giovedì 24 luglio 2014

IL CONVOGLIO DI CAMION di Alberto Di Naso


IO E CLAUDIO ANDIAMO ALLA NOLAN PER AGGANCIARE IL RIMORCHIO AL CAMION. LO AVEVO PORTATO DAVANTI AL CIMITERO DOVE RIPOSA IL NONNO, MA POI AVEVO DECISO DI PORTARLO ALLA NOLAN. UN SIGNORE GENTILISSIMO,  CHE ACCOMPAGNAVA IL SUO CAGNOLINO, MI HA AIUTATO A SALIRE SUL CAMION PERCHÉ LA MIA GAMBA SI ERA BLOCCATA.
CLAUDIO, INTANTO, HA CARICATO IN GABINA LA MIA CARROZZA ED È SALITO MENTRE IO CHIACCHIERAVO CON QUESTO SIGNORE. DOPO SIAMO ANDATI A CARICARE I COMPUTER E ALTRE COSE ALLA APPLE.
PRIMA DI PARTIRE HO DORMITO DALLA NONNA: NON IN CAMERA MA SUL CAMION; PERCHÉ NON VOLEVO DISTURBARLA.
AL MATTINO SIAMO PARTITI MA UNA GOMMA ERA BUCATA. ABBIAMO RIMANDATO LA PARTENZA PERCHÉ TUTTI I GOMMISTI ERANO IN FERIE. DOPO UN MESE E MEZZO FINALMENTE SIAMO PARTITI. DURANTE IL VIAGGIO ABBIAMO INCONTRATO IN UN AUTOGRILL PER CAMIONISTI SANDRO E VALENTINO: ANCHE LORO ERANO DIRETTI IN SICILIA.
VALENTINO PERÒ PIANGEVA COME UNA FONTANA PERCHÉ VOLEVA IL SUO PAPÀ (VOLEVA ANCHE ANDARE IN PISCINA MA OVVIAMENTE NON POTEVA FARE TUTTO). IO HO DECISO DI PORTARE VALENTINO AL MARE E DI FARGLI COMPAGNIA: COSÌ AVREBBE SMESSO DI PIANGERE COME UN DISPERATO. VOLEVO CONSOLARLO: ANDIAMO IN SICILIA. SAREBBE STATO CON ME E AVREBBE VISTO IL MARE, CHE È PIÚ GRANDE DI UNA PISCINA.
QUINDI ABBIAMO CARICATO SUL MIO CAMION TUTTO QUELLO CHE SANDRO E VALENTINO STAVANO PORTANDO IN SICILIA: SEDIE E TAVOLI, POLTRONE DI LUSSO E MENSOLE, TELEV ISIONI E BANCHI. TUTTE COSE CHE SERVIVANO PER LA SCUOLA SANDRO, COSÌ È TORNATO INDIETRO DA SOLO. AVEVA DA SBRIGARE DELLE COSE A SCUOLA: UN CONSIGLIO DI CLASSE. PER QUESTO HA SCHIACCIATO  A TAL PUNTO L’ACCELERATORE CHE QUASI LO ROMPEVA. VALENTINO, INVECE, È VENUTO CON ME. ARRIVATI IN SICILIA ABBIAMO FATTO TUTTE LE CONSEGNE E VALENTINO MI HA AIUTATO A SCARICARE (CON I GUANTI, ANCHE SE NON VOLEVA, MA IO L’HO OBBLIGATO). PER FARSI CAPIRE HA USATO IL VOCAL CON LA CUSTODIA CHE GLI AVEVO REGALATO. QUESTO  VOCAL PUÒ FARE ANCHE I VIDEO: L’AVEVO PRESO DA INTERNET, ME L’HA PORTATO UN CORRIERE  ED È COSTATO UM OCCHIO!
QUANDO VALENTINO HA VISTO IL MARE, SI È BUTTAO DAL CAMION PER TUFFARSI IN ACQUA E IO HO FATTO UN’ICHIODATA COSÌ FORTE CHE SI SENTIVA ODORE DI BRUCIATO.
QUANDO MI SONO ACCORTO HO CHIAMATO IL CARRO ATREZZI CHE HA CAMBIATO LE GOMME SUL POSTO.
DURANTE LA NOTTE IO HO DORMITO NEL CAMION E VALENTINO HA DORMITO SOTTO LE STELLE, CON IL VOCAL E VICINO AL MARE: QUESTO ERA IL SUO REGALO. UN REGALO ECCEZIONALE!


Alberto Di Naso


Alberto Di Naso

Questo brano è tratto dal libro IL CONVOGLIO DI CAMION, di Alberto Di Naso, un abitante di Verderio che così si presenta:

Ciao! Mi chiamo Alberto e ho 20 anni; per colpa del gene ATP1A3 un po’ farlocco, mi sono beccato una malattia neurologica molto rara e molto bastarda che si chiama Emiplegia Alternante.
Questa malattia mi provoca vari problemi, di movimento, di vista, di apprendimento, e soprattutto delle crisi davvero brutte che mi arrivano all’improvviso, anche due o tre volte alla settimana, mi fanno molto male e mi durano tutto il giorno. Queste crisi io le chiamo bloccamenti, perché non riesco più a muovere le gambe e le braccia, a volte solo quelle di un lato, destro o sinistro, a volte tutto il corpo. I bloccamenti totali sono quelli che odio di più, perché, oltre a non potermi proprio più muovere, faccio anche fatica a respirare e non riesco a parlare, mannaggia!!
Sono figlio unico ma ho uno zio e tre zie giovani che sono un po’ come fratello e sorelle per me, soprattutto lo zio Ales che fa il falegname  come mio nonno Marino, e la zia Sere che insegna inglese alle medie. Questa mia zia è un’appassionata della cucina, degli usi e dei costumi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, mi ha insegnato tante parole di inglese e mi parla sempre di Londra e dei suoi viaggi per tutta l’Inghilterra, la Scozai e l’Irlanda. Una volta è arrivata fino in Cornovaglia con il camper!
Io invece sono un appassionato sfegatato di camion, più sono grossi e meglio è, soprattutto i truk americani. Il mio film preferito è “CONVOY”, che parla di un convoglio di camion che attraversa tutti gli Stati Uniti per sfuggire alla polizia, guidato da un camionista che si fa chiamare “Anatra di Gomma”.
Mi sarebbe piaciuto moltissimo fare il camionista di mestiere, ma per colpa dei miei problemi non è proprio possibile; allora mi diverto ad inventare delle storie in cui faccio dei lunghi viaggi con il camion, in compagnia dei miei zii, della mia cugina Alessia e dei miei amici, per fare delle consegne per conto della ditta del mio amico Claudio.
Mi è piaciuto molto mettere in forma scritta una di queste storie di un viaggio in Sicilia, con l’aiuto del mio proff. Sandro, che è stato il mio insegnante di sostegno durante l’ultimo anno di scuola superiore  all’istituto Betty Ambiveri di Presezzo in provincia di Bergamo.
Adesso lavoro in una Cooperativa di giardinaggio che si chiama Chopin, e mi occupo della coltivazione e vendita di fiori e piante; anche se non è il mestiere che sognavo, mi paice abbastanza come lavoro e mi trovo molto bene con i miei colleghi, gli educatori e i volontari.
Spero che questo libro vi piaccia e spero di riuscire a scriverne un altro che parlerà di camper.
Un saluto a tutti voi e buona lettura!!
Alberto Di Naso
PS. Se volete saperne di più riguardo all’Emiplegia Alternante, visitate il sito dell’Associazione A.I.S.E.A Onlus:
www.aisea.org

