domenica 10 maggio 2020

SU MERATEONLINE, UN MESSAGGIO DI DON RINO ALLA COMUNITÀ PARROCCHIALE

Don Rino Valente, vicario della parrocchia dei Santi Giuseppe e Floriano, da tempo convalescente per un operazione a cui si è dovuto sottoporre all'inizio dell'anno, ha postato su youtube un messaggio  di augurio e incoraggiamento alla comunità parrocchiale.

Ne consiglio l'ascolto, perché è un bel messaggio che penso possