domenica 25 gennaio 2009

27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA

La repubblica italiana riconosce

il 27 gennaio

data dell’abbattimento dei cancelli

di Auschwitz

“Giorno della Memoria”

al fine di ricordare

la Shoah

(sterminio del popolo ebraico)

le leggi razziali,

la persecuzione italiana dei cittadini ebrei,

gli italiani che hanno subito la deportazione,

la prigionia,

la morte,

nonché coloro che,

anche in campi e schieramenti diversi,

si sono opposti al progetto di sterminio,

ed a rischio della propria vita

hanno salvato altre vite

e protetto i perseguitati.

Art.1, legge n.211, 20 luglio 2000

UNA LAPIDE

Questa lapide, posta sul muro esterno del centro sportivo di Verderio Superiore, è stata scoperta l'11 dicembre 1994. L'iniziativa fu decisa all'unanimità dal Consiglio Comunale riunito il 22 aprile 1994 (delibera n.22).

ELENCO EBREI DEPORTATI DALL'ITALIA , ARRESTATI IN LOCALITA' DELLA BRIANZA.



ELENCO DEGLI EBREI DEPORTATI DALL’’ITALIA, ARRESTATI IN LOCALITA’ DELLA BRIANZA.1


Questo elenco si bassa integralmente sulle notizie contenute nella prima edizione de Il LIBRO DELLA MEMORIA, Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), opera realizzata da Liliana Picciotto Fargion nell’ambito delle attività del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (CDEC), pubblicato nel 1991 dall’editore Mursia. Il libro comprende i nomi degli ebrei di cui è stata accertata la deportazione dal territorio italiano, 6746 persone, e dai possedimenti italiani nelle isole dell’Egeo, 1820 persone. Per il suo profondo valore morale, Francesco Cossiga, concesse all’opera l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.




Chiedo scusa per eventuali mancanze dovute a mia disattenzione nella consultazione del Libro della Memoria.

Marco Bartesaghi

Ancona Elisa, nata a Ferrara il 10 ottobre 1863, da Samuele e Levi Allegra; coniugata con Rossi Achille. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Lissone, da italiani, il 30 giugno 1944. Deportata ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Uccisa all’arrivo il 6 agosto 1944.

Benbassà Rachele, nata a Istanbul, Turchia, il 31 gennaio 1908, da Salomone e Roffe Vida; coniugata con Cohen Marco. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Bollate il 31 marzo 1944. Deportata a Bergen Belsen il 16 maggio 1944. Liberata a Bergen Belsen, il 4 marzo 1945.

Cohen Isacco, nato a Istanbul, Turchia, il 16 aprile 1914, da Raffaele e Mutel Ester. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Bollate, da italiani, il 31 marzo 1944. Deportato a Bergen Belsen il 2 agosto 1944. Liberato a Bergen Belsen il 4 marzo 1945.

Cohen Marco Nissim, nato a Istanbul, Turchia, l’11 gennaio 1906, da Raffaele e Mutel Ester, coniugato con Benbassà Rachele. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Bollate, da italiani, il 31 marzo 1944. Deportato a Bergen Belsen il 16 maggio 1944. Liberato a Bergen Belsen, il 4 marzo 1945.

Colombo Alessandro, nato a Pitigliano il 17 dicembre 1875, da Elia e Moscato Marianna. Arrestato a Monza. Deportato ad Auschwitz i 6 dicembre 1943. Ucciso all’arrivo l’11 dicembre 1943.

Drechsler Lina Sali, nata a Milano l’11 dicembre 1937, da Leone e Lacher Brucha. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Garbagnate (MI). Deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Uccisa all’arrivo, il 6 febbraio 1944.

Teodolinda Farina, nata a Milano il 16 febbraio 1888, da Giuseppe e Asti Luigia; coniugata con Matalon Giuseppe. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Inverigo l’11 maggio 1944. Deportata a Ravensbrueck il 14 dicembre 1944. Deceduta a Ravensbrueck in data ignota.

Fraenkel Arturo, nato a Francoforte, Germania, il 18 gennaio 1884, da Giacobbe e Weingarten Zerlina; coniugata con Moses Clara. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Missaglia nell’ ottobre 1943. Deportato ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Ucciso all’arrivo il 6 febbraio 1944.

Gani Alberto, nato a Milano il 20 aprile 1934, da Giuseppe e Zaccar Speranza. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Seregno nel settembre 1944. Deportato ad Auschwitz il 24 ottobre1944. Ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944.

Gani Ester, nata Milano il 19 luglio 1928, da Giuseppe e Zaccar Speranza. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Seregno nel settembre 1944. Deportata ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduta in luogo ignoto dopo l’11 febbraio 1945.

Gani Giuseppe, nato a Ioannina, Grecia, il 16 settembre 1895, da Abramo e Levi Regina; coniugato con Zaccar Speranza. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Seregno nel settembre 1944. Deportato ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto in luogo e data ignoti.

Gani Regina, nata a Milano il 7 dicembre 1926, da Giuseppe e Zaccar Speranza. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Seregno nel settembre 1944. Deportata ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduta in luogo ignoto dopo l’11 febbraio 1945.

Gluecksmann Eugenio, nato a Darsonyos, Ungheria) il 14 luglio 1890, da Antonio e Stern Fanny; coniugato con Weiss Enrichetta. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Cantù, da italiani, l’1 dicembre 1943. Deportato ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduto in luogo ignoto dopo il 18 gennaio 1945.

Lacher Brucha, nata a Varsavia il 16 agosto 1905; coniugata con Drechsler Milano Leone. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Garbagnate (MI). Deportata ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Uccisa all’arrivo il 30 giugno 1944.

Loewy Olga, Nata a Torino l’11 novembre 1878, da Amadio e Fyzz Rosina; coniugata con Segre Giuseppe. Ultima residenza nota Milano. Arrestata a Inverigo il 18 maggio 1944. Deportata ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Uccisa all’arrivo il 30 giugno 1944.

Mariani Anita, nata a Bari il 3 dicembre 1913, da Eliseo e De Benedetti Sofia. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Cadorago il 22 aprile 1944. Deportata a Bergen Belsen il 12 agosto 1944. Liberta a Bergen Belsen.

Mariani Bettina, nata a Bari il 2 febbraio 1915, da Eliseo e De Benedetti Sofia. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Viconago il 22 aprile 1944. Deportata a Bergen Belsen il 22 agosto 1944. Liberata a Bergen Belsen.

Milla Ferruccio, nato a Cento (MO), il 27 marzo 1888, da Ernesto e Levi Giulia. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verderio Superiore, da tedeschi, il 13 ottobre. Deportato ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all’arrivo l’11 dicembre 1943.

Milla Ugo, nato a Vignola (MO) il 14 novembre 1894, da Ernesto e Levi Giulia; coniugato con Milla Lea. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verderio Superiore, da tedeschi, il 13 ottobre 1943. Deportato ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all’arrivo l’11 dicembre 1943.

Moses Clara, nata a Schwerte, Germania, l’8 agosto 1894, da Giacobbe e Kahn Giovanna, coniugata con Fraenkel Arturo. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Missaglia nell’ottobre 1943. Deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Deceduta in luogo e data ignoti.

Moses Frieda, nata a Schwerte, Germania, il 21 settembre 1881, da Giacobbe e Kahn Giovanna. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Missaglia nell’ottobre 1943. Deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Uccisa all’arrivo il 6 febbraio 1944.

Moses Hedwig, nata a Schwerte, Germania, il 16 dicembre 1884, da Giacobbe e Kahn Giovanna. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Missaglia nell’ottobre 1943. Deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Uccisa all’arrivo il 6 febbraio 1944.

Namias Enzo, nato a Ponticelli D’Ongina (PC) il 3 agosto 1902, da Arturo e Basola Lina. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Monza il 16 aprile 1944. Deportato ad Auschwitz il 16 maggio 1944. Deceduto in luogo ignoto dopo il 16 ottobre 1944.

Norsa Laura, nata ad Ancona il 5 maggio 1885, da Lazzaro e Camerini Ventura; coniugata con Portaleone Armando. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Erba, da italiani, il 2 dicembre 1943. Deportata ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduta in luogo e data ignoti.

Portaleone Armando, nato ad Ancona il 27 febbraio 1881, da Graziadio e Rolla Carolina; coniugato con Norsa Laura. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Erba, da italiani, il 2 dicembre 1943. Deportato ad Auschwitz il 22 dicembre 1944. Ucciso all’arrivo il 26 febbraio 1944.

Romanin Bianca, nata a Trieste il 18 gennaio 1907, da Guido e Gentilizi Irma. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Cadorago, da italiani, l’11 marzo 1944. Deportata ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Liberata nel circondario di Flossemburg.

Segre Giuseppe, nato a Milano il 30 marzo 1873, da Marco e Vitali Diamante; coniugato con Loewy Olga. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Inverigo il 18 maggio 1944. Deportato ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Ucciso all’arrivo il 30 giugno 1944.

Spitz Alberto Riccardo, nato a Milano il 21 febbraio 1887, da Emilio e Spitz Maria. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato ad Appiano Gentile il 12 dicembre 1943. Deportato ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduto ad Auschwitz nel maggio 1944.

Terracini Anna Maria, nata a Roma il 6 agosto 1900, da Giacomo e Consolo Maria, coniugata con Ventura Luigi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Mariano Comense, da italiani, il 2 dicembre 1943. Deportata ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Uccisa all’arrivo il 26 febbraio 1944.

Vamos Alberto, nato a Stavropol (ex URSS) l’11 dicembre 1897, da Sigismondo e Kamras Elisabetta. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestato a Brivio, da italiani, il 29 novembre 1943. Deportato ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Deceduto in luogo ignoto dopo il 21 aprile 1944.

Vitali Ada, nata a Conegliano Veneto (TV) il 21 aprile 1886, da Gustavo e Latis Clementina; coniugata con Levi Ernesto. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Tavernerio, da italiani, nel dicembre 1943. Deportata ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduta in luogo ignoto il 31 marzo 1944.

Vitta Zelman Trieste, nata a Milano il 3 settembre 1902, da Aron Giuseppe e Ottolenghi Rachele; coniugata con Belfiore Cesare. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Paderno Dugnano, da italiani e tedeschi, il 5 ottobre 1943. Deportata ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Liberata a Dachau.

Zaccar Speranza, nata a Corfù, Grecia, il 17 gennaio 1900, da Emanuele e Besso Ester; coniugata con Gani Giuseppe. Arrestata a Seregno nell’agosto 1944. Deportata ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Uccisa all’arrivo il 28 ottobre 1944.

Zamorani Ilda, nata a Ferrara il 12 marzo 1880, da Giacomo e Barzilai Elena; coniugata con Colombo ***. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Monza il 6 novembre 1943. Deportata ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Uccisa all’arrivo l’11 dicembre 1943.


1 Inviai questo elenco alla rivista “Brianza” che lo pubblicò nel numero 34 dell’aprile 2005. La rivista giudicò probabilmente esagerato il numero di deportati e quindi…decise di ridurlo.

HILDE ED HERTA SALVATE DA ADELE


HILDE ED HERTA SALVATE DA ADELE.1

Del fatto che mi accingo a raccontare sono venuto a conoscenza aiutando un giovane americano, Alec Pollak, a rintracciare a Vimercate i famigliari di Adele Cantù, la donna che, nel periodo dell’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), ospitò due sue antenate, nonna e bisnonna, ebree in fuga dalla Germania.

Issac Milgelgrün, la moglie Hilde Strauss e la figlia Herta, ebrei tedeschi, giunsero in Italia nel 1937 e si stabilirono a Milano. Commercianti, si dedicarono alla vendita di diversi prodotti, in particolare articoli di pellicceria. Nel 1941 Issac fu arrestato nelle vie della città e, in quanto ebreo straniero, internato nel campo di Ferramonti di Tarsia2, in provincia di Cosenza.