IL LUPO E LA VOLPE di Luca Codara

Questa è una breve storiella che mio nonno Guido mi raccontava quando ero piccolo. Mi piaceva molto perché era ambientata proprio a Robbiate, tra i boschi della Duraga e del Monte Robbio, dove lui era nato e vissuto e dove spesso mi portava. È un racconto di cui ignoro le origini, ma sicuramente è molto vecchio; ha delle forti analogie, nella prima parte, con la favola del lupo e della volpe dei fratelli Grimm e più in generale con altre favole popolari diffuse in tutto il nord e centro Italia e adattate al territorio in cui venivano raccontate. I due protagonisti, il lupo e la volpe, non sono nuovi nelle favole popolari: rappresentano infatti le personificazioni dell’avarizia e dell’astuzia che, già con gli autori latini e poi per tutto il Medioevo, venivano somministrate al popolo come monito mediante racconti semplificati e accessibili a tutti. Luca Codara

IL LUPO E LA VOLPE
C’erano una volta un lupo e una volpe che vivevano nei boschi intorno alla Duraga; un giorno, affamati, passarono davanti alla vecchia cascina e il lupo, vedendo i secchi colmi di latte che il nonno (Ambrogio, mio trisavolo) aveva appena munto, disse alla volpe: “Guarda là cosa c’è! Andiamo a mangiare, forza…!” e decisero di fermarsi e bere di nascosto. I due, passati tra le sbarre del cancello ed entrati nel cortile, iniziarono a bere dai secchi: la volpe, furba, aspettava che il lupo bevesse per primo così da leccare tutto lo strato di panna superficiale, più grasso che galleggiava al di sopra del latte. “Cosa fai, non mangi?” ,disse il lupo e la volpe: “Non ho molta fame, tu intanto mangia pure!” Il lupo, preso dalla fame e dalla foga di mangiare il più possibile saltava da un secchio all’altro, mentre la volpe, tra un’occhiata alla porta e una alla finestra, beveva dai secchi dopo che il lupo li aveva quasi svuotati. Quel giorno però il nonno, aprendo la porta, li vide e subito corse in camera a prendere il fucile. La volpe, fiutato il pericolo, scappò subito via mentre il povero lupo era ancora intento a mangiare. Si accorse troppo tardi e cercò di scappare dal cancello; la volpe, furba, che aveva bevuto solo il latte scappò via in un battibaleno, invece il lupo, ingrassato dalla panna, non riusciva più a passare tra le sbarre del cancello. Il nonno incominciò a bastonarlo col fucile finché, tutto sporco di sangue, riuscì a scappare nei boschi del Monsereno. 

Nel frattempo nel bosco la volpe, che aveva assistito alla scena, si era rotolata nei ribes sporcandosi tutto il pelo di rosso e poco dopo incontrò il lupo.“Cosa ti è successo?” disse il lupo. La volpe: “Non sai, il nonno ha bastonato anche me e adesso mi fa male dappertutto e perdo sangue…se non ci credi, guarda qua!” I due decisero così di andare a Calusco, al di là dell’Adda e il più possibile lontani dalla Duraga per paura di essere nuovamente sorpresi a rubare il latte e per non rischiare stavolta qualche colpo di fucile. Scesero fino a Imbersago e arrivati sulla sponda dell’Adda la volpe disse al lupo: “Ti prego, prendimi in spalla. Non sono in grado di nuotare in queste condizioni, perdo sangue, non vedi?” Il lupo, tutto sofferente per le botte ricevute accettò, pensando che la volpe fosse ridotta peggio di lui. Mentre si trovavano in acqua, una sopra l’altro, la volpe mormorava “…ul malaà porta ‘l san, ul malaà porta ‘l san…” “Ma cosa stai dicendo?”, chiese il lupo. La volpe “…è una preghiera per non cadere in acqua!”
Arrivati più salvi che sani sulla sponda bergamasca sentirono un profumino di polenta e nuovamente affamati per lo sforzo fatto arrivarono al mulino dove un signore stava cuocendo polenta gialla in un grande paiolo di rame. Attirati sotto una finestra dal profumo che ne usciva, il lupo stava aiutando la volpe a salire, ma i due inciamparono e caddero nella polenta bollente bruciandosi la coda e scapparono via a gambe levate. Da quel giorno né in Duraga, né nei boschi del Monte Robbio e del Monsereno e nemmeno a Calusco nessuno li vide più…


Luca Codara







Luca Codara è uno studente di archeologia di Merate, la cui famiglia è originaria della Cascina Duraga, di Robbiate.






Questa cascina si trova in una località incredibilemente bella, tra il Monsereno e il Monte Robbio. La si raggiunge da piazza Airoldi di Robbiate (dove c'è la gelateria Spini), imboccando la via Cantone e poi la strada consorziale della Duraga. 


