sabato 25 settembre 2010

CECILIA AL "TOR DE GEANTS" IN VAL D'AOSTA

 Dal 12 al 19 settembre si è svolta in Val d'Aosta la prima edizione del "Tor de Gèants", una corsa in montagna che si sviluppa su un percorso di 330 Km, con un dislivello positivo di 24000 metri e un tempo massimo di percorrenza consentito di 150 ore. Cecilia Bellotto, di Verderio Superiore, ha partecipato alla gara. Le ho chiesto di rispondere a qualche domanda: molto gentilmente ha acconsentito. Grazie. M.B.




Ciao Marco,
oggi interrompo un po' prima i miei doveri lavorativi, ottima scusa la tua mail per fermarmi un attimo e, rispondendo alle tue domande, riassaporare le emozioni delle giornate vissute la scorsa settimana sulle Alte Vie della Val d'Aosta, impegnata nel Giro dei Giganti , il Tor de Gèants, alla sua prima edizione assoluta, prima che entrerà nella storia del trail, nella storia della regione Val d'Aosta, nella storia di tutti gli atleti che hanno partecipato, di chi ha mollato all'inizio o dopo la metà, di chi ha tagliato il traguardo per primo o per ultimo, dei mille 



volontari che erano impegnati giorno e notte a prestare assistenza e soccorso, dei tanti amici e famigliari che in live da casa seguivano tappa per tappa i loro concorrenti, di chi è riuscito a vederli passare all'alba, al tramonto , sotto il sole, in fondo alla valle o in cima ad uno dei 25 colli, innamorandosi così un po' anche loro della corsa in montagna. L'hanno descritta come la corsa più dura mai organizzata in Italia, il giro della Val d'Aosta lungo 332,538 chilometri, 24.000 metri di dislivello positivo e altrettanti in negativo, che per molte ragioni sono ben più difficili delle salite. 150 h il tempo massimo per portare a termine la prova, vince chi impiega meno tempo gestendosi i riposi e le fermate ai ristori. Per me era il primo endurance trail a cui con riverenza e tanti timori mi avvicinavo. Il tracciato è splendito, concatena le Alte Vie 2 e 1 della Valle d'Aosta: si parte da Coumayer e con l'Alta Via 2 si raggiunge Donnas, il punto più basso a 300 m, poi è l'Alta Via 1 che ti riporta a Coumayer. Detto così sembra facile. In realtà per farlo si scavalcano 25 colli sopra i duemila metri, il più alto è il Col Loson, a 3298 metri, il mio preferito l'Entrelor , o il Malatrà ,difficile scegliere. Si passa vicino ai quattro 



giganti delle Alpi, i nostri 4000: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Paradiso ed il Cervino. Ma non posso dimenticare la vista sul Mon Velan o il ghiacciaio del Rutor,ricordi di trascorse vette scialpinistiche. Si attraversano i Parchi Naturali del Gran Paradiso e del Del Mont Avic, 30 laghi alpini, 34 sono i comuni coinvolti, 7 le basi vita (Valgrisanche, Cogne, Donnas, Gressoney, Valtournanche, Ollomont e Coumayer), 43 i punti ristoro. Centinaia i volontari, molte guide alpine, gestiori di rifugi ed alpeggi, soccorso alpino e primo soccorso, persone speciali di cui ho ammirato la  preparazione e la disponibilità. Erano lì per noi, in cambio solo la nostra infinita riconoscenza, e un po' anche per l'Alta Via e per la rivalutazione delle loro montagne. Questo trail è stato oltre che una manifestazione sportiva agonistica unica , anche un potente mezzo di promozione turistica per il territorio valdostano e per tutti i comuni coinvolti. La regione ci ha creduto  molto, ha stanziato fondi decisamente straordinari rispetto a quelli che normalmente destina alle associazioni che organizzano trail o gare sportive anche di una certa rilevanza, cogliendol'occasione per impegnare tutte le valli nella manutenzione dei sentieri e nel rinnovo e completamento della segnaletica. Sino ad ora le Alte Vie valdostane si perdevano, la 2 terminava a Chardonney, sotto la Finestra di



Champorcher, la 1 partiva da Gressoney. Adesso sono state unite in un unico titanico anello, utilizzando sentieri percorsi solo per aggiungere villaggi isolati e ruderi dimenticati. Hanno aggiunto tutto il tracciato che da Donnas porta a Gressoney, lambendo il territorio biellese. E se è vero che le nostre strade asfaltate si distruggono più passano macchine, e adesso ne passano veramente troppe, per i sentieri vale il contrario, più sono percorsi più diventano visibili, semplici, percorribili da tutti. E così ciascuno dei 310 atleti partiti da Courmayer certamente voleva compierel'impresa della sua vita, vivere l'emozione di fare il giro delle Alte Vie con le proprie forze, una grande prova agonistica e personale; ma insieme ha contribuito a ridisegnare con tracce indelebili un percorso nella storia e nelle montagne della Valle d'Aosta. Io ero con loro, quella Domenica mattina 12 Settembre alle h.10 nella piazza Abbé Henry di Coumayer. Ero con loro a tagliare il mio traguardo il Sabato successivoall'una di notte. 



Come mai hai deciso di partecipare?
L'idea è nata in una piccola enoteca. Lo so, detta così suona quasi che ero un po' sbronza e quindi non potevo prendere decisioni sagge. In realtà sono completamente astemia e in enoteca sono gli altri che bevono anche il mio bicchiere. Ci ritroviamo spesso lì con alcuni amici frequentatori del parco di Monza, lì si allenano con costanza e vantano traguardi e risultati che per me sono e resteranno irraggiungibili. Lì si parla di allenamenti, ma anche di progetti piccoli e grandi. C'era Marco, mio compagno, Flaminio e Davide, credo fosse oramai più di sei mesi fa. Con loro l'estate 2009 avevamo organizzato in completa autonomia uno splendido viaggio in mountain bike in Ladakh, il Paese degli alti Valichi nell'India del Nord, abbiamo percorso la Spiti Valley, la Manali-Leh e poi lo Zanskar fino a Padum, scavalcando passi oltre i 5000 metri d'altezza. Proprio quei territori diventati quest'estate tristemente famosi perché devastati da tante alluvioni e dal passaggio di monsoni. C'era la voglia di darsi un nuovo obiettivo e Marco ha messo sul tavolo una paginetta stampata da internet, poche righe che riassumevano il Tor de Geant. Lasciandoci quella sera ci siamo detti: va bene pensiamoci e poi vediamo. La mattina successiva sono arrivata in ditta un po' prima e ho formalizzato, già emozionata, la mia iscrizione via internet. Marco e gli altri sono rimasti spiazzati, ma dopo poco anche loro figuravano tra i primi 50 iscritti nel sito del Tor. E trascinato a ruota un altro amico di Milano, Vittorio. Nessuno di noi aveva mai partecipato a nulla del genere, certo tutti sportivi, tutti amanti della corsa su strada e in montagna, alcuni da anni partecipano a skyrace, io la novellina che si lascia coinvolgere in un attimo, avrò alle spalle sì e no una decina di skyrace ma tanti, troppi bei ricordi e forti emozioni. Una gara del genere non poteva che aggiungerne tanti altri, ci è voluto veramente poco per convincermi.



Quale obiettivo ti eri prefissa?
Obiettivo dalla prima all'ultima tappa: arrivare al traguardo, rispettando tutti i cancelli stabiliti da regolamento, e arrivare in salute e in forma sia fisica che mentale. La gara più lunga che avevo affrontato a Luglioanche come preparazione , il Grand Trail Valdigne (87km, 5000 m di dislivello) mi aveva insegnato qualche cosa: dopo 50 km in cui mi era sembrato di volare, ho pagato le conseguenze di discese troppo veloci e salite su terreni bagnati dal forte temporale, e ho tagliato il traguardo su una gamba sola, sorretta da un bastoncino di un amico che mi ha trovato zoppicante nella notte mentre in più di tre ore cercavo di percorrere l'ultima infinita discesa, la discesa più dolorosa della mia vita. Per una settimana due piedi e due gambe che sembravano zamponi, poi la diagnosi: tenosinovite alla loggia tibiale anteriore e posteriore di entrambe le gambe. E così costretta al riposo per un mese, una sofferenza per chi è abituato ogni giorno a praticare sport, diventa una cosa di cui non puoi proprio fare a meno, come per molti la tazzina di caffé al bar o la sigaretta dopo mangiato. Dopo questo stop forzato mi sono promessa che non avrei mai più superato il limite, e che se il mio corpo mandava segnali avrei saputo ascoltarli e rispettarli. E così ho fatto, forse ho chiuso un occhio negli ultimi trenta km ignorando un po' di dolori e buttando giù un paio di antinfiammatori, ma oramai ero arrivata.