Dopo il suo arresto, Hilde ed Herta continuarono da sole l’attività commerciale e andarono ad abitare in un appartamento in piazzale Lagosta, lasciato libero da un conoscente, un certo Annoni, sfollato in campagna per sfuggire al pericolo dei bombardamenti.

Dopo l’8 settembre 1943, quando la permanenza a Milano per gli ebrei diventò più pericolosa, lo stesso Annoni consigliò alle due donne di recarsi a Vimercate e chiedere ospitalità alla signora Adele Cantù. Questa mise a loro disposizione un locale nella casa in via Pinamonte 8 (ora 14), la “Curt di Belüsch”, dove abitava con uno dei figli, Luigi, la nuora, Agnese, e due nipoti, Fausta e Fernando.

In realtà Cantù era il cognome del marito Pietro, di cui Adele era rimasta vedova; il suo cognome da nubile era Ronchi. Era nata a Vimercate, cascina Grifalda, il 21 giugno 1877, da Davide e Luigia Buratti. Morirà all’età di 70 anni, il 10 febbraio 1948.

A Vimercate Hilde ed Herta vissero con documenti falsi, procurati loro da un pellicciaio milanese, intestati a Renata (quello per la madre) e Vera Cantù. Si guadagnavano da vivere recandosi ogni giorno a Milano a vendere scampoli di pelliccia; solo la sera facevano ritorno a Vimercate. Qui, per prudenza, rimanevano sempre in casa: Adele e i suoi famigliari erano le loro uniche conoscenze. Nella stanza, con un fornello elettrico, cucinavano il cibo che, non essendo in possesso di tessera annonaria, si procuravano al mercato nero.

Questa situazione si protrasse fino alla Liberazione: poi tornarono a Milano dove poterono ricongiungersi con il marito e padre Issac, che però, a causa di una malattia contratta durante l’internamento, morì poco dopo, il 9 gennaio 1947, e fu sepolto nel settore ebraico del Cimitero Maggiore.

Nel 1947 Herta sposò Branko Pollak e nel 1951, con la madre e la nuova famiglia, composta ora anche dal figlio Rodolfo, lasciò l’Italia per gli Stati Uniti.

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L’ospitalità offerta da Adele e dalla sua famiglia fu, molto probabilmente, decisiva per la salvezza di Hilde ed Herta. Quest’ultima, il 23 gennaio 2003, in una lettera ad Andrea Rurale, allora assessore alla cultura del comune di Vimercate, così esprimeva la sua riconoscenza:

Dopo tanti anni è ancora vivido nella mia mente l'aiuto che la famiglia Cantù ha dato a me e a mia mamma, salvando la nostra vita in un momento così difficile, rischiando la loro vita. Il cuore di questa famiglia che ci ha dato alloggio resterà finché io vivo nella mia mente e la mia gratitudine sarà eterna”.

Nel periodo dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale, quando anche in Italia - dove già dal 1938 erano in vigore le leggi di discriminazione razziale- iniziò la politica di sterminio degli ebrei, se la delazione e l’indifferenza di alcuni furono causa di arresti e deportazioni, gesti di solidarietà e generosità, come quello di Adele Cantù, valsero a salvare la vita di molti perseguitati.

Ricordare persone, famiglie, istituzioni che non lesinarono il loro aiuto, oltre a rappresentare un doveroso riconoscimento verso nobili comportamenti, serve a sfatare l’opinione che, in quelle condizioni, nulla si potesse fare. La memoria degli atteggiamenti positivi non deve tuttavia far dimenticare, sottovalutare o indurre a negare le colpe di coloro che, coscientemente e attivamente, aiutarono i persecutori: collaborazione con i carnefici e solidarietà con le vittime furono due aspetti, non gli unici, del comportamento degli italiani, due aspetti che non si elidono a vicenda e nessuno dei quali, da solo, può essere chiamato a rappresentare l’intera realtà



1 Questo articolo è stato pubblicato in forma ridotta dalla rivista “ la curt – Amici della Storia della Brianza” , N.3, marzo 2007.

2 L’ordine di arresto per gli ebrei stranieri – “appartenenti a stati che fanno politica razziale” – e apolidi, di età compresa fra sedici e sessant’anni, fu emanato dal capo della polizia il 15 giugno 1940. Per le donne e i bambini fu invece previsto il domicilio coatto presso determinati comuni. Il campo Ferramonti, situato a 6 Km da Tarsia, fu uno dei 51 campi d’internamento istituiti dal Ministero dell’Interno e uno dei 40 che ospitarono ebrei. Composto da grandi capannoni in legno, ospitò una media di 1000 prigionieri, con una punta massima di 2000 nell’estate del 1943. Fu liberato, primo in Europa, il 14 settembre 1943, dai soldati dell’VIII Armata Britannica. Cfr. C.S. Capogreco, L’internamento degli ebrei stranieri ed apolidi dal 1940 al 1943: il caso di Ferramenti – Tarsia, Roma, Italia Judaica, IV, 1993.

Le notizie riguardanti la permanenza in Italia di Hilde, Herta e Issac mi sono state fornite dal nipote di Herta, Alec Pollak. Per quanto riguarda Adele Cantù e la sua famiglia, ho avuto informazioni dalla nipote, Fausta Cantù, e ho trovato altri dati nell’Archivio Parrocchiale di Vimercate, con l’aiuto del gentilissimo signor Carlo Mauri.


Le immagini, dall' alto:

Herta (a sinistra) e Hilde in una strada di Milano

Adele Cantù

Issac Milgelgrün e la sua tomba al cimitero Maggiore di
Milano



sabato 17 gennaio 2009

annuncio...economico

Colleziono cartoline di Verderio, Inferiore e Superiore. Quando qualcuno me le regala sono molto contento. Però, se il prezzo è ragionevole, sono disposto anche a comprarle. In alternativa alle cartoline vere e proprie, sono interessato anche alle loro riproduzioni. Grazie.

giovedì 15 gennaio 2009

CARTOLINE -1-"VILLA GNECCHI"

Molte delle cartoline di Verderio Superiore riproducono la cosiddetta “villa Gnecchi”.