I prati della Duraga ai piedi del Monte Robbio

SPECIALE VACANZA di Teresina Bonalume Biella

Signore Dio, perché non Ti prendi una giornata di vacanza… ridimensiono… perché non Ti concedi mezza giornata di svago e vieni con me questa mattina a camminare sui sentieri di questi splendidi monti? Ti mostrerò quello che già tu conosci ma Te lo descriverò come solo una persona umana sa farlo.
Ammira con me la bellezza di queste cime innevate, ora contornate da splendide nuvole bianche in un cielo azzurro, che si stagliano imponenti e maestose fino a toccare il tuo cielo. Respira con me quest’aria rarefatta e fresca e dimentica per qualche istante il motivo per cui Tu oggi non sei altrove.
Siedi accanto a me su questo masso il cui segno indica il percorso da seguire  e riposaTi. Guarda quanti fiori ci attorniano. Che colori! Che profumi! Che intensità di vita essi racchiudono. Il sole ne fa risplendere le sfumature e ne esalta armoniosamente le tonalità.
Ecco, ora apro lo zaino e ne estraggo frutti, biscotti e acqua, dividi con me il tutto, e assapora ciò che Ti offro, come fosse l’unica cosa che possiedo.
E finalmente mi guardi e sorridi. E adesso il Tuo riprendere il sentiero con me, creatura umana, Ti si fa più lieve, leggero.
Ti sbircio e non vedo i tuoi piedi toccare terra, solo allora mi accorgo che sei scalzo, non  porti scarponi, sei proprio il Signore e stai facendo ciò che io non potrò mai fare! Immagino sia il sentiero stesso che Ti dà una mano facendosi soffice sotto di Te come un tappeto, , così che Tu possa camminare senza fatica o dolore alcuno!
Di nuovo sostiamo e questa volta in contemplazione del tutto e così Ti parlo come faccio sovente, solo che ora è un tantino diverso perché Tu non sei lassù ma qui accanto a me, allora il mio esitare la si fa strada e mi par di balbettare parole inutili perché suppongo che già Tu le conosci, ma ti chiedo pazienza e Ti prego di ascoltarmi.
 

“Non vi è, lo sento, niente di più splendido di un cuore che mette al bando ogni preoccupazione umana per elevare lo sguardo in alto ove dimora ciò a cui tutti noi agogniamo: la felicità eterna.
E mi rendo conto che sto solo ora comprendendo di come essa, la felicità eterna, sia già iniziata su questo suolo, su questi monti. Sento l’abbraccio insistente e poderoso di Te che mi ha permesso di godere anzitempo di tutto questo splendore. Odoro di te ovunque mi giro, Ti seno e Ti percepisco come il solo avamposto della mia piccola ed insignificante esistenza. E la gioia mi rapisce nell’attimo stesso in cui presagisco la Tua reale presenza: è qui che ogni dubbio scompare e si dissolve per sempre nella dimora del non tempo. È qui che l’enfasi del rimirare mi ramanda una sola risposta alle mie mille e più domande.
Ora mi volgo verso Te e ti guardo confusamente, non posso osare di toccarTi per darti una semplice carezza, ma esce dalla mia bocca,ora fattasi arsa per il troppo discorrere, un semplice grazie non so dire altro.
E questo è sufficiente a farti di nuovo sorridere!”

 

È mezzogiorno, il tempo trascorso con Te questa mattina si è completamente dissolto in quel lasso di tempo in cu ho pronunziato quel semplice grazie!
Ora Te ne andrai accanto a qualcun altro che sicuramente ha più bisogno del tuo aiuto e del tuo amore. Ti lascio tormnare al tuo abituale lavoro certa di averti dato un poco di ristoro, di averti “creato” un intervallo prezioso al tuo faticoso lavoro.
Sono estremamente convinta che quel tempo che io ho passato con Te e Tu con me nessuno potrà mai, su questa terra, togliercelo.
E di nuovo riaffiora dalle mie labbra come un petalo soffice ed odoroso un: grazie Signore per questa mia esperienza di vita.
 

Val Rendena, luglio 2012
Tere Bonalume Biella in Tamiazzo


SPECIALE VACANZE è uno dei quasi sessanta racconti che compongono un piccolo libro, intitolato “ILTEMPO VESTITO”, scritto ed edito in proprio, nel 2013,  da “Tere” (Teresina ) Bonalume Biella in Tamiazzo, un’abitante di Verderio, per molti anni insegnante presso la scuola materna pubblica di Paderno d’Adda.

IL CIARLATANO racconto di Erminia e Carolina Gnecchi Ruscone


Un viaggiatore vestito elegantemente entrò una domenica di sera in una bettola del villaggio, ove si fece dare un pollo arrostito e una bottiglia di buon vino. Appena ebbe messo in bocca il primo boccone, si mise a gemere in una maniera compassionevole, dicendosi tormentato da quindici giorni d'un gran mal di denti. Tutti i contadini che si trovavano nell’ [osteria] (1) gli testimoniarono una grande compassione.
Qualche istante dopo sopraggiunse un ciarlatano, che essendosi seduto in un angolo, domandò un bicchiere di acqua-vita (sic)
Quando egli fu informato dell’indisposizione dello straniero, assicurò che gli darebbe (sic) un buon rimedio. Levò dalla sua cassetta un pezzetto di carta dorato, artisticamente piegato, lo aprì e disse: Signore voi non avete che a intingere la punta del dito in questa polvere bianca e [applicarvela] (1) sul dente.





Lo straniero avendo fatto quello che gli era prescritto gridò subito: Dio che ben essere subitaneo ho provato! Tutti i dolori sono all’istante dissipati. Allora avendo fatto dono di uno scudo al ciarlatano, l’invitò a cenare con lui.
Tutta la gente che si trovavano (sic) all’osteria e tutti gli abitanti del villaggio si affrettarono per comperare di questa prodigiosa polvere, e il ciarlatano ne vendé ben cento piccoli pacchetti a dodici soldi ciascuno.
Quando qualche paesano si lamentava del mal di denti, si correva al rimedio prodigioso che, con gran meraviglia di tutti, non alleviava nessuno.
Finalmente venne in chiaro la frode. Capirono che i due viaggiatori si erano intesi per ingannarli. La polvere bianca non era che un po’ di creta in polvere. I due ladri furono arrestati e espiarono in una casa di correzione questo tiro e molti altri che avevano fatto.
 
Erminia e Carolina Gnecchi




Carolina Gnecchi Ruscone
Questo breve racconto è stato scritto dalle sue autrici per “Il Giornale di Famiglia”, periodico settimanale, scritto a mano, che i componenti della famiglia Gnecchi Ruscone tennero in vita dal 1867 al 1900 circa. Il testo che qui viene pubblicato è tratto da una minuta conservata nel Fondo Gnecchi Ruscone dell’Archivio Storico (1.3.15.1) di Verderio, è pertanto probabile che alcune imprecisioni di linguaggio contenute siano poi state corrette nella versione in “bella copia”.
Erminia e Carolina erano figlie di Giuseppe Gnecchi Ruscone (1817 – 1893) e di Giuseppina Turati (1826 – 1899).
Erminia, la più giovane, nata il 13 giugno 1859, moglie del Cav. Giuseppe Rossi di Schio, morì l’11 agosto 1918.
La sorella Carolina, nata il 12 aprile 1855, morì all’età di 31 anni, l’11 gennaio 1886. Aveva sposato il Cav. Francesco Dubini, con il quale aveva avuto quattro figli.
Erminia Gnecchi Ruscone
NOTA
(1) Parola incerta

martedì 15 luglio 2014

TRE DONNE E UN CASSETTONE SCRIGNO DI RICORDI di Marco Bartesaghi






Un cassettone in legno,  sormontato da uno specchio originariamente non suo. Quattro cassetti, il più in basso dei quali copre lo spazio dei segreti, il “secrèt”, dove si conservavano le cose un po’ più di valore. “Ce l’avevano tutti”, mi dicono. E allora, mi domando, che segreto era e che sicurezza poteva dare? “Per metterci mano bisognava comunque togliere il cassetto” è la risposta, semplice, ai miei dubbi.
Di mobili simili a questo ce ne sono senz’altro altri in paese, io  stesso ne ho uno in camera matrimoniale, e anche altri, come questo, saranno stati, o sono ancora, in parte adibiti a conservare “ricordi”: oggetti, carte, immagini, che una fetta di umanità ritiene importante e doveroso conservare, per non disperdere le informazioni che contengono, mentre la restante  fetta (di umanità) li considera cianfrusaglie polverose, che occupano spazio: “E anche lo spazio ha un valore!!!”.






Della prima fetta , alla quale mi sento più vicino (direi “moderatamente più vicino”, se non immaginassi già le risate in famiglia), facevano parte anche Maria Sala (1898/1979), moglie di Enrico Comi (1892/1953), e Giuseppina Comi (1925/2013), sua figlia, che abitavano nella casa detta “Salén” (da Sala), la prima che si incontrava sulla sinistra andando da Verderio Superiore a Verderio Inferiore, quando c'era ancora la divisione in due comuni, ora in via dei Municipi al numero  19 (1)

Maria Sala ed Enrico Comi
Giuseppina Comi
Nel “cassettone” Maria e, in seguito, Giuseppina conservavano le carte “ufficiali” della famiglia: atti notarili, contratti di compravendita eccetera. Insieme ad esse riponevano ritagli di giornale, contenenti notizie relative a Verderio e, in particolare, alle vicende dei suoi sacerdoti. Conservavano anche cartoline, lettere, immaginette, fotografie, e qualche oggetto.

In questo scrigno di ricordi ho già avuto modo di pescare, trovando preziosi documenti riguardanti i delitti commessi a Verderio la sera del 26 marzo 1913, quando vennero assassinate Luigia Sottocornola e la sua domestica Francesca Pochintesta.

Giornali del 1913, con gli articoli sul delitto di Verderio

Maria Sala ebbe l'accortezza, in quell’ occasione, di tenere da parte i quotidiani che avevano parlato dell'avvenimento e, più tardi, quelli riguardanti le indagini e il processo. Rarissimo, se non unico, anche un foglio con i versi della ballata intitolata “Orribile delitto di Verderio”, scritta nel 1913 dal cantastorie Domenico Scotuzza” (2)

Ora vi voglio presentare altre due “cose” provenienti dal “cassettone”. Eccole.



16 LUGLIO 1922: LETTERA A TOGNINA SALA, CUCITRICE DI BIANCHERIA

La prima è una lettera, contenuta in una busta di cm 11.5 x cm 9,5, affrancata con un francobollo da 25 cent e tre da 5, incollati sul retro, spedita il 18 luglio del 1922 da Torno, paese in riva al lago, che si incontra sulla strada che da Como porta a Bellagio.





Destinataria la “Signora Tognina Sala/ cucitrice in biancheria/casa vicino alla chiesa di Verderio Superiore/ (prov. Como)”.



La signora “Tognina”, terza delle donne di cui si parla in questo articolo, era Antonia Ripamonti (1865/1835), sposata con Angelo Sala, mamma di Maria.
 

Antonia Ripamonti con la figlia, Maria


Le scriveva Maria Monzini, una cliente, per darle istruzioni su come avrebbe dovuto confezionare gli accappatoi e le camice che le aveva ordinato.

La lettera, datata 16 luglio 1922, è composta da quattro pagine di cm 10,30 x cm 18,00, sulla prima delle quali sono incollati due campioncini di ricamo di circa cm 2,5 x cm 4,00.
Questo il testo, che occupa le prime tre pagine:


Prima pagina
“16 luglio 1922
Cara Tognina Sala,
questo ricamo a fiori e foglie lo adopera per le camicie da notte [si riferisce al primo campione di stoffa]

questo per  gli accappatoi e le camicie da giorno [secondo campione]
Le camicie da notte devono essere scalfate
(3) precise come il campione; le maniche siccome il ricamo e l’orlatura (come al collo) alta cm [manca la cifra] circ, va in allungatura bisognerà accorciarlo di un pezzetto.

Seconda pagina
Nelle camicie da giorno sul davanti bisognerà anche tagliarne via una lista altrimenti il bordo e l’orlatura vengono più alti del dietro.
Le orlature sul davanti e alle spalline vanno fatte con la stoffa di pelle d’ovo
(4) che le manderà la mamma invece dietro volta giù l’orlo senz’altro. Dietro per le pieghe come nel campione. Le cuciture le faccia pure col suo solito sistema che infatti resteranno meno grosse.
L’attaccatura delle spalline alle camicie giorno va fatta sulla stoffa grossa dietro al ricamo e non in lato all’orlatura perché si strappa.


Terza pagina
Gli accappatoi vanno orlati come il campione mi raccomando di fare un bel punto piccolo e col cotone fino. Essendo il pizzo più alto di quello del campione in giro al collo andrà scalfato un po’ di più.
La ringrazio e saluto
Maria Monzini”



Nell’ultima pagina, la quarta, i disegni su come realizzare il davanti e il dietro delle camicie giorno.

Quarta ed ultima pagina


Oltre alla lettera, la busta contiene un campione di stoffa di cm 10,50 x 15,00 circa con due cuciture e due frasi di spiegazione:

“Altezza delle orlature delle camicie”;


“Come vanno attaccati i bordi”.



Il campione in stoffa


15 -16 AGOSTO 1940: BOMBE SU MERATE

Il secondo oggetto che vi voglio presentare,  contenuto in una scatoletta di cartone senza coperchio (cm 10x6,5x4,5),






avvolto in carta bianca e accompagnato da un foglietto di spiegazione, è un frammento di ferro arrugginito.





La sua presentazione è nel foglio che lo accompagna, scritto a mano da Giuseppina Comi, su entrambe le facciate.


"Memoria"
"È una scheggia in ricordo dell’incursioni aerea fatta dagli Inglesi, su Merate la notte del 15 – 16 agosto 1940. Ci sono stati 4 morti e vari feriti, e case distrutte.
Ne hanno scaricate 12 bombe, varie incendiarie e varie esplosive”.




“Questa tremenda notte la passai separata dai miei cari essendo a Merate per fare i S. Esercizi. La passai in cantina nel collegio delle Dame Inglesi in compagnia delle suore, del Padre Predicatore, delle compagne. Fummo salve per mezzo della preghiera… Giuseppina”


Per questa, come per le precedenti “incursioni” nel cassettone, devo ringraziare il signori Alessandro Comi, sua moglie, Andreina Colombo e la loro figlia Carla.

NOTE
(1) Leggi in questo blog l’articolo “SALIN”, pubblicato il 18 luglio 2010.
 
(2) Puoi leggere su questo blog l’articolo “26 MARZO 2013. DUPLICE OMICIDIO A VERDERIO”, pubblicato il 7 marzo 2014 e ascoltare la ballata cantata da Fabio Oggioni, cercandola in data 8 marzo 2014.
 
(3) Scalfare: “Nel linguaggio di sartoria, tagliare o conformare la spalla di una giacca, di un soprabito, di un maglione e sim. così da ottenere lo scavo per l’attaccatura delle maniche” http://www.treccani.it/vocabolario/tag/scalfare/
 
(4) Pelle d’uovo: La mussola (o pelle d'uovo) è un tessuto molto leggero in armatura tela e a trama molto rada (simile alla garza da medicazione). Fu introdotta in Europa dall'Asia nel XVII secolo, Il suo nome deriva dalla città di Mossul sulle rive del Tigri dove gli europei la incontrarono la prima volta ma ha la sua origine nella città di Dacca in Bangladesh. Originariamente era prodotto con cotone, poi con la lana e il lino. Viene utilizzato per l'arredamento nei tendaggi, nella biancheria da letto, nella biancheria intima e per l'abbigliamento femminile come le camicette.La mussolina è la versione più leggera di un tessuto di mussola, quella finissima viene chiamata pelle d'uovo. http://domanderisposte.tuttogratis.it/professione-casalinga/8526/che-cos-e-la-pelle-d-uovo/1464311/
 

LA PESTE MANZONIANA (1630) NEI REGISTRI PARROCCHIALI DI ROBBIATE a cura di Maria Fresoli

Nei primi anni del seicento divenne parroco di Robbiate don Giorgio Spada. Egli succedeva nella guida della parrocchia a don Giacomo Spada, di cui era nipote.
Don Giorgio, oltre al ministero sacerdotale, svolgeva la funzione di “Notaio Apostolico”.
Molti sono gli scritti che egli ci ha lasciato, ed è grazie ai suoi appunti che si sono potute ricostruire, seppur sommariamente, le vicende iniziali della parrocchia di Robbiate.
Don Giorgio fu parroco per 46anni. Il suo ministero si svolse nella prima metà del seicento, nel pieno della dominazione spagnola, uno dei più travagliati e difficili periodi della storia della nostra parrocchia.
Infatti, oltre al prorompere della malvivenza e al dilagare della gran miseria tra la popolazione, sappiamo - grazie alle sue annotazioni - che il 18 settembre del 1629, il passaggio da Robbiate dei Lanzichenecchi e le conseguenti razzie delle case e delle campagne, lasciarono tra la gente una gran desolazione.
A dar manforte a queste disgrazie, nel luglio del 1630 da Milano arrivò la peste, che fece undici vittime, col conseguente panico tra gli abitanti. In quelle circostanze dolorose, il buon parroco, come possiamo leggere nel registro dei morti di quegli anni, somministrò con animo pietoso e caritatevole, i religiosi conforti ai poveri contagiati, che erano isolati in un capanno sul Monterobbio e che dopo la morte venivano sepolti nel cimitero del “Cavetto”, probabilmente una piccola cava di calce, materiale assai adatto per deporre i morti del contagio. La calce è un materiale che si trova in abbondanza sul Monterobbio, tant'è che, fino a pochi decenni fa, era in attività la cementeria Mazzoleni, proprio sopra la chiesa parrocchiale.
Il pietoso impegno di don Giorgio nei confronti dei malati non fu ben visto dai parrocchiani, i quali, sospettando che pure lui avesse contratto il morbo, lo evitarono disertando per parecchi mesi la chiesa.
La cronaca che don Giorgio Spada fece di quegli avvenimenti luttuosi è, dal punto di vista storico un'importante fonte di notizie dettagliate ed interessanti.
Evidenti sono le assonanze fra quanto lui scrive – gli untori, le crocette, ecc. - e le descrizioni di quegli eventi contenute nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

Maria Fresoli
 
LA PESTE MANZONIANA (1630) NEI REGISTRI PARROCCHIALI DI ROBBIATE

 Dal LIBER MISSARUM

18 settembre 1629.
Hoggi sono calate le genti dell’Iperatore da Val Chiavena, et aloggiati in Robià 1500 cavalli, in Paderno 600, in Merà 3500 fanti: Robbiate 84
una ruina incredibile delle uve alla campagna, nelle case robbarie, capparramento de grani ai cavalli, formento. Segale, avena, orzo, fieno et paglia senza fine, et altre ruine che persona capace può immaginare.

21 settembre 1629 – giorno di S. Matteo.
Sono passati di qua 4500 fanti con più de 200 donne et figlioli. Li passaggi di questo esercito imperiale per Mantova et per Casale sono molti e molti, et ruine et danni più che più, et hanno durato per tutto il mese di ottobre.

11 novembre 1629.
A S. Martino cominciò a seguire la peste in Merate.
Gennaio e febbraio 1630.
Segue la peste in Merate, Paderno, Novate et Arlate et Imbersago.

Marzo 1630.
Segue la peste nei medesimi luoghi, fuorchè Arlate che è purgato.
 

Aprile 1630.
La peste anche a Brivio.

16 maggio 1630.
Furono unte la notte seguente, la prima volta, tutte le porte di Milano con quell’onto di peste, veleno et maleficio.


Traspare da quest’annotazione che anche nel nostro buon parroco don Giorgio Spada, s’insinuava la superstiziosa credenza del malefico veleno della peste sparso dagli “untori”:

"...s’era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d’edifizi pubblici, usci di case, martelli.
Le nuove e tali scoperte volavano di bocca in bocca; e, come accadde più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l’effetto del vedere.
Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire..." Promessi Sposi, cap. XXXII


30 maggio 1630.
Nel giorno solenne del Corpus Domini, si è fatto la solenne processione, ha cantato la messa il curato di Verde’, ha predicato su la piazza del sig. Conte il prevosto di S. Bartholomeo; hanno accompagnata questa attione altri sacerdoti et vi sono accorsi molti dalle terre libere dalla peste.


11 giugno 1630.
E’ stato portato in processione il sacro corpo del glorioso S. Carlo, per tutte le crocette delle porte di Milano, con appurati solennissimi, poi riposto sull’altare maggiore del Duomo per otto giorni. Acciò sia questo supplicato che con i suoi meriti ottenga dalla Divina Maestà la liberatione dalla peste, per tutto il popolo.


Ed ecco ancora precisa e sintetica la descrizione di don Spada che ritroviamo più ampia in un passo dei “Promessi Sposi” :
 

“Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli... Al replicar dell’istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov’eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull’altar maggiore del duomo... Tre giorni furono spesi in preparativi: l’undici di giugno, ch’era il giorno stabilito, la processione uscì, sull’alba, dal duomo..." Promessi Sposi, cap. XXXII


San Gerolamo soccorre gli appestati. Statue in una cappella della Via di san Gerolamo, Vercurago


Dal LIBER MORTUORUM

Luglio 1630.
Mentre godeva questa povera terra di Robiate, il favor Celeste della preservatione della peste, contagio, che serpendo havea infetto quasi tutto il Stato et la città di Milano, oltre la diaboloca inventione dell’unto composto di peste, veleno et maleficio, venne da Milano Jacomo Ajroldo, figlio del sig. Gio. Battista, che esserciva l’arte del barbiero, il quale portandovi la peste, interruppe la quiete della terra e cagionò alla sua propria casa la mortalità.
Seben da principio fece fronte d’esser sano, essendo sospetto, avenga invece che avesse duoi giorni prima rasato un suo compagno che la mattina seguente morì di peste. Tenne il fatto secreto, sinchè il malo si scoprì in lui.

Adì 2 luglio 1630.
Venne da Milano Jacomo, figlio di Gio. Battista Ajroldo del fu Antonio; giovedì alle 4 fu assalito da febbre, venerdì andò alla capanna fatta nel suo Monterobbio, et lunedì, adi 8 a hore 6 di notte, passò all’altra vita. Fu sepolto sul Cavetto, benedetto dal Rev. Maveri Cur. Di Merate Vic. For.
Era de età de anni 25, quali compiuti questo mese medesimo.

Adì 23 luglio 1630.
La sig. Claudia, figliola del sig. Giov. Battista Ajroldo, d’età de anni 18 in circa, è morta di peste, alla capanna del suo Monterobbio a hore 12 in circa, essendo stata assalita dalla febbre et doglia di capo. Sabato 20, fu confessata, nel tempo che stette alla capanna, dal M. R. Mauri Cur. Di Merà Vic. For. E puoi comunicata da me al rastello (cancello) della terra accompagnato da una guardia.
E’ stata sepolta al Cavetto, cimiterio benedetto per li appestati: posta in una cassa.

Adì 26 luglio 1630.
La sig. Camilla, moglie di Giov. Battista Ajroldo, d’età de anni 58 in circa, è morta di peste a hore 10, Fu confessata, comunicata et sepolta come sopra.

Adì 28 luglio 1630.
La sig. Cattarina, figlia del sig. Gio. Battista Ajroldo, d’età de anni 16, è morta di peste, fu confessata, comunicata et sepolta come sopra.

Adì 7 agosto 1630.
La sig. Eva Nogara Origoni, suocera del sig. Gerolamo Francesco Ajroldo, d’età de anni 75, è morta di peste. Fu confessata da me prete Girogio Spada Cur. Di Robiate, chiamato nel principio della sua agonia. Fu sepolta nel cimiterio della Cura, sotto terra sei brazza, ben chiusa in una cassa. Essendo già dodeci giorni venuta da Milano con il soddetto Gerolamo Francesco et con la peste, benchè havessero le lor bollette (lasciapassare).

Adi 11 agosto 1630.
Margarita, serva del sig. Gio. Battista Ajroldo, è morta di peste essendo stata a Milano dieci giorni fa. Fu confessata da me prete Giorgio Spada, cur. Di Robiate e sepolta al cimiterio degli appestati.

22 agosto 1630.
Joseffo, servitore de Gerolamo Francesco Ajroldo, de anni 20 è morto di peste e sepolto al Cavetto.

Adì 23 agosto 1630.
Joconda Nogara de anni 58 è morta di peste e sepellita al Cavetto.

Adì 26 agosto 1630.
Morta di peste Lucia, moglie di Battista Valtollina, detto il Guercio, d’età de anni 58.
Il sig. Gerolamo Francesco e suo figlio hebbero la peste anch’essi,
prima il figlio e poi il padre, ma guarirono.

18 dic. 1630.
Francesca e Anastasia, figlie di Battistino Ajroldo, molinaro, de
anni 3 e 6, sono morte di peste e sepolte al Cavetto.


Maria Fresoli

ALCUNI MONUMENTI RELIGIOSI IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA PESTE di Marco Bartesaghi

Molti segni -steli, croci, piccole cappelle – sorsero, quasi in ognuno dei paesi del nostro territorio, in ricordo delle vittime delle epidemie di peste che avevano colpito le popolazioni locali nel XVI e XVII secolo. I luoghi prescelti corrispondevano spesso a quelli che, durante le pestilenze, avevano ospitato i malati, i cosiddetti Lazzaretti, o accolto le spoglie dei defunti. 

