domenica 26 giugno 2016



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NEL SILENZIO PIÙ TESO. MOSTRA, A MONZA, DELLA SCULTRICE ELENA MUTINELLI



ELENA MUTINELLI

NEL SILENZIO PIÙ TESO



Mostra a cura di

Dario Porta



Con il Patrocinio del Comune di Monza


MUSEI CIVICI DI MONZA



Inaugurazione domenica 26 giugno 2016





APERTURA MOSTRA 29/6 - 11/9 2016



Orari


Mercoledì  15-18

Giovedì      15-18/   20-23

Venerdì      10-13 / 15-18

Sabato       10-13 / 15-18

Domenica  10-13 / 15-18



Chiuso lunedì e martedì

IN CASA DEI NONNI di Erminio Bozzotti. Radiodramma interpretato da Gabriella SALA, Giovanna VILLA, Roberto MUZIO e Jean - Mari SANSCHEVEUX



IN CASA DEI NONNI
 
Commedia in un atto

di
 
Erminio BOZZOTTI

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versione vocale con illustrazioni, interpretata da:
 
Roberto MUZIO nella parte di don Francesco Roberti
 
Gabriella SALA nella parte di donna Luisa Roberti
 
Jean Mari SANSCHEVAUX nelle parti di Luigi, il vecchio servitore, 
e del bambino Cecco
 
Giovanna VILLA    nella parte di Maria Sangiuliano
 
Marco BARTESAGHI voce narrante

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Martina VILLA disegni e montaggio



NOTE AL TESTO:
 

Nel testo di Erminio Bozzotti si fa riferimento ad alcuni luoghi della Milano di fine ottocento. Ecco le notizie che sono riuscito a trovare:
 

il Caffè Hagy (scena quarta, pagina 16) si trovava al n.591 della Corsia dei Servi, l'attuale corso Vittorio Emanuele. Era stato fondato nel 1810 da Carlo Hagy Hannat, un egiziano giunto a Milano al seguito di Napoleone Bonaparte;
 

la pasticceria Cova (scena quarta, pagina 17), fondata nel 1817, si trovava a lato del teatro alla Scala, all'angolo fra via Verdi e via Manzoni. Colpita durante i bombardamenti del 1943, si è trasferita in via Montenapoleone.
 

l' “Unione”, dove Roberti minaccia di andare a cena  per ripicca con la moglie (scena quarta, pagina 17), è probabilmente  la “Società dell'Unione”, un circolo fondato  nel 1841 da aristocratici milanesi, fra cui alcuni cospiratori che erano tornati a Milano dall'esilio, dopo l'amnistia del 1838. Nel 1891, anno in cui fu scritta la commedia, il circolo aveva sede in via Manzoni n.1, sopra il caffè Cova.
 

Nella commedia si parla anche della scuola di Luxor, dedicata all'Abate e geologo lecchese Antonio Stoppani (scena quinta, pagina 19): è la scuola fondata nella città egiziana di Luxor , nel 1889, dalle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, ordine  fondato dalla Beata Caterina Troiani.  La scuola è ancora attiva.

















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sabato 25 giugno 2016

"IN CASA DEI NONNI" DI ERMINIO BOZZOTTI E ALTRE ESPERIENZE TEATRALI NELLA FAMIGLIA GNECCHI RUSCONE di Marco Bartesaghi



Venerdì 20 marzo 1891, nel salone della casa di Francesco Gnecchi Ruscone, a Milano in via Filodrammatici, furono rappresentate due commedie, per festeggiare l’onomastico di Giuseppe Gnecchi Ruscone e di sua moglie, Giuseppina Turati, genitori di Francesco [1].

 
Giuseppina Turati e il marito Giuseppe Gnecchi Ruscone






Tale ricorrenza era considerata una delle più solenni della famiglia e tradizionalmente  celebrata con una serata di gala, che vedeva protagonisti soprattutto i nipoti dei due festeggiati, che si cimentavano in brevi recite, nella lettura di poesie e nell'esecuzione di brani musicali. La tradizione è testimoniata in vari articoli del “Giornale di Famiglia”, alcuni dei quali, sotto forma di minuta, sono conservati nell'Archivio Storico di Verderio, Fondo Famiglia Gnecchi [2].

Il tutto ebbe inizio un mese prima, verso la metà di febbraio, quando, pensato che si ebbe di rappresentare una vera e propria commedia, Erminio e Maria Bozzotti, fratelli di Isabella, moglie di Francesco Gnecchi, si incaricarono di scriverne insieme il testo.

Al posto di una commedia, però, ne scrissero due, una ciascuno, che vennero entrambe rappresentate.
 

Erminio intitolò la sua In casa dei nonni, commedia in un atto e cinque scene, ambientata a Milano e composta in versi martelliani; Maria propose una versione libera, anch'essa in versi martelliani, di un testo dello scrittore francese Théophile Gautier Pierrot postumo, un' “arlecchinata” ambientata a Parigi [3].

Cinque i personaggi di In casa dei nonni: don Francesco Roberti, il nonno; donna Luisa Roberti, sua moglie; la signora Maria Sangiuliano, loro figlia; Luigi, il vecchio servitore; Cecco, figlio di Maria, un bimbo di tre anni.