Come ti sei preparata?
La preparazione è la parte più bella di qualsiasi gara. Te lo potranno confermare tanti runner che vedo correre per Verderio alle ore del giorno più svariate, c'è chi lo fa per svago, per salute, per dimagrire. Ma chi lo fa per preparare una gara, magari una maratona, e vuole migliorarsi o raggiungere un obiettivo, anche modesto, normalmente segue delle tabelle. E così ho seguito più o meno delle tabelle che prevedevano una preparazione di 4 mesi, con 3 "lavori" principali e 2-3 sedute opzionali. E poi alla domenica qualche gara di Skyrace: il Trofeo Gherardi in val Taleggio, la Resegup che da Lecco ci ha portato in un attimo in cima al Resegone, la Valmalenco-Valposchiavo che ripercorre le antiche tracce dei contrabbandieri, l'Ultramarathon del Ticino, il Trail sul Monte Soglio. Ma gli allenamenti che ricordo di più sono le ripetute sul San Genesio all'alba o le discese dal Cornizzolo dopo il tramonto, la "Direttissima" illuminata solo dalla luce della pila frontale , mentre cerco di imparare la giusta tecnica di impiego dei bastoncini, non senza devastanti cadute.
Lavorando di giorno e per tante ore lo spazio e il tempo per allenarmi durante la settimana sono sempre in orari un po' anomali, presto la mattina o tardi la sera, ma questo regala anche panorami, colori, silenzi ed emozioni che pochi conoscono . I week end poi sono ottimi per gli lunghi e i doppi lunghi e ho la fortuna che partendo da casa in un attimo mi ritrovo sull'Adda, ottimo terreno di allenamento. In agosto poi sono andata a provare il percorso in tappe, è stata la mia vacanza. Il tempo era pessimo, e così siamo stati costretti più volte a rinunciare ai colli più alti o a bivaccare per l'impossibilità di proseguire per troppa neve. Ma quasi tutto
il tracciato in un modo o nell'altro l'avevo provato, l'ultima tappa che mi rimaneva , quella da Valtournanche a Ollomont, l'ho provata la domenica prima della partenza, quando a Verderio correvate tutti o quasi per quella corsa che una volta era la Sgambada Verderiese e che certamente l'anno prossimo tornerà ad esserlo. L'ho corsa sin da quando ero piccina, questo era il primo anno che non c'ero, ma si trattava di una causa di forza maggiore.



Come si svolge la gara ( di corsa, camminando, come ci si riposa, come ci si nutre, come ci si orienta, quali sono i controlli)?
La gara la fanno tutta di corsa solo quelli che poi si piazzano nelle prime posizioni, , gli altri camminano veloci in salita e corrono chi più chi meno veloce in discesa. Bisogna gestirsi i riposi nelle basi vita, dove si può mangiare e dormire quanto si vuole, sempre rispettando però i limiti dei cancelli orari. Fuori dalle basi vita da regolamento si può dormire solo due ore, in realtà i rifugi, persino un bed and brakfast e una tenda dell'infermeria ci hanno accolto anche per più ore. Certamente nutrizione e riposo sono due punti critici di questa gara, quelli che fanno la differenza. Bisogna essere in grado di mandare giù tra le 6.000 e le 8.000 calorie al giorno, e lo devi fare con alimenti che digerisci velocemente pur ingurgitandoli tra un ristoro e l'altro, se non che addirittura in movimento. Non facile per una come me che a cena finisce sempre inevitabilmente per ultima. Il riposo poi è la carta che ti fa perdere o vincere: il primo, l'altoatesino Ulrich Gross, è arrivato mercoledì sera dopo 80 ore e mezza, dormendo 2 h e mezza in microsonni. Tanti più umani si sono ritirati convinti di poter arrivare al traguardo dormendo si e no un'ora e mezzo al giorno, salvo poi crollare congelati tra i licheni ed alzarsi la mattina dopo bagnati ed infreddoliti. Una gara insomma da gestire, sicuramente il fatto di aver percorso in agosto il tracciato mi ha aiutato a non compiere errori madornali, ero partita con un programma che definiva partenze ed arrivi, punti e durata delle soste. Più o meno sono riuscita a rispettarlo, per alcuni problemi abbiamo ritardato l'arrivo ad Ollomont e trascorso l'ultima notte quasi insonne. Il giorno successivo mi accorgevo io stessa di non avere lucidità mentale e dovevo cercare dappertutto le forze per proseguire. Il mio cellulare, acceso solo l'ultimo giorno giunti alla base vita di Ollomont, ha scaricato alcuni bellissimi messaggi di persone che mi seguivano da casa e tifavano per me, mia zia , mia cugina, sono arrivati al momento giusto e mi hanno dato una marcia in più per proseguire. Sicuramente la deprivazione di sonno è una delle difficoltà maggiori della gara, soprattutto considerando che più sport si pratica maggiore dovrebbe essere anche il riposo.


 
Momento (o momenti più belli)?
Tre i momenti più belli: il primo la discesa dal Col Fenetre su Rhemes Notre Dame, svalichiamo al buio, siamo in tre, io , Marco e Vittorio, tre piccole torce nella notte che scivolano a valle. Lì sotto a distanza intravedo due figure, sono lì che mi aspettano lo so, questa è sempre stata la nostra valle. Quando ero piccola e fino ai miei sedici anni mio padre insieme con sei colleghi avevano in affitto una piccola baita a 2300 metri di altezza, in località Tumel, si chiamava la Baita dei Sette Nani. Mancava tutto, il gas, la luce, l'acqua. Bisognava inventarseli. Portare le taniche e scaldare l'acqua di giorno, andare a dormire al calare delle tenebre. Qui ho i ricordi delle mie vacanze più belle. E mio papà e mia mamma sapevo che non potevano che aspettarmi lì, infreddoliti ed avvolti nelle loro giacche a vento perché erano solo le sei e mezza del mattino. Emozionati più di noi, li ritroveremo poi al traguardo, all'una di notte.
Il secondo il tramonto che ha riempito di rossi, poi di aranci e poi di rosa la Val d'Aosta mentre risalivo da Donnas verso il Rifugio Coda, lo avevo alle spalle ma non potevo non fermarmi in continuazione per guardarlo, toglieva il fiato. E arrivati poco prima del rifuglio, sul Col Carisey, le mille luci di Biella che riempivano l'altro lato della valle, un presepe aspettato a fine estate.
Il terzo la corsa per arrivare in cima al Col Malatrà prima del buio, attaccarsi alle corde, sporgere il muso dall'altra parte, verso la Val Ferret, e trovarsi all'improvviso davanti un Monte Bianco vestito di rosso, immenso. Non può non venirti una gran voglia di corregli incontro, anche seoramai hai già percorso più di 315 km.




Valeva la pena? Lo rifaresti?
Valeva la pena... certamente! sono contentissima di averlo fatto, di averlo portato a termine, di essere tra quel 40 % degli atleti che sono riusciti a prendere l'ultima medaglia, quella di Coumayer. Ne conservo una per ogni base vita conquistata. Lo rifarei? rifarei certamente il Tor se lo trasformassero in una gara a tappe. Fatto così, in un'unica tappa, non si può gustare interamente la bellezza del giro proposto. Io per fortuna l'avevo già percorso d'estate, salvo pochi tratti, e quindi quello che mi sono persa in piena notte lo conoscevo. Ma tanta gente, anche tanti atleti stranieri che magari non torneranno più in Val d'Aosta, non possono dire di aver visto ed assaporato la bellezza delle nostre Alte Vie. Secondo me avrebbe più senso organizzare 6 o 7 tappe e sommare i singoli tempi, lasciando la possibilità ad esempio di partire da una base vita alle quattro della mattina ed arrivare fino alle 22 di sera. In questo modo si eviterebbe che persone stanche si aggirino nella notte in posti che possono diventare pericolosi. Quest'anno è andata sicuramente bene, il meteo è stato splendido, ma se le condizioni fossero diventate quelle che io ho trovato a metà agosto con le scarpette da ginnastica a 3000 metri d'altezza e con tre notti insonni alle spalle è veramente troppo facile che qualcuno si faccia del male. La gara non la fermerebbero, perché questa è la gara dei "giganti", e gli atleti devono essere preparati ad affrontare qualsiasi condizione metereologica. Gara a tappe o severa selezione alla partenza, mi verrebbe quasi da richiedere un test psicologico-attitudinale. Ho visto persone deambulare troppo pericolosamente nella notte e non tutti sapevano quanto la montagna può diventare severa e seriamente pericolosa.


venerdì 24 settembre 2010

IL FONDO GNECCHI RUSCONE, UNA MINIERA IN CUI IMMERGERSI di Fabio Luini


Fra breve sarà (finalmente) possibile consultare la documentazione organizzata sotto la denominazione di "Fondo Gnecchi Ruscone". Sotto tale denominazione vanno, in realtà, quattro partizioni relative alle famiglie Confalonieri, Arrigoni e Gnecchi Ruscone e alla documentazione consegnata dall'Ingegner Gavazzi.

LA PRIMA PAGINA DELL'INVENTARIO DELL'ARCHIVIO
STORICO DI VERDERIO

Complessivamente, si tratta di quasi 1900 pezzi conservati in 65 faldoni, un intero armadio ricco di informazioni e notizie sul nostro territorio. Il materiale data a partire dalla fine del '500, e parecchia documentazione è relativa al periodo che va dalla metà del '600 a tutto l'800.

Nel suo complesso si tratta senza dubbio del più importante fondo archivistico della nostra zona e attende di essere studiato e valorizzato.



Di grande importanza è sicuramente la documentazione relativa alle compravendite di fondi e case nei territori dei due Verderio, Paderno d'Adda e, in misura minore, Robbiate e Cornate d'Adda. Si tratta di materiale da cui emergono toponimi forse dimenticati (o forse no), destinazioni d'uso, proprietari. Tutto un mondo che girava attorno all'agricoltura, alla terra e al suo utilizzo. Fa eccezione la ricca parte relativa alla casa milanese di proprietà prima Confalonieri, poi Gnecchi Ruscone, documentata con ricche descrizioni a partire dalla fine del '500.


UNA PAGINA DELL'INVENTARIO DELL'ARCHIVIO
STORICO DI VERDERIO



Interessante è anche la documentazione relativa alle due Guerre Mondiali, la Prima soprattutto, della quale sono documentati soprattutto i rapporti con le autorità militari, in particolare relativamente a contadini sotto le armi, le requisizioni di cereali e l'amministrazione del convalescenziario per ufficiali collocato in alcuni locali della villa padronale.



Il fondo, come detto, merita sicuramente attenzione e le due Amministrazioni intendono valorizzarlo attraverso, in primo luogo, la pubblicizzazione dell'inventario che lo correda, inventario che entro qualche settimana sarà pubblicato sui siti internet dei due Comuni. L'auspicio è di costruire percorsi di valorizzazione attraverso ricerche, tesi di laurea, pubblicazione di materiale sulla rete (come già fatto, seppure in minima parte, all'interno del progetto "Archivio on web"), mostre tematiche.

Fabio Luini




Il dott. Fabio Luini è il tecnico archivista che, per conto dalla Cooperativa Archimedia, ha avuto il compito di ordinare e catalogare l'Rchivio Storico di Verderio.

LA GENESI DELL'ARCHIVIO STORICO DI VERDERIO di Marco Bartesaghi



La cronaca di come si è formato l'Archivio Storico di Verderio può essere suddivisa in alcuni episodi.

Il primo risale al 26 aprile 1997, quando, in concomitanza con l'avvio dei lavori di ristrutturazione dell'ala ovest di Villa Gnecchi di Verderio Superiore, furono recuperati documenti dell' "Azienda Agricola Vittorio Gnecchi", che giacevano abbandonati in un locale per molti anni adibito ad ufficio degli "agenti di campagna" susseguitisi nella gestione dell'azienda: documenti, in gran parte del XX secolo, riguardanti i rapporti fra la proprietà e i coloni, la compravendita di immobili, il catasto, la gestione della villa padronale e le situazioni particolari createsi a causa degli eventi bellici del 1915/18 e del 1940/45.



Il loro intrinseco valore e la convinzione che ulteriori documenti, della stessa famiglia o di altre legate alla storia di Verderio Superiore e Inferiore, potessero aggiungersi, fece nascere l'idea di costituire un Archivio Storico comune ai due paesi. Dopo un primo riordino, il materiale fu perciò mostrato dall'allora sindaco Ferdinando Bosisio al signor Giancarlo Carlotti, individuato come uno degli ultimi proprietari dell'azienda e quindi dei documenti: egli, giudicando positivamente l'iniziativa, diede il consenso alla conservazione delle carte presso i due comuni.



Del progetto fu messo al corrente anche l'architetto Francesco Gnecchi Ruscone, il quale, valutandolo a sua volta positivamente, decise di mettere a disposizione la documentazione di famiglia in suo possesso: carte che, a partire dalla prima metà del '500, riguardano i beni della famiglia Airoldi, il loro passaggio, agli inizi del '600, ai Confalonieri, il consolidamento e lo sviluppo della proprietà, nei secoli XVII, XVIII e XIX, nelle mani di questi ultimi, fino alla vendita, nel 1888, a favore della famiglia Gnecchi Ruscone.





Alcune serie di questi documenti si presentavano, al momento della consegna, in cattive o pessime condizioni, perché conservati in ambienti eccessivamente umidi. Affidate alle cure dell'Archivio Plebano di Vimercate, diretto dalla signorina Maria Corbetta, grazie al lavoro del signor Carlo Mauri e dei suoi collaboratori, sono state in buona parte salvate.


Oltre ai già citati documenti, l'architetto Gnecchi consegnò all'Archivio un faldone riguardante la Roggia Annoni - canale d'irrigazione acquistato, insieme al "fondo Bergamina", da un ramo della famiglia negli anni trenta del novecento -, un altro riguardante il diritto di pesca nel lago di Sartirana, bacino da cui la roggia proveniva, e un altro ancora relativo alla casa che gli Gnecchi possedevano a Milano in via Filodrammatici, oggi sede di Mediobanca.



Il terzo episodio di questa cronaca è fortunoso quanto e forse più del primo. I discendenti del musicista Vittorio Gnecchi Ruscone avevano avuto a disposizione per molti anni un locale attiguo alla chiesa di Sant'Ambrogio, di proprietà della Parrocchia di Verderio sup., dove conservavano carte di famiglia, in gran parte relative all'attività musicale del congiunto.


Nel novembre 1998 decisero di liberare il locale, tenere le carte ritenute utili ai loro scopi e destinare alla discarica le rimanenti. Il signor Giancarlo Bosisio, incaricato del trasporto di queste ultime, informò alcune persone impegnate nel progetto di costituzione dell'archivio, affinché valutassero se, fra il materiale avviato al macero, non ci fossero documenti da salvare.


La maggior parte di quanto fu così recuperato è riconducibile a Vittorio Gnecchi Ruscone. Altri documenti sono relativi invece all'intera famiglia, riguardando le sue attività economiche e finanziarie e la sua vita interna. Particolarmente interessanti, a proposito di quest'ultimo aspetto, le minute de "Il Giornale di Famiglia", un periodico manoscritto che i suoi componenti tennero in vita dal 1867 fino agli inizi del '900, rispettando per tutti quegli anni la frequenza settimanale della pubblicazione.






Un gruppo di documenti, meno consistente come quantità dei precedenti ma comunque significativo e importante, è stato donato dalla signora Giovanna Gnecchi Premoli. Riguarda i beni immobili che furono proprietà di suo nonno, Alessandro Gnecchi Ruscone, dislocati soprattutto nel centro storico di Verderio Superiore.



Un altro lotto di documenti pervenuto all'Archivio è stato donato dal signor Giuseppe Gnecchi Ruscone. Riguarda, in gran parte, i beni che , nella prima metà del '600, passarono dalle mani degli Airoldi a quelle dei Marchesi Arrigoni e da questi, nel 1823, a Giacomo Ruscone. Contratti di compravendita, rapporti con le proprietà limitrofe, ma anche documenti, in particolare registri, riguardanti le produzioni agricole e i rapporti con i contadini. Alla morte di Giacomo Ruscone, 1842, i suoi possedimenti furono ereditati dai nipoti Giuseppe e Carlo Gnecchi. Per volontà dello zio essi acquisirono anche il suo cognome, che da allora identifica questo ramo della famiglia come Gnecchi Ruscone Oltre a quanto già citato, sono presenti due mappe del territorio di Verderio Superiore e Inferiore: in una, in un solo foglio, è evidenziata la proprietà Ruscone, e risale quindi alla prima metà dell'ottocento; nell'altra, in quattordici fogli, è messa in evidenza la proprietà Confalonieri e, per la presenza dell'Aia, può essere datata alla seconda metà di quel secolo.


Recentemente un consistente gruppo di documenti sono stati messi a disposizione dell'archivio dalla famiglia Gavazzi.


Nell'ottobre del 1999 la cooperativa Archimedia ha presentato un progetto per l'ordinamento e la valorizzazione dell'archivio; nel gennaio dell'anno 2000 ha ottenuto l'incarico per la sua realizzazione.


Oltre all'inventario dei documenti di cui sopra si è parlato, Archimedia, avendo ricevuto l'incarico dai comuni di Verderio Inf. e Sup., Paderno, ha effettuato una ricognizione presso gli archivi di stato di Como e Milano e presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano alla ricerca dei documenti riguardanti il territorio dei tre comuni, conservati presso quelle istituzioni: ciò ha permesso la compilazione di un lungo elenco di carte che sarà a disposizione dei frequentatori dell'Archivio Storico, facilitandone il lavoro di ricerca.



Marco Bartesaghi


Nelle immagini alcune pagine di un libretto colonico.

giovedì 23 settembre 2010

LA FAMIGLIA GNECCHI RUSCONE A VERDERIO di Marco Bartesaghi


La famiglia Gnecchi Ruscone, originaria di Garlate, alla fine del XVII secolo si era dedicata alla produzione della seta e aveva sviluppato questa attività nei due secoli successivi, portando la propria azienda a diventare, in particolare nella commercializzazione del filato, una delle più importanti di Lombardia e, quindi, d'Italia. La famiglia aveva curato direttamente la ditta fino al 30 aprile 1878; in seguito l'aveva data in gestione a due vecchi collaboratori, Giuseppe Ferrario e Michele Sessa.
La presenza degli Gnecchi a Verderio ebbe inizio nel 1842, quando Giuseppe e Carlo, figli di Giuseppe Antonio e di Giuseppa Ruscone, ricevettero in eredità da uno zio, Giacomo Ruscone, i beni che questi aveva acquistato nel 1824 dal marchese Decio Arrigoni..


 GIUSEPPE GNECCHI RUSCONE E DI GIUSEPPINA TURATI, SEDUTI
ALLE DUE ESTREMITA', CON I FIGLI: ERMINIA, SEDUTA IN CENTRO, FRANCESCO, CHE LEGGE,
ANTONIO, VICINO AL PADRE, ERCOLE IN PIEDI FRA LE ALTRA DUE SORELLE, CAROLINA E AMALIA.


Con l'eredità, i due fratelli acquisirono, dello zio, anche il cognome, Ruscone, che da allora identifica questo ramo della famiglia: Gnecchi Ruscone.
La proprietà di Verderio si estendeva sul territorio dei due attuali comuni, ma era concentrata soprattutto a Verderio Superiore, dove gli Gnecchi possedevano edifici rurali, situati in gran parte nel vecchio nucleo, e terreni. Non vi facevano parte le antiche cascine, Airolda, Prati (della famiglia Confalonieri), e Malpensata (Casineta); era loro invece la cascina Mezzanuga, ora non più esistente. La proprietà comprendeva una villa padronale già appartenuta, anch'essa, agli Arrigoni, che l'avevano acquistata nella prima metà del diciassettesimo secolo dalla famiglia Airoldi.


VILLA ARRIGONI - GNECCHI

Nei decenni successivi, con acquisti e permute, i due fratelli modificarono la consistenza dei loro beni e realizzarono due cascine, Amalia e Isabella, la prima dedicata alla moglie di Carlo, Amalia Decio, la seconda alla nuora di Giuseppe, moglie del figlio Francesco, Isabella Bozzotti.


CASCINA ISABELLA, SULLA STRADA PER CORNATE

Carlo Gnecchi Ruscone, che era nato nel 1816, morì nel 1886 senza lasciare figli.
Il 7 ottobre 1846 Giuseppe Gnecchi Ruscone sposò Giuseppina Turati, figlia del Conte Francesco; dal loro matrimonio nacquero Francesco, Ercole, Amalia, Carolina, Antonio ed Erminia.
Giuseppe fu sindaco di Verderio dal 1859 al 1889. Fra le sue realizzazioni il cimitero e l'asilo che prese il nome della moglie, Giuseppina, con la quale fu promotore di diverse iniziative benefiche e di scuole per adulti.


GIUSEPPE GNECCHI RUSCONE


Nel 1888 gli Gnecchi acquistarono l'intera proprietà Confalonieri, entrando così in possesso delle antiche cascine cui già si è accennato, delle più recenti, La Salette e Alba, dell'Aia posta all'incrocio della strada per Paderno e della villa oggi conosciuta come Villa Gnecchi.


VILLA CONFALONIERI - GNECCHI,
LO SCALONE CENTRALE VOLUTO
DA VITORIO GNECCHI

Alla morte di Giuseppe, avvenuta il 30 aprile 1893, la proprietà fu divisa tra i figli Francesco, Ercole e Antonio: al primo rimase, fra l'altro, la villa ex-Confalonieri, al secondo una villa di Paderno, acquistata intorno al 1880 e tuttora appartenente ai suoi discendenti, al terzo la villa ex-Arrigoni.


FRANCESCO GNECCHI RUSCONE

Francesco divenne sindaco di Verderio nel 1893, dopo il padre, che si era dimesso per gravi motivi di salute, e il Conte Luigi Annoni, che ricoprì la carica per un breve periodo. Nel 1905, mentre era primo cittadino, si consumò la frattura del comune di Verderio nei due comuni autonomi di Verderio Superiore e Verderio Inferiore: Francesco fu pertanto sindaco di Verderio fino a quell'anno e di Verderio Superiore fino al 1918. Con il diretto intervento finanziario della famiglia, in quegli anni furono realizzate diverse importanti opere d'interesse pubblico: l'acquedotto "Fonte Regina" (1895), la chiesa e la casa parrocchiale (1902), il municipio, comprendente anche le aule scolastiche (1910), l'ambulatorio e la maternità.


ANTONIO GNECCHI RUSCONE

Dal matrimonio tra Francesco e Isabella Bozzotti (11 febbraio 1873) nacquero Cesare, Vittorio e Carla.
Al figlio di Cesare, Gianfranco, si deve l'ultimo importante acquisto della famiglia: la cascina Bergamina e i relativi terreni a Verderio Inferiore, venduti nel 1933 da Federico Annoni. Il fondo comprendeva la Roggia Annoni, un antico canale d'irrigazione proveniente dal lago di Sartirana.



CESARE GNECCHI RUSCONE

Vittorio ebbe in eredità la Villa di Verderio Superiore, a cui aggiunse, negli anni venti del novecento, le statue sulla balaustrata e il parapetto in pietra scolpita della scalinata centrale. A lui si deve anche la fontana di Nettuno, nel prato prospiciente la villa, e la sistemazione a parco del terreno che, dalla cancellata che racchiude i giardini, giunge fino al confine con Paderno d'Adda. Vittorio Gnecchi, che di Verderio fu per alcuni anni podestà, fu musicista di un certo valore: a Verderio presentò, il 7 ottobre 1896, la sua prima opera, "Virtù d'Amore": una lapide, nel cortile dell'ala rustica di Villa Gnecchi, ricorda l'avvenimento. In qualche modo riconducibile alla sua attività artistica è anche la fontana posta sul confine con Paderno d'Adda, dove un gruppo di statue rappresenta la caccia al cinghiale intrapresa da Meleagro e da Atalanta: proprio a quest'ultimo personaggio della mitologia greca è dedicato un balletto composto dal maestro Vittorio Gnecchi nel 1929.
All'altro figlio di Giuseppe, Antonio, toccò la parte dei beni di Verderio non passati in eredità a Francesco. Suo figlio Alessandro successe a Vittorio nella carica di podestà e fu sindaco di Verderio Superiore, designato dal CLN subito dopo la Liberazione. La presenza in paese di questo ramo della famiglia è tuttora assicurata dalla famiglia Gavazzi (Pia, figlia di Alessandro, sposò Rodolfo Gavazzi l'11 gennaio 1932), proprietaria dell'Azienda Agricola ai Boschi, dedita all'allevamento di bovini, che comprende la cascina S. Antonio ai Boschi costruita nel 1942.

Marco Bartesaghi 

martedì 21 settembre 2010

FIUME ADDA: SCULTURE DI PIETRA di Giorgio Oggioni, seconda serie

Queste fotografie sono state scattate da Giorgio Oggioni, autore anche delle "sculture" di pietra realizzate in riva all'Adda.



 




















 




















 

mercoledì 8 settembre 2010

L'OPERA "CASSANDRA", DI VITTORIO GNECCHI RUSCONE, A BERLINO

 DEUTSCHE OPER BERLIN

L’ASSOCIAZIONE MUSICALE VITTORIO GNECCHI RUSCONE
è lieta di comunicare la rappresentazione
Delle opere : CASSANDRA / ELEKTRA
di Vittorio Gnecchi / e Richard Strauss

Dir. Donald Runnicles
Regista Kristen Harms
Coro del teatro di Berlino
Maestro del coro:William Spaulding
Coreografia : Silvana Schroder

19-22-25 Settembre 2010-
H 19.00
TEATRO DELL’OPERA di BERLINO
DEUTSCHE OPER BERLIN
BERLINO

 ASSOCIAZIONE MUSICALE VITTORIO GNECCHI RUSCONE

Piazza San Sepolcro, 1 20123 Milano-Tel. e Fax. 02-86453150

www.associazionegnecchi.org


FIUME ADDA, fotografie di Giorgio Oggioni, prima serie



























martedì 7 settembre 2010

L'INTRICATA VICENDA DEL TRASFERIMENTO A VERDERIO SUPERIORE DEL POLITTICO DI GIOVANNI CANAVESIO di Marco Bartesaghi



Il 26 ottobre 1902 alla consacrazione della nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore, dedicata ai santi Giuseppe e Floriano, oltre che dalla bella architettura e dalle vivaci decorazioni i convenuti furono favorevolmente impressionati dalla presenza di un'antica opera d'arte, di notevoli dimensioni, che, per il ruolo di pala dell'altare maggiore che le era stato assegnato, attirava su di sé l'attenzione (1).
Si trattava di un polittico dipinto da Giovanni Canavesio da Pinerolo, pittore che nel XV secolo aveva lavorato soprattutto nell'entroterra della Liguria occidentale, dove sono ancora presenti diverse sue opere.
Anche il polittico di Verderio proveniva da una cittadina ligure, Pornassio, in provincia, allora, di Porto Maurizio, oggi di Imperia. Lì era stato conservato dal 1499. Formato da 31 scomparti, è dipinto a tempera ed è dedicato alla Vergine e a San Dalmazio (2).
La chiesa di S. Dalmazio a Pornassio

I giornali e le riviste che scrissero della nuova chiesa dedicarono spazio anche all'opera di Canavesio, segnalandone l'importanza artistica ai propri lettori. Nessuno però si preoccupò di capire e di spiegare in modo esauriente come essa fosse finita a Verderio: solo qualche cenno, alquanto superficiale.
Così ne parlò ad esempio Luca Beltrami nel suo opuscolo di presentazione della nuova chiesa:
"A decorare l'altare maggiore, la famiglia Gnecchi ebbe la singolare ventura di poter disporre di un grandioso polittico...". "Singolare ventura", niente di più. È evidente come il modo in cui la pala era giunta a Verderio non fosse ritenuto interessante (3).



Invece la vicenda è abbastanza travagliata, si svolge in un arco di tempo di cinque-sei anni, coinvolge diverse istituzioni e alcuni personaggi noti a quel tempo. Inoltre presenta aspetti ancor oggi molto poco chiari: è difficile infatti stabilire, a più di cento anni di distanza dai fatti, a chi appartenga realmente il polittico, se alla parrocchia di Verderio Superiore, come generalmente si pensa, o alla Pinacoteca di Brera, come la ricerca documentale sembrerebbe indicare.

Dirò subito che la ricostruzione che mi accingo a presentare non giunge a risolvere questo enigma.
Essa si basa su due serie di documenti. La prima è conservata a Roma presso l'Archivio Centrale dello Stato, fra le carte del Ministero dell'Istruzione Pubblica, che all'epoca era competente anche per la salvaguardia dei beni culturali e comprendeva la Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti (4). La seconda serie è conservata invece a Milano, presso l'Archivio della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, che ha sede a Brera (5).

Nel gennaio del 1898 il polittico era stato venduto dalla parrocchia di Pornassio a Pietro Mora, titolare a Milano, in società con i fratelli Giovanni e Luigi, di un negozio di antiquariato e di uno di "mobili artistici" prodotti in una loro fabbrica a Bergamo.
Il negozio di antiquariato si trovava in via S. Paolo al n.10, nell'antico Palazzo Spinola, sede, allora come oggi, della Società del Giardino, uno dei principali circoli della città (6).
Il Mora acquistò l'opera a lire 2000, la trasportò a Milano, la ricompose e, probabilmente, effettuò dei lavori di restauro sulla struttura in legno (7).

Il 6 dicembre 1898 il direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria comunicò al Ministero dell'Istruzione Pubblica di essere venuto a conoscenza della vendita di quadri delle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco (8). Tali vendite erano state effettuate senza l'autorizzazione del governo, prevista dall'articolo 434 del Codice Civile, e senza quella della Corte d'Appello, richiesta dalle RR. Patenti del 19 maggio 1831, ancora in vigore in Piemonte e Liguria, autorizzazioni necessarie per l'alienazione dei propri beni da parte degli enti ecclesiastici (9).
Del quadro di Pornassio, la lettera dice chi è stato l'acquirente (Pietro Mora) e, dopo una breve descrizione, riporta testualmente la scritta in latino che stabilisce la data di realizzazione, attribuisce l'opera al Canavesio e attesta che essa era stata voluta dalla comunità di Pornassio per onorare la Vergine e S. Dalmazio (10).
Il direttore lamenta di non essere stato informato della vendita da parte del Regio Ispettore di Albenga, avvocato Lanusol, e comunica di averlo sollecitato a compilare le schede inventariali delle chiese del suo circondario, "perché non abbiano più a succedere inconvenienti di questo genere". In seguito dovrà correggersi, dopo che dal Ministero gli venne fatto presente che Pornassio non ricadeva nella zona di competenza dell'ispettore di Albenga, bensì di quello di Porto Maurizio (11).

Dopo la segnalazione, il Ministero dell'Istruzione Pubblica inviò un telegramma al Prefetto di Porto Maurizio, invitandolo ad "assumere ampie informazioni" e a "procurare possibilmente sequestro quadri" (12). Rivolgendosi poi al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti chiese che venissero denunciati all'autorità giudiziaria i parroci coinvolti (13).

La risposta del Prefetto arrivò poco più di un mese dopo, il 14 gennaio 1899.
La sua indagine  aveva permesso di conoscere i motivi che avevano spinto la Fabbriceria di Pornassio a disfarsi del dipinto. Secondo i fabbricieri la vendita era giustificata dalle sempre peggiori condizioni del quadro e dalla necessità di reperire denaro per urgenti lavori di manutenzione sui beni della parrocchia. Il Prefetto poté appurare che gran parte della somma riscossa era già stata impiegata per dotare la chiesa di un nuovo pavimento in marmo (lire 500), per tinteggiare (lire 470) e restaurare (lire 95,35) il locale Santuario della Madonna della Chiazza e per acquistare alcuni mobili (lire 570). L'avanzo (lire 364,65) era stato depositato su un conto bancario.
Santuario della Madonna della Chiazza



A sostegno del proprio operato i fabbricieri addussero il consenso quasi totale della popolazione e l'autorizzazione del Vescovo di Albenga (14). Egli, interpellato, confermò di aver espresso parere favorevole all'operazione e scrisse, a giustificazione propria e della Fabbriceria, che quest'ultima "non credeva esser proprietaria di un oggetto artistico" e che se Lui l'avesse sospettato, al "nihil obstat" pronunciato avrebbe "aggiunto una parola per ricordare l'obbligo di prendere le dovute licenze dalle competenti autorità" (15). 
Anche la giunta comunale dichiarò di essere stata a conoscenza della vendita e di averla approvata in quanto "il quadro...montato in legno, andava in deperimento perché vecchio e tarlato, ed era di poco ornamento alla chiesa" (16).

Intanto, già dal 15 dicembre 1898, la questura di Milano aveva rintracciato presso il Mora il dipinto e l'aveva posto sotto sequestro.
L'ufficiale incaricato, la guardia di città Giovanni Castioni, per le sue dimensioni, per il cattivo stato di conservazione e per non aver ricevuto le necessarie istruzioni, si trovò costretto, a suo dire, a lasciare in deposito il bene sequestrato presso l'antiquario, al quale furono spiegate le gravi responsabilità penali in cui sarebbe incorso se "avesse a trafugarlo o a muoverlo dal luogo dove si trova sotto qualsiasi pretesto".
In quell' occasione il Mora dichiarò di essere stato certo di aver agito nel pieno rispetto della legalità e mostrò, a sostegno della sua buona fede, i documenti con le autorizzazioni ricevuti dalle autorità parrocchiali di Pornassio (17).

A sequestro avvenuto i due ministeri interessati dovettero decidere in merito a due importanti questioni: se procedere legalmente contro i soggetti coinvolti nell'affare e se far tornare la pala a Pornassio o destinarla ad altro luogo. Su entrambi i problemi le posizioni dei dicasteri furono divergenti.
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica, non potendo intervenire direttamente, si appellò a quello di Grazia e Giustizia affinché procedesse contro i responsabili in base all'articolo 434 del Codice Civile. Due i motivi a sostegno di questa posizione. Primo, il pericolo che l'indulgenza potesse incoraggiare la cupidigia degli speculatori, sempre pronti ad approfittare dell'ignoranza in cose d'arte dei fabbricieri e dei sacerdoti. Secondo, la necessità di rispondere all'atteggiamento ostile del clero piemontese nei confronti del governo, comportamento che "paralizza tutte le buone intenzioni di questo Ministero per tutelare il patrimonio artistico delle chiese". Un esempio? L'opposizione di parroci e fabbricieri alla catalogazione degli oggetti d'arte delle parrocchie (18).
Di diverso avviso il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti che, sentito il parere del Procuratore Generale della Corte d'Appello di Genova, riteneva di non dover procedere perché la vendita "avvenne nella massima buona fede e nell'ignoranza di tali prescrizioni legislative, con l'assenso dei fedeli e della Giunta Municipale e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica". Sui fabbricieri affermava inoltre: "trattasi di persone probe, che prestano opera disinteressata per la chiesa, e che sono anch'esse rimaste dolenti della contravvenzione alla legge" (19).
La replica non si fece attendere. Il Ministero dell' Istruzione Pubblica ribatté che il consueto atteggiamento permissivo dei Procuratori Generali (citava quelli di Venezia e Torino), tendente a riconoscere sempre la buona fede, il disinteressato impegno etc. e ad assolvere i responsabili, non avrebbe avuto più ragione d'essere, dopo un pronunciamento della Corte di Cassazione che aveva annullato una sentenza del Tribunale di Camerino affermando che "la buona fede non è ammissibile" (20).
La controreplica non fu immediata. Essa appariva, nella forma, aperta al dialogo, affermando che il Ministero non avrebbe mancato in futuro di tener presenti gli argomenti espressi dall'Istruzione Pubblica. Era secca però nella sostanza: "questo Ministero persiste nel ritenere che non sia il caso di promuovere un giudizio contro i singoli componenti la Fabbriceria di Pornassio..." (21).

Anche sulla destinazione del bene sequestrato le opinioni non furono concordi.
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica indicò, e in seguito ribadì, che la miglior soluzione sarebbe stata quella di far tornare il polittico alla sua sede naturale, la chiesa di Pornassio. Interessanti e, a mio avviso, molto avanzate le motivazioni, che meritano di essere trascritte:
"Non posso poi ammettere, per regola generale, che le chiese si spoglino dei loro dipinti famosi neppure al fin di venderli allo Stato; perché un dipinto, levato dal luogo originario e dalle condizioni di luce in cui volle farlo apparire il suo autore, ha già perduto una parte del suo pregio" (22).
Ebbe la meglio però, ancora una volta, l'altro dicastero che, constatato che la Fabbriceria non era più in grado di riscattare il bene venduto, propose di destinarlo ad un museo o altro ente simile. In seguito, dopo aver verificato l'inesistenza nel territorio di istituzioni idonee, indicò come possibile acquirente la Regia Pinacoteca di Brera a Milano (23).

Corrado Ricci

A questo punto, la Pubblica Istruzione, che non rinuncerà comunque, in vari altri momenti della vicenda, a ribadire le proprie posizioni, si piegò alle proposte del Ministero di Grazia e Giustizia.
Prima di rivolgersi, come indicatogli, alla pinacoteca milanese fece però un tentativo con quella torinese, sembrandogli probabilmente più idonea per via delle origini piemontesi del Canavesio. Nella lettera, dopo aver riassunto i fatti e aver fornito notizie del dipinto e prima di proporre di far visita al Mora per valutare l'opportunità dell'acquisto, il ministero non mancò di aggiungere nuovi e interessanti argomenti a sostegno della sua preferenza per la restituzione del bene alla comunità di Pornassio: "Non è bello, certamente, che una chiesa, per sopperire alla manutenzione del fabbricato, venda un oggetto d'arte il quale, oltreché essere la sua più bella decorazione, era un testimonio della pietà degli avi, un voto sacro collocato in quella chiesa con evidente assegnazione di perpetuità" (24).
Il polittico era già stato offerto alla Pinacoteca di Torino dalla stesso Mora. Nessuna trattativa era però stata intavolata poiché la galleria possedeva già un'opera simile dello stesso autore (25). Anche la proposta dell'Istruzione Pubblica non fu accolta con la motivazione che l'acquisto "non arricchirebbe la quadreria di nuovi elementi". Il diniego fu accompagnato dal consiglio di rivolgersi a Pinerolo, luogo natale dell'artista, o a Genova, città dove egli godeva di grande considerazione (26).


Giovanni Canavesio, Madonna con Bambino e Santi, Galleria Sabauda di Torino
Il Ministero si rivolse invece alla R. Pinacoteca di Brera con una lettera molto simile alla precedente, datata 14 settembre 1899 (27). La risposta, del 21 ottobre, è positiva e porta la firma del direttore, Corrado Ricci: "..l'ho trovato interessante pel suo complesso di molte parti con numerose figure; pel ricco scompartimento dorato e per la firma autentica del pittore. .... Questa Pinacoteca può benissimo acquistarlo al prezzo convenientissimo di lire 2000" (28).
A questo punto la vicenda appare ormai definita e per la conclusione vera e propria sembra mancare solo il nulla osta alla vendita da parte della Corte d'Appello di Genova. Questo documento si fece attendere, al punto che nel mese di giugno del 1900, sette mesi dopo aver espresso il suo assenso, Ricci chiese al Ministero a che punto fossero le pratiche (29). Solo il 16 agosto la Fabbriceria di Pornassio comunicherà a Brera di essere stata autorizzata alla vendita da un decreto della Corte d'Appello del capoluogo ligure, emanato il 31 luglio 1900 (30).
Nei mesi precedenti, forse sollecitata dal Mora, la Fabbriceria si era fatta viva con la galleria milanese, per far notare che le 2000 lire concordate non tenevano conto del fatto che l'antiquario aveva sostenuto spese per il trasporto a Milano e che avrebbe potuto inoltre pretendere gli interessi, avendo impegnato quella somma già da due anni (31). Brera rispose di essere stata autorizzata a spendere 2000 lire "non un centesimo più o meno" (32).
Il 28 agosto, la data è importante, la Pinacoteca comunicò a Pietro Mora che il giorno 30, alle ore 10, i fratelli Annoni, ebanisti, si sarebbero recati da lui per avere in consegna la pala di Giovanni Canavesio (33).

Mentre i fatti sembrano svolgersi in modo lineare, sotto la superficie i Mora brigano per non perdere il profitto, per realizzare il quale avevano acquistato il dipinto. Incuranti della sentenza del giudice e delle prescrizioni del questore, pensavano forse che, di fronte al fatto compiuto di una vendita, purché non destinata all'estero, le autorità avrebbero alla fine chiuso un occhio e lasciato fare.
L'occasione si presentò loro con i fratelli Gnecchi Ruscone che a Verderio Superiore, dove erano di gran lunga i principali possidenti di case e terreni, stavano costruendo la nuova chiesa parrocchiale, voluta e finanziata dalla loro mamma, Giuseppina Turati, deceduta il 18 luglio 1899, quando i lavori erano già iniziati da poco meno di un anno (34).
Per il nuovo edificio, disegnato dal nobile Fausto Bagatti Valsecchi (35), gli Gnecchi avevano pensato di trovare alcuni arredi autentici del quattrocento. Perciò si erano rivolti ai Mora: in uno scritto, senza data, né destinazione, né firma, gli antiquari affermavano di dover fornire per la nuova chiesa di Verderio "...un coro originale dell'epoca, un Cristo sopra la navata pure antico e molte altre cose. Così si avrà un complesso tutto antico autentico" Nello stesso testo scrivevano inoltre che il quadro del Canavesio "fu venduto al cav. Francesco Gnecchi" (36) il quale "ne fa regalo alla Chiesa Parrocchiale di Verderio Superiore [...] quindi non esce dallo stato" (37).
I Mora avevano trovato gli acquirenti per un'opera posta sotto sequestro e della quale non erano proprietari!
L'accordo per la vendita era stato stipulato nei primi mesi del 1900. Adducendo ritardi del Ministero per il rilascio dei permessi (38) e prendendo a pretesto anche lo stato di avanzamento dei lavori della chiesa (39), i Mora ad agosto non avevano ancora consegnato il polittico. Il 29 agosto, il giorno prima che Brera ritirasse il dipinto, Francesco Gnecchi scrisse al Ministro dell'Istruzione Pubblica, onorevole Gallo, per sollecitare la chiusura della pratica: la lettera parlava di un trittico proveniente dalla chiesa di Oneglia, in Liguria, e non faceva alcun cenno all'autore. Evidentemente, oltre a non essere stato messo al corrente della situazione giudiziaria dell'opera d'arte che si accingeva a comprare, era stato tenuto all'oscuro anche della sua esatta provenienza (40).

Francesco Gnecchi Ruscone
 
Il Ministero, allarmato da una vendita da parte della parrocchia di Oneglia, di cui non era stato messo a conoscenza, si rivolse subito all'ufficio piemontese per la Conservazione dei Monumenti affinché indagasse (41). Negli stessi giorni però ricevette una lettera dai fratelli Mora, un capolavoro dell'arte della persuasione commerciale che merita di essere ampiamente trascritto, che svelava che il quadro in questione non era altro che il polittico proveniente da Pornassio.
La lettera, praticamente un'arringa contro il direttore di Brera, iniziava dicendo che la loro ditta, "Casa di artisti che vive serenamente dell'arte...", aveva venduto il dipinto di Canavesio al Cav. Gnecchi Francesco per la chiesa di Verderio. Poi continuava:
"Il direttore della Pinacoteca di Brera s'è fissato di averlo e non vede nella sua buona fede di raccoglitore, che questo quadro sarà più utile a far da Re nella erigenda chiesa monumentale [...] che da ultimo dei servi in Brera.
Osteggiare l'opera grandiosa regale del Cav. Gnecchi e rendere priva anche l'istruzione pubblica della riuscita di un monumento che avrà il carattere nazionale e che posto in un centro popoloso laborioso alle porte di Milano - Como - Lecco e Bergamo, dove gli studiosi di ogni arte potranno studiare anche l'effetto pittorico e generale, ci pare cocciuta ed odiosa non perdonabile nemmeno al maniaco che gli basta raccogliere bene o male purché agglomeri" (42).
Infine, dopo aver affermato che il direttore di Brera avrebbe fatto meglio ad utilizzare le 2000 lire per trattenere in Italia qualcuna di quelle opere per le quali invece firmava il nulla osta all'espatrio, i Mora invitavano il Ministero a far sì che Brera "soppraseda alle sue determinazioni". Nessun accenno al fatto che l'opera fosse sotto sequestro.
La lettera, indirizzata all'ente più tenacemente contrario alle vendite di opere ecclesiastiche, non sortì naturalmente effetto. Non c'è fra i documenti una risposta ma, di fatto, i Mora escono, almeno per il momento, di scena.

Emilio Visconti Venosta
Nicolò Gallo


Non si ritirarono invece gli Gnecchi, che continuarono la trattativa direttamente con la pinacoteca. Per raggiungere l'obiettivo si fecero appoggiare da alcune loro conoscenze politiche: l'onorevole Enrico Panzacchi, il Marchese Emilio Visconti Venosta e l'onorevole Giulio Prinetti (43).
Con una serie di telegrammi, scambiati fra il Ministero dell'Istruzione Pubblica e la Pinacoteca di Brera tra l'11 e il 15 ottobre 1900, si arrivò ad una conclusione favorevole alla famiglia e, di conseguenza, alla parrocchia di Verderio.
L'11 ottobre Corrado Ricci informò il ministero che l'ancona del Canavesio era richiesta dalla famiglia Gnecchi e quindi lui chiedeva "schiarimenti codesto Ministero avendomi S.E. On. Panzacchi raccomandato cessione" (44).
Il Ministero rispose, il 12 ottobre, chiedendo se lui avesse gravi obiezioni verso questa cessione "che viene molto raccomandata" (45).
Precisa la posizione che Ricci espresse, rispondendo, lo stesso giorno: dichiarò che non si sarebbe opposto alla cessione dell'opera a patto che Gnecchi si impegnasse a non trasferirla né a venderla, pena il sequestro a favore di Brera (46).
Condizioni fatte proprie dal ministero che il 15 ottobre rispose e concluse:
"Dopo parere Vossignoria autorizzo cedere ancona Canavesio per chiesa Verderio previo pagamento dal sig. Gnecchi di lire duemila e previo atto autentico col quale Gnecchi medesimo per sé e suoi successori prenda impegno destinarla soltanto detta Chiesa sotto pena sequestro a favore Pinacoteca Brera se detta ancona fosse quando che sia rimossa dal luogo ove fu destinata. Attendo comunicazione atti. Ministro Gallo" (47).

