sabato 24 settembre 2016

La Commissione Biblioteca di Verderio 

presenta


26 ACQUARELLI DELL'ARCH. FRANCESCO GNECCHI RUSCONE IN MOSTRA A MILANO



Sono un pittore della domenica di novantadue anni, che ha cominciato a dipingere dopo i settantacinque.
Chi me lo fa fare?
È un gradevole passatempo  che potevo innestare sulla familiarità con il disegno acquisita facendo per oltre mezzo secolo l’architetto: imparare a controllare luce e colore era una nuova sfida affascinante.
E così era la scelta di cosa rappresentare.
L’evoluzione proposta da Darwin ha fatto dell’homo sapiens un animale gregario: viviamo in comunità progredite nei secoli dal branco alla metropoli: una comunità funziona tanto meglio quanto più si regge su una solidarietà fatta non solo di norme e tradizioni ma anche di sentimenti, progetti e azioni personali miranti al benessere, alla felicità di altri.  Non posso quindi dipingere solo per evitare a me la noia di ore vuote: un dipinto, se qualcuno lo vede, diventa inevitabilmente un messaggio.
Esistono certo temi importanti: molti ideali, miti, drammi o anche incubi hanno ispirato capolavori ma per fortuna io ho in prevalenza sogni sereni con sprazzi occasionali di buffa assurdità: questi intendo offrire come immagini su cui posare con piacere lo sguardo al risveglio. Chi vorrebbe aprire gli occhi sull’Urlo di Edvard Munch? Ecco quindi montagne e fiori, alberi e colline, fiumi e golfi nel sole, uccelli o animali in movimento, vita naturale e serena.
Populismo applicato all’arte? Kitch bucolico? Benissimo!
Anche i nani di Biancaneve in gesso colorato danno felicità agli abitanti di qualche giardinetto suburbano.
Vorrei che i miei quadretti rappresentassero, se non un inno, almeno una canzonetta alla struggente bellezza della vita.


Francesco Gnecchi Ruscone


1866 - 1875 NOTE DI CACCIA DI ANTONIO GNECCHI RUSCONE di Marco Bartesaghi











Tra il 1866 e il 1875, Antonio Gnecchi Ruscone tenne nota, in un piccolo fascicolo, degli uccelli uccisi da sé e dal fratello Ercole, nelle loro frequenti battute di caccia. Il fascicolo, cm 14 X cm 18, di carta azzurrina, ma con copertina rossa, legato con un filo di cotone, ha le pagine numerate da 1 a 18, a partire dalla terza facciata; è intitolato: “Nota degli uccelli presi da Ercole ed Antonio Gnecchi ed Annotazioni” e ora appartiene al signor Alberto Gavazzi, di cui Antonio era bisnonno.
Il teatro delle imprese venatorie dei due fratelli è soprattutto il territorio di Verderio, ove essi trascorrevano le vacanze estive, nella villa che la loro famiglia aveva ereditato da Giacomo Ruscone e che in precedenza era stata di proprietà dei marchesi Arrigoni. Per alcune prede uccise altrove il cronista specifica il luogo; nel testo è anche annotata, quando capita, la presenza di altre persone.








Eccone la trascrizione:


“Nota degli uccelli presi da Ercole ed Antonio Gnecchi ed Annotazioni” di Antonio Gnecchi.
 



Pagina 1

1866
Anno 1°

Presi dall’Ercole
 
Collo schioppo presi (1)
6 Passere
 
Colla civetta (2)
11 Pettirossi
 
Col solo vischio
1 Stellino
 
Totale 18 uccelli


Annotazioni
(1) Il 1866 fu primo anno che Ercole adoperò lo schioppo. Aveva 16 anni, ma non aveva la licenza di caccia, e le prime passere furono prese nel giardino di Verderio collo schioppo dell’Eugenio.
(2) Andavamo a civetta collo zio Carlo.
 


 
Pettirosso, Oasi le Foppe, Trezzo d'Adda, Foto Fabio Oggioni (F.O.)


 ***







 Pagina 2
  
1867
Anno II°
Uccelli presi dall’Ercole collo schioppo
4 Passere (1)    3 Stelline     1 Fringuello    1 Saltimpalo
1 Pettirosso
 
Colla civetta
3 Cinciallegre (2)    2 Pettirossi    1 Codirosso    1 Reatino
1 Tuino
 
Uccelli presi colla gabbia nascosta
17 Passere
 
Uccelli presi colla tagliuola
1 Passero
 
Totale 36

Annotazioni
(1) Due passere furono prese con una sola schioppettata
(2) Una cinciallegra la demmo al Peppello Dubini che la tiene in gabbia.



Pagina 3

1868
Anno III°
Uccelli presi dall’Ercole col fucile (1)
57 Passeri    3 Dardanelli    8 Capineri    3 Saltimpali
4 Codilunghi    7 Codirossi    3 Rampichini    3 Tordine
1 Cardellino     3 Cinciallegre     2 Fringuelli    1Pettirosso
8 Stelline    6 Allodole    1 Tordo    1 Galgetta (?)
 
Uccelli presi da Antonio col fucile (2)
7 Stellini
 
Colla tagliuola
2 Passeri
Totale 120

Annotazioni
(1) Fu il primo anno il (sic) cui l’Ercole prese la licenza di caccia. In quest’anno andammo un po’ a caccia a Carugo, dove andammo collo zio Carlo e la zia Amalia.
(2) Fu il primo anno che adoperai lo schioppo, e solamente negli ultimi dì della vacanza. La prima schioppettata fu giusta e presi uno stellino, che fu poi imbalsamato. Avevo 11 anni.




