giovedì 26 gennaio 2012

VERDERIO, DICEMBRE 1994: L'AMICA RITROVATA di Carla Deambrogi Carta

Ricordo che all'inizio del 1938, a ogli famiglia era stato recapitato un modulo sul quale andavano indicati, oltre ai componenti della famiglia, i relativi dati anagrafici e la professione, anche la razza e la religione professata.
Il commento di mio papà era stato "È un brutto segnale per gli ebrei".
Mio papà era antifascista e, pur essendo un dipendente pubblico (lavorava all'Azienda Tranviaria di Milano) era riuscito a non iscriversi al Partito Nazionale Fascista perché era stato assunto nel gennaio del 1921, quindi prima dell'avvento del fascismo.
Il primo giorno di scuola della 5° elementare (ottobre 1938) nella mia classe, oltre alle compagne che erano state bocciate, mancava anche la compagna Milla.
All'inizio abbiamo pensato che fosse ammalata, ma dopo un po' di giorni abbiamo chiesto alla maestra il motivo di quel assenza prolungata. La maestra ci ha risposto che la famiglia purtroppo si era dovuta trasferire.
Anche due maestre non c'erano più nella scuola: una si chiamava Lombroso, l'altra Milla Sacerdote ed era la zia della mia compagna.
Era stata pure sostituita la segretaria anch'essa zia della mia compagna.
La mia maestra abitava vicinissima a casa mia e capitava spesso di fare insieme il percorso da casa a scuola o viceversa. Un giorno che non c'erano con me altre compagne le ho chiesto: "La Milla non è più con noi perché è ebrea?"
La maestra ha esitato un po' a rispondere, poi mi ha fatto una carezza e col capo ha fatto cenno di sì.
Non avrei mai immaginato che un giorno avrei rivisto la mia compagna.
Invece ciò che sembrava impossibile è avvenuto: precisamente nel dicembre del 1994 a Verderio Superiore, in occasione della posa della lapide in memoria degli zii e delle zie della mia compagna, deportati ad Auschwitz.



DUE IMMAGINI DELLA POSA DELLA LAPIDE IN MEMORIA DELLA FAMIGLIA MILLA, AVVENUTA L'11 DICEMBRE 1994: FOTO SOPRA, LE PAROLE DEL SINDACO ARMANDO VILLA; FOTO SOTTO, SERENA MILLA SCOPRE LA LAPIDE CHE RICORDA, FRA GLI ALTRI, SUO PADRE UGO.
A proposito della mia maestra voglio precisare che era un'antifascista convinta. Infatti quando a scuola c'era qualche cerimonia, era l'unica di 18 insegnanti a non indossare la divisa fascista.
Un particolare significativo: all'inizio dell'anno scolastico, tutta la scuola andava a Messa; la mia maestra, che non era in divisa, non accompagnava la propria classe, ma era in coda con le alunne che, come lei, non indossavano la divisa.

Carla Deambrogi Carta

"IL RAZZISMO ITALIANO", LEZIONE SCOLASTICA A MONZA NEL 1938/39

Il testo che segue è una lezione scolastica intitolata "Il razzismo italiano" conservata in un quaderno dell'anno scolastico 1938/39 dell'alunno Aldo Colombo, che frequentava il secondo anno di una scuola professionale di Monza.














TRASCRIZIONE.

Il razzismo italiano
Si tratta di una battaglia ingaggiata dal Fascismo per la conservazione e l'integrità della razza italiana. Noi della penisola apparteniamo al ceppo ariano, discendendo dalle popolazioni migratrici asiatici degli arii.
Attraverso i secoli, le popolazioni italiche si sono nuovamente e particolarmente plasmate, assumendo caratteristiche che oggi le differenziano da tutte le altre popolazioni del mondo.
Gli hanno dato alla civiltà poeti, artisti, scienziati di tale qualità e in tale misura da essere oggi invidiati da tutti gli stranieri. La fierezza che noi sentiamo per questo, completa lo spirito o razzismo che oggi il Fascismo ha fatto tempestivamente risolvere.
Il razzismo italiano è rivolto a evitare incroci con le altre razze, specialmente differente colore, conscio che i discendenti di questi incroci appartengono a una nuova razza, moralmente, fisicamente inferiore. Per tale ragione il governo italiano ha emanato leggi che evitano matrimoni con genti di colore, con elementi di razza ebraica e vie subordinate con gli stranieri.
Nei confronti degli ebrei il razzismo italiano non fa una questione di religione, ma una doppia ragione di razza e politica e in quanto di questi affiliati al sionismo internazionale , predicano nei loro pustulati la disgregazione dello stato per la successiva avvento della loro dominazione. Il Fascismo è nato per la lotta contro l'internazionalismo, ciò che giustifica pienamente.




DIARIO DELLA MIA VITA MILITARE di Aldo Colombo - prima parte

La legge che il 20 luglio 2000 ha istituito il "Giorno della Memoria", invita a ricordare, fra gli altri, anche "gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia e la morte". Molti dei nostri concittadini deportati in Germania erano militari che si dovettero arrendere ai tedeschi immediatamente dopo l'8 settembre 1943. Aldo Colombo,  autore di questo resoconto di vita militare e di prigionia, era uno di loro. Nato il 14 febbraio 1922 a Monza, nel 1942 venne chiamato in Marina e, dopo i corsi di specializzazione a La Spezia, imbarcato sul cacciatorpediniere Castelfidardo. Dopo l'armistizio dell'8 settembre la nave fu catturata dai tedeschi e Aldo, insieme al resto dell'equipaggio, fu fatto prigioniero e deportato in Germania in un campo di lavoro.
Liberato alla fine del conflitto, tornò a casa e trovò   lavoro come operaio alla CGS di Monza, ditta dedita alla produzione di oggetti in plastica.
Si sposa nel 1956 e dal suo matrimonio nascono quatro figli. Aldo Colombo è morto il 7 agosto 1997.
Questo resoconto della sua vita militare e del periodo di prigionia è scritto a mano, con una penna biro, su un quaderno a quadretti con spirale del quale occupa ventun pagine. Risale probabilmente agli anni ottanta del novecento, quindi a diversi anni dopo lo svolgimento dei fatti. Stefania, la sua figlia maggiore e mia cognata, aveva sentito parlare diverse volte di questo quaderno dal padre, ma lo ha potuto leggere solo dopo la sua morte. A lei, giusto un anno fa, ho chiesto di poterlo pubblicare sul blog ma, per una sorta di pudore, mi aveva negato il permesso . Ora, senza una mia ulteriore richiesta, ha deciso di acconsentire alla pubblicazione: sono sicuro che la decisione è stata per lei difficile, per questo le sono particolarmente riconoscente. Data la lunghezza del testo lo pubblicherò in due parti: la prima dall'arruolamento all'armistizio: la seconda il  periodo di prigionia. M.B.

DIARIO DELLA MIA VITA MILITARE di Aldo Colombo
20 - 7 -1942
Parto con l'ultimo scaglione della classe 1922, essendo classificato nel corso elettricisti, perciò trattenuto circa cinque mesi in più a casa.
Arrivo a La Spezia: al deposito C.R.E.M. (1) l'indomani mi trasferiscono alla banchina presso l'Arsenale su di un transatlantico in riposo adibito a trasporto di prigionieri o meglio a truppe. Dopo parecchi giorni torno di nuovo al Deposito e mi donano le doppie divise e pernotto al camerone del terzo piano. Dopo una decina di giorni mi inviano alla scuola [...] di Varignano (2), situato a destra del golfo di La Spezia, vicino a Le Grazie e Porto Venere ove c'è una batteria costiera. La vita alla scuola certo è un po' rigida, la tromba suona sempre, dal mattino alle 6 alle 8 di sera; tutti i giorni si fa istruzione anche sul mare con vari tipi di nave e vari tipi di idrofoni. La franchigia (3) c'è solamente due volte alla settimana, e si deve prendere il vaporetto che in un quarto d'ora ci porta in città. Rimasi alle Scuole circa due mesi finché venne il termine del corso e fui anche qui classificato e così dopo essere interpellato per rimanere presso il centralino telegrafico, dopo il mio rifiuto mi trasferirono di nuovo al Deposito C.R.E.M. e qui mi inviarono in città ai lavori presso un rifugio antiaereo, stipendiato come un lavoratore civile, aggregato alla Capitaneria di Porto, che andavo solo a mangiare al mezzogiorno e quindi terminato il lavoro alla sera ritornavo al Deposito. Questa mia nuova occupazione durò qualche mese, quindi in seguito mi aggregai al Casermaggio come pompiere. Anche lì stavo abbastanza bene, ho avuto parecchie conoscenze, si lavorava un po' ma in compenso ci si distraeva, c'era meno preoccupazione specialmente di fare la guardia.
La prima pagina del diario di Aldo Colombo
Si arrivò al 5 giugno 1943, il giorno in cui potei usufruire di un permesso di 5 giorni, malgrado mi aspettava di diritto una licenza di 15 che pensavo di farla più tardi, ma purtroppo fra una decina di giorni avvenne la catastrofica situazione in conseguenza del bombardamento di La Spezia (4) di notte che c'era un chiarore come fosse di giorno tanto era l'incendio un po' dappertutto, specie sulle colline adiacenti la città, ove erano istallate le batterie contraeree che sono state addirittura annientate. Ricordo bene quella notte e non la scorderò mai più in vita mia. Erano circa le due di notte, quando, dopo ulteriori allarmi dei giorni scorsi , fummo svegliati di soprassalto senza preallarme. È stato un susseguirsi di fughe tanto era sentore che doveva venire il momento decisivo, io mi misi la tenuta di macchina, i sandali e la coperta in sulle spalle e via di corsa verso la galleria della ferrovia che distava circa un kilometro dal Deposito. Non feci in tempo ad entrarvi che, prima sentimmo il ronzio degli apparecchi nemici, poi vedemmo molti "bengala" cadere ad di fuori e mentre mi incamminavo dentro un centinaio di metri, che sentimmo un boato e uno spostamento d'aria e polvere che ci buttò per terra. Perché e posso dirmi fortunato, che se ritardavo 5 minuti forse in questo momento ... non potevo scrivere le mie memorie.
E così quando ci incamminammo per il tragico ritorno, io cercai in fretta di entrare in Deposito, ma quando passai vicino al deposito vestiario, fui trattenuto dai carabinieri, per aiutare a sgomberare il materiale che pericolava per l'incendio e così non potei entrare in tempo nella caserma e ricuperare i miei zaini che erano proprio nel camerino in preda alle fiamme. Notai che la metà del deposito, la parte verso il porto era stata colpita e demolita dalle bombe proprio in fila. E così mio malgrado, mi trasferirono dopo parecchi giorni a Marina di Massa e lì si decise la mia nuova vita militare, perché ci spedirono tutti imbarcati, noi che eravamo rimasti a terra ... Si era i primi di luglio quando venni destinato in cerca della mia nave, prima a Napoli, che stetti circa una settimana, poi a Brindisi. Anche li attesi il fonogramma che arrivò circa 5 giorni, che mi inviava nientemeno che in Grecia e precisamente al Pireo.
Partimmo una sera su di un piroscafo carico di materiale bellico, assieme a 4 altri marinai alla volta dell'Albania, sempre con la preoccupazione di essere attaccati dai sommergibili inglesi. Ricordo che ci scortò un cacciatorpediniere e un aereo fino al tramonto, su di un mare calmo e così ci coricammo naturalmente vestiti e con addosso il salvagente, assaporando la frescura della notte, a parte la paura, finché all'alba avvistammo le coste frastagliate dell'Albania e arrivammo così al porto di Valona, che rimanemmo al largo circa qualche ora, poi ripartimmo in rotta per Corfù e Patrasso che arrivammo verso sera e così sbarcammo finalmente, ma dovemmo stare attenti perché la zona era infestata dai ribelli, tanto che dovevamo uscire armati di fucile.
Dopodiché il giorno presso prendemmo il trenino per Atene che durò tutto il giorno, in mezzo a una regione arida, come la nostra terra meridionale perché si vedeva poco verde, solo vigneti e ulivi. Arrivammo quindi sulla tarda sera verso le 8 e dovemmo sostare davanti al Comando M. perché i nostri superiori avevano poco rispetto per noi, che venivamo dalla lontana Patria mandati chissà per quale motivo, certo non per dare il cambio agli anziani. Quindi dovemmo dormire sul marciapiede e la mattino presto fummo svegliati dai monelli, grechi che ci lanciarono delle latte per farci spaventare. Poi quando consegnammo il nostro "foglio di viaggio" al piantone ognuno fu inviato al proprio posto destinato.
Da me venne un sottocapo di Mantova, che mi accompagnò al bacino dove stava già da 15 giorni la nave o meglio il "Castelfidardo" (5) che poi in seguito dovetti sbarcare al famoso 8 settembre 1943. Prima di riprendere la navigazione, stetti ancora una decina di giorni in bacino, io ero addetto alla caldaia, ogni due giorni si poteva andare in franchigia, armati solo della baionetta, si andava in compagnia di amici, per le vie del Pireo, dai "tabarch" e cinema e qualche volta si prendeva il trenino per Atene che distava una decina di chilometri.
Il cacciatorpediniere "Castelfidardo"
 Sul finire del mese di luglio si cominciò a navigare, prima si fece i tiri, poi scortò i convogli verso le isole dell'Egeo, quali Samos, Rodi, Lero ecc, sempre avanti e indietro, cioè che era la nostra mansione di vedetta. Quanto prima di navigare ci capitò un vero allarme aereo e ricordo che in quel momento ero di guardia in locale macchina dove avevano appena riparato una turbina, che bastava un granello di sabbia per rovinarla. Quindi sentii un gran frastuono di scoppi e mitragliamento quindi salii sulla scaletta, e dall'oblò vidi qualche cosa che cadeva in mare verso l'ingresso del porto, poi seppi che erano due aerei inglesi, che rasenti il mare tentavano di sorprendere le navi che stavano in porto, ma purtroppo le hanno buscate ... ed io nel frattempo che dopo il cessato allarme ero ridisceso, per mia sbadataggine non chiusi il 2° oblò e così il comandante in seconda mi diede un cicchetto. In quei pochi giorni che ero imbarcato sentivo una forte malinconia, perché oltre ad essere lontano da casa, il confronto di quando ero a La Spezia, non era tanto incoraggiante, tanta era la fame che avevo, forse quel terribile caldo che si sentiva in caldaia, quel poco che si beveva veniva fuori con il sudore. Io poi ero addetto ai livelli della caldaia, quindi ero proprio a basso con l'altro fuochista al barometro, mentre sopra c'erano i ventilatori con un sottocapo. Le ore di servizio erano 4 e 4 di riposo ma si doveva essere disponibile, quindi anche di notte, si doveva rimanere in coperta, vicino al posto di servizio. Poiché la nostra unità era un vecchio "trepippe" così chiamato perché era un tipo poco moderno e in più era logorato dal continuo servizio.
Cosa che ricordo bene, perché quando ero in servizio in caldaia, che si doveva stare a dorso nudo per il caldo, sentivo le gocce di acqua bollente che mi venivano sulla pelle. E così dopo diverse missioni, venne anche l'ultima, almeno si sperava, ma purtroppo finì per essere la penultima. Si era al 4 o 5 settembre, già per mezzo della radio si sentiva che gli alleati erano sbarcati in Sicilia (6) e quel giorno eravamo accostati alla banchina dopo parecchie ore che ritornammo da Rodi ci venne comunicato, dal segnalatore, che dovevamo partire e scortare un convoglio per Taranto. Grande era la nostra gioia e tanto più per me che non ne potevo più e intravidi almeno la possibilità di avvicinarmi a casa, presagendo che arrivava anche la fine della guerra. Ma purtroppo la mia gioia durò poco ... cioè quando facemmo rifornimento e lasciammo il Pireo, passando per il canale di Corinto, ricordo che quando si era in mezzo era notte e il mio sottocapo, un mantovano, mi mandò su qualche minuto a prendere una boccata d'aria, ricordo che rimasi senza fiato tanto era la corrente d'aria.
Quindi si passò e verso Patrasso, assieme ad una corvetta tedesca, scortammo due piroscafi diretti come ho detto a Taranto. Avevamo passato l'isola di S. Maria e si era in rotta verso Corfù, quando ci pervenne un fonogramma, di ritornare al Pireo. Mentre il convoglio proseguiva, con la scorta della sola corvetta tedesca, ritornammo amareggiati, ma purtroppo comandavano i tedeschi, verso Argostoli (la capitale dell'isola di Cefalonia, dove fra una decina di giorni morirono molti soldati italiani). Lì ci diedero l'ordine di salvare un aereo di ricognizione caduto in mare da due giorni, poveri noi ... cioè poveri loro, che con il mare a 8 e cioè molto agitato, stavano i cinque uomini dell'equipaggio, che recavano i segni del mal di mare. Quando dopo parecchie ore avvistammo l'aereo e vedemmo che anche una motovedetta giunse assieme a noi, quindi a fatica ci lanciammo delle funi a una cinquantina di metri e così piano piano li issammo a bordo, molto provati e esausti.
Poi tornammo direttamente al Pireo tramite il canale di Corinto e lì sbarcammo rinfrancati.
Cosicché dopo aver fatto di nuovo i rifornimenti ripartimmo per l'isola di Creta e precisamente nella baia di Suda dove giungemmo dopo due giorni, proprio il famoso "8 settembre". Si era al mattino presto quando accostammo fuori dagli sbarramenti (si vedeva il famoso incrociatore inglese York (7), semiaffondato) assieme ad un altro cacciatorpediniere, il Solferino (8), che era più moderno, e dopo parecchie ore una motolancia tedesca ci venne presso e ci ordinò di accostare alla banchina e così facemmo, rimanendo in trappola, perché dopo l'annunzio dell'armistizio, proclamato da Badoglio, alle 8 di sera non potemmo più intravedere uno spiraglio di uscire e tentare la fuga di notte. Certo che dopo la libera uscita avuta per visitare un po' l'isola e principalmente la "Canea", non ci ha portato fortuna, perché oltre ad averci chiamato in anzitempo, ci hanno imposto di prepararci ad ogni eventualità. E così fu perché alla chetichella, attendendo il buio, il comandante ci impose, contro la nostra volontà, e anche sotto minaccia di una rivoltella, di avviare tutte e tre le caldaie e tentare l'uscita, cose che era impossibile perché eravamo chiusi dagli sbarramenti e voleva di sicuro andare a fondo e per me fare la fine del topo. Ricordo che i tedeschi ci spiavano, ci mettevano addosso i riflettori per vedere le nostre intenzioni, finché venne il sospirato momento che i comandanti delle due unità decisero di arrendersi ai tedeschi. E così, dopo due mesi di imbarco cessavo il servizio militare alla Marina Italiana aggiungendo l'annata passata alla scuola e altri servizi, abbastanza soddisfacenti. Il destino à voluto che proprio nella località più lontana, che tutt'ora le FORZE ITALIANE avevano, caddi prigioniero sebbene con l'illusione che ci avrebbero spediti a casa.