La documentazione conservata dall'Archivio Centrale dello Stato si interrompe definitivamente nell'ottobre del 1900 (48); nello stesso mese cessa, ma solo temporaneamente, anche quella della Pinacoteca: riprenderà, con gli ultimi sei pezzi, fra l'ottobre e il novembre del 1903.
Si apprende da questi ultimi documenti che nell'autunno del 1903 l'atto formale richiesto da Pinacoteca e Ministero per acconsentire all'accordo con gli Gnecchi non era stato ancora sottoscritto e neppure redatto. Si viene a sapere anche che i Mora avevano intentato causa contro i fratelli Gnecchi per ottenere il rimborso delle spese sostenute per trasportare il polittico da Pornassio a Milano.
Proprio per difendere in tribunale le ragioni degli Gnecchi contro i Mora l'avvocato dei primi, Giovanni Tacconi, sollecitò a più riprese la conclusione dell'atto e insistette affinché questo fosse preceduto da un'ampia ricostruzione di come si era svolta tutta la faccenda, dalla vendita illegale al sequestro e così via (49).
La Regia Avvocatura Erariale di Milano ebbe il compito di stendere il testo. Nel redigerlo si preoccupò soprattutto di evitare il coinvolgimento di Brera nella vertenza Gnecchi - Mora:

MINUTA DI ATTO
Hanno dichiarato e convenuto quanto segue:
Ratificato ed approvato in ogni parte le premesse normative
Il comm. Francesco Gnecchi dichiara di aver prima d'ora ricevuto la tavola della Vergine con diversi santi dipinta da Giovanni Canavesio .....alta.....larga.....all'unico scopo che venisse posta nella nuova chiesa Parrocchiale di Verderio (prov. di Como) dove essa fu anche collocata, e tuttora si trova come pala d'altare.
Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera e solo nel caso in cui tale uso a favore della chiesa di Verderio avesse per qualsiasi ragione a cessare, sarà nel diritto della Pinacoteca di riavere la tavola senza obbligo di pagamento alcuno.
Rimane perciò escluso qualsiasi uso della tavola all'infuori di quello sopraindicato, e proibito l'asporto della medesima dalla chiesa, obbligandosi il sig. comm. Gnecchi anche per i propri eredi e successori a non disporre in modo diverso, e qualora intendesse di toglierla dalla chiesa, non potrà eseguire tale asporto se non per farne immediata consegna alla pinacoteca, escluso qualsiasi diritto in lui di rimborso delle spese fatte per avere la tavola.
Il parroco di Verderio D. Luigi Galbiati interviene al presente atto per dichiararsi notiziato di quanto sopra e per obbligarsi a darne notizia alle superiori autorità in modo che anche i successori suoi ne siano edotti.

La lettera con cui questa bozza veniva presentata, del novembre del 1903, terminava con le seguenti indicazioni: "Tale convenzione dovrà essere tradotta in forma legale o per atto pubblico notarile o per scrittura privata con autenticazione della firma da parte di un notaio" (50).
Il 30 gennaio 1904 l'avvocato Tacconi scrisse alla Fabbriceria di Verderio Superiore per comunicare l'invio di un atto con firma autenticata dei signori Gnecchi, che doveva essere sottoscritta anche dai fabbricieri, per poi essere sottoposta a un notaio. Anche se nel testo non si fa esplicito riferimento alla pala del Canavesio, per la data e il contesto, di essa si dovrebbe trattare (51).
Da questa lettera e da una successiva che il Tacconi scrisse al segretario di Brera, signor Viganò, sembra di capire che il contenuto della convenzione sia stato accettato dai signori Gnecchi. Però, alla data di quest'ultimo documento, 20 marzo 1904, l'atto non era ancora stato sottoscritto e Tacconi terminava quindi con queste considerazioni: "Non pare anche a Lei che la posizione attuale anche della Pinacoteca sia poco regolare? Che occorra stabilire i rapporti fra le parti interessate?" (52).
Non so se in seguito l'atto formale previsto dagli accordi sia stato o no firmato, non essendo riuscito a rintracciarlo: né presso la Pinacoteca, né presso la parrocchia, né presso la famiglia Gnecchi. La ricerca è stata condotta anche negli Archivi Notarili di Milano, dove ho scorso i registri dei notai che hanno operato in città fra il 1904 e il 1906, e di Como, dove, per le più restrittive condizioni di accesso, ho potuto verificare, non di persona, quelli dei notai che sapevo aver collaborato con gli Gnecchi in quegli anni.
Un successivo tentativo è stato fatto presso l'Archivio Arcivescovile e l'ufficio economico dell'Arcivescovado, senza trovare nulla.
Sono tuttavia convinto che il documento sia stato sottoscritto e quindi, in qualche luogo, per ora sconosciuto, ci sia. Non sarebbe infatti plausibile che ai signori Gnecchi fosse stato permesso ciò che ai Mora era stato proibito: l'acquisto di un opera d'arte sacra di una chiesa, per destinarla ad una chiesa diversa. È impensabile, a mio avviso, che una faccenda che aveva coinvolto due Ministeri, una Corte d'Appello, un paio di Soprintendenze e qualche altro ente alla fine si sia sgonfiata al solo cambio di uno dei soggetti coinvolti, il compratore. Per questo ritengo, ripeto, che una convenzione, magari non quella corrispondente alla bozza predisposta dalla Regia Avvocatura, sia alla fine stata sottoscritta, anche se in seguito se ne è persa traccia e memoria.

San Dalmazio nel polittico di Verderio

Non resta che tornare alla bozza di convenzione predisposta dall'Avvocatura Erariale e su di essa fare qualche considerazione.
Nel testo, per la prima volta, si parla esplicitamente della proprietà del bene, per assegnarla alla Pinacoteca di Brera: "Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera".
Un'importante conferma di ciò si trova nella relazione che seguì alla visita pastorale del Cardinale Carlo Andrea Ferrari, avvenuta nel 1905: parlando dell'opera del Canavesio si dice: "...è stata comperata a buoni contanti dalla benemerita famiglia Gnecchi che l'ha qui depositata e starà sempre qui, ma la vera proprietà è dell'Istituto artistico di Brera in Milano"  (53).
Un ulteriore indizio, che sembra confermare che per un certo periodo di tempo dopo la collocazione a Verderio della pala si era ancora a conoscenza dell'esatto svolgimento dei fatti, e che avvalora l'ipotesi che essa appartenga a Brera, mi pare si possa individuare in un brano contenuto nel "Liber Cronicus": nell'ottobre del 1905 uno studioso dell'Università di Zurigo, il professor Siegfried Weber, interessato allo studio della pala, dalla parrocchia di Pornassio dove si era recato per osservarla, fu indirizzato alla Pinacoteca di Brera, dove gli dissero che l'opera era "depositata a Verderio" (54).
Tuttavia il polittico di Verderio non compare. in nessuno dei 9 volumi di "Pinacoteca di Brera", catalogo dei beni posseduti dall'istituto milanese, comprendente anche i beni depositati altrove, presso enti e chiese (55).

NOTE

Abbreviazioni:
ACS : Archivio Centrale dello Stato
APVS: Archivio Parrocchiale Verderio Superiore
ASdS Milano: Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Storici ed Artistici di Milano MGGeC: Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti
MIP: Ministero dell' Istruzione Pubblica
RPB: Regia Pinacoteca di Brera
Uff. Reg. Piemonte: Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria

San Michele Arcangelo eSan pietro apostolo


NOTE
(1) Marco Bartesaghi, 1896 - 1902: il progetto, la realizzazione e la storia della nuova chiesa, in Autori Vari, Verderio, la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano 1902 - 2002, Verderio Superiore, 2002.
(2) Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi di Giovanni Canavesio nella chiesa di Verderio Superiore,   in Archivi di Lecco, anno XV, n. 2, aprile - giugno1992.
(3) Luca Beltrami, La nuova chiesa di Verderio Superiore, Milano, 1902.
(4) Archivio Centrale dello Stato (ACS), Titolo fondo/ Serie AA BB, Div. XII , 1888 - 1907, numero busta 293 "Ministero dell'Istruzione Pubblica" - 4 - Portomaurizio - 1898, Quadri venduti dalle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco.
(5) Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Milano (ASdS Milano) - Archivio Antico, parte seconda "Cambi, cessioni, restituzioni e prestiti" (cassette 11 e 12), 206 ANCONA DEL CANAVESIO, 1900 -1903, classificazione 4, segnatura 11/13.
(6) Il negozio di mobili artistici si trovava in via Vittorio Emanuele, a poche decine di metri da quello di antiquariato (cfr Guida Savallo, Milano, 1898).
(7) Un riferimento ai lavori effettuati dai Mora sulla struttura in legno si trova in "L'Eco di Bergamo", 29 - 30 ottobre 1902. In un articolo intitolato "La nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore" riguardo alla  pala si dice: "Con soddisfazione abbiamo notato come la corniciatura fosse completata egregiamente in Bergamo, nel laboratorio dei signori fratelli Mora".
(8) ACS, lettera, dall'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria (Uff. Reg. Piemonte) al Ministero dell'Istruzione Pubblica (MIP), Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti, 6 dicembre 1898. Dalla parrocchia di Pieve di Teco, secondo l'Uff. Reg. Piemonte, erano stati venduti due quadri: uno, di forma semicircolare, del XVII secolo, rappresentava un presepio; l'altro, una tavola del XV secolo raffigurante la Madonna, era stato da tempo trasformato in tavolino mediante l'apposizione di quattro gambe. Del primo si seppe in seguito che non era stato mai venduto ma solo spostato all'interno della chiesa. Il secondo, venduto circa un anno prima al prezzo di 60 lire, fu in seguito riacquistato e ricollocato al suo posto (crf. ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899).
(9) L'articolo n. 434 del Codice Civile, in vigore nel 1898, recitava: "I beni degli istituiti ecclesiastici sono soggetti alla legge civile e non si possono alienare senza l'autorizzazione del governo".
(10) La scritta in latino è la seguente: ANNO - DNI - MCCCCLXXXXVIIIJ + DIE - VIGESIMA - MENSIS - MARTII + AD - HONOREM - DEI - ET - GLORIOSAE - VIRGINIS  - MARIAE - AC - SANCTI - DALMATII + COMUNITAS - PORNAXI - FIERI - FECIT - HOC - OPUS + REGENTE - DNO - PRESB. - LAZARO - BONANATO - RECTORE - DICTI - LOCI. (trascrizione di Elisabetta Parente, vedi nota 2). Nella lettera dell'Uff. Reg. Piemonte (vedi nota 8) la data trascritta è però 1490 e non 1499 come nella realtà: questo errore si trascinerà per tutta la documentazione che stiamo esaminando.
(11) ACS , minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 14 dicembre 1898; lettera da Uff. Reg. Piemonte a MIP, 2 gennaio 1899.
(12) ACS, minuta di telegramma di stato, da MIP a Prefetto di Porto Maurizio, 9 dicembre 1898.
(13) ACS, minuta di lettera, da MIP a Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti (MGGeC), 14 dicembre1898.
(14) ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899.
(15) ACS, lettera, da Vescovo di Albenga a Prefetto di Porto Maurizio, 8 gennaio 1899.
(16) ACS, Certificato rilasciato a Pornassio dalla Giunta  Municipale alla Fabbriceria della parrocchia, 14 febbraio 1899.
(17) ACS, verbale di sequestro, Regia Questura di Milano, sez. II, via Spiga 81, 15 dicembre 1898. Il documento porta le firme di Pietro Mora, Giovanni Castione, guardia, e Lodovico de Cesare, delegato di P.S.
(18) ACS, minuta di lettera, da MIP a MGGeC, 23 gennaio 1899.
(19) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 11 aprile 1899.
(20) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(21) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(22) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(23) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(24) ACS, minuta di lettera, da MIP a Direttore Pinacoteca di Torino, 28 agosto 1899.
(25) La Galleria Sabauda di Torino possiede un polittico dipinto da Giovanni Canavesio nel 1491. Composto da 16 scomparti ha, al centro, una Madonna in trono con il Bambino. L'opera proviene probabilmente dalla chiesa di Notre Dame des Fontaines di Briga. Cfr Mario Marchiando Pacchiola (a cura di ), Sulle orme di Giovanni Canavesio (sec.XV), Pinerolo, 1990.
(26) ACS, lettera, da Regia Pinacoteca di Torino a MIP, 31 agosto 1899.
(27) ACS , minuta di lettera, e ASdS Milano, lettera, da MIP a Regia Pinacoteca di Brera (RPB), 14 settembre 1899.
(28) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 21 ottobre 1899. Corrado Ricci (Ravenna 1858 - Roma 1934), scrittore e critico d'arte. Fu direttore della Pinacoteca di Brera e di quella di Firenze. Dal 1906 al 1919 fu direttore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma.
(29) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 29 giugno 1900.
(30) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 agosto 1900.
(31) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 febbraio 1900.
(32) ASdS Milano, lettera da RPB a Fabbriceria di Pornassio, 14 marzo 1900.
(33) ASdS Milano, lettera da RPB a Pietro Mora, 28 agosto 1900. I fratelli Annoni compaiono alle voci "Ebanisti e stipettisti" e "mobili: fabbricanti e negozianti" della Guida Savallo di Milano del 1898. Il loro indirizzo era via S. Ambrogio 61.
(34) La famiglia Gnecchi era presente a Verderio dal 1842, quando i fratelli Giuseppe e Carlo ereditarono da uno zio materno, Giacomo Ruscone, i beni che questi possedeva in paese. Giuseppina Turati (Busto Arsizio 1826 - Verderio 1899), moglie di Giuseppe Gnecchi Ruscone (Milano 1817 - 1893) aveva maturato , tra il 1897 e il 1898, l'intenzione di donare a Verderio Superiore una nuova chiesa, in sostituzione della vecchia, ormai inadeguata alle esigenze del paese. Dedicando la chiesa oltreché al patrono, S. Floriano, anche a S. Giuseppe, ella volle rendere omaggio al defunto marito (cfr. Autori vari, Verderio, la chiesa parrocchiale... cit).
(35) Al nobile Fausto Bagatti Valsecchi ( Milano1843-1914), amico della famiglia Gnecchi, si deveil disegno della chiesa parrocchiale mentre il progetto vero e proprio fu realizzato dall'ingegner Enrico Combi  (Milano 1832 - 1906).
(36) Francesco Gnecchi Ruscone (Milano 1847 - Roma 1919) era il figlio maggiore di Giuseppe e Giuseppina Turati. Noto come numismatico e pittore, fu sindaco di Verderio dal 1893 al 1919. Su di lui si può consultare: N. Parise, GNECCHI RUSCONE, Francesco, Dizionario Biografico degli Italiani (http://www.treccani.it/Portale/ricerche/searchBiografie.html).
Notizie anche in Marco Bartesaghi (a cura di) Da Verderio a Cisano, note di un antiquario: autore Francesco Gnecchi Ruscone, 1882, Archivi di Lecco, anno XXIV, n. 4, ottobre -  dicembre 2001.
All'edificazione della chiesa contribuirono anche i fratelli di Francesco: Ercole, Amalia, Carolina, Antonio ed Erminia.
(37) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, senza data.
(38) Ne parla Francesco Gnecchi nella lettera al Ministro Gallo citata nel testo qualche riga più avanti.
(39) Archivio Parrocchiale di Verderio Superiore (APVS), lettera, da F.lli Mora a parrocchia di Verderio Superiore, 18 luglio 1900, Titolo VI (chiesa e luoghi sacri),cl.1,parrocchia, cart. 1, fasc.2/1.Nella lettera i Mora chiedono un atto scritto che attesti l'avvenuta compravendita di un quadro, non ancora consegnato per le condizioni edilizie della chiesa.
(40) ACS, lettera da Francesco Gnecchi a Ministro dell'Istruzione Pubblica, 28 agosto 1900. Nicolò Gallo (Agrigento 1849 - Roma 1907), avvocato e letterato, fu eletto per la prima volta in Parlamento nella XVI legislatura, come esponente della sinistra storica. Ministro dell'Istruzione Pubblica nei governi Rudini dal dicembre 1897 al giugno 1898, e Saracco, dal giugno 1900 al febbraio 1901, fu in seguito Presidente della Camera e ministro di Grazia e Giustizia.
(41) ACS, minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 9 settembre 1900.
(42) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, 29 agosto 1900.
(43) Enrico Panzacchi (Ozzano dell'Emilia 1840 - Bologna 1904), poeta e narratore, fu docente di storia dell'arte all'Università di Bologna. Eletto deputato ricoprì la carica di sottosegretario all'Istruzione Pubblica. Emilio Visconti Venosta (Milano 1829 - Roma 1914), fra i partecipanti alle 5 Giornate di Milano, fu in seguito perseguitato dal governo austriaco e costretto ad espatriare in Piemonte. Eletto deputato nel 1860 e Senatore del Regno dal 1886, tra il 1863 e il 1901 ricoprì la carica di Ministro degli Esteri in diversi governi. Giulio Prinetti (Milano 1848 - Roma 1908), ingegnere e industriale, fu eletto in Parlamento nel collegio di Lecco nel 1882 e restò deputato fino alla morte. Fu Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Rudini, dal luglio 1896 al dicembre 1897, e Ministro degli esteri nel governo Zanardelli, dal febbraio 1901 al febbraio 1903.
(44) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 11 ottobre 1900.
(45) ACS e ASdS Milano, telegramma, da MIP a Corrado Ricci, 12 ottobre 1900.
(46) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 12 ottobre 1900. Sul telegramma conservato in ACS c'è la seguente annotazione a penna: "Sta bene. G - È il quadro del quale si sono occupati S.E. il M.se Visconti Venosta e S.E. Panzacchi".
(47) ACS, minuta di telegramma di stato, Da Ministro Gallo a Corrado Ricci, 15 ottobre 1900.
(48) L'ultimo documento conservato in ACS è una minuta di lettera inviata, il 29 ottobre 1900, da MIP a destinatario ignoto. In essa lo scrivente fa sapere che l'on. Prinetti è stato informato della cessione  "al cav. Gnecchi" della pala di Canavesio e delle condizioni dell'accordo.
(49) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 4 novembre 1903.
(50) ASdS Milano, lettera: "Oggetto Convenzione Gnecchi (Allegato n.4)", da R. Avvocatura Erariale a RPB, novembre. Alla lettera è allegato il foglio intitolato : "MINUTA DI ATTO", trascritto nel presente testo.
(51) Archivio Parrocchiale Verderio Superiore (APVS), Titolo X, Fabbriceria, Cart.6, Fasc. II, Atti: lettera, da avv. Giovanni Tacconi a Fabbriceria, 30 gennaio 1904.
(52) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 20 marzo 1904.
(53) APVS, Titolo II, Arcivescovo, Cl.1, Visite Pastorali, Cart.1, Fasc. 6/1.
(54) APVS, Liber Cronicus 1897/1913, ottobre 1905. Il libro che di Siegfried Weber scrisse nel 1911, intitolato "Die Bregunder der Piemonteser Malerschule im XV und zu Begin des XVI Fahrhunderst",  risulta essere la prima analisi puntuale dell'opera di Canavesio (cfr. Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi... cit. pag. 232).
(55) Pinacoteca di Brera, 9 volumi, direttore scientifico Federico Zeri, collana Musei e Gallerie di Milano, Milano.

Marco Bartesaghi

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Archivi di Lecco, n.2, anno XXXII, aprile-giugno, 2009