 
Rampichino, Oasi le Foppe, Trezzo d'Adda, foto F.O.

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I FRATELLI ERCOLE E ANTONIO GNECCHI RUSCONE
 

Ercole e Antonio erano, rispettivamente, il secondo e il quinto figlio di Giuseppe Gnecchi Ruscone (Milano, 1817 – 1893) e di Giuseppina Turati (Busto Arsizio, 1826– Verderio, 1899).

Ercole Gnecchi Ruscone


 Ercole nasce l’8 giugno 1850 a Milano, dove muore il 2 dicembre 1931.
Impegnato, come il fratello maggiore Francesco, nell’industria serica, di cui gli Gnecchi Ruscone erano fra i protagonisti in Italia, entra nel mondo della finanza quando, nel 1878, la famiglia decide di interrompere la gestione diretta delle proprie attività industriali e di sciogliere la ditta “Figli di Antonio Giuseppe Gnecchi”.
Appassionato di numismatica, si dedica soprattutto allo studio e alla collezione di monete medioevali ed è autore di diversi libri sull’argomento. Con Francesco, anch’egli cultore di questa disciplina, è fra i fondatori, nel 1888, della Rivista Italiana di Numismatica e, nel 1892, della Società Numismatica Italiana. Tra il 1902 e il 1903 Ercole vende la sua collezione di monete, mettendola all’asta presso L&L Hamburger, numismatici di Francoforte.
Nel 1878 sposa Maria Sessa, figlia dell’imprenditore Carlo Sessa, da cui avrà sei figli.
A Paderno d’Adda, dove dal padre aveva ereditato Villa Giglio, è sindaco dal 1898 al 1905.
Legato da forte amicizia con don Carlo San Martino (Milano, 1844 – 1919), è suo stretto collaboratore sia nel circolo Alessandro Manzoni, che il sacerdote fondò nel 1882, che nel Pio Istituto Pei Figli della Provvidenza. Di questa istituzione educativa, fondata da don Carlo nel 1885, Ercole fu presidente del consiglio di amministrazione dalla sua fondazione al 1910.



 
Antonio Gnecchi Ruscone



 Antonio nasce a Milano l’11 febbraio 1857 e muore, sempre a Milano, il 29 novembre 1937.
Si dedica alla conduzione dei fondi agricoli della famiglia, quello di Becchignano, di proprietà della madre, e quello di Cologne Bresciano, del padre, che in seguito alla morte dei genitori riceverà in eredità.
Dal padre eredita anche una parte dei beni di Verderio, fra cui la villa ex-Arrigoni, che frequenterà soprattutto negli ultimi anni di vita e che, dopo la sua morte, passerà al figlio Alessandro.
Il 24 maggio 1881 sposa Caterina Rossi, figlia di Alessandro Rossi, industriale della lana di Schio (Lanerossi), da cui avrà quattro figli.






LA PASSIONE PER LA CACCIA

Se con il fratello maggiore, Francesco, Ercole condivide la passione per la numismatica, con il minore, Antonio, condivide – “in grado superlativo”, specifica lui stesso – quella per la caccia.
La coltivano fin da bambini, insidiando i passeri, sul terrazzo della casa di Milano, prima utilizzando una scopa, poi cercando di attirarli in una gabbietta con semi di miglio per esca o di schiacciarli sotto un mattone azionato da una cordicella. Hanno però qualche successo solo quando si affidano a piccole tagliole, che modificano, dopo aver fatto le prime vittime, allo scopo di mantenere in vita le prede catturate.
Il passo successivo, nella loro esperienza venatoria, è la caccia ai pettirossi con la civetta. Questa serviva da richiamo: i pettirossi sentendola avrebbero dovuto avvicinarsi, posarsi sulle aste su cui era  spalmato il vischio e rimanere appiccicate. Antonio ed Ercole  praticavano  questo tipo di caccia durante le vacanze a Verderio, accompagnati da un contadino- cacciatore.  Un corteo di spettatori, composto da famigliari, amici e qualche domestico, li seguiva, osservava  da lontano le loro operazioni e occupava i periodi di attesa, spesso assai lunghi, recitando il rosario.



 


I primi tentativi con un fucile li fanno nel giardino della villa di Verderio, di nascosto dai genitori ma con la complicità del “fattore”, che si presta a caricare l’arma: un vecchio fucile dello “zio Giovanni” con  “quella bella canna bresciana luccicante, quei belli acciarini alla romana, quella selvaggina scolpita ad intaglio sul calcio …”. Ercole spara, Antonio ha il ruolo di “bracco”: i passeri, che sono il bersaglio, se ne vanno incolumi mentre è la guancia del cacciatore a subire dolorosamente le conseguenze della sua inesperienza. Proprio quando decidono che un ulteriore insuccesso avrebbe significato l’abbandono della carriera venatoria, colpiscono la preda: “fummo cacciatori”, scrive con enfasi Ercole, ricordando questo primo successo.
In un negozio di antiquariato di Milano, comprano il loro primo fucile: una vecchia arma ad avancarica, con canna “lazzarina”, che ha un difetto che la rende assai pericolosa: un’ampia saldatura nelle vicinanze della culotta, sfuggita all’esame superficiale cui l’hanno sottoposta i due sprovveduti al momento dell’acquisto.