NOTE
1) C.R.E.M., Corpo Reali Equipaggi Marittimi
2) A La Spezia, in località San Bartolomeo, erano concentrate le "Scuole Specialisti" della Regia Marina Militare mentre a Varignano era stata istituita la "Scuola Radiotelegrafisti e Semaforisti"
3) La "franchigia" è il permesso di scendere a terra concesso a marinai di una nave ancorata in un porto
4) Il testo, che in questo punto è un po' confuso, dovrebbe riferirsi al bombardamento che colpì la città di La Spezia il 5 giugno 1943.
5) Il "Castelfidardo" era un cacciatorpediniere della regia Marina. Catturato dai tedeschi a Suda, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943., fu incorporato nella Kriegsmarine.
6) Lo sbarco in Sicilia avviene il 10 luglio 1943
7)"Nell'attacco alla Baia di Suda sei incursori della Xª Flottiglia MAS (Regno d'Italia), speciale unità d'assalto della Regia Marina italiana, a bordo di altrettanti barchini esplosivi affondarono con le loro testate esplosive l'incrociatore pesante inglese York e danneggiarono pesantemente la petroliera norvegese Pericles, che affondò in seguito"  http://it.wikipedia.org/wiki/Attacco_alla_Baia_di_Suda    .

martedì 17 gennaio 2012

16 GENNAIO 2012: GALAVERNA A VIMERCATE di Marco Bartesaghi














Fotografie della galaverna in questo blog le trovi sotto l'etichetta ambiente o alla data 18 dicembre 2009.

ARROTINO, MULITA, MULETA di Anselmo Brambilla

Arrotino artigiano itinerante affilatore di utensili taglienti , con un trabiccolo di legno su cui era montata una mola, un disco di pietra pomice di grana diversa secondo il tipo di affilatura.

Attraverso una ruota collegata con una cinghia alla mola, che veniva messa in movimento da un pedale manovrato dal mulita, questi  riusciva ad ottenere la forza e la velocità necessaria affinché la mola affilasse perfettamente l'utensile, forbice, coltello o scure.
 
 
 
 
 
Solitamente sul trabiccolo, in corrispondenza della mola, era applicato un piccolo serbatoio (normalmente una latta di conserva vecchia) da cui scendeva un filo d'acqua che serviva per mantenere raffreddato il lato da affilare, evitando quindi che si scaldasse troppo e perdesse il filo tagliente.

Anche questo artigiano girava per i paesi portando oltre che la sua opera anche notizie e novità sul mondo , almeno quello da cui lui passava.
I mulita più famosi erano trentini, particolarmente conosciuti quelli della Val Rendena.

Anselmo Brambilla
Disegno di Sara Bartesaghi

sabato 14 gennaio 2012

" EL MULETA ", CANTA TIZIANO MARCHESI

Tiziano Marchesi è la prima persona che vedo quasi tutti i giorni dell'anno, tra le cinque meno dieci e le cinque del mattino. Lui apre il bar, io l'edicola. Se non è in ritardo e non piove (è in bicicletta) si ferma e cacciamo quattro balle: il caldo e il freddo, il sonno e la stanchezza. Ma anche il lago e le vacanze. A volte, se è in forma e si è alzato con il piede giusto, nella piazza deserta si mette a cantare. Una mattina ha intonato la canzone del "muleta": ho pensato che con il racconto di Anselmo e il disegno di Sara sarebbe stata perfetta per completare il ritratto di questo personaggio, un tempo famigliare nelle corti della Brianza. M.B.






Se vuoi sentire "El Muleta" cantata da Tiziano Marchesi clicca sul seguente indirizzo di You Tube:

http://www.youtube.com/watch?v=7Qf5YL5T2f8&context=C351e2d4ADOEgsToPDskIEM_OkGD-uoPVWTBlVWyF1

ALBERTO MOTTA (ALBI): DIPINTI E POESIE a cura di Denise Motta e Marco Bartesaghi




Alberto Motta, 42 anni, si firma Albi e si definisce "artista", ma aggiunge: "teoricamente". È nato a Verderio Inferiore e vive con la famiglia a Paderno d'Adda. Dipinge e scrive poesie.


Marco (M) - Da quanto tempo?
Alberto (A) - Dipingo da almeno dieci anni. A 25 anni è iniziato un periodo molto difficile della la mia vita, durante il quale è venuta fuori questa vena, diciamo, artistica, sia pittorica che poetica. In verità già prima scrivevo poesie però quell'evento ha cambiato il mio modo di scriverle: prima erano cose romantiche (cazzate, tra virgolette). quello che è successo dopo ha fatto sì che mi dedicassi alla pittura e alla poesia con un altro spirito.



Denise (D) - Possiamo chiederti cosa era successo, te la senti di parlarne?
A - Ho cominciato ad avere delle visioni, a sentire delle voci, quasi sempre molto angoscianti, altre volte più di speranza.
D - Che tipo di visioni?
A - Visioni e voci che riguardano Dio e il mio rapporto con Lui, le domande che gli rivolgo: io gli chiedo di darmi risposte sulla mia vita ...
Io sono sempre stato a disagio nei confronti della vita. Non sono una persona solare, che ama così tanto, insomma, la vita. La amo anch'io, ma devo dire che per quello che ho vissuto. mi ha fatto anche molto male, non mi ha fatto solo del bene.

In seguito a queste "voci" e a queste "visioni" ero in uno stato confusionale, non capivo più niente: al lavoro non riuscivo a contare le scatole che facevo. Ho avuto sei mesi di malattia, finiti i quali non sono riuscito a rientrare ...

C'è stato un momento in cui ho capito che potevo spaventare la famiglia e che, se non avessi messo tutta la mia volontà per farmi curare, li avrei fatti diventare matti: soprattutto mio papà e mia mamma, ma anche mio fratello e mia sorella.

Da quando ho cominciato a non star bene, per due o tre anni non sono uscito di casa. Ora è diverso, ci sono periodi buoni e altri meno, però ho qualche interesse e tanti amici.

Sono ancora in cura al CPS di Merate; ho una pensione d'invalidità e per il resto mi aiutano i miei.

M - Torniamo alla pittura: cosa rappresenta per te?
A - È un'occupazione fondamentale, come la meditazione, la preghiera, la riflessione sulla vita e i suoi perché.



D - Quali temi affronti?
A - Il tema scatenante, sia per la pittura che per la poesia, è la preghiera, Dio, la fede, queste cose insomma..
D - Però nei tuoi quadri sembra che tu voglia esprimere l'angoscia che hai dentro. Perché questo rapporto con Dio è stato, o è ancora, per te così angosciante?
A - Ci sono passi della Bibbia che dicono che quando Dio incontra l'uomo lo tranquillizza e gli dice di non temere. Ma tu, comunque, hai il terrore di questo incontro.

Però sono gli altri che dicono che i miei quadri sono inquietanti, io non li trovo così. Certo, tante volte non sono allegri: non so se faccio quadri allegri, forse no. Li faccio piuttosto su un tema serio. Io sono uno che ama molto la commedia italiana degli anni 50/60 - Totò, Sordi, Tognazzi e via dicendo -  ma non sono capace di far ridere, piuttosto di far piangere. Del resto esiste la commedia ma esiste anche il dramma. Amedeo Nazzari, ad esempio, faceva il dramma; ha fatto anche qualche commedia ma il suo punto forte era il dramma. Io sono come lui: tutto qui.

