i quali era più facile l'identificazione.

Oggi, se apriamo la guida telefonica, scopriamo che a Verderio Superiore, tralasciando i nuovi arrivati che ormai hanno raddoppiato la popolazione, gli Oggioni sono ancora i più numerosi, seguiti dai Colombo, dai Villa, dai Sala, dai Motta, dai Brivio, dai Frigerio e via di seguito.
Ho fatto una breve ricerca molti anni fa per conoscere l'origine del cognome Oggioni e ho scoperto che lo storico Dante Olivieri, nel suo dizionario toponomastico lombardo, dice che il cognome deriva da Octorius, mentre il Merati, un altro studioso, asserisce che è ricollegabile al gallico dunno o duno che significa monte o castello.
Potrebbe quindi essere stato importato in Brianza con le invasioni dei popoli del nord molti secoli fa, magari quando fu fondata Uglona, l'attuale Oggiono, oppure Oggiona, nel varesotto. Qualche altro esperto mi ha suggerito di continuare la ricerca perché, secondo loro, il casato è di provenienza svizzera. Non ho tanta ambizione e mi fermo a parlare delle origini di quelle famiglie Oggioni che erano presenti a Verderio negli ultimi due secoli.

Con ogni probabilità, il primo antenato degli Oggioni risale a diversi secoli fa: nulla mi impedisce di pensare che tutti i ceppi ancora presenti fossero allora imparentati e che solo in seguito, con il passare degli anni, le divisioni, i cambi di residenza, la costituzione di nuove famiglie e altro, si è creato lo smembramento dell'unica primitiva dinastia.
Posso quindi parlare solo degli Oggioni, tra l'Ottocento e il Novecento, in pratica tutto quello che ho raccolto da testimonianze passate.

Gli Oggioni, a Verderio, si dividevano in otto ceppi, tre o quattro dei quali, pare, fossero, in questi ultimi due secoli, imparentati.
Un ceppo, al quale appartengo, abitava alla cascina La Salette, estremità ovest del paese, in località Sernovella. Un altro, risiedeva in via Fontanile, mentre il terzo attorno alla Chiesa Vecchia, prima e dopo la sconsacrazione della stessa, avvenuta nel 1902.
Altri tre ceppi risiedevano nella Corte Nuova, sulla centrale via sant'Ambrogio, uno alla cascina Alba, al confine con Cornate d'Adda e, infine, uno anche in via Campestre.

GLI OGGIONI DE "LA SALETTE"
Gli Oggioni della Salette si installarono all'inizio del 1856, quando il conte Luigi Confalonieri, che aveva appena ultimato la sua grande cascina, la cedette in affitto a quattro famiglie patriarcali: Oggioni, Colombo, Aldeghi e Frigerio. E' in questa cascina che, probabilmente, il patriarca Federico, Fredich, prese posto.



Cascina "La Salette"


Gli Oggioni erano i più numerosi e occupavano, entrando dal portone centrale, la parte destra, dal pianterreno fino alla cima della torre. I Colombo e gli Aldeghi, la parte centrale, mentre i Frigerio l'altra estremità di sinistra. Tra gli Oggioni e i Colombo avvennero anche dei matrimoni e pertanto i vincoli di parentela si estero anche con cognomi diversi.
All'inizio del Novecento, proprio per l'espansione delle famiglie e per necessità di spazio, una parte degli Oggioni fu costretta ad emigrare alla cascina Borgonovo, Burnoeuv, e, nel 1927, alla cascina san Giuseppe, Pulentel, polentina. Entrambe erano sul territorio di Verderio Inferiore ed appartenevano alla parrocchia. Un'altra famiglia emigrò, dopo la guerra, a Robbiate. Un'altra si trasferì in centro paese. Tutte le altre restarono alla Salette, costrette però, a seguito dei vari matrimoni dei figli, a dividere i grandi locali, ricavandone di più piccoli, oppure a vivere in più famiglie negli stessi locali.

Cascina Borgonovo (foto Luigi Oggioni)
Io ricordo ancora che mio nonno ereditò dalla famiglia patriarcale l'ampia cucina a pianterreno, che fu poi suddivisa con steccati di cartone, tenuti da listelli di legno, per ricavare una piccola cucina, una stanza comune e una piccola anticamera.
Questo tipo di sistemazione non era un'esclusiva degli Oggioni, ma avveniva in tutte le famiglie contadine di allora, costrette a trovare posto per i figli che decidevano di restare in famiglia.

"In questa vecchia foto scattata negli anni trenta, tutte le donne degli Oggioni con i bambini alla cascina La Salette
 
Con la scomparsa dei vecchi, l'arrivo dell'industrializzazione e lo sviluppo edilizio degli anni Settanta e Ottanta, molti componenti furono costretti a lasciare le vecchie abitazioni per trasferirsi altrove. Come del resto, hanno fatto tutte le altre famiglie di Verderio. Lo ricordo benissimo: si trasferivano verso le città metropolitane, vicine al posto di lavoro.

GLI OGGIONI DI VIA FONTANILE E DELLA "CHIESA VECCHIA"
Il secondo ceppo degli Oggioni risiedeva nella prima corte della via Fontanile, il cui ingresso era frontale alla piazza Roma. Entrambi i ceppi, quello de La Salette e di via Fontanile, erano chiamati di Fredich, con l'aggiunta de La Salette, per i primi, a ricordo appunto di Federico, il primo antenato.

A sinistra l'entrata della "Curt di Fredich, in via Fontanile


Il terzo ceppo, quello residente attorno alla Chiesa Vecchia, alla fine della via Principale, aveva anche un altro soprannome: Beloeusc, per via di una antenata, Anna Colombo, che aveva sposato un Oggioni e generato numerosa prole, che proveniva da Bellusco.

La corte abitata dagli Oggioni presso la "Chiesa Vecchia"


Questi soprannomi erano indispensabili per le famiglie contadine di allora perché, avendo in molti lo stesso nome, con il nomignolo ogni persona era più facilmente individuabile. Per esempio, quando si citava un certo Giuseppe, diventava più facile riconoscerlo se si aggiungeva, dei Beloeusc, di Fredich, de la Salette, e così via.

La capostipite degli Oggioni,Anna Colombo, dei Beloeusc con i suoi bambini
Una ventina di anni fa ho scoperto che questi tre ceppi erano sicuramente imparentati tra loro, quando, casualmente e di passaggio per imbarcarmi per la Sardegna, andai a trovare suor Valeriana Oggioni che, dopo tanti anni di lavoro in America, era ricoverata alla casa madre delle suore dell'Immacolata di Genova.
Quasi novantenne, ma ancora lucidissima, mi raccontò la storia del parentado, citando nonni, bisnonni e trisnonni comuni che erano coinvolti nei tre ceppi. La sua scomparsa avvenne poco dopo e ora ho il rammarico di non aver preso nota della sua ricostruzione e di aver dimenticato tutto.

GLI OGGIONI DELLA "CORTE NUOVA"
Altri tre ceppi Oggioni, come ho già detto, risiedevano nella Corte Nuova, nel centro paese, con l'ingresso sulla via sant'Ambrogio. Quello più numeroso abitava sul lato destro, mentre gli altri due, composti però da una sola famiglia, sul lato sinistro e avevano due soprannomi diversi: Muscarola e di Boeus, o anche Titina.

"Corte Nuova" in via Sant'Ambrogio
Quello più numeroso della corte, per distinguerlo dagli altri due, aveva un altro soprannome: Pulet. E' difficile risalire al significato di questo nome. Durante la dominazione napoleonica dell'Ottocento, molte parole francesi, diventarono anche espressioni dialettali e sono rimaste tuttora. Forse Pulet, derivava appunto dal francese poulet, che ha diversi significati: pollo, gallo di primo canto, tesoro, galante e anche poliziotto. Che sia stato usato per qualche antenato che aveva a che fare con questi significati? Nessuno lo ricorda più.

GLI OGGIONI DI CASCINA ALBA E DI VIA CAMPESTRE
Anche il ceppo Oggioni di cascina Alba aveva il soprannome "Fredich", anche se, questo è certo, non derivava dall'altro antenato già citato. Curiosamente, gli avevano affibbiato questo identico soprannome solo perché inizialmente, prima di trasferirsi alla cascina Alba, abitavano nei locali di quel patriarca di nome Federico di via Fontanile. Il ceppo della cascina Alba era però imparentato con i Pulet, della Corte Nuova. Prima della Seconda Guerra Mondiale, alcuni componenti abbandonarono il paese per trasferirsi a Verderio Inferiore e a Paderno Dugnano.

"Cascina Alba", sulla strada per Cornate
Rimane da citare l'ultimo ceppo, quello che abitava in via Campestre. Anche questo nucleo, per distinguerlo dagli altri, aveva un soprannome strano: Scroch, che significa furbo. Non è stato possibile conoscere il motivo di tale nomignolo però si sa che i componenti della famiglia di Fendin, dal capostipite Defendente, erano ottimi macellai, in particolare di maiali la cui uccisione avveniva nei primi due mesi dell'inverno.

Al centro della foto il portone d'entrata della "Curt di Scroch", in via Campestre


Ecco, vi ho parlato degli Oggioni e dei loro soprannomi: allora, ogni famiglia aveva il suo ed era conosciuta più per il nomignolo che per il cognome reale.
Ancora oggi, quando mi capita di parlare con qualche anziano concittadino abitante fuori paese (ne sono rimasti pochissimi) e ho l'impressione di non essere riconosciuto, mi presento come Giulio de Giusep de la Salette, di Fredich,e il volto del mio interlocutore si illumina all'improvviso!
Che nostalgia per quei tempi!
È tutto quello che so, spero di non aver dimenticato nulla. Sarei grato a chi avesse altri particolari da aggiungere.

Giulio Oggioni

IL "MAGLIFICIO G. BARAGGIA" A VERDERIO SUPERIORE di Beniamino Colnaghi



Il dato più attendibile circa il significato e l’origine del cognome Baraggia ci conferma che “la baraggia” è l’area pedemontana che dalle Prealpi, site sotto il massiccio del Monte Rosa, si sviluppa verso il piano a terrazzi o in lieve graduale declivio verso sud est. La baraggia è una terra che prende il suo nome dalla brughiera, ovvero un tipo particolare di landa ricoperta da brugo o erica, arbusto sempreverde. In tempi antichi, questo tipo di vegetazione la rese un luogo ideale per i pascoli invernali delle greggi transumanti dalle Alpi biellesi. Con i secoli e con una capillare quanto ingegnosa opera di canalizzazione, parte della baraggia è stata trasformata in risaia. Il riso è l’unica coltura che può sopravvivere a questo tipo di terreno e di habitat ed assume delle caratteristiche morfologiche e qualitative uniche.


La baraggia vicino a Biella




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