Una foto attuale del giardino della prima villa di Verderio che fu della famiglia Gnecchi, quella che in precedenza era stata dei Marchesi Arrigoni

Non hanno ancora l’età per prendere la licenza; Ercole, il più grande, spara perciò i primi colpi in spazi privati: i vigneti della filanda di Turro e, durante le vacanze, il giardino della casa di Verderio. Qui passano ore e ore, tanto al sole che sotto la pioggia, attendendo che gli uccelli si fermino su alcuni grossi gelsi, per potergli sparare. Le loro vittime sono perlopiù passeri. Quando si azzarderanno ad uscire dal giardino per andare a sparare nel bosco, accompagnati dal guardaboschi Caneti, festeggeranno la loro prima beccaccia.
Dopo il primo fucile, ne seguì uno a doppia canna. Poi entrambi si dotarono di un’arma a retrocarica Lefancheux ed in seguito di una a percussione centrale 5].


DICEMBRE 1879: UNA GIORNATA DI CACCIA SUL LAGO DI MANTOVA 

Divenuti cacciatori esperti, Ercole e Antonio, oltre alla consueta attività in Brianza, partecipano a battute di caccia in luoghi più lontani. Nel “Giornale di Famiglia” il resoconto di una di queste, svoltasi sui laghi di Mantova, è affidato alla penna di Ercole 6]



A Mantova il diritto di caccia (come quello di pesca e di raccolta delle canne) sui tre laghi che circondano la città - Superiore, Inferiore e “di mezzo” - veniva appaltato dal Comune, che ne era proprietario, a un privato, che, a sua volta, lo affittava a una società di cacciatori, che ne diventava detentrice esclusiva: solo i suoi soci potevano praticare la caccia sui laghi e la regola era fatta rispettare da un assiduo servizio di sorveglianza.
La società, periodicamente, organizzava battute di caccia a “rastrello” – “a restello”, nel testo di Gnecchi - alle quali era permesso ai soci invitare alcuni amici.
Il 21 dicembre 1879 Ercole e Antonio ricevono da Gino Dolcini, loro amico mantovano, l’invito a partecipare ad uno di questi eventi, portandosi 4 fucili e molte cartucce con pallini n.6.


Mantova, dal suo lago
La decisione di accettare l’invito, la partenza, la presentazione agli altri cacciatori e la descrizione della notte antecedente l’ avventura occupano la prima parte del racconto. Dopodiché Ercole ne descrive lo svolgimento.
Ogni cacciatore aveva a disposizione una piccola barca, con la quale doveva disporsi lungo un’unica fila, nella posizione stabilita da un sorteggio. All’ordine del “capo caccia”, le due barche alle estremità della fila si muovevano, seguite dalle altre, costeggiando le rive, verso destra e verso sinistra. La selvaggina veniva così costretta in una sacca ad U, che si trasformava in una ad O, quando il capo caccia, giudicando sufficientemente abbondante la messe raccolta, ordinava la “chiusa”. Le barche cominciavano allora  a muoversi verso il centro, restringendo il cerchio fino a un diametro di un centinaio di metri .A questo punto gli uccelli si levavano contemporaneamente in volo, passando sopra i fucili spianati dei cacciatori, che ne facevano strage. Un’alternativa consisteva nello spingere la selvaggina contro una riva, piuttosto che chiuderla nel cerchio in mezzo al lago.
Durante lo svolgimento della caccia, ogni partecipante doveva ubbidire meticolosamente ad alcune regole, pena l’allontanamento immediato: doveva sparare solo sul suo lato sinistro, per evitare le contestazioni su chi avesse colpito la preda; era vietato sparare a filo d’acqua, per non colpirsi a vicenda; le barche dovevano stare, fra loro, a distanza di un tiro di fucile; al capo caccia era dovuta obbedienza assoluta. Due carabinieri al seguito delle barche, verificavano il corretto comportamento dei partecipanti.
Durante la giornata descritta furono effettuate 6 chiuse, tre al mattino e tre dopo la pausa colazione.
Oltre alle folaghe, le più numerose, nelle “chiuse” si trovavano anatre, garganelli e altri “selvatici” non specificati.
 

 
Folaghe, fiume Adda, foto mia (e si vede)


Nelle pause fra una chiusa e l’altra i cacciatori sparavano a degli uccelli, conosciuti a Mantova con il nome di fisolini, e, dalle nostre parti, secondo Ercole, che però non ne sembra molto sicuro, come taratole: piccole anatre che passano la maggior parte del tempo sott’acqua, tanto che Gnecchi le definisce come un anello di congiunzione fra gli uccelli e i pesci. Per colpirle il cacciatore, che le aveva viste immergersi, doveva stare pronto con il fucile puntato verso il punto da cui presumibilmente sarebbero riemerse.
L’abbigliamento dei cacciatori mantovani: giacche di lana con pelliccia interna; berrette di pelliccia che scendevano ai lati per coprire le orecchie e il collo; stivali di feltro molto grosso, che coprivano tutta la gamba; altri, in alternativa, toglievano le scarpe e infilavano i piedi in sacchi di lana e di pelliccia.
Le barche erano colme di paglia di fieno. I cacciatori vi si infilavano e poi si coprivano con ampi mantelli.
La giornata di caccia ebbe esito scarso, a giudizio dei partecipanti mantovani. Eccellente invece secondo i fratelli Gnecchi, abituati a ben più scarsi bottini in Brianza, dove, già allora, capitava di tornare la sera senza neanche una preda.



GARE DI TIRO AL VOLO A MILANO E VERDERIO
 

Oltre alla caccia vera e propria, i fratelli Gnecchi si dedicavano allo sport del tiro al volo, partecipando a gare di tiro al piccione e alla quaglia. Era attivo soprattutto Antonio, il cui nome è presente più volte, negli anni ottanta e novanta dell’ottocento, nei resoconti delle gare, pubblicati dalla rivista “Caccia e corse”.
 

 
Minuta dell'articolo per il "Giornale di Famiglia", conservata presso l'Archivio Storico di Verderio


Il Giornale di Famiglia, riporta la cronaca di una gara di tiro al piccione, organizzata da Francesco Sessa, il primo febbraio del 1880, a Milano, nel giardino di villa Cosmo, poco fuori Porta Genova.
La manifestazione comprendeva una partita di tiro “ai piccione Mezzanotte”, un marchingegno, precursore del moderno piattello, che prendeva nome dal suo inventore, Luigi Mezzanotte.
Si trattava di una piccola girandola di latta a quattro bracci - “elice” - con un foro al centro, nel quale far passare la punta di un perno. Quando questo veniva fatto ruotare dallo strappo di una corda, che in precedenza gli era stata avvolta intorno con molti giri, l’elice prendeva il volo, diventando bersaglio per i tiratori partecipanti alla gara. L’utilizzo di questo strumento permetteva di salvare la vita di un considerevole numero di piccioni e di risparmiare molto denaro nell’organizzazione delle gare.
 

 
Pubblicità del "piccione Mezzanotte" sulla rivista "La Caccia", 10 agosto 1881


 
Ercole, cronista della giornata, non trascura un fatto di costume, riconducibile, mi sembra, all’arte di “imbucarsi”: all’esterno del perimetro di gara, quindi del parco della villa, si era radunato un gran numero di cacciatori che sparava ai piccioni sfuggiti ai concorrenti, i quali si lamentavano perché su di loro piovevano pallini, anche a forte velocità 7].

***

Il 12 settembre 1881 gli Gnecchi furono promotori, a Verderio, di una gara di tiro alla quaglia, organizzata per raccogliere fondi da mettere a disposizione per la costruzione dell’Asilo di Paderno d’Adda.
In origine, per questo scopo, si era pensato a una “Gran Fiera di Beneficenza”, che avrebbe coinvolto tutta la popolazione. La siccità, che aveva imperversato in quell’anno, aveva sconsigliato però di gravare sulle tasche, già misere, dei contadini e di optare per la gara di tiro, che avrebbe coinvolto “signori”, i cui portafogli erano meno sensibili alle condizioni meteorologiche.
Si iscrissero Francesco, Giuseppe e Rodolfo Sessa; Battista e Felice Vittadini; Alessandro Gallavresi; Alessandro Vanotti; Perego D. Antonio; Ercole e Antonio Gnecchi.
Battista Vittadini si aggiudicò la gara di tiro a 3 quaglie, Felice Vittadini quella “Americana”. A Francesco Sessa andò il “premio della maggioranza relativa”, forse per la terza gara in programma: “poules libere con passeri”.
La manifestazione durò dalle ore 12½ alle 16½ e fruttò all’erigendo asilo un contributo di £350, comprensivo del ricavato di una lotteria di duecento numeri, venduti al prezzo di una lira cadauno.
Sia ai vincitori delle gare che a quelli della lotteria, furono assegnati, come premi, oggetti d’arte 8].



LE IDEE DI ANTONIO GNECCHI RUSCONE SU COME AFFRONTARE I PROBLEMI DELLA CACCIA

Antonio Gnecchi Ruscone




Oltre a praticare assiduamente la caccia, non solo in pianura, ma anche in montagna, dove, in particolare, insegue il camoscio e il gallo cedrone, Antonio Gnecchi si interessa ai problemi ad essa connessi e interviene con sue proposte alle discussioni, in corso negli anni ottanta dell’ottocento. Queste si concentravano sulla necessità, per il Regno d’Italia, di giungere ad una nuova legislazione, che superasse la frammentarietà ereditata dal passato e cercasse, per quanto possibile, di mettere d’accordo gli interessi contrapposti degli agricoltori e dei cacciatori.
Possiamo conoscere le posizioni di Antonio da un articolo che nel 1881 scrisse per il giornale “Caccia” (o “La caccia”), ma che finì sul “Giornale di Famiglia” perché, dice, “prevenuto dal Congresso dei Cacciatori” 9].




Il testo prende le mosse dalla constatazione che andare a caccia, già allora, non era più come una volta, quando i cacciatori tornavano sempre a casa con carichi invidiabili e non con il carniere vuoto, come capitava spesso ai tempi in cui egli scriveva.
Le cause di tanta differenza?
Certamente la diminuzione dei boschi e l’aumento delle aree coltivate, ma, dice lui saggiamente, “è meglio lasciar che si lamentino i cacciatori” piuttosto “che periscano di fame tanti poveri diavoli”.
Un altro fattore che rendeva più difficoltosa la caccia rispetto al passato era il gran numero di chi vi si dedicava: “ora ne incontri uno ad ogni passo”. E anche i contadini facevano la loro parte: “di buonissima ora, assieme alla vanga si portano un arnese che chiamano fucile, e se, durante il lavoro, capita qualcosa, certo non se lo lasciano fuggire”.
Scartata come ridicola l’asserzione che fra le cause dell’impoverimento della selvaggina si dovesse includere il perfezionamento degli strumenti della caccia, Antonio si concentra su quelli che sono per lui i motivi principali di tale fenomeno: l’imbecillità delle persone, la legge vigente e la poca sorveglianza sui cacciatori da parte delle guardie preposte.