Anche tra i mistici, per quello che mi pare di aver capito, c'è chi ha sempre il sorriso sulle labbra e c'è chi invece patisce, come Padre Pio, le stimmate. Per molto tempo la sofferenza ha fatto parte della mia vita; magari un po' me la sono anche cercata. Per anni ho pensato che anche la sofferenza fosse necessaria: l'ho pensato per anni ma allo, stesso tempo, non sapevo come venirne fuori: adesso un po' meno ...








M - Adesso sei un po' più sereno?

("Da un mese a questa parte, non da molto - interviene la mamma di Alberto, presente all'intervista - Ha passato un'estate!)

A - Perché comunque c'e stato sempre dentro di me questo tormento sulla passione di Cristo. Nella Bibbia c'è scritto che c'è un tempo per ogni cosa, mentre io ho forse sempre visto solo il tempo della sofferenza: questo, almeno, fino ad ora. Adesso posso forse anche un po' cambiare.
D - Secondo me nei primi quadri che hai fatto non si vede questa tua angoscia, questo stato d'animo così sofferente.
A - Pensi di no? Alcuni dicono che i miei quadri erano molto scuri
D - No, alcuni dei primi sono coloratissimi: quello delle barche che sembrano tante gocce, che ho io, è sui toni del rosa; quello giallo, sempre mio, del paesaggio con le tre figure, è addirittura solare. Altri dipinti di allora, anche se scuri, non esprimono quello che invece vedo nelle tue opere del periodo successivo, quelle che ho visto ad esempio nella mostra che hai fatto a Paderno che per me era molto triste. C'è stato, a mio avviso, un cambiamento: probabilmente a un certo punto hai colto in pieno la tua sofferenza e sei riuscito a buttarla fuori. Ora mi sembra che il colore stia tornando nei tuoi quadri
Comunque sia c'è stata un'evoluzione. Anche la misticità non sempre è stata evidente e le figure umane sono apparse in un secondo tempo: come ne "La Vergine delle Rocce", un quadro in tonalità rosa, che si trova nell'ufficio dove lavoro, dove sotto un arco, dall'azzurro traspare la luce.



La Vergine delle Rocce

A - E' la grotta della Madonna, l'ho disegnata quando mio padre ne aveva costruita una. Poi tu Denise l'hai battezzata La Madonna della Roccia: a me va bene così.
D - Dove lavoro c'è un altro tuo quadro, sul viola, dove cominciano ad  apparire delle figure, proprio solo delle pennellate. L'abbiamo in sala riunioni; è un quadro che piace a tutti, ma devo spiegare che rappresenta I Vegliardi dell'Apocalisse, perché le figure, più che vedersi, si intuiscono

I Vegliardi dell'Apocalisse
A - Sono macchie di colore
M - Ma tu dipingi per comunicare qualcosa agli altri, a noi, all'esterno o anche la pittura e solo un dialogo fra te e Dio?
A - No, il dialogo fra me e Lui è il dialogo fra me e Lui. Il dipingere è il dialogo fra me e il mondo
M -Comunichi  al mondo il dialogo che hai con Dio attraverso i tuoi quadri ...
A - Probabilmente sì



M- Hai sempre avuto la fede?
A -Sono cattolico ma non praticante da molti anni, ormai. Ho tentato in diversi momenti della mia vita di ritornare a frequentare la messa, ma non fa per me. Tra i 15 e i 20 anni non ho pensato alla fede. Ho cominciato a ripensarci dopo e ho scoperto, intorno ai 21 o 22, di essere convinto dell'esistenza di Dio. 




 
Poi è successo quello che è successo e ho sperimentato che la fede è una fatica immane, questo sì. E' sempre stato così, tant'è che alla fine ho dovuto abbandonare il lavoro, almeno da 17 anni a questa parte. E' vero che ho sempre avuto l'ambizione grande e anche l'idea di fare l'artista.. Il problema è stato quello di coniugare l'arte con la religione. Forse nel '300 o nel '500 sarebbe stato più facile. Oggi coniugare le due cose sembra essere più difficile, forse perche gli artisti sono in gran parte atei o almeno sembra che non tengano conto di Dio..


Perché piangi?

Mi hanno chiesto: perché piangi?
Mi hanno detto: sorridi!
Mi hanno detto: non temere!
Ebbene vi chiedo: perché
voi piangete

Forse il mattino sarà più rosa
forse domani nevicherà!

poesia n.1


M - Certamente la fede è vissuta in modo diverso, ma mi sembra che molti artisti la vivano comunque profondamente.
A - Questo vale soprattutto fra i poeti. È difficile che esistano poeti che non credono, perché la poesia è un dialogo con il foglio ma anche con Dio. La maggior parte dei poeti che ho letto o che ho sentito in televisione sono credenti. In "La Ferita dell'essere", un libro di poesie  di Mario Luzi, c'è il dialogo con Dio, c'è la domanda che il poeta gli fa sul perché della sua vita. Già il titolo, "La ferita dell'essere", questa ti fa capire che vuole andar oltre, che ti vuole trapassare come una galleria.



 Fatidico sì

Fatidico sì è quello che sto per dire
a me stesso e al tempo in cui vivo
alla vita e alla morte, come se null'altro
che sì, si possa dire nel silenzio del mio letto

poesia n.2



Poi, come dice mia mamma, quando si legge una poesia, o si guarda un quadro, o si sente una musica non è importante sapere cosa abbia voluto dire l'artista. L'importante è quello che la poesia suscita in te. Che poi è la forza del nostro tempo, perché per anni è stato ritenuto importante sapere cosa voleva dire il tal poeta, l'intellettuale, il pittore o il musicista. In realtà se una cosa piace  piace. Possono piacere anche tante cose stupide, non è mica un male.
M - -Ci sono delle poesie che ti dicono qualcosa, belle o brutte che siano, altre non ti tirano fuori niente. Magari la stessa poesia un giorno ti parla e ti dice qualcosa un altro giorno niente, non ti stimola ...
A - Non ti deve dire qualcosa, devi leggerla e basta ...