Nella serata del 1891 i ruoli furono interpretati, nell'ordine, da Alessandro Rossi, Sandra Rossi, Elisabetta Oddone, Vittorio Gnecchi e Franco Rossi.
 

Pierrot postumo comprendeva invece quattro personaggi: Pierrot, interpretato da Alessandro Rossi,  Arlecchino, da Vittorio Gnecchi, Colombina, da Sandra Rossi, e “il dottore”, da Elisabetta Oddone.
 

Vittorio Gnecchi, futuro musicista compositore, figlio di Francesco e Isabella Bozzotti, non aveva ancora compiuto i quindici anni, essendo nato il 17 luglio 1876. Dodicenne era Elisabetta Oddone (1878/1972), un’amica di famiglia, che fu poi cantante, compositrice e scrittrice e che si dedicò soprattutto alla musica per l’infanzia. Alessandro, Sandra e Franco Rossi , erano probabilmente nipoti di Maria Bozzotti [4].
 

Il palcoscenico fu allestito in un salone non ancora arredato, in quanto la casa era stata solo da poco acquistata. Furono fatte dipingere le scenografie, ordinati i costumi, stampato il programma e predisposta l’illuminazione elettrica.
 

Con fiori provenienti dalla serra della villa di Verderio e da quelle di famiglie di parenti (le ville di Pallanza e di Erba - villa Tassera - dei signori Bozzotti, di Schio dei Rossi, la casa di Milano di Ernesto Turati), si addobbò l’intero appartamento, dove agli ospiti, circa 200, fra parenti, amici e conoscenti, dopo il teatro fu offerto un thè e “una mezza cena”.
Una serata ben riuscita, che trovò eco sulla stampa locale [5].


Il fascicolo del "Giornale di famiglia" con la cronaca dell'onomastico "dei nonni" del 1891
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Le due commedie erano state precedute da un prologo di Erminio Bozzotti, letto da Cesare Gnecchi (1873/1935), fratello di Vittorio [6]:

No, no, non spaventatevi il prologo è cortino
Qualche parola solo pei nonni ed arlecchino
Non si tratta di farvi nessuna spiegazione
Ma gli è semplicemente una presentazione
La prima commediola non ha certo di un dramma
La pretesa – (del resto ve lo dice il programma)
È una cosa carina – secondo il parer mio
Noiosetta … ma, zitti, che l’autore è mio zio!
A dir ver negli artisti c’è una gran stonatura
Devon esser dei vecchi e manca la statura!
Per cui mi raccomando al pubblico gentile
Di non star poi tanto a guardar pel sottile.
La seconda commedia non è piagnucolosa
Come quella dei nonni – è tutt’un’altra cosa –
C’è spirito, c’è entrain, satira ed allegria
Insomma è stata scritta da Gauthier con mia zia.
Dunque il nostro programma è combinato in guisa
Che gli è per tutti i gusti – pel pianto e per le risa.
Solo (ve lo ripeto) bisogna aver pazienza
Non pretender gran cosa e armarsi d’indulgenza
Soprattutto pensando che gli attor son piccini
E che gli autori, entrambi, son dei novellini
E poi … lo dico piano …tranne Maria, la figlia
Della prima commedia  … son tutti di famiglia!
E questo già, capisco, gli è un serio inconveniente
Perché, se anche trovate che tutto non val niente,
Come fate a zittire, a far tabula rasa
D’artisti e di scrittori che son gente di casa?
Per forza dunque il pubblico dev’essere bonario
E qui mi fermo … Attenti che ora s’alza il sipario


 
Il prologo alla serata del 20 marzo 1891 - Arch. Stor. Verderio
 

ERMINIO E MARIA BOZZOTTI
 

Gli autori delle due commedie, Erminio e Maria Bozzotti, erano fratello e sorella di Isabella, moglie di Francesco Gnecchi, e figli di Cesare (1819/1881) e di Giuseppina Morel (?/1894).
Cesare Bozzotti faceva parte di una facoltosa famiglia della borghesia milanese, dedita all'agricoltura e all'industria della seta, attività che egli portò avanti insieme al fratello Battista (1825/1891) e che, dopo la loro morte, fu proseguita dagli eredi di quest’ultimo, Alessandro e Camillo [7].
 

Erminio, nato il 30 novembre 1858, non partecipò all’azienda della famiglia, ma si dedicò soprattutto ad attività in campo culturale e benefico.
Nel 1888, quando la casa editrice Ricordi, dopo una ristrutturazione interna, rinacque  sottoforma di società in accomandita con il nome di “G. Ricordi e C.”, Erminio ne divenne socio.
 

 
Comitato esecutivo delle esposizioni riunite - 1894. Erminio Bozzotti è il primo a sinistra della seconda fila; il terzo è Francesco Gnecchi Ruscone. Illustrazione Italiana, 10 giugno 1894


Nel 1898, alla riapertura del Teatro alla Scala, seguita a un periodo di sospensione delle attività, entrò nel Consiglio di Amministrazione, di cui il duca Guido Visconti di Modrone era presidente.
 

Dal 1913 al 1917 fu presidente della Società del Quartetto di Milano, istituzione musicale nata nel 1864 ed ancora oggi esistente.
 