La famiglia Gnecchi Ruscone era giunta in paese nel 1842, quando i fratelli Giuseppe e Carlo avevano ricevuto in eredità i beni che un loro zio, Giacomo Ruscone, possedeva a Verderio per averli acquistati, nel 1824, dal marchese Decio Arrigoni. Questi beni comprendevano la villa di fianco a quella che oggi chiamiamo “villa Gnecchi”. Questa apparteneva invece alla famiglia Confalonieri, che la cedette agli Gnecchi nel 1881.


Due cartoline che rappresentano Villa Gnecchi.


La prima ha viaggiato e porta una data: 1902










L’altra non è scritta ma è sicuramente più recente..

Nella prima immagine la villa appare com’era prima delle modifiche apportate da Vittorio Gnecchi negli anni ’20 del novecento.







Con l’ingrandimento di qualche particolare e con l’aiuto di una recente fotografia cerchiamo di individuare le differenze.




Nel particolare della prima cartolina l’edificio termina, verso l’alto, con una balaustra di colonnine; le porte finestra dell’ultimo piano aprono su un balcone con ringhiera in ferro, mentre le nicchie al loro fianco sono vuote.






Nel particolare della seconda cartolina ci sono sei statue sopra la balaustra del tetto; è stata rimossa la ringhiera di ferro, e quindi il balcone, in corrispondenza delle finestre dell’ultimo piano e due statue sono alloggiate nelle nicchie di fianco alle finestre stesse.





Negli anni venti fu rifatta anche la scalinata centrale della villa: non è possibile confrontare, su questo aspetto le due cartoline perché, in quella più recente, il cancello chiuso nasconde la scalinata. Il confronto deve essere quindi fatto con un’immagine attuale








Nella cartolina più vecchia, la scalinata appare protetta da una ringhiera in ferro, sorretta da colonnine, probabilmente in granito sagomato
.
Anche le campate del portico sono chiuse da ringhiere in ferro.







In questa recente fotografia si notano le balaustre della scalinata e del portico in pietre scolpita, realizzate negli anni venti del novecento.


Altra differenza rispetto all'immagine precedente è rappresentata dalle due statue poste a fianco della porta situata sotto la scalinata. Da quando sono lì? Non lo so: spero che qualche lettore più informato me lo faccia sapere.



















mercoledì 14 gennaio 2009

CANOTTAGGIO - 1-




CON QUESTA BARCA IO E MIA MOGLIE VOGHIAMO SU LAGHI E FIUMI. SOPRATTUTTO SUL LAGO DI COMO, SULL'ADDA, DOVE LA CORRENTE NON E' FORTE, E SUI LAGHETTI DELLA BRIANZA. SUL BLOG PRESENTERO' FOTO SCATTATE DURANTE LE NOSTRE GITE.














QUESTA PRIMA SERIE RIGUARDA IL TRATTO DA BRIVIO A OLGINATE.






























lunedì 12 gennaio 2009

Virtù d’Amore

Di seguito la cronaca della rappresentazione dell'opera di Vittorio Gnecchi Ruscone "Virtù d'Amore", avvenuta a Verderio Superiore il 7 ottobre 1896. Fu scritta da un componente della famiglia del maestro, credo dal fratello del maestro, Cesare Gnecchi Ruscone.
La cronaca è molto lunga. Ho pensato di pubblicarla in due parti: la prima riguarda la preparazione dell'evento

(prima parte)

L’autunno 1896 a Verderio rimarrà caratterizzato dalla rappresentazione della Virtù d’Amore. La solennità che la rappresentazione assunse e il numero grande di persone che vi convennero, diedero alla festa privata l’aspetto quasi di avvenimento pubblico, perciò per tutto quanto riguarda la cronaca della serata possiamo ricorrere anche per il giornale di famiglia alle migliori pubblicazioni date da alcuni giornali essendo anche più corretto che il giudizio venga dato fuori dalla famiglia; e così riporteremo quanto scrissero in proposito Giulio Ricordi nella “Gazzetta Musicale”, Giannino Antona Traversi nella “Vita Italiana”, Sofia Bisi Albini nella “Rivista della Signorina” e G.B. Nappi nella “Perseveranza”.
Rimane la parte cronaca intorno all’operetta. La sua azione, la sua storia, che noi qui ricorderemo accennando alla parte intima e anedottica che altrimenti andrebbe perduta, Sarà questo un semplice ricordo di famiglia, conservato e se mai le prime promesse dovessero essere seguite da un brillante avvenire, queste note potranno fornire i dati per il primo capitolo della vita artistica di Vittorio Gnecchi.

Nell’autunno del 1895 era stato allestito il teatrino nel salone superiore della villa di Verderio e i ragazzi vi avevano recitato qualche commediola. Ora la zia Maria Rosso Bozzotti, che aveva passato una parte dell’autunno a Verderio, animata da quella sua ardente febbre di organizzare cose belle e nuove e artistiche e secondata dalla sua fantasia inesauribile, s’era fissata in mente di combinare per il prossimo anno, qualche originale spettacolo, nel quale ciascuno dei ragazzi potesse spiegare le sue non comuni doti artistiche. Un giorno del seguente inverno discorrendo intorno ai progetti per l’autunno, essa propose al nipote Vittorio di allestire un libretto di operetta , se egli si fosse impegnato a musicarlo, con la magra scorta dei suoi iniziati studi di contrappunto. Poiché egli aveva allora 19 anni e frequentando la terza classe liceale, non aveva ancora dedicato alla musica che esigua parte del suo tempo, e occupava le ore che poteva rubare agli studi classici più alla tecnica del pianoforte che allo studio della composizione.

L’idea di sua zia gli sorrise : l’accettò con entusiasmo: due giorni dopo zia Maria gli accenna la tela che lo seduce; in una notte è composta la prima scena e così, di fatto, è composto il libretto. Ma ancor prima che esso fosse terminato, le prime rie sono composte: alla primavera il lavoro è compiuto; solo l’ultima scena è terminata durante la stagione balneare a Santa Caterina; cosicché tutto fu pronto e copiato per l’esecuzione quando la nostra famiglia si riunì a Verderio per la vacanza autunnale, invitandovi pure la famiglia Rossi, la quale però per agevolare il ménage prese in affitto la villa Cassina a Paderno d’Adda e vi portò domestici, cavalli, ecc.

L’esecuzione di un’operetta di campagna è cosa tutt’altro che semplice; specialmente volendo ottenere un’esecuzione di prim’ordine, bisognava incominciare presto a pensare alle molteplici esigenze di un teatro. Il locale prima di tutto, poi gli scenari, l’illuminazione, i figurini, il vestiario, l’istruzione delle diverse parti e dei cori, l’orchestra, la stampa del libretto, dei programmi, degli inviti e gli infiniti accessori e dettagli di ogni genere.

A tutto il personale occorrente e al personale accessorio, ai parenti che accompagnavano i figli, a parte degli invitati, ai suonatori bisognava preparare l’alloggio. Per la sera della rappresentazione poi occorreva provvedere a riparare buon numero di carrozze e cavalli anche pel caso di pioggia.

Le preoccupazioni dunque erano molte e il tempo stringeva.
S’era alla fine di agosto e la rappresentazione si contava darla in fine di settembre. In un mese bisognava far tutto. – Zia Maria assunse la direzione artistica generale; Vittorio la parte istrumentale, mentre la parte vocale venne affidata alla signora Giulia Oddone Gavirati, la quale tosto si pose al paziente e difficile lavoro di istruire gli artisti-bambini (alcuni erano ignari di qualunque principio musicale) e vi si pose con quell’energia, quella competenza e quell’attività che tutti le riconoscono.

Per aiutarla i Rossi avevano condotto da Schio la signora Tolfo, ottima maestra di canto, la quale assunse e disimpegnò benissimo una parte, diciamo così, di “sostituta”. Il prof. Marazzani, che si diceva vecchio topo di palcoscenico, prese la parte del suggeritore. Vittorio Turati venne incaricato della stampa e dell’illustrazione del libretto, la cui edizione di estrema eleganza riuscì un vero gioiello. Il pittore Hohenstein, in quel tempo in gran voga perché incaricato di riformare il gusto artistico della messa in scena alla Scala, fece i bozzetti per le scene e i figurini per i costumi. Questi ultimi furono dapprima eseguiti con un’intonazione preraffaellita di gusto squisito.

Ma la semplice arcadica come avrebbe potuto essere intesa da un pittore primitivo esigeva delle figure sottili, slanciate, botticelliane. Sebbene tutte belle le nostre attrici, non rispondevano a quell’ideale, che era tanto facile disegnare su dei figurini. Era dunque meglio rinunciare a un’idea artisticamente deliziosa, se non fosse stato possibile seguirla alla perfezione. Perciò dopo lunghe discussioni, Hohenstein fu incaricato di rifare i 25 figurini, questa volta in stile settecentesco: così si sarebbero adattati meglio alle grazie delle nostre gentili artiste, non solo, ma anche alla musica, che l’autore aveva composto ispirandosi al carattere delle rappresentazioni pastorali che alla fine del ‘600 e nel secolo successivo si davano nelle corti italiane e francesi.

La sartoria Zampironi fu incaricata dell’esecuzione dei figurini con le migliori stoffe, le cui tinte furono scelte sapientemente da Hohenstein e dalle Signore, così da formare dei quadri di intonazione artisticamente indovinatissima. Il costume di Lyda fu fatto dalla sarta Mosca.

Lanfranconi provvide tutti i pastori di lunghe anella bionde e brune. Rancati fornì gli accessori e coprì di diamanti la Virtù d’Amore. Rovescalli fu incaricato dell’esecuzione delle scene…; ma quando si venne a concretare per queste, la faccenda era tanto cresciuta sotto mano che il teatrino del salone superiore veniva dichiarato insufficiente e si decise di fare un nuovo teatro a piano terreno nel locale detto del torchio, assai più ampio e capace, che fino allora aveva servito per giocarvi a tennis nei giorni piovosi. Bisognava costruire il palcoscenico, le scene, decorare il locale, pensare all’illuminazione, ai sedili, a tutto; ma con un po’ di buona volontà si arrivò ad ottenere che fosse curato ogni particolare, persino si provvide ad un’illuminazione elettrica provvisoria a mezzo di una locomobile facente funzionare una vecchia dinamo appartenente alla Società Edison, la quale gentilmente la prestò prima di collocarla nel museo e mandò anzi appositamente l’ingegner Clerici e l’ingegner Ettore Conti a fare l’installazione e a sorvegliare il funzionamento. Il fattore Cav. Carlo Lissoni venne incaricato di preparare gli stallazzi e nei diversi cortili e nell’arsenale vennero apprestate provvisoriamente scuderie per oltre un centinaio di cavalli e rimesse per una sessantina di carrozze. Difatti ne arrivarono effettivamente più di sessanta con 120 cavalli.

L’affare più serio erano gli alloggi per le persone, avendo dovuto ospitare per la sera della rappresentazione oltre gli artisti e i loro parenti, molti parenti nostri e amici che non avevano ville nelle vicinanze, ne erano stati invitati da villeggianti della nostra Brianza. Alcuni, come il conte Venosta e la signora Dina Volpi aprirono, per l’occasione, delle ville che da anni non erano abitate.

La nostra casa era ricolma: la mamma-grande aveva gentilmente offerto tutte le sue stanze disponibili, come pure zio Ercole nella sua villa di Paderno. Allo stesso scopo servì la casa Cassina di Paderno dove furono alloggiati un certo numero di giovinotti. Anche a questa bisogna era dunque provveduto. Per i professori d’orchestra (che si fermarono una settimana perché le prime prove si fecero a Milano) coristi, scenografi, ecc. furono preparati aloggi in case di contadini, dove mediante imbiancatura e acquisti di mobili più necessari alla pulizia, si prepararono delle stanzette convenienti. La loro [table-d’hotes] era all’osteria Motta.