 L'ultima sigaretta

Accendo l'ultima sigaretta, ormai fa giorno
la notte passata a visitare le caverne della mia vita
si spegne come il sole la sera al crepuscolo.
Il viaggio dell'esistenza si stempera al lieve tepore
del giorno e di nuovo mia madre alzerà la barriera 
delle cose, che fino ad ora sono state perdute;
il divano attende il suo Dio, che seduto e trasognante
si gode l'apoteosi del mattino, di questa vita
ormai segnata dal destino.

poesia n.3


M - Ma se non ti dice niente è solo una serie di parole .Qualcosa ti deve scatenare se no cosa la leggi a fare?
I quadri che fai, li fai vedere, li esponi, li vendi: è così anche per le poesie?
A - Alla prima mostra che ho fatto, a Cascina Maria a Paderno d'Adda, ho portato anche le poesie. Avevo esposto una trentina di quadri e 11 poesie. Ho anche due blog, che però seguo poco, che si chiamano "Albi e la poesia" L'estate scorsa mio fratello mi aveva fatto vedere una pubblicità su "il manifesto" di una casa editrice che invitava a inviare i proprio scritti, racconti saggi, poesie . Ho mandato i miei versi e mi hanno risposto che li avrebbero pubblicati ma avrei dovuto pagare 2000 euro., e allora ..... Mi hanno detto che è normale. Però se fosse possibile trovare un modo per vivere con queste cose sarebbe bello. E' vero che io ho ancora fatto poco o niente: ho messo qualche volta i quadri al bar della stazione, ho fatto questa mostra a Cascina Maria, ho messo i quadri a Verderio Superiore durante la castagnata del Circolo San Giuseppe e li ho esposti al bar Mister di Cassina Fra Martino. Però come fai a vivere di queste cose?


Potete trovare altre poesie di Alberto sui suoi blog:


http://blog.studenti.it/malbi69/

http://blog.libero.it/malbi69/10106602.html
















martedì 3 gennaio 2012

IL DOPOAVORO DI PADERNO D'ADDA GESTITO DA CECILIA COLNAGHI di Beniamino Colnaghi


L'Opera Nazionale Dopolavoro fu un'associazione creata il 1° maggio 1925 dal regime fascista col compito di occuparsi del tempo libero degli italiani. Lo statuto prevedeva che il Dopolavoro dovesse "curare l'elevazione morale e fisica del popolo, attraverso lo sport, l'escursionismo, il turismo, l'educazione artistica, la cultura popolare, l'assistenza sociale, igienica, sanitaria, ed il perfezionamento professionale".
A partire appunto dal 1925 il regime fascista avviò il programma di "nazionalizzazione" del tempo libero, dai divertimenti agli sport, il cui primo passo fu la creazione dell'Opera Nazionale Dopolavoro (OND). La creazione dell'OND rese istituzionali le iniziative già esistenti, come i circoli ricreativi patrocinati dai sindacati fascisti sorti autonomamente nelle sedi socialiste, eliminandone il carattere politico e sopprimendo le analoghe organizzazioni antifasciste. Lo scopo primo dell'OND era inizialmente limitato alla formazione di comitati provinciali a sostegno delle attività ricreative, ma tra il 1927 e il 1939 da ente per l'assistenza sociale diventò "movimento" nazionale che vigilava sull'organizzazione del tempo libero degli italiani.
Le attività dei vari circoli erano suddivise, secondo un'uniforme programma per tutta la nazione, in una serie di servizi sociali, tra i quali cultura fascista e formazione professionale, educazione fisica,  sport e turismo, educazione artistica, musica, cinema, radio e folklore.
Questo programma era rivolto agli ambienti urbani ed industriali; a partire dal 1929 si sviluppò anche il dopolavoro agricolo, le cui finalità convergevano nel proposito di "non distrarre dalla terra" i contadini. Alla fine degli anni Venti venne inoltre messo a punto un programma ricreativo femminile, che implicava un accurato addestramento per "l'elevazione morale" delle donne nella società fascista, e corsi di pronto soccorso, igiene ed economia domestica.

Il regime fascista aprì sedi del Dopolavoro in moltissime località italiane: nel 1933 sono ben 18.000 le sezioni aperte nella nostra penisola. Per quanto attiene la nostra zona, una sede venne aperta a Verderio Inferiore, un'altra a Paderno d'Adda.
Il Dopolavoro di Paderno venne aperto in località Padernino, precisamente presso alcuni locali della cascina sant'Antonio in via Leonardo da Vinci 51, ove già esisteva un'osteria di proprietà della facoltosa famiglia Viscardi.

Foto 1 Ingresso del Dopolavoro su via Leonardo Da Vinci, riservato ai militanti fascisti


Foto 2. Particolare

L'apertura avvenne presumibilmente nella seconda metà degli anni '20. Il "Dopolavoro Aziendale Viscardi", così fu chiamato in quel tempo, era composto da un bar e da un locale attiguo che accoglieva le riunioni degli attivisti fascisti. Il locale che ospitava il bar era molto ampio, arredato con un bancone e numerosi tavoloni attorno ai quali gli avventori bevevano del buon vino, chiacchieravano oppure giocavano a carte. La sala riservata ai fascisti era più intima, aveva il camino ed il pavimento in parquet ed era  arredata con tavolini e mobili d'epoca. All'esterno, collegati con il bar, erano presenti due campi di bocce scoperti, affiancati da uno stretto passaggio dove i clienti potevano assistere alle partite. Ancora oggi, malgrado la cascina sia oppressa da un condominio, da villette e da un piccolo capannone commerciale, si possono notare i due ingressi al Dopolavoro: a quello interno potevano accedere i clienti del bar, mentre quello su via L. da Vinci era riservato ai gerarchi ed agli iscritti al Partito Fascista.

Cecilia Colnaghi, soprannominata Cia, proveniva da Verderio Superiore e precisamente dalla Curt dei Barbis, ove nacque il 25 novembre 1890. Il padre, Felice, e la madre, Maria Letizia Brivio, ebbero otto figli: Cecilia fu la secondogenita mentre mio nonno Beniamino, sestogenito, venne alla luce nel 1900.

Foto 3 Cecilia Colnaghi


Trascorse l'infanzia e la giovinezza in paese, finché, in età da marito, il 22 gennaio 1910 si sposò con Luigi Valtolina, anch'esso nativo di Verderio superiore, precisamente della Curt dei Sartirona, il quale fu chiamato subito "a fare il soldato".  Malgrado ciò, tra una licenza e l'altra di Luigi, tra il 1911 e il 1915 Cecilia ebbe tre figlie: Nicoletta, Giuseppina e Ines. Allo scoppiare della Prima Guerra mondiale, Luigi fu chiamato alle armi e partì per il fronte, dal quale non fece più ritorno, lasciando così in gravi difficoltà la famiglia. I suoi resti sono tumulati nel Sacrario militare del Passo Tonale.

Foto 4 Luigi Valtolina


Una nipote di Cecilia, Giuditta Rotta, mi ha recentemente riferito che sua nonna si trasferì a Paderno, si presume con i genitori del marito, pochi mesi dopo aver partorito la prima figlia. Dovremmo pertanto essere nel 1912. Malgrado il marito fosse ancora soldato, Cia si spostò quindi alla cascina sant'Antonio, ove ebbe dalla famiglia Viscardi, come detto proprietaria dell'immobile e di alcuni terreni contigui, alcuni locali in affitto posti al primo piano e probabilmente la gestione dell'osteria al piano terra, già esistente all'epoca. Rimasta nel frattempo vedova, oltre al bar, si occupò della cucina e dei lavori domestici presso la villa padronale.  

Quando il Partito Fascista apre il Dopolavoro a Paderno, Cia ha quasi 40 anni, le tre figlie sono ormai grandicelle ed i parenti la aiutano nella gestione dell'osteria e nel buon mantenimento dei locali e dei campi di bocce. I tempi sono difficili, le malattie imperversano, la fame è una brutta bestia, la gente non ha possibilità di agire e parlare liberamente, le squadre fasciste controllano la vita delle persone e chi sgarra, o non si adegua, viene punito. Il Dopolavoro diventa una delle sedi nelle quali i fascisti locali progettano non solo iniziative politiche e propagandistiche, ma anche azioni punitive nei confronti dei comunisti e degli antifascisti più irriducibili. Uno dei quali era proprio un fratello di Cecilia, inserito nelle liste degli oppositori da punire, che Cecilia, con il suo carattere forte e risoluto, difese e protesse in più di un occasione, salvandolo dal manganello e dalla prigione. Mi è stato confermato che Cia, quando aveva "una soffiata", si dirigeva alla stazione ferroviaria di Paderno per avvisare suo fratello di non andare a casa quella sera perché i fascisti gli avevano teso un'imboscata presso "ul pianton", il grande platano, con l'intento di dargli una lezione.

Dopo la Liberazione e caduto il fascismo, il Dopolavoro cessò l'attività. A tale riguardo ho un aneddoto raccontatomi da Felice Colnaghi il quale mi ha riferito che un nipote di Cia, Rinaldo Frigerio, figlio di sua sorella Teresa, che già da ragazzino svolgeva attività di imbianchino, cancellò i fregi fascisti posti sopra il portone di ingresso principale. Ancora oggi si notano due macchie di colore bianco ai lati della scritta. 
Il bar sopravvisse e nacque una trattoria. Cia è una buona cuoca e una donna intraprendente che vede lontano. Negli anni '50 e '60 cucina soprattutto per le comitive, per i cacciatori e pescatori e per le operaie dei numerosi maglifici presenti a Paderno: Imec, Baraggia, Consonni, Mafri, Fontana etc. Le clienti più assidue sono soprattutto le donne bergamasche e quelle che abitano lontano da Paderno e Verderio. Tra le sue clienti figuravano due nipoti di papa Giovanni XXIII abitanti a Sotto il Monte, e di questo Cecilia andava molto fiera.

Foto 5 Cecilia con la figlia Nicoletta sulla porta d'ingresso del bar


Nel 1968 il bar-trattoria chiude e la cascina comincia un inesorabile e lungo declino. Cecilia Colnaghi ha quasi 80 anni, va ad abitare con la figlia Nicoletta e la nipote Giuditta, sempre a Paderno. La morte la coglie il 17 marzo 1976 all'età di 85 anni. Riposa nel cimitero di Paderno d'Adda.

Beniamino Colnaghi

P.s.: Considerato che è un articolo che non si sviluppa su documenti e testi storici, ma trae origine dalla memoria di persone in carne e ossa, ringrazio tutti coloro che mi hanno trasmesso le informazioni utili al fine di poter raccontare questa storia, in particolare Giuditta Rotta e Fulvia, Letizia e Felice Colnaghi.
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lunedì 2 gennaio 2012

CAMMINATA QUASI COMPLETA, DA SIENA A ROMA, LUNGO LA VIA FRANCIGENA di Giovanna Villa - terza e ultima parte







24 agosto, mercoledì
Sveglia abbastanza presto, ricomposizione zaini, colazione comoda e abbondante, giro per Viterbo, spesa e poi cammino.

Viterbo


Primo tratto molto bello tra pareti di tufo, vigneti e uliveti.

Dopo è diventato un po' squallido ma nei sottopassaggi Marco ha trovato dei murales interessanti.
Quando poi siamo arrivati ad uno svincolo della superstrada ci siamo persi....capita... e abbiamo cominciato a salire verso Vetralla, meta intermedia del nostro percorso, ma la strada era pericolosa oltre che molto faticosa e avvistato un autobus di linea che passava, l'abbiamo fermato. Tratto in pullman fino a Cura ( 7,00 € il biglietto singolo per pochi chilometri ma non 
erano previste tariffe diversificate solo il tratto completo fino a Roma...quasi,quasi..ma) dove siamo scesi,  abbiamo mangiato, riposato, ci siamo rinfrescati ad una fontanella e ascoltato i consigli di due "panchettari" dei giardinetti pubblici, poi, con cartina e buona volontà abbiamo raggiunto ancora la via Francigena.
Tratto molto, molto bello, prima in un bosco dove abbiamo avvistato uno scoiattolo e poi in mezzo a noccioleti e pian, piano tra sali e scendi siamo arrivati a Capranica, paese decisamente affascinante.
Dopo varie vicissitudini abbiamo trovato dove dormire: per terra in una sala civica, "sala Nardini" messa a disposizione dal comune per i pellegrini. I vigili, gentili, ci hanno consegnato le chiavi senza neppure chiederci i documenti ma solo un numero di cellulare, neanche un soldo per l'utilizzo.
Capranica
Situazione un po' buffa, soli in questa sala comunale abbastanza grande, su due piani, predisposta per conferenze e proiezioni, con due piccoli bagnetti e noi ci aggiravamo anche tutti nudi per lavarci, cambiarci.  Poi, ricomposti, siamo andati a mangiare in una bella trattoria con anche prezzi da vera trattoria:pici ai funghi, pollo rustico con cicoria , vino, caffè tutto ciò a 30€ in due.
Poi si torna in "sala civica" e si dorme.

25 agosto, giovedì
Notte poco riposante, pavimento troppo duro........colazione al bar e poi pizza rossa in panificio mentre aspettiamo i vigili per restituire le chiavi della sala. Poi si parte verso Sutri, prima parte molto bella in un bosco dove raggiungiamo un ruscello, poi, sentiero alterttanto bello ma con il 
carrellino dobbiamo fare un po' di numeri ed è un po' faticoso; a tratti dobbiamo sollevarlo e trasportarlo. Poi torna strada più comoda e si arriva all'anfiteatro di Sutri, lo si visita: molto bello, scavato nel tufo e con un verde praticello in mezzo.
Sutri
Sutri - L'anfiteatro
Visitiamo il paese con relativa spesa e tornati alla zona archeologica riusciamo ad entrare a visitare l'ipogeo: bellissimo con pareti affrescate...ci sono anche riprodotti dei pellegrini.
Sutri - Affreschi dell'ipogeo
Mangiamo, riposiamo e poi si va verso Montirosi dove dovrebbe esserci un laghetto.
Primo tratto molto bello poi noioso e a tratti proprio brutto.
Giovanna, anche se stanca, cercava di non darlo a vedere
Arrivati, però, ad un certo punto, troviamo un fontanone splendido (valeva la pena) con un getto d'acqua eccezionale, super gradito ci ritempra.
Poi si arriva alla meta ma...delusione: il lago fa schifo a detta anche degli abitanti .
Allora si decide di prendere il pullman perché ormai è tardi ed arrivare fino a Campagnano Romano e, qui giunti, si va in ....albergo un po' caro ma va beh! Anche perché stasera non siamo molto in forma, Marco ha male ai piedi e io ho una caviglia dolorante per colpa di una storta presa stamattina.

26 agosto, venerdì
Oggi siamo "prestivori"...alle 7,00 siamo già a far colazione al bar e poi ci si avvia. Bel percorso in salita fino alla Madonna del Sorbo, un complesso architettonico con chiesetta ed...altro, in mezzo ad un bosco: è completamente ristrutturato, ma sembra vuoto ed abbandonato. C'è un alberello, presumo il famoso Sorbo e presumo  anche  che qui ci sia stato un "miracolo" perché qua e là appesi all'albero ma anche sulle pareti ci son preghiere di ringraziamento e richiesta, oltre a poesie e frasi impegnative.
Santuario della Madonna del Sorbo

Mahatma Gandhi alla Madonna del Sorbo
Arriviamo, quindi, a Formello dove vorremmo fare la spesa. E' un bel paesino, centro storico interessante e poi ci si ferma ad una fontanella in una bellissima piazzetta e ...si affaccia una 
Formello
 giovane signora e ci offre un caffè. Stupiti ma contenti accettiamo. Buono, proprio buono, lei è simpatica, ci racconta che è di Alassio ma viveva a Roma fino a pochi mesi fa poi si è innamorata di questo paesino e soprattutto di questa casa e si è trasferita qui. Abbiamo  conosciuto anche un suo vicino e perdiamo un po' di tempo.
La piazzetta del caffé
Si va a fare la spesa e poi si riparte ma ....ahimè...quando si inizia una sterrata un po' dissestata la ruota del carrellino cede. La sistemiamo ma poi...ricede.Smontiamo il tutto, risistemiamo ma resiste pochi passi e poi si disfa.
Alla fine, dopo parecchi tentativi, rinunciamo . Io mi metto in spalla lo zainone e montiamo sul carrello lo zainetto e la tenda.
Ora il  carrello dobbiamo spingerlo come una carrozzina anziché trainarlo; a volte dobbiamo proprio sollevarlo. Così, con questo problemino abbiamo trascurato un po' il paesaggio. Ma poi, arrivati in cima ad una collina ci siamo fermati a mangiare. Da lì si vedeva la vallata sottostante con le prime case della periferia di Roma. Bel panorama , peccato che ci mancasse l'acqua: esaurite le scorte!
Arrivati, però, in prossimità di un campo di volo per aeroplanini telecomandati, c'erano delle case e una fontana. Marco ha chiesto se potevamo prenderla ma gli abitanti l'hanno sconsigliato e ci hanno regalato delle bottiglie di acqua freschissima. Che gusto! Le abbiamo finite in un batter d'occhio.
Il guado
Proseguito, quindi, faticosamente fino a raggiungere il guado del fiume ( Marco lo aspettava con ansia come momento tra i più avventurosi della camminata) ci siamo rinfrescati anche se le acque non erano ne chiare ne profumate, solo fresche. Poi avanti, sempre più faticosamente; per alcuni tratti Marco si portava lo zaino in spalla e il carrellino con tutto l'ambaradan in braccio e tutto ciò in salita....che uomo!!!
In fine arrivati sulla Cassia in località La Storta, praticamente a Roma, ci siamo fermati al primo Hotel che abbiamo trovato, troppo stanchi per continuare ma ....contenti.

27 agosto, sabato
Partenza dopo colazione abbondante, abbandono del carrellino in un cassonetto dei rifiuti. Zaini un po' pesanti, prendiamo il trenino per superare la zona del raccordo anulare e poi iniziamo a fare la "via Trionfale" (si chiama proprio così) lunga,lunga, noiosa, "smoggosa" e faticosa.
Roma!!!
Poi, dopo tante fontanelle, provate tutte, e tanti numeri civici (dal n 11700 al n 5600 circa) arriviamo al parco di Monte Mario, che mi aspettavo come un oasi in città invece ...squallido, 
Monte Mario
caldo, secco, sporco e senza bagni e fontanella... di bello aveva solo il panorama, una splendida vista su Roma anche se, per il caldo afoso, con un po' di foschia.
Entriamo in zona centro dove troviamo una botteguccia di pizza al taglio, splendida, e un emporio/bar molto, molto interessante: "Castroni caffè" pieno,pieno di bottiglie, bottigliette, bottiglioni, scatole,scatoline, scatolette......di tutto e di più. Generi alimentari e di drogheria provenienti da tutto il mondo disposti in modo affascinante su scafali stracolmi.

E, poi, eccoci:  siamo a  San Pietro!
Sotto il colonnato ci emozioniamo un pochino e poi all'ombra dell'obelisco comunichiamo a tutti, parenti ed amici, che siamo arrivati.
Ci riposiamo e ci rinfreschiamo alle varie fontanelle. Poi vorremmo depositare gli zaini per poter visitare la Basilica ma il deposito bagagli è aldilà del metal detector, oltre il controllo però noi non si riesce a passare perché gli zaini contengono oggetti metallici. Chiediamo come possiamo fare  alla polizia che fa i controlli, ma non c'è possibilità di superare la difficoltà.  Chiediamo all'ufficio pellegrini del Vaticano e anche lì nessuna soluzione, quindi, si fa un giretto con gli zaini in spalla fino a Castel S. Angelo e lungo Tevere ma poi, stanchi, prendiamo l'autobus per andare a casa di Carla.....ma questa poi è un'altra storia...la camminata è finita.
Tutto sommato, anche se a  modo nostro, ce l'abbiamo fatta!

Carla Dosso, "La Verderiese a Roma" che ci ha splendidamente ospitato.