In diverse occasioni assunse incarichi pubblici. Nel 1894 fu presidente della commissione Tecnica dei Divertimenti, nelle Esposizioni riunite di Milano. Per questo incarico venne nominato Ufficiale all'Ordine della Corona. Nel 1904 fu vicepresidente, dell'“Esposizione Agricola di Erba”, alla quale partecipò anche come espositore, con un proprio stand.
In campo benefico dedicò la propria attenzione soprattutto all'infanzia disagiata, ricoprendo per tanti anni la carica di Presidente dell'Associazione Nazionale per la Tutela dell'Infanzia Abbandonata. Fu inoltre consigliere dell'Associazione Nazionale dei Sanatori per i Tubercolosi [8].

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In casa dei nonni, di cui una copia manoscritta è conservata presso l’Archivio Storico di Verderio (vedi nota 6), fu pubblicato dalla casa editrice Ricordi.
 

In un'annotazione scritta a mano sulla copia che possiedo [9], si legge che la commedia fu anche “Recitata a Multedo in Villa Chiesa il 7 agosto 1919. Con prologo di Vittorio Gnecchi”.
A mano sono annotati i nomi degli attori, molto probabilmente di questa rappresentazione: ad Alberto (14 anni) e Isa Gnecchi (11 anni), figli di Vittorio, toccarono rispettivamente le parti di Francesco Roberti e Maria Sangiuliano; il ruolo di Luisa Roberti fu interpretato da Marisa Gropallo. Non essendoci correzioni rispetto al ruolo del vecchio servitore, forse toccò a Vittorio Gnecchi interpretarlo anche nell’edizione del 1919. Non si sa invece chi abbia svolto quella del bimbo Cecco.
 




Mi sembra probabile che il prologo letto da Vittorio Gnecchi non sia stato ancora quello del 1891, ma che ne abbia composto uno nuovo per l’occasione. Il testo però non sembra reperibile e perciò la mia non resta che una supposizione.
Multedo è uno dei quartiere occidentali di Genova, posto fra Sestri Ponente e Pegli. La villa di cui si parla, ora distrutta, che gli Gnecchi frequentavano spesso durante le vacanze estive, apparteneva alla famiglia di Aida Chiesa, moglie di Vittorio Gnecchi.


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Nel 1877, in occasione delle nozze fra la sorella Maria e Giovanni Rossi, Erminio Bozzotti compone dei versi che vengono stampati dalla tipografia Bernardoni [10].
 

Nel 1896 scrive un'altra commedia, in tre atti, intitolata  La vecchia dorme, stampata dalla tipografia L.F. Cogliati [11].
 

Il frontespizio della commedia "La vecchia dorme", con la dedica alla contessa Luisa Casati - Biblioteca Sormani, Milano
 
Fra le opere di Erminio Bozzotti figura anche una composizione musicale, Soupir : ¢mélodie! , scritta su parole del poeta francese Sully Prudhomme, premio Nobel per la letteratura nel 1901, e dedicata alla contessa Cecilia Lurani Cernuschi Greppi [12].
Le opere qui elencate sono quelle reperibili nelle biblioteche italiane. È possibile, credo probabile, che la produzione letteraria di Erminio Bozzotti non sia limitata a queste: altri suoi scritti potrebbero essere stati pubblicati, senza però essere acquistati da alcuna biblioteca.


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Erminio Bozzotti, che aveva sposato Anita Basevi, morì il 27 febbraio 1918.


Erminio Bozzoti

 
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La sera del 20 marzo 1891, per il compleanno di Giuseppina Turati e Giuseppe Gnecchi, venne interpretata anche un'arlecchinata che Maria Bozzotti aveva liberamente tratto da un testo di Théophile Gautier, Pierrot postumo.
 

Una copia dei questa commedia, nella versione di Maria, stampata nel 1891 dalla tipografia L.F Cogliati, è conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. È rintracciabile cercando fra le opere di Gautier, e il titolo completo è: Pierrot postumo: arlecchinata. Versione Libera per M.R.B., dove la sigla finale sta per Maria Rossi Bozzotti [13].
 

 
Maria Bozzotti


Oltre al Pierrot, Maria è autrice del libretto d'opera Virtù d'Amore, che venne musicato dal nipote Vittorio Gnecchi e rappresentato a Verderio la sera del 7 ottobre 1896: la sua prima opera.
 

Per l'occasione il libretto fu stampato dalla casa editrice Ricordi, in un bel volumetto con decorazioni liberty. Nel 1943 fu edito nuovamente dalla stessa casa editrice e anche dalle Officine Grafiche Alga di Milano [14].
 

Maria Bozzotti, che nacque il 20 novembre 1857, sposò Giovanni Rossi di Schio, figlio di Alessandro (1819/1898), grande imprenditore, pioniere dell'industria laniera italiana. Morì a Schio il 10 agosto 1903.

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sabato 18 giugno 2016

FESTA A VERDERIO IL 7 OTTOBRE 1896: LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’OPERA DI VITTORIO GNECCHI a cura di Marco Bartesaghi

Questo articolo è stato pubblicato, nel 1990, sulla rivista di storia locale Archivi di Lecco (N.3, anno 13, luglio – settembre1990)  ed è già apparso in questo blog il 4 gennaio 2009 diviso in due parti. Lo ripubblico ora, in un'unica soluzione, più comoda da leggere, per completare il tema di questo aggiornamento del blog ovvero il teatro nell'ambito della famiglia Gnecchi Ruscone.M.B.