Il lavoro di preparazione andava fervendo sempre più di giorno in giorno: le lettere, i telegrammi non si contavano più: messi speciali erano inviati di ora in ora a Milano; incaricati diversi arrivavano ogni giorno: sarti, calzolai, parrucchieri, tappezzieri, artisti, illuminatori, elettricisti, pittori, stampatori ecc. ecc. un pandemonio e frattanto proseguivano attivamente le prove, al piano prima, poi colla piccola orchestra di 14 professori. Fra questi tutti eccellenti sebbene giovanissimi, è notevole ricordare che, sotto la direzione dell’autore, suonavano il M. Tullio Serafin (allora diciottenne) al pianoforte, il M. Russolo all’harmonium, il M. Tannini (ora direttore d’orchestra) 1° violino; Vescovi 2° violino; il Prof. ….. viola (che fu poi prima viola della Scala); il Prof. Galeazzi (che fu poi primo cello alla Scala) cello; Francesco Sessa uno dei contrabbassi, ecc.

Il tenore cannonieri fu scritturato per cantare nei cori, unico professionista sul palcoscenico.
Ed ecco il programma indicante la distribuzione delle parti:

Personaggi
Virtù d’Amore (figura simbolica), S.na Elisabetta Oddone
Lida, pastorella, S.na Sandra Rossi
Dafne, pastorella, S.na Pia Gnecchi
Flora, pastorella, S.na Giuseppina Regalia
Clori, pastorella, S.na Maria Ballerini
Amarilli, pastorella, S.na Valentina Bozzotti
Iª pastorella, Donna Costanza Bagatti Valsecchi
IIªpastorella, Miss Jessie Mason
IIIª pastorella, S.na Anna Maria Bozzotti
Agasto, vecchio pastore cieco, padre di Lida, Sig. Alessandro Rossi
Aminta, pastore, Conte Giuseppe Visconti
di Modrone
Elpino, pastore, Cesare Gnecchi
Mirillo, pastore, Carlo Baulini
Tirsi, pastore, S.na Carla Gnecchi
Ciro, pastore, Cesare Rossi
Melibeo, pastore, Francesco Rossi
I° pastore, Giuseppino Baslino
II° pastore, Don Alessandro Casati
III° pastore, Don Pier Fausto Bagatti
Valsecchi
Cori di pastori e pastorelle.

Fra gli ospiti della nostra casa, oltre alle famiglie Rossi e Bozzotti, la duchessa Ida Visconti con Giuseppe e Guido, Remigia Ponti Spilateri, Maria Ballerini, S.na Gilda Tolfo, la sig.ra Oddone, Prof. Marazzani, Paolo Maesani, Fausto Bagatti Valsecchi, Emilio Silvestri, Gino Durini, Manfredi Olivia.

Una questione lungamente discussa fu quella dell’accesso al teatro, del passaggio cioè dalle sale dove il pubblico sarebbe stato prima radunato, al locale della rappresentazione lontanissimo e parecchi metri più basso. Il passaggio esterno era da escludere per il timore di un tempo cattivo o semplicemente per la temperatura che poteva essere fredda; il passaggio interno si poteva pure fare in più modi, ma erano tutti passaggi per così dire semirustici che occorreva convenientemente decorare per l’occasione. Vittorio ebbe l’idea di aprire una porta nel muro fra il torchio e l’ingresso esterno alla cappella, porta che avrebbe permesso di scendere dalla lunga scalinata che da appunto accesso alla chiesa per chi vi giunge dalla strada. Si adottò definitivamente questo progetto, decidendo di fabbricare un corridoio tutto tappezzato di rosso, sotto al palcoscenico, per giungere alla platea, perché la porta d’accesso si trovava ad essere appunto dietro il palcoscenico.

La scala lunga più di 50 gradini tutta coperta da un tappeto rosso e decorata a guisa di un pergolato da piante di bambù da ambo i lati, fra i cui rami brillavano lampadine elettriche, riuscì di un effetto fantastico. Per giungere dalle sale si dovevano percorrere tre corridoi e scendere da un’altra scaletta: tutti questi passaggi furono coperti di tappeti e le pareti adornate di tende antiche.

Illuminazione a braccioli con candele. L’ambiente del torchio dovette essere trasformato perché eccetto il soffitto esso è rustico. Tutto il pavimento per quasi 30 metri di lunghezza, fu coperto dal tappeto del ridotto della Scala (con grande allarme e molti reclami da parte dei giovani cantanti e della loro direttrice Signora Oddone perché avrebbe assai attutito l’acustica. Ma si ebbe il cattivo gusto di dare più peso ai piedi degli spettatori, - e il tappeto rimase) le pareti furono pure decorate con bambù e altre piante. Dai quattro balconi pendevano quattro magnifiche tende antiche prestate da Fausto Bagatti. Il fondo della sala fu coperto da una grande tenda rossa. Da ciascun lato dei muri due file di poltrone da giardino, nel centro tutte sedie rosse con cuscini rossi.

Tutta la decorazione del palcoscenico (dall’apertura di 7 metri) sollevato un metro e mezzo da terra, fu fatta in damasco rosso. Il velario fu il primo dei velari in velluto rosso a frange d’oro, che vennero poi adottati da tutti i teatri in sostituzione dei vecchi sipari.

Ma l’innovazione più importante fu quella introdotta nella struttura del palcoscenico, da Rovescalli: a Verderio furono per la prima volta eseguite le scene a completo panorama senza quinte, ottenendo tale effetto che l’inverno successivo il medesimo metodo fi adottato dallo stesso Rovescalli per la prima scena del Tristano alla Scala e dopo d’allora non fu più abbandonato nei grandi teatri.

Ciò che invece fu pure eseguito a Verderio con suggestivo effetto di verità, ma che non poté essere ripetuto in teatri di grandi dimensioni per ragioni tecniche, fu il cielo a volta. Tale innovazione consisteva in una enorme cappa celeste (armatura in legno coperta di tela) che si estendeva al di là del panorama dal quale distava circa 50 cm. La illuminavano intensamente lampadine disposte tutt’intorno, dietro al panorama stesso.

Così le piante, i cespugli, le montagne si distaccavano sull’azzurro omogeneo del cielo.

L’effetto poi del tramonto, alla fine del primo atto e al principio del secondo, ottenuto con lampadine di vari colori graduate col grande commutatore a tastiera del Teatro alla Scala, espressamente fatto impiantare, fu straordinario di verità e di poesia.

Non mancarono gli effetti di luce all’apparizione di Virtù d’Amore, all’uscita di Aminta dalla grotta, ecc. Fu l’ingegner Clerici in persona, in cima a una scala, che eseguiva le irradiazioni luminose. Dietro al palcoscenico, allo stesso livello di questo, fu preparato un salotto come foyer per gli artisti.

Sotto a questo e nella sala attigua si improvvisarono con paraventi un gabinetto di toilette e dei camerini, sebbene gli artisti (che erano 22) si sarebbero vestiti nelle loro stanze. Il loro accesso al palcoscenico doveva avvenire dal passaggio interno che conduce alla cantina e prosegue per le scuderie.

Dal 20 al 25 di settembre si diramarono gli inviti in stampa per la rappresentazione fissata per il 7 ottobre.

All’antiprova generale coi costumi assistette il Comm. Giulio Ricordi che rimase incantato dalla buona riuscita dello spettacolo: la prova del suo entusiasmo ci viene dal suo articolo nel giornale la “Gazzetta Musicale”. Alla prova generale furono invitati, oltre alla famiglia , i contadini, il personale di servizio, la Contessa Cecilia Lurani e Franco da Venezia. A quasi tutte le prove assistette il M. Saladino che era venuto a villeggiare a Cernusco.

E finalmente spuntò anche la vigilia di questo giorno, una splendida che faceva bene presagire anche pel domani: e venne anche il domani. La casa era tutta preparata pel ricevimento che doveva precedere e pel ballo che avrebbe seguito la rappresentazione con relativa cena: e siccome ai numerosi inquilini di Verderio (solo la casa principale ospitava 52 persone) non rimaneva più disponibile la sala da pranzo, già disposta per la cena , si supplì riducendo a sala da pranzo lo studio di papà ove il pranzo di 40 coperti (i più intimi erano stati invitati a pranzo dai parenti), riuscì anzi ammiratissimo disposto come fu a tavolini di 4 persone. Per illuminazione, un candelabro su ogni tavolino.

Ecco il menù:






Distribuzione di alcuni tavolini:





























Nel salone non vi era ancora parquet. Perciò era stato disteso un tappeto completo di tela bianca con ottimo effetto. Già al mattino le sale erano colme di fiori, quando arrivò un carro da [Tassera] (villa Bozzotti) con casse di splendide rose. Ne furono riempiti tutti gli angoli – e i due grandi cesti di verde appesi al soffitto del salone divennero due immensi mazzi di rose.
Emilio Silvestri ricordando le sue mansioni a S. Siro, si era incaricato di organizzare il corso delle carrozze. Furono disposti fanali e torcie a vento in giardino e sul cancello: una dozzina di uomini con torcie a vento illuminavano la strada e l’entrata del paese e il passaggio all’arsenale.
Il servizio funzionò egregiamente. Alle 9,30 di sera il pubblico già adunato nella sala superiore, scese a teatro. Sola ritardataria fu Ernesta Scheiber che veniva da Castellazzo (Milano), in carrozza! (aveva fatto predisporre un relais a Monza). Del resto questo sistema di viaggio, che oggi sembra tanto primitivo, era forse il più consono al carattere settecentesco e della casa e dello spettacolo avendo esso certa analogia colle chaises de poste. Ma poiché era tempo di rivoluzione…. Pacifica non mancò, in mezzo ai veicoli “ancien régime” una precoce automobile, quella della sig.ra Maria Silvestri Volpi giunta quasi miracolosamente senza “pannes”.

domenica 4 gennaio 2009

FESTA A VERDERIO IL 7 OTTOBRE 1896: LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’OPERA DI VITTORIO GNECCHI


FESTA A VERDERIO IL 7 OTTOBRE 1896: LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’OPERA DI VITTORIO GNECCHI1.

Il 7 ottobre 1896 venne rappresentata, in forma privata, in un teatro appositamente allestito nella villa Gnecchi di Verderio, l’opera in due atti “Virtù d’amore”. L’autore era il compositore, allora diciannovenne, Vittorio Gnecchi, per il quale questo lavoro rappresentò l’esordio.

In un quaderno manoscritto, conservato nell’archivio parrocchiale di Verderio Superiore, è registrata la cronaca dell’avvenimento che ebbe una notevole risonanza sia sotto l’aspetto artistico, per le critiche ricevute, sia sotto l’aspetto mondano, per il carattere di festa di società che la famiglia ospite diede alla serata.

La cronaca, probabilmente redatta dal comm. Francesco Gnecchi2, padre di Vittorio e noto numismatico (o comunque da un membro della famiglia), è suddivisa in tre parti.

La prima è dedicata ai preparativi, dall’idea iniziale alla stesura del libretto e delle musiche, dalla preparazione dei costumi e delle scene all’allestimento del teatro, quindi la stampa del libretto e degli inviti, l’impianto di illuminazione, il reperimento degli alloggi per i musicisti e per gli invitati, il rifugio delle carrozze e così via,

Segue un elenco degli invitati. Il cronista, consapevole delle possibili lacune ha lasciato uno spazio bianco per le eventuali successive aggiunte.

Infine la descrizione della rappresentazione, con la sottolineatura degli applausi e delle espressioni di approvazione da parte del pubblico.

L’idea di un’operetta da rappresentare in campagna durante il periodo di villeggiatura, fu della signora Maria Rossi Bozzotti, zia dell’autore. A lei si deve anche la stesura del libretto: un azione pastorale in due atti, in cui si narra dell’amore di Aminta, giovane pastore, per Lida figlia del cieco Agasto. Aminta, dopo la vittoriosa caccia ad un feroce lupo, dichiara il suo amore. La ragazza lo respinge ma si lascia strappare una promessa: sposerà il pastore se questi le porterà la magica acqua del Monte Nero, capace di ridare la vista ad Agosto. Aminta parte implorando gli dei, il cui intervento è indispensabile alla riuscita dell’impresa, In suo soccorso interverrà “Virtù d’Amore” incutendogli fiducia nella vittoria. Sulla strada del ritorno ritrova Lida che, ormai innamorata, gli si è fatta incontro.