Vi presento alcuni di questi luoghi, quelli che sono riuscito a rintracciare nei paesi più vicini a Verderio. Non è certamente un panorama completo, ma conto sul vostro aiuto per arricchirlo. Vi invito quindi a segnalarmi i monumenti che ho trascurato e di cui siete a conoscenza o, meglio ancora, ad inviarmi qualche loro immagine e qualche riga sulla loro ubicazione e la loro storia.


VERDERIO




A Verderio, è sicuramente legata alle epidemie di peste la cappella di San Rocco, situata in via Sernovella, angolo via San Rocco. Lo attesta la dedicazione al santo che fu colpito dal morbo mentre assisteva gli ammalati, ebbe la fortuna di sopravvivere e, fin dal Medioevo, è invocato dai fedeli come protettore da questo flagello.
 








La cappella, di cui non si conosce l’origine, ma presente in una stampa di fine settecento, è un piccolo edificio di forme neoclassiche, chiuso da un cancello in ferro. All’interno, sopra un piccolo altare sporgente dal muro, l’immagine del santo composta da piastrelle di ceramica.



Per saperne di più su questo edificio, puoi cercare nel blog l’articolo “SAN ROCCO”, tratto dalla tesi di laurea di Marta Cattazzo, pubblicato il 4 aprile 2010.




Restando in territorio di Verderio, pare che fosse in origine dedicata ai morti di peste anche la cappella dell’Immacolata (o della Madonna degli Angeli), in via per Cornate. Sembra infatti che nell’ottocento fosse conosciuta come Cappella dei Morti, che, al posto dell’immagine di Maria, contenesse un dipinto con le anime del purgatorio e che nelle sue vicinanze fossero stati trovati molti resti umani.
 

Per saperne di più cercate nel blog i seguenti articoli, pubblicati il 20 novembre 2009:
 

- IMMACOLATA o MADONNA DEGLI ANGELI IN VIA PER CORNATE, di Marta Cattazzo;
 

- LA NUOVA CAPPELLETTA DI VERDERIO (CRONACA DOMESTICA), di Ercole Gnecchi Ruscone, articolo scritto nel 1882 per il Giornale di Famiglia;
 

- DICEMBRE 1987:INTERVISTA A DELIA ZAMBELLI di Maurizio Oggioni e Marco Bartesaghi. Delia Zambelli, di Verderio, è l’autrice dell’attuale immagine della Madonna.


ROBBIATE

Nel suo libro “Robbiate: viaggio tra fede e umane vicende”, Maria Fresoli racconta che, dopo l’epidemia di peste del 1524, Robbiate avrebbe potuto avere una cappella dedicata a san Rocco, se la sua costruzione non fosse stata impedita dalle beghe intercorse fra i famigliari della nobildonna, Margherita Ajroldi, che aveva lasciato una somma di 50 lire allo scopo di costruire la cappella e un lazzaretto. 




Se quella voluta da Margherita non si poté fare, un’altra edicola sacra, in territorio di Robbiate la sostituisce nel compito di ricordare i morti per la peste. Si trova in via Monterobbio, sulla sinistra salendo, ed è conosciuta come "Madonnina del Cavetto", dal nome del terreno su cui sorge e che fu cimitero per le vittime del morbo. La cappellina, che conserva una statua in gesso rappresentante la Pietà, è relativamente moderna, essendo stata costruita un centinaio d'anni fa.




PADERNO D'ADDA





Oggi è, per tutti, la “chiesetta degli Alpini”, il piccolo edificio sacro a destra del ponte di Paderno d’Adda, all’imbocco della ripida discesa che porta al fiume. In origine però era “l’Oratorio di san Rocco” ed era sorto lì perché, probabilmente, luogo di sepoltura dei morti per la peste. Del resto la l’edificio era comunemente chiamato anche “Chiesina dei Morti”, tanto che con questa denominazione la indicava nel 1912 il parroco di Paderno, raccontando nel Liber Cronicus del suo nuovo altare, proveniente dalla vecchia parrocchiale di Verderio Superiore (1).


Fin dalla seconda metà del XVIII secolo la chiesa è dedicata a Maria e a Santa Elisabetta e il suo nome ufficiale è “Chiesa della Visitazione”.


CALUSCO D'ADDA

 





Una piccola chiesa sulla riva della’Adda, fu fatta costruire nel 1836 dagli abitanti di Calusco, in memoria di coloro che, rifugiatisi in questo luogo per proteggersi dalla peste del 1630, vi trovarono la morte.
 






I ruderi fra i quali gli abitanti avevano cercato riparo dalla malattia, erano quelli dell’antico convento benedettino, dedicato a san Michele, fatto costruire nel 1099 dai signori di Calusco in un loro terreno detto “dei Verghi”: il convento di Vergo.







Sopra l’altare una crocifissione con Maria che, rivolgendo lo sguardo ai fedeli, indica con la mano destra il figlio morente. Ai suoi piedi le anime del purgatorio fra le fiamme.





Il paliotto dell’altare è un quadro ad olio raffigurante una processione che si reca alla chiesetta per commemorare i morti di Vergo.




Sulla sinistra dell’altare, in un affresco, san Rocco, nel consueto abito da pellegrino e in compagnia del cane che, secondo la tradizione, gli avrebbe portato quotidianamente il cibo, durante la malattia.



In questa, come in altre immagini, ad esempio quella di Verderio di cui sopra si è parlato, il volto di san Rocco appare florido e rubicondo come certo non ci si aspetta da chi è stato vicino alla morte perché colpito dalla peste.




AICURZIO



Una cappella, meta di devozione degli abitanti del paese, sorgeva nel luogo di sepoltura dei morti per le epidemie del 1576 e del 1630.
Le loro anime, secondo la tradizione, ebbero il potere, nel 1705, di mettere in fuga le armate austro – piemontese e franco – spagnola, che si fronteggiavano in una delle battaglie per la successione al trono di Spagna.
Questo “miracolo”, il “Miracolo dei Morti”, accrebbe la devozione alla cappella, tanto che, nel 1725, al suo posto venne costruita la Chiesa dei Morti, oggi conosciuta come Santuario di Campegorino. Nel 1787 alla chiesa fu affiancato il cimitero e, nel 1905, il campanile
.





Su quest’ultimo una statua di san Rocco e una di San Sebastiano,entrambi considerati protettori dalle epidemie, ricordano forse l’antica origine dell’edificio sacro. Le immagini dei due santi sono anche dipinte ai lati dell’altare maggiore.