Il 7 ottobre 1896 venne rappresentata, in forma privata, in un teatro appositamente allestito nella villa Gnecchi di Verderio, l’opera in due atti “Virtù d’amore”. L’autore era il compositore, allora diciannovenne, Vittorio Gnecchi, per il quale questo lavoro rappresentò l’esordio.

In un quaderno manoscritto, conservato nell’archivio parrocchiale di Verderio Superiore, è registrata la cronaca dell’avvenimento che ebbe una notevole risonanza sia sotto l’aspetto artistico, per le critiche ricevute, sia sotto l’aspetto mondano, per il carattere di festa di società che la famiglia ospite diede alla serata


La cronaca, probabilmente redatta dal comm. Francesco Gnecchi (1), padre di Vittorio e noto numismatico (o comunque da un membro della famiglia), è suddivisa in tre parti.

La prima è dedicata ai preparativi, dall’idea iniziale alla stesura del libretto e delle musiche, dalla preparazione dei costumi e delle scene all’allestimento del teatro, quindi la stampa del libretto e degli inviti, l’impianto di illuminazione, il reperimento degli alloggi per i musicisti e per gli invitati, il rifugio delle carrozze e così via,

Segue un elenco degli invitati. Il cronista, consapevole delle possibili lacune ha lasciato uno spazio bianco per le eventuali successive aggiunte.


Infine la descrizione della rappresentazione, con la sottolineatura degli applausi e delle espressioni di approvazione da parte del pubblico.

L’idea di un’operetta da rappresentare in campagna durante il periodo di villeggiatura, fu della signora Maria Rossi Bozzotti, zia dell’autore. A lei si deve anche la stesura del libretto: un azione pastorale in due atti, in cui si narra dell’amore di Aminta, giovane pastore, per Lida figlia del cieco Agasto. Aminta, dopo la vittoriosa caccia ad un feroce lupo, dichiara il suo amore. La ragazza lo respinge ma si lascia strappare una promessa: sposerà il pastore se questi le porterà la magica acqua del Monte Nero, capace di ridare la vista ad Agosto. Aminta parte implorando gli dei, il cui intervento è indispensabile alla riuscita dell’impresa, In suo soccorso interverrà “Virtù d’Amore” incutendogli fiducia nella vittoria. Sulla strada del ritorno ritrova Lida che, ormai innamorata, gli si è fatta incontro.


Una pagina del libretto "Virtù d'Amore", scritto da Maria Rossi Bozzotti e pubblicato dalla casa editrice Ricordi nel 1896

All’allestimento dell’opera, che pure era stata pensata come gioco per il periodo delle vacanze, furono chiamati a collaborare alcuni importanti personaggi del mondo della lirica.

I disegni delle scene e dei costumi furono affidati ad Adolfo Hohenstein, dal 1889 a Milano per lavorare al Teatro alla Scala e direttore artistico delle Officine Grafiche Ricordi.

Le scenografie furono realizzate da Antonio Rovescalli, dal cui studio, tra la fine del secolo e il 1926/27, uscirono gran parte delle scene per le opere di repertorio e le novità rappresentate a Milano e Roma.

Quando il giovane Gnecchi si accinse a scrivere “Virtù d’Amore” era ancora studente con i maestri Saladino, Coronaro, Serafin e Gatti.

I musicisti che componevano l’orchestra erano suoi compagni di studi; fra loro il futuro direttore Tullio Serafin, i maestri Tannini, Galeazzi e Russolo.

La critica mise in evidenza soprattutto come, con un’orchestra di pochi elementi, il compositore fosse riuscito ad ottenere una notevole ricchezza musicale.


“L’istrumentazione è fatta per orchestra d’archi con pochi altri strumenti a legno aggiunti: era facile peccare di monotonia; il Gnecchi ha saputo abilmente evitare questo scoglio, usando con opportunità dei varitimbri”. Così Giulio Ricordi sulla “Gazzetta Musicale” del 15 ottobre 1896. Dello stesso tenore furono i giudizi di Giannino Antona Traversi sulla “Vita Italiana” del 10 novembre 1896 e di “Lelio” sulla “Sera” del 13/14 ottobre dello stesso anno.

I pezzi più apprezzati furono il Preludio, la Pastorale del secondo atto, l’Intermezzo e il Valzer della “Virtù d’Amore”.

A quella di Verderio non seguirono altre rappresentazioni complete dell’opera; solo alcuni brani, in particolare la Pastorale e il Valzer, vennero eseguiti successivamente in diversi concerti.

Dopo questo primo lavoro Vittorio Gnecchi alternò il suo impegno fra la musica da camera e l’opera. Scrisse fra l’altro: Cassandra, 1905, la Rosiera, 1927, Missa Salisburgensi, 1933, Giuditta, 1953 (le date si riferiscono alle prime rappresentazioni.





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La vicenda artistica di Vittorio Gnecchi è segnata dalle polemiche che seguirono ad un articolo del critico musicale Giovanni Tebaldini, apparso nel marzo del 1909 sulla “Rivista musicale italiana”. Il Tebaldini, confrontando la “Cassandra” di Gnecchi e l’”Elettra” di Richard Strauss rilevò parecchie analogie tematiche parlando di “telepatia musicale”.

Nacque tuttavia in tal modo il caso “Gnecchi – Strauss” che ebbe eco in tutto l’ambiente musicale europeo.