All’allestimento dell’opera, che pure era stata pensata come gioco per il periodo delle vacanze, furono chiamati a collaborare alcuni importanti personaggi del mondo della lirica.

I disegni delle scene e dei costumi furono affidati ad Adolfo Hohenstein, dal 1889 a Milano per lavorare al Teatro alla Scala e direttore artistico delle Officine Grafiche Ricordi.

Le scenografie furono realizzate da Antonio Rovescalli, dal cui studio, tra la fine del secolo e il 1926/27, uscirono gran parte delle scene per le opere di repertorio e le novità rappresentate a Milano e Roma.

Quando il giovane Gnecchi si accinse a scrivere “Virtù d’Amore” era ancora studente con i maestri Saladino, Coronaro, Serafin e Gatti.

I musicisti che componevano l’orchestra erano suoi compagni di studi; fra loro il futuro direttore Tullio Serafin, i maestri Tannini, Galeazzi e Russolo.

La critica mise in evidenza soprattutto come, con un’orchestra di pochi elementi, il compositore fosse riuscito ad ottenere una notevole ricchezza musicale.

“L’istrumentazione è fatta per orchestra d’archi con pochi altri strumenti a legno aggiunti: era facile peccare di monotonia; il Gnecchi ha saputo abilmente evitare questo scoglio, usando con opportunità dei varitimbri”. Così Giulio Ricordi sulla “Gazzetta Musicale” del 15 ottobre 1896. Dello stesso tenore furono i giudizi di Giannino Antona Traversi sulla “Vita Italiana” del 10 novembre 1896 e di “Lelio” sulla “Sera” del 13/14 ottobre dello stesso anno.

I pezzi più apprezzati furono il Preludio, la Pastorale del secondo atto, l’Intermezzo e il Valzer della “Virtù d’Amore”.

A quella di Verderio non seguirono altre rappresentazioni complete dell’opera; solo alcuni brani, in particolare la Pastorale e il Valzer, vennero eseguiti successivamente in diversi concerti.

Dopo questo primo lavoro Vittorio Gnecchi alternò il suo impegno fra la musica da camera e l’opera. Scrisse fra l’altro: Cassandra, 1905, la Rosiera, 1927, Missa Salisburgensi, 1933, Giuditta, 1953 (le date si riferiscono alle prime rappresentazioni.

La vicenda artistica di Vittorio Gnecchi è segnata dalle polemiche che seguirono ad un articolo del critico musicale Giovanni Tebaldini, apparso nel marzo del 1909 sulla “Rivista musicale italiana”. Il Tebaldini, confrontando la “Cassandra” di Gnecchi e l’”Elettra” di Richard Strauss rilevò parecchie analogie tematiche parlando di “telepatia musicale”.

Nacque tuttavia in tal modo il caso “Gnecchi – Strauss” che ebbe eco in tutto l’ambiente musicale europeo.

A fugare ogni sospetto di plagio da parte del meno famoso Gnecchi, concorrevano però le date, Cassandra era stata rappresentata nel 1905 ed Elettra nel 1908, e la testimonianza del critico Ludwig Hartman che si dichiarò a conoscenza che Gnecchi, nel 1906, donò una copia dello spartito della sua musica a Strauss.

Di plagio si parlò ancora nel 1913, dopo la rappresentazione di Cassandra a Filadelfia. La critica americana che mosse l’accusa era evidentemente all’oscuro di come la questione fosse già stata sollevata e risolta in Europa.

Più opportunamente, in seguito, la vicenda venne letta come una singolare forma di affinità artistica e di comune sensibilità, tornando così all’originale ipotesi di Tebaldini.

La carriera di Vittorio Gnecchi fu segnata, come abbiamo detto, da questa polemica. “Cassandra”, che era stata diretta per la prima volta da Arturo Toscanini, ebbe grandi difficoltà ad essere di nuovo eseguita (venne ad esempio rifiutata dal Teatro all Scala, nel timore che Strauss potesse infastidirsi). Anche la produzione successiva trovò ascolto quasi esclusivamente all’estero, in particolare in Austria.

In una raccolta di scritti tratti da varie pubblicazioni dell’epoca, laconicamente intitolata “Per un musicista italiano ignorato in Italia”3 e curato da F. Balilla Pratella , è documentata la situazione di emarginazione in cui il maestro si trovò nel suo paese.

Anche “Virtù d’Amore” ebbe un ruolo nella vicenda Gnecchi Strauss; nel 1932 un altro critico, Mario Barbieri, aiutandosi con tavole comparative, come già aveva fatto Tebaldini, documentò sulla “Rivista musicale italiana” una serie di analogie anche fra “Virtù d’Amore” (1896) ed Elettra (1908).

Le musiche di Vittorio Gnecchi, che morì a Milano nel 1954 all’età di 77 anni, sono in fase di riordino4 e catalogazione presso la biblioteca del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, alla quale sono state donate dai parenti del musicista.



1 Questo articolo è stato pubblicato in ARCHIVI DI LECCO, N.3, anno 13, luglio – settembre1990

2 In seguito alla pubblicazione dell’articolo ho avuto modo di confrontare le calligrafie di diversi componenti della famiglia Gnecchi. Ora sono abbastanza sicuro che non fu Francesco Gnecchi a scrivere la cronaca.

3 F. Balilla Pratella Luci e ombre. Per un Musicista Italiano ignorato in Italia, Roma, 1933

4 Ricordo che questo articolo risale al 1989. Il 2 ottobre 1998 si è costituita l’ “Associazione Musicale Vittorio Gnecchi Ruscone” di promuovere e diffondere la conoscenza dell’attività artistica del maestro e di conservare le sue musiche e i suoi scritti.