Il primo aspetto, quello dell’imbecillità, lo affronta con due stringati ma efficaci esempi:
“Se, arrivate in maggio, pongo poco, cinque coppie di quaglie, si lascian tutte quante nidificare ne avrete al minimum alla fine di Agosto 250, quindi una ogni 400 m.q. Se invece, come sempre succede, l’avidità di guadagno e l’egoismo di taluni fanno sì che di 5 coppie ne rimangan una o nessuna vedrete come non si sarà fatto altro che avere il minor numero di selvaggina possibile. Lo stesso avviene in quei luoghi dove taluni imbecilli hanno il coraggio di tirare ad una pernice sul nido e di farsi colle uova una buona frittata”.
Nel resto dell’articolo Antonio, dopo aver esposto alcuni criteri generali, elenca le norme da lui concepite che, a suo avviso, inserite in una nuova legge e rigorosamente applicate, “in meno di una mezza dozzina d’anni” avrebbero permesso di conseguire i due principali obbiettivi: “i cacciatori si divertirebbero a loro piacimento e gli agricoltori non avrebbero più a lamentarsi”.
È possibile, si domanda, dividere nettamente gli uccelli utili all’agricoltura - gli insettivori - da proteggere, da quelli dannosi - i granivori - cacciabili? È molto difficile, afferma, perché quasi sempre gli uccelli sono sia insettivori che granivori. Perciò ritiene che una legge che voglia accontentare sia gli agricoltori che i cacciatori - “Cerere e Diana” – non si debba basare sulla distinzione fra specie di cui è permessa la caccia e altre di cui è vietata, bensì su criteri più generali – “i grandi principi” – e debba prendere le mosse dall’assioma che “gli uccelli sono benefici all’agricoltura”.
Queste, per punti, le sue proposte:
  

1-proibizione dell’uso di reti, fino a che non si fosse verificato un notevole aumento della popolazione di uccelli. Comunque, dopo la fine della proibizione, si sarebbe dovuto tenere molto alto il prezzo della licenza per il loro uso. Perpetua invece la proibizione di lacci, archetti, ecc. Per i trasgressori multa di lire 500 e proibizione a vita di cacciare in qualsiasi modo.
 

 2-In tutte le province del Regno permessa la caccia con il fucile, dal 15 agosto all’1 marzo.
   

 3- Multe salatissime e divieto perpetuo di caccia a chi la praticasse nei periodi proibiti e a chi tenesse in casa uccelli da richiamo, reti o fucili senza avere la licenza dell’anno precedente. Divieto perenne di svolgere il loro commercio ai pollaioli che detenessero e vendessero uccelli in tempo di caccia non permessa. Diritto dei sindaci di sporgere denuncia per le violazioni di cui sopra.
 

 4-Concessione ai carabinieri e alle guardie [guardia caccia?] di trattenere buona parte delle contravvenzioni emesse.
 

 5- Porto d’armi solo per le armi da difesa e non per quelle da caccia.
 

 6- Diritto dei proprietari di impedire qualsiasi tipo di caccia sui propri terreni. Multa di lire 20, riscossa dai proprietari, e ritiro degli arnesi di caccia per i trasgressori muniti di licenza. Multa presumibilmente più elevata, ma nel testo non è chiaro, per quelli che ne fossero sprovvisti.
 

Non sono riuscito a trovare notizie sulla partecipazione di Antonio Gnecchi Ruscone alle attività delle associazioni venatorie nel corso della sua vita. Questo articolo del “Giornale di Famiglia” lascia però supporre che questa partecipazione ci sia stata e sia stata piuttosto attiva.

CACCIA E COLLEZIONISMO ORNITOLOGICO: GIUSEPPE GNECCHI RUSCONE E  IL CONTE ERCOLE TURATI

Fin dai primi decenni nel XIX secolo, ma con una lunga coda anche nel ventesimo, si sviluppò un vivo interesse per il collezionismo ornitologico fra personaggi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia imprenditoriale, accomunati anche dalla passione per la caccia.

Giuseppe Gnecchi Ruscone
Giuseppe Gnecchi Ruscone (Milano, 1885 – Cologne Bresciano, 1966), figlio di Antonio, realizzò nel corso della sua vita una collezione di circa 400 uccelli, la maggior parte dei quali cacciati da lui stesso e perlopiù provenienti dal nord Italia.
La collezione è ora conservata dal Civico Museo di Storia Naturale di Brescia, al quale Giuseppe la donò insieme ad una preziosa serie di volumi illustrati di storia naturale 10].




L’interesse di Giuseppe Gnecchi per l’ornitologia si espresse anche attraverso numerosi articoli apparsi, nel corso degli anni, sulla Rivista Ornitologica Italiana e con la pubblicazione, insieme a Edgardo Moltoni, dell’opera in quattro volumi Gli uccelli dell’Africa Orientale Italiana 11].


***

Era zio di Ercole e Antonio Gnecchi Ruscone, in quanto fratello della loro mamma Giuseppina, il conte Ercole Turati (Busto Arsizio, 1829 – Milano, 1881), industriale cotoniero, l’uomo che formò la più ricca collezione d’uccelli mai raccolta in Italia e una delle più importanti al mondo.
Iniziò la sua collezione all’età di quattordici anni, destinando in un primo tempo alla conservazione solo le prede delle sue battute di caccia, e la arricchì nel corso della sua vita anche con l’acquisto di esemplari provenienti da tutto il mondo e l’acquisizione di intere collezioni: alla sua morte la raccolta constava di più di 22.000 esemplari.