A fugare ogni sospetto di plagio da parte del meno famoso Gnecchi, concorrevano però le date, Cassandra era stata rappresentata nel 1905 ed Elettra nel 1908, e la testimonianza del critico Ludwig Hartman che si dichiarò a conoscenza che Gnecchi, nel 1906, donò una copia dello spartito della sua musica a Strauss.

Di plagio si parlò ancora nel 1913, dopo la rappresentazione di Cassandra a Filadelfia. La critica americana che mosse l’accusa era evidentemente all’oscuro di come la questione fosse già stata sollevata e risolta in Europa.

Più opportunamente, in seguito, la vicenda venne letta come una singolare forma di affinità artistica e di comune sensibilità, tornando così all’originale ipotesi di Tebaldini.

La carriera di Vittorio Gnecchi fu segnata, come abbiamo detto, da questa polemica. “Cassandra”, che era stata diretta per la prima volta da Arturo Toscanini, ebbe grandi difficoltà ad essere di nuovo eseguita (venne ad esempio rifiutata dal Teatro all Scala, nel timore che Strauss potesse infastidirsi). Anche la produzione successiva trovò ascolto quasi esclusivamente all’estero, in particolare in Austria.


 
Il libro di F. Balilla Pratella su Vittorio Gnecchi Russcone

 In una raccolta di scritti tratti da varie pubblicazioni dell’epoca, laconicamente intitolata “Per un musicista italiano ignorato in Italia" (2) e curato da F. Balilla Pratella , è documentata la situazione di emarginazione in cui il maestro si trovò nel suo paese.

 “Virtù d’Amore” ebbe un ruolo nella vicenda Gnecchi Strauss; nel 1932 un altro critico, Mario Barbieri, aiutandosi con tavole comparative, come già aveva fatto Tebaldini, documentò sulla “Rivista musicale italiana” una serie di analogie anche fra “Virtù d’Amore” (1896) ed Elettra (1908).

Le musiche di Vittorio Gnecchi, che morì a Milano nel 1954 all’età di 77 anni, sono in fase di riordino (3) e catalogazione presso la biblioteca del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, alla quale sono state donate dai parenti del musicista.


La rivista "Curiosità musicali" con l'articolo di Mario Barbieri su "Virtù d'Amore" ed  "Elettra"

NOTE
(1) In seguito alla pubblicazione dell’articolo (1990) ho avuto modo di confrontare le calligrafie di diversi componenti della famiglia Gnecchi. Ora sono abbastanza sicuro che non fu Francesco Gnecchi a scrivere la cronaca.

(2) F. Balilla Pratella, Luci e ombre. Per un Musicista Italiano ignorato in Italia, Roma, 1933

(3) Ricordo che questo articolo risale al 1989. Il 2 ottobre 1998 si è costituita l’ “Associazione Musicale Vittorio Gnecchi Ruscone” col compito di promuovere e diffondere la conoscenza dell’attività artistica del maestro e di conservare le sue musiche e i suoi scritti.


Marco Bartesaghi

















venerdì 17 giugno 2016

VIRTÙ D'AMORE - cronaca della rappresentazione dell'opera, avvenuta a Verderio superiore il 7 ottobre 1896

















Quella che segue è la trascrizione della cronaca della prima  rappresentazione di Virtù d'Amore, opera di Vittorio Gnecchi Ruscone, compositore delle musiche, e di Maria Rossi Bozzotti, autrice del libretto. La cornaca fu redatta da un parente di Vittorio Gnecchi, probabilmente il fratello di Vittorio, Cesare. Il testo è conservato presso l'ArchivioParrocchiale di Verderio (ex Superiore) M.B.


  


VIRTÙ D'AMORE

L’autunno 1896 a Verderio rimarrà caratterizzato dalla rappresentazione della Virtù d’Amore. La solennità che la rappresentazione assunse e il numero grande di persone che vi convennero, diedero alla festa privata l’aspetto quasi di avvenimento pubblico, perciò per tutto quanto riguarda la cronaca della serata possiamo ricorrere anche per il giornale di famiglia alle migliori pubblicazioni date da alcuni giornali essendo anche più corretto che il giudizio venga dato fuori dalla famiglia; e così riporteremo quanto scrissero in proposito Giulio Ricordi nella “Gazzetta Musicale”, Giannino Antona Traversi nella “Vita Italiana”, Sofia Bisi Albini nella “Rivista della Signorina” e G.B. Nappi nella “Perseveranza”.

Rimane la parte cronaca intorno all’operetta. La sua azione, la sua storia, che noi qui ricorderemo accennando alla parte intima e anedottica che altrimenti andrebbe perduta, Sarà questo un semplice ricordo di famiglia, conservato e se mai le prime promesse dovessero essere seguite da un brillante avvenire, queste note potranno fornire i dati per il primo capitolo della vita artistica di Vittorio Gnecchi.

Nell’autunno del 1895 era stato allestito il teatrino nel salone superiore della villa di Verderio e i ragazzi vi avevano recitato qualche commediola. Ora la zia Maria Rossi Bozzotti, che aveva passato una parte dell’autunno a Verderio, animata da quella sua ardente febbre di organizzare cose belle e nuove e artistiche e secondata dalla sua fantasia inesauribile, s’era fissata in mente di combinare per il prossimo anno, qualche originale spettacolo, nel quale ciascuno dei ragazzi potesse spiegare le sue non comuni doti artistiche. Un giorno del seguente inverno discorrendo intorno ai progetti per l’autunno, essa propose al nipote Vittorio di allestire un libretto di operetta , se egli si fosse impegnato a musicarlo, con la magra scorta dei suoi iniziati studi di contrappunto. Poiché egli aveva allora 19 anni e frequentando la terza classe liceale, non aveva ancora dedicato alla musica che esigua parte del suo tempo, e occupava le ore che poteva rubare agli studi classici più alla tecnica del pianoforte che allo studio della composizione.


 
Vittorio Gnecchi Ruscone



L’idea di sua zia gli sorrise : l’accettò con entusiasmo: due giorni dopo zia Maria gli accenna la tela che lo seduce; in una notte è composta la prima scena e così, di fatto, è composto il libretto. Ma ancor prima che esso fosse terminato, le prime arie sono composte: alla primavera il lavoro è compiuto; solo l’ultima scena è terminata durante la stagione balneare a Santa Caterina; cosicché tutto fu pronto e copiato per l’esecuzione quando la nostra famiglia si riunì a Verderio per la vacanza autunnale, invitandovi pure la famiglia Rossi, la quale però per agevolare il ménage prese in affitto la villa Cassina a Paderno d’Adda e vi portò domestici, cavalli, ecc.

L’esecuzione di un’operetta di campagna è cosa tutt’altro che semplice; specialmente volendo ottenere un’esecuzione di prim’ordine, bisognava incominciare presto a pensare alle molteplici esigenze di un teatro. Il locale prima di tutto, poi gli scenari, l’illuminazione, i figurini, il vestiario, l’istruzione delle diverse parti e dei cori, l’orchestra, la stampa del libretto, dei programmi, degli inviti e gli infiniti accessori e dettagli di ogni genere.
 

A tutto il personale occorrente e al personale accessorio, ai parenti che accompagnavano i figli, a parte degli invitati, ai suonatori bisognava preparare l’alloggio. Per la sera della rappresentazione poi occorreva provvedere a riparare buon numero di carrozze e cavalli anche pel caso di pioggia.

Le preoccupazioni dunque erano molte e il tempo stringeva.
S’era alla fine di agosto e la rappresentazione si contava darla in fine di settembre. In un mese bisognava far tutto. – Zia Maria assunse la direzione artistica generale; Vittorio la parte istrumentale, mentre la parte vocale venne affidata alla signora Giulia Oddone Gavirati, la quale tosto si pose al paziente e difficile lavoro di istruire gli artisti-bambini (alcuni erano ignari di qualunque principio musicale) e vi si pose con quell’energia, quella competenza e quell’attività che tutti le riconoscono.



Maria Rossi Bozzotti


Per aiutarla i Rossi avevano condotto da Schio la signora Tolfo, ottima maestra di canto, la quale assunse e disimpegnò benissimo una parte, diciamo così, di “sostituta”. Il prof. Marazzani, che si diceva vecchio topo di palcoscenico, prese la parte del suggeritore. Vittorio Turati venne incaricato della stampa e dell’illustrazione del libretto, la cui edizione di estrema eleganza riuscì un vero gioiello. Il pittore Hohenstein, in quel tempo in gran voga perché incaricato di riformare il gusto artistico della messa in scena alla Scala, fece i bozzetti per le scene e i figurini per i costumi. Questi ultimi furono dapprima eseguiti con un’intonazione preraffaellita di gusto squisito.
 

Ma la semplice arcadica come avrebbe potuto essere intesa da un pittore primitivo esigeva delle figure sottili, slanciate, botticelliane. Sebbene tutte belle le nostre attrici, non rispondevano a quell’ideale, che era tanto facile disegnare su dei figurini. Era dunque meglio rinunciare a un’idea artisticamente deliziosa, se non fosse stato possibile seguirla alla perfezione. Perciò dopo lunghe discussioni, Hohenstein fu incaricato di rifare i 25 figurini, questa volta in stile settecentesco: così si sarebbero adattati meglio alle grazie delle nostre gentili artiste, non solo, ma anche alla musica, che l’autore aveva composto ispirandosi al carattere delle rappresentazioni pastorali che alla fine del ‘600 e nel secolo successivo si davano nelle corti italiane e francesi.

La sartoria Zampironi fu incaricata dell’esecuzione dei figurini con le migliori stoffe, le cui tinte furono scelte sapientemente da Hohenstein e dalle Signore, così da formare dei quadri di intonazione artisticamente indovinatissima. Il costume di Lyda fu fatto dalla sarta Mosca.