SULBIATE 












Una lapide ricorda a Sulbiate i morti della peste del 1630. 










È posta in una rientranza a sinistra della facciata della chiesa di S. Pietro Apostolo. 
La lapide recita: "QUI RIPOSANO I MORTI DI PESTE DI SULBIATE SUPERIORE -L'ANNO 1660"




Essa è ciò che rimane dell’antica chiesa, in luogo della quale, nel 1931, è stato costruito l’attuale edificio sacro.


BERNAREGGIO








Una colonna in pietra, sormontata da una croce, del 1630, posta su un basamento del 1819, si innalza dalla rotonda all’incrocio fra la provinciale che da Bernareggio porta a Vimercate e la strada per Villanova.
Per la sua posizione in prossimità di un incrocio, è detta “colonna compitale”, dalla parola latina compitum ( trivio o quadrivio in italiano).












È conosciuta come “colonna del Ciavel”, dal nome di chi la fece costruire, Paolo Chiavelli, per ricordare i morti nella peste del 1630.





RONCO BRIANTINO












A Ronco Briantino un piccolo tempietto ottagonale è dedicato “ai morti della Brughiera”. È stato costruito nel 1914 dove già esisteva un monumento in ricordo delle vittime dell’epidemia di peste del 1576.








All’interno un bell’affresco: la “Madonna del Carmine e le anime del Purgatorio”. Tempietto e affresco, restaurati da pochi anni, sono in perfetto stato di conservazione.




L’edificio, in una zona ancora isolata rispetto al resto del paese, è situata  in un prato ed è leggermente più in alto rispetto alla strada che conduce a Carnate. Nel prato, parallelamente alla scalinata d’accesso alla chiesa, una Via Matris Dolorosæ invita i fedeli a meditare sui dolori sofferti da Maria durante la sua vita.








NOTA
(1) Cerca in questo blog: A PADERNO D'ADDA TRE ALTARI DELLA VECCHIA CHIESA DI SAN FLORIANO DI VERDERIO SUPERIORE , giovedì 10 ottobre 2013


DOVE HO TROVATO LE NOTIZIE CONTENUTE IN QUESTO ARTICOLO


Per quanto riguarda Verderio e Ronco Briantino, ho fatto riferimento alla Tesi di Marta Cattazzo, IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI VOTIVE - Analisi di pitture murali nella devozione popolare della Brianza., 2002. L’intera tesi, che analizza le immagini votive di Lomagna, Ronco Briantino, Bernareggio e Verderio, è consultabile presso la biblioteca di Verderio. Ampi stralci sono stati pubblicati nella rivista I Quaderni della Brianza, n.146, gennaio – febbraio 2003. Molte parti della tesi, riguardanti le edicola sacre di Verderio, sono pubblicate su questo blog. Le trovate sotto le etichette “Marta Cattazzo” e “Immagini sacre”.
 

Per Robbiate ringrazio Maria Fresoli e il suo libro ROBBIATE: viaggio tra fede e umane vicende.
 

Ho trovato le notizie riguardanti Paderno d’Adda  in PADERNO D’ADDA . Storie di acqua e di uomini, Autori vari, 1988, Cornate d’Adda.
 

Ho consultato inoltre i seguenti siti internet:
 

http://www.parrocchie.it/calusco/sanfedele/Calusco/Storia_Calusco.htm
 

http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Aicurzio/Santuario_di_Campegorino
 

http://it.wikipedia.org/wiki/Sulbiate
 

http://www.archiviostoricobernareggese.it/SITE/territorio/la-colonna-compitale.html

lunedì 14 luglio 2014

16 AGOSTO, SAN ROCCO di Marta Cattazzo

PROTETTORE: la popolarità di san Rocco nel nostro territorio è dovuta al ruolo che aveva un tempo di intercessore speciale nella guarigione delle malattie epidemiche , in particolare peste e colera. Il suo culto si diffuse ben presto e dovunque rapidamente, specialmente a partire dal XV secolo, a motivo delle continue pestilenze che infestavano la nostra penisola, tanto da oscurare la fama di san Sebastiano, che era invocato per la stessa protezione. Agiva anche nei confronti delle malattie del bestiame e in generale contro le calamità naturali; era pure patrono dei pellegrini, garantiva ai viandanti in difficoltà una speciale protezione. All’inizio del Seicento il suo ruolo di protezione fu oscurato dalla figura di san Carlo, il cardinale della peste per eccellenza. Comunque la popolarità di san Rocco non scomparve m,ai dl tutto.
 


 
San Rocco a Bresciadega, Val Codera


Al santuario della Madonna dei Morti dell’Avello di Bulciago, vi è una grande tela che orna l’altare: la Madonna e il Bambino donano lo scapolare ai santi Rocco e Giobbe,, inginocchiati ai piedi della Vergine, rappresentati come protettori degli appestati (anche Giobbe a volte, sebbene raramente, appariva in queste vesti) e delle anime del purgatorio, le quali, con l’intercessione di Maria, otterranno il paradiso.
ATTRIBUTO PRINCIPALE: piaga sulla gamba
ATTRIBUTO SECONDARIO: cane – col pane in bocca - , vestito da pellegrino, conchiglia, bastone.




 
Statua di san Rocco a Brienno, Como


NOTA BIOGRAFICA: nato da nobile famiglia a Montpellier, in Francia, negli ultimi anni del XIII secolo, si narra che appena venuto al mondo avesse sul petto una croce rossa. Con gesto francescano, appena giovane, diede i suoi beni ai poveri e si avviò in pellegrinaggio a Roma. Infieriva in Europa una terribile pestilenza e Rocco, dove sostava, curava gli appestati, avviando la sua fama di taumaturgo. Contagiato del morbo si era ritirato per morire in solitudine, ma un cane inviatogli da un nobile gli avrebbe recato cibo e leccato la piaga fino a guarigione. Tornato al suo paese, non fu riconosciuto, perché la peste lo aveva trasfigurato, e fu catturato come spia e imprigionato poco prima di morire.
Una scritta, apparsa prodigiosamente sulla parete del carcere, rese noto a tutti che Rocco, finalmente riconosciuto dalla gente grazie alla croce sul petto, veniva designato da Cristo patrono degli appestati.

Brano tratto dalla tesi di laurea di Marta Cattazzo, intitolata: LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI VOTIVE - Analisi di pitture murali nella devozione popolare della Brianza.