Ercole Turati in un ritratto ad olio
Ercole Turati ebbe cura di dare carattere scientifico alla sua raccolta, cercando la collaborazione dei maggiori studiosi d’Italia e del mondo.
Sostenitore, fra i primi in Italia, delle tesi di Darwin, non si limitò a conservare i due esemplari classici per ogni specie - maschio e femmina - ma , affinché potesse essere il più possibile documentata la variabilità, raccolse anche esemplari giovani, i pulcini le uova oltre a soggetti  caratterizzati da varie anomalie. Ad esempio, la serie rappresentante il merlo comune (merula volgari) era composta da non meno di 50 esemplari 12].
Dopo la sua morte, avvenuta il 30 agosto 1881, i figli Emilio 13] e Vittorio donarono la collezione al Comune di Milano perché la destinasse al Museo Civico di Storia Naturale 









Della donazione, così scriveva, non nascondendo il suo entusiasmo, Antonio Stoppani, direttore del museo dal 1882 al 1891, in un opuscolo intitolato: “Sulla necessità di un ampliamento del Museo Civico di Storia Naturale di Milano” 14]:“Ma il colmo del suo attuale ingrandimento lo toccò d’un salto il Civico Museo nel 1884, quando fu decisa dal Consiglio Comunale l’accettazione della splendida Collezione ornitologica Turati. Si disputa ancora, se questa raccolta, la quale dicesi costata all’illustre collettore un milione di lire, pareggi soltanto o superi quella famosissima del museo di Londra. Per numero non saprei; ma per  bellezza e freschezza di esemplari, la supera certamente. Basti dire intanto che questa collezione conta in oggi circa 22 mila esemplari, rappresentanti 8000 specie; quattro quinti delle specie  conosciute! Aggiungi 600 scheletri, intercalati a fianco delle rispettive specie imbalsamate, poi 600 pelli ancora da montarsi …”






Per poter accogliere la Collezione Turati, l’ampliamento della vecchia sede, in Palazzo Dugnani, a cui accennava Stoppani non sarebbe però stato sufficiente. L’Amministrazione Comunale, rinunciò quindi al progetto da tempo in discussione e optò per la costruzione del nuovo edificio nei giardini di via Palestro.

Particolare della facciata del Civico Museo di Storia Naturale di Milano, con l'insegna dedicata alla Raccolta Turati
Della raccolta Turati rimangono ora poche centinaia di pezzi. Gli altri bruciarono nell’agosto del 1943, nell’incendio provocato dal bombardamento del museo.

Civico Museo di Storia Naturale di Milano. Busto in bronzo del Conte Ercole Turati, realizzato dallo scultore Francesco Confalonieri (1850 - 1925), inaugurato il 18 aprile 1898.

APPENDICE: FRANCESCO GNECCHI RUSCONE, IL FRATELLO “NON-CACCIATORE”






Per il numero di dicembre del 1878 del “Giornale di Famiglia”, Ercole Gnecchi chiede al fratello Francesco di collaborare con un articolo sulla caccia 15].
Francesco non se la sente e risponde con una lettera in cui spiega che, pur capendo la passione della caccia negli altri, non l’ha mai provata in sé; chiede allora ad Ercole di accontentarsi di alcuni disegni, realizzati negli anni addietro, copiandoli qua e là da diverse riviste illustrate.
Racconta poi di alcune disavventure capitategli nelle poche esperienze di caccia vissute proprio con il fratello: quando lo seguì dalle parti della Chiesa di Verderio superiore alla ricerca  di “quel famoso uccello che era stato veduto chissà da chi” e si ritrovò con la faccia nel fango e gli abiti completamente imbrattati, o quando, “alla cava”, stette, sempre con Ercole, tre ore sotto la pioggia in attesa di una lepre che non si fece vedere; e, ancora, quando sparò, unico colpo della sua vita diretto verso esseri viventi, ad almeno un centinaio di passeri appollaiati su un grande gelso, e non ne colpì nemmeno uno.
Conclude che la caccia, per lui, non è che un “barbarissimo divertimento”.




Questi alcuni dei suoi disegni.



- Là, copriti per bene il collo e le orecchie, ... guardati bene di non stancarti troppo, di non prender freddo, di non bagnarti i piedi e soprattutto ... portami tanta selvaggina!



- Decisamente ho avuto torto a prender meco il cane di mio nipote; ha tutta l'aria di sapere che il suo padrone è il mio erede ...


- Vuoi ammazzare una lepre? ... Niente di più facile ... le spalle così ...la mano qua ... si mira là ... tac! ...
- Ma dimmi papà, non ci vuole anche la lepre? ...


- Ah! Poveretto me! Ho dimenticato a casa le cartucce ...

NOTE
Attenzione! I numeri fra parentesi tonde contenuti nel fascicolo di Gnecchi, si riferiscono alle sue annotazioni "a piè" di ogni pagina del fascicolo. Fra parentesi quadre e in nero i numeri delle note a fine testo compilate da me.

1] Nel testo, alcune somme sono errate: fra parentesi quadre e in rosso le somme esatte.

2] Così nel testo: forse intendeva scrivere cinciallegre.

3] Cifra cassata nel testo.

4] Nella pagina 18 era previsto un indice del fascicolo che però non risulta compilato.

5] Le notizie sulle prime esperienze di caccia sono tratte da due articoli scritti da Ercole Gnecchi Ruscone per il “Giornale di Famiglia”:
 - Memorie di caccia, fasc. 369, 9 maggio 1875;
 - La passione per la caccia, fascicoli 660 – 661, 28/11 e 5/12 1880. La minuta dell'articolo  è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 44, n. 56/5

Il Giornale di Famiglia era una pubblicazione interna alla famiglia Gnecchi Ruscone, tenuta in vita dal 1868 agli inizi del novecento. Conteneva cronache familiari, articoli d'arte, letteratura e scienza, racconti, storielle comiche e giochi enigmistici. Compilato a mano, su fogli formato 16X23 cm, aveva cadenza settimanale.

6] Giornale di Famiglia, Ercole Gnecchi, Una Caccia sul Lago di Mantova, fascicoli 613 bis – 614, 4 /1 e 11/1 1880.  La minuta dell'articolo è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 45, n.59/44.

7] Giornale di Famiglia, Ercole Gnecchi,Tiro al piccione alla Villa Cosmo, fascicolo 618, 1880. La minuta dell'articolo è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 45, n. 59/29.

8] Giornale di Famiglia, Ercole Gnecchi, Tiro alla quaglia – cronaca domestica, fascicolo 702, 1881. La minuta dell'articolo è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 43, n.16. 
Nell'Archivio Storico di Verderio anche la minuta dell'articolo: Dall'album di un tiratore, Antonio Gnecchi, faldone 45, n. 59/3.

9] Giornale di Famiglia, Antonio Gnecchi, A proposito del Congresso dei Cacciatori, fascicolo 719, 1882.  La minuta dell'articolo è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 44, n.56/7. 

Nell'ottobre del 1881 si svolse a Milano il 1° Congresso Cinegetico Italiano.

10] Edgardo Moltoni, Giuseppe Gnecchi Ruscone  (1885 – 1966), Natura – Rivista di scienze naturali edita dalla Società Italiana di Scienze Naturali e dal Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Volume LVIII, anno 1967.

11] E. Moltoni – G. Gnecchi Ruscone, Gli Uccelli dell'Africa Orientale Italiana, Milano, Volume 1: 1940; 2: 1942; 3: 1944; 4: 1956.

12] Commemorazione scientifica del Conte Ercole Turati fatta dal prof. Giacinto Martorelli direttore della raccolta ornitologica Turati nel Museo Civico di Storia naturale di Milano - Addì 17 aprile 1898, Milano, 1898.

La raccolta ornitologica Turati – Il dono che rese Milano più internazionale, mostra presso il Civico Museo di Storia Naturale, Milano, 30 aprile – 22 giugno 2014.

13] Emilio Turati (Orsenigo, 1858 - Gardone Riviera, 1938), figlio di Ercole, fu un importante lepidotterologo e collezionista di farfalle. Anche il fratello di Ercole, Ernesto, si dedicò a studi naturalistici, concentrandosi soprattutto sullo studio dei coleotteri. Anche la sua collezione, come quella di Ercole, fu donata al Civico Museo di Storia Naturale di Milano.

14] Antonio Stoppani, Sulla necessità di un ampliamento del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Milano 1888.


15] Giornale di Famiglia, Francesco Gnecchi Ruscone (Cecco), La caccia – schizzi a penna, fascicolo 558, 1878.  La minuta dell'articolo, senza i disegni, è conservata presso l'Archivio Storico di Verderio, faldone 44, n. 56/9.



Grazie al signor Alberto Gavazzi, che mi ha messo a disposizione l'opuscolo sulla caccia compilato dal suo bisnonno Antonio ,  al signor Carlo Gnecchi Ruscone, che mi ha permesso di consultare i fascicoli riguardanti la caccia del "Giornale di Famiglia", ai signori  Pierluigi Melzi e Fabio Oggioni che mi hanno lasciato pubblicare le loro fotografie.
Marco Bartesaghi




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mercoledì 21 settembre 2016

A CACCIA DI UCCELLI CON LA MACCHINA FOTOGRAFICA di Marco Bartesaghi



Fabio


Non voglio demonizzare i cacciatori con il fucile, ma confesso che mi sento più in sintonia con quelli che a caccia ci vanno armati solo di macchina fotografica.







Pierluigi
Di Verderio ne conosco due: Fabio Oggioni, popolarissimo meccanico d’auto, e Pierluigi Melzi, operaio a Brugherio e verderiese da una ventina d’anni.
Cinquantacinquenni, da parecchio tempo ormai dedicano sabati pomeriggio e domeniche a fotografare uccelli; da qualche anno, da quando si sono conosciuti, lo fanno perlopiù insieme. Fabio ha iniziato una quindicina d’anni fa, dopo essere stato affascinato, durante una vacanza, dagli uccelli del Costarica; Pierluigi per una decina d’anni li ha osservati con il cannocchiale, percorrendo in canoa fiumi e laghi d’Italia, poi ha cominciato a fotografarli.
Tra i cacciatori con il fucile e quelli con la macchina fotografica la differenza è innegabilmente grande, ma, mi dicono, le similitudini sono parecchie: per entrambi la preda è un trofeo e, come fra i cacciatori,  non manca fra i fotografi l’invidia per quella più bella, più rara o ripresa in una situazione speciale. Anche  il confronto per chi ha l’attrezzatura migliore e il teleobiettivo più potente può suscitare sentimenti non proprio nobili. Altra caratteristica che accomuna le due categorie di cacciatori è la “scaramanzia”. “Magari - mi raccontano – siamo fermi da due o tre ore nello stesso posto senza vedere niente ma non ci spostiamo perché siamo sicuri che appena lo facciamo passa via chissà cosa
Indispensabile per fotografare gli uccelli è una macchina fotografica reflex con teleobiettivo. Loro hanno iniziato con uno zoom che arrivava a 300mm; ora Pierluigi ne ha uno da 400, Fabio da 600 (“a l’è ‘n baüscia”, interviene Pierre: cosa vi dicevo?).


Fotografo naturalista in riva all'Adda
Il lungo Adda, in particolare l’oasi dell’Alberone, poco sotto il ponte di Brivio; le foppe di Trezzo d’Adda, oasi del WWF; il parco di Montevecchia,soprattutto in inverno, sono i luoghi vicini che da sempre frequentano. Lì si può vedere l’airone, il tarabusino, il percilione, il martin pescatore, varie anatre, lo svasso, le folaghe, ecc (di mio aggiungo il cigno, l’unico uccello che riesco a fotografare).



Airone Bianco oasi dell' Alberone (Villa d' Adda), foto Fabio Oggioni


















 Martin Pescatore a Brivio, foto Pierluigi Melzi


Garzetta a Brivio, foto P. M.


















Cannareccione all' oasi dell'Alberone,  Villa d'Adda, foto F.O.

Vicino si può considerare anche il Pian di Spagna, a Colico.
A Pescarenico (Lecco) vanno a fotografare un rapace, il nibbio, che, soprattutto nei giorni feriali, cala dalla montagna per mangiare i resti dei pesci che il pescatori del consorzio locale ributtano in Adda dopo aver pulito il frutto del loro lavoro notturno.




A volte vanno più lontano: l’oasi di Brebbio (Varese) dove è facile vedere il falco di palude, il falco pescatore, l’airone rosso, le naticole (non che all’Adda non sia possibile vederli, ma là è più facile); le risaie del novarese per vedere aironi, l’ibis, l’ibis sacro; sul delta del Po per i fenicotteri; a Racconigi per le cicogne; sui laghi di Mantova dove si trova di tutto.


Beccaccino all'Alberone, foto P.M.



















Topino oasi Alberone, foto F.O.


Porciglione  all'Alberone. foto F.O.













Il periodo migliore per fotografare gli uccelli è la primavera, perché oltre alle specie stanziali si possono  vedere quelle di passo, che migrano. Da un certo punto di vista però, precisa Pierluigi, è anche il periodo meno indicato, perché la primavera è anche tempo di accoppiamenti e la presenza dei fotografi è più invadente del solito.

Eh sì, perché i fotografi non sparano, ma qualche fastidio lo possono dare e quindi è bene che anch’essi rispettino delle regole. Chiedo quali regole loro si sono dati: “la prima è il silenzio,che, tra l’altro, fa comodo anche a noi; la seconda e che non ci si deve avvicinare più del necessario e che bisogna farlo in punta di piedi. Devi usare il buon senso. Magari qualche errore lo fai comunque, anche se cerchi di evitarlo”.















Parliamo e intanto  fanno scorrere sui loro smartphone le fotografie, me le mostrano e dicono i nomi. Chiedo quanti tipi di uccelli riescano a riconoscere al volo: un centinaio, mi rispondono. Per imparare hanno usato varie pubblicazioni, prima fra tutte “La Nuova Guida del Birdwatcher”, dove di ogni specie c’è l’immagine del maschio, della femmina, del giovane, dei vari cambiamenti nel corso delle stagioni.
Fino a un paio di anni fa – racconta Pierluigi – all’oasi dell’Alberone, il primo sabato del mese, la LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) faceva  l’inanellamento” degli uccelli, operazione che permette di conoscere gli spostamenti che fanno, se ritornano nello stesso luogo, eccetera. A fare questo mestiere erano due o tre persone molto esperte e, se stavi ad assistere, imparavi un sacco di cose. Io lì ho imparato molto”.

Due Codibugnolo a Montevecchia, foto P.M.

Fabio ha un blog su cui spesso posta le sue fotografie; Pierluigi invece le tiene per se e le scambia con vari altri appassionati con cui è in contatto
Faccio loro un’ultima domanda: che caratteristiche deve avere un fotografo di uccelli?
Deve amare la natura, deve piacergli stare immerso nella natura. Poi deve avere pazienza, pazienza, pazienza e anche una buona dose di culo, perché se non ti passano davanti puoi star lì anche tutta la giornata senza fare una foto”.


Verdoni a Montevecchia, foto P.M.

















Moretta Tabaccata all' Alberone, foto F.O.


Airone Cinerino all'Alberone, foto F.O.
















Gufo Comune a Verderio, foto P.M.
Marco Bartesaghi

Ringrazio Fabio e Pierluigi per le fotografie che mi hanno lasciato pubblicare. Un'altra serie di fotografie di Fabio sono su questo blog. Le potete trovare a questo indirizzo:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2016/07/uccelli-e-altra-fauna-di-montagna-nelle.html 

Fabio è presente su questo blog anche come musicista:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2013/06/rock-verderio-la-nuova-esperienza.html

come cantante:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2014/03/orribile-delitto-di-verderio-due-donne.html


e come appassionato di montagna e di tracking:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2016/07/claudio-e-fabio-oggioni-sul-monte.html

http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2016/07/2011-trekking-nel-mustang-nepal-di.html

http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2014/12/trakking-in-india-di-denise-motta.html