Lanfranconi provvide tutti i pastori di lunghe anella bionde e brune. Rancati fornì gli accessori e coprì di diamanti la Virtù d’Amore. Rovescalli fu incaricato dell’esecuzione delle scene…; ma quando si venne a concretare per queste, la faccenda era tanto cresciuta sotto mano che il teatrino del salone superiore veniva dichiarato insufficiente e si decise di fare un nuovo teatro a piano terreno nel locale detto del torchio, assai più ampio e capace, che fino allora aveva servito per giocarvi a tennis nei giorni piovosi. Bisognava costruire il palcoscenico, le scene, decorare il locale, pensare all’illuminazione, ai sedili, a tutto; ma con un po’ di buona volontà si arrivò ad ottenere che fosse curato ogni particolare, persino si provvide ad un’illuminazione elettrica provvisoria a mezzo di una locomobile facente funzionare una vecchia dinamo appartenente alla Società Edison, la quale gentilmente la prestò prima di collocarla nel museo e mandò anzi appositamente l’ingegner Clerici e l’ingegner Ettore Conti a fare l’installazione e a sorvegliare il funzionamento. Il fattore Cav. Carlo Lissoni venne incaricato di preparare gli stallazzi e nei diversi cortili e nell’arsenale vennero apprestate provvisoriamente scuderie per oltre un centinaio di cavalli e rimesse per una sessantina di carrozze. Difatti ne arrivarono effettivamente più di sessanta con 120 cavalli.

L’affare più serio erano gli alloggi per le persone, avendo dovuto ospitare per la sera della rappresentazione oltre gli artisti e i loro parenti, molti parenti nostri e amici che non avevano ville nelle vicinanze, né erano stati invitati da villeggianti della nostra Brianza. Alcuni, come il conte Venosta e la signora Dina Volpi aprirono, per l’occasione, delle ville che da anni non erano abitate.

La nostra casa era ricolma: la mamma-grande aveva gentilmente offerto tutte le sue stanze disponibili, come pure zio Ercole nella sua villa di Paderno. Allo stesso scopo servì la casa Cassina di Paderno dove furono alloggiati un certo numero di giovinotti. Anche a questa bisogna era dunque provveduto. Per i professori d’orchestra (che si fermarono una settimana perché le prime prove si fecero a Milano) coristi, scenografi, ecc. furono preparati aloggi in case di contadini, dove mediante imbiancatura e acquisti di mobili più necessari alla pulizia, si prepararono delle stanzette convenienti. La loro [table-d’hotes] era all’osteria Motta.

Il lavoro di preparazione andava fervendo sempre più di giorno in giorno: le lettere, i telegrammi non si contavano più: messi speciali erano inviati di ora in ora a Milano; incaricati diversi arrivavano ogni giorno: sarti, calzolai, parrucchieri, tappezzieri, artisti, illuminatori, elettricisti, pittori, stampatori ecc. ecc. un pandemonio e frattanto proseguivano attivamente le prove, al piano prima, poi colla piccola orchestra di 14 professori. Fra questi tutti eccellenti sebbene giovanissimi, è notevole ricordare che, sotto la direzione dell’autore, suonavano il M. Tullio Serafin (allora diciottenne) al pianoforte, il M. Russolo all’harmonium, il M. Tannini (ora direttore d’orchestra) 1° violino; Vescovi 2° violino; il Prof. ….. viola (che fu poi prima viola della Scala); il Prof. Galeazzi (che fu poi primo cello alla Scala) cello; Francesco Sessa uno dei contrabbassi, ecc.

Il tenore Cannonieri fu scritturato per cantare nei cori, unico professionista sul palcoscenico.


Ed ecco il programma indicante la distribuzione delle parti:Personaggi
Virtù d’Amore (figura simbolica), S.na Elisabetta Oddone
Lida, pastorella, S.na Sandra Rossi
Dafne, pastorella, S.na Pia Gnecchi
Flora, pastorella, S.na Giuseppina Regalia
Clori, pastorella, S.na Maria Ballerini
Amarilli, pastorella, S.na Valentina Bozzotti
Iª pastorella, Donna Costanza Bagatti Valsecchi
IIªpastorella, Miss Jessie Mason
IIIª pastorella, S.na Anna Maria Bozzotti
Agasto, vecchio pastore cieco, padre di Lida, Sig. Alessandro Rossi
Aminta, pastore, Conte Giuseppe Visconti di Modrone
Elpino, pastore, Cesare Gnecchi
Mirillo, pastore, Carlo Baulini
Tirsi, pastore, S.na Carla Gnecchi
Ciro, pastore, Cesare Rossi
Melibeo, pastore, Francesco Rossi
I° pastore, Giuseppino Baslino
II° pastore, Don Alessandro Casati
III° pastore, Don Pier Fausto Bagatti
Valsecchi
Cori di pastori e pastorelle.

 


Dallo spartito  per pianoforte e canto, edita a Berlino, probabilmente nel 1943, dalla casa editrice Capitol Verlag, è reperibile presso la biblioteca della Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia, collocazione LEVI C.1144.
Fra gli ospiti della nostra casa, oltre alle famiglie Rossi e Bozzotti, la duchessa Ida Visconti con Giuseppe e Guido, Remigia Ponti Spilateri, Maria Ballerini, S.na Gilda Tolfo, la sig.ra Oddone, Prof. Marazzani, Paolo Maesani, Fausto Bagatti Valsecchi, Emilio Silvestri, Gino Durini, Manfredi Olivia.

Una questione lungamente discussa fu quella dell’accesso al teatro, del passaggio cioè dalle sale dove il pubblico sarebbe stato prima radunato, al locale della rappresentazione lontanissimo e parecchi metri più basso. Il passaggio esterno era da escludere per il timore di un tempo cattivo o semplicemente per la temperatura che poteva essere fredda; il passaggio interno si poteva pure fare in più modi, ma erano tutti passaggi per così dire semirustici che occorreva convenientemente decorare per l’occasione. Vittorio ebbe l’idea di aprire una porta nel muro fra il torchio e l’ingresso esterno alla cappella, porta che avrebbe permesso di scendere dalla lunga scalinata che da appunto accesso alla chiesa per chi vi giunge dalla strada. Si adottò definitivamente questo progetto, decidendo di fabbricare un corridoio tutto tappezzato di rosso, sotto al palcoscenico, per giungere alla platea, perché la porta d’accesso si trovava ad essere appunto dietro il palcoscenico.

La scala lunga più di 50 gradini tutta coperta da un tappeto rosso e decorata a guisa di un pergolato da piante di bambù da ambo i lati, fra i cui rami brillavano lampadine elettriche, riuscì di un effetto fantastico. Per giungere dalle sale si dovevano percorrere tre corridoi e scendere da un’altra scaletta: tutti questi passaggi furono coperti di tappeti e le pareti adornate di tende antiche.


Illuminazione a braccioli con candele. L’ambiente del torchio dovette essere trasformato perché eccetto il soffitto esso è rustico. Tutto il pavimento per quasi 30 metri di lunghezza, fu coperto dal tappeto del ridotto della Scala (con grande allarme e molti reclami da parte dei giovani cantanti e della loro direttrice Signora Oddone perché avrebbe assai attutito l’acustica. Ma si ebbe il cattivo gusto di dare più peso ai piedi degli spettatori, - e il tappeto rimase) le pareti furono pure decorate con bambù e altre piante. Dai quattro balconi pendevano quattro magnifiche tende antiche prestate da Fausto Bagatti. Il fondo della sala fu coperto da una grande tenda rossa. Da ciascun lato dei muri due file di poltrone da giardino, nel centro tutte sedie rosse con cuscini rossi.

Tutta la decorazione del palcoscenico (dall’apertura di 7 metri) sollevato un metro e mezzo da terra, fu fatta in damasco rosso. Il velario fu il primo dei velari in velluto rosso a frange d’oro, che vennero poi adottati da tutti i teatri in sostituzione dei vecchi sipari.

Ma l’innovazione più importante fu quella introdotta nella struttura del palcoscenico, da Rovescalli: a Verderio furono per la prima volta eseguite le scene a completo panorama senza quinte, ottenendo tale effetto che l’inverno successivo il medesimo metodo fi adottato dallo stesso Rovescalli per la prima scena del Tristano alla Scala e dopo d’allora non fu più abbandonato nei grandi teatri.

Ciò che invece fu pure eseguito a Verderio con suggestivo effetto di verità, ma che non poté essere ripetuto in teatri di grandi dimensioni per ragioni tecniche, fu il cielo a volta. Tale innovazione consisteva in una enorme cappa celeste (armatura in legno coperta di tela) che si estendeva al di là del panorama dal quale distava circa 50 cm. La illuminavano intensamente lampadine disposte tutt’intorno, dietro al panorama stesso.

Così le piante, i cespugli, le montagne si distaccavano sull’azzurro omogeneo del cielo.


L’effetto poi del tramonto, alla fine del primo atto e al principio del secondo, ottenuto con lampadine di vari colori graduate col grande commutatore a tastiera del Teatro alla Scala, espressamente fatto impiantare, fu straordinario di verità e di poesia.

Non mancarono gli effetti di luce all’apparizione di Virtù d’Amore, all’uscita di Aminta dalla grotta, ecc. Fu l’ingegner Clerici in persona, in cima a una scala, che eseguiva le irradiazioni luminose. Dietro al palcoscenico, allo stesso livello di questo, fu preparato un salotto come foyer per gli artisti.

Sotto a questo e nella sala attigua si improvvisarono con paraventi un gabinetto di toilette e dei camerini, sebbene gli artisti (che erano 22) si sarebbero vestiti nelle loro stanze. Il loro accesso al palcoscenico doveva avvenire dal passaggio interno che conduce alla cantina e prosegue per le scuderie.

Dal 20 al 25 di settembre si diramarono gli inviti in stampa per la rappresentazione fissata per il 7 ottobre.

All’antiprova generale coi costumi assistette il Comm. Giulio Ricordi che rimase incantato dalla buona riuscita dello spettacolo: la prova del suo entusiasmo ci viene dal suo articolo nel giornale la “Gazzetta Musicale”. Alla prova generale furono invitati, oltre alla famiglia , i contadini, il personale di servizio, la Contessa Cecilia Lurani e Franco da Venezia. A quasi tutte le prove assistette il M. Saladino che era venuto a villeggiare a Cernusco.

E finalmente spuntò anche la vigilia di questo giorno, una splendida che faceva bene presagire anche pel domani: e venne anche il domani. La casa era tutta preparata pel ricevimento che doveva precedere e pel ballo che avrebbe seguito la rappresentazione con relativa cena: e siccome ai numerosi inquilini di Verderio (solo la casa principale ospitava 52 persone) non rimaneva più disponibile la sala da pranzo, già disposta per la cena , si supplì riducendo a sala da pranzo lo studio di papà ove il pranzo di 40 coperti (i più intimi erano stati invitati a pranzo dai parenti), riuscì anzi ammiratissimo disposto come fu a tavolini di 4 persone. Per illuminazione, un candelabro su ogni tavolino.

Ecco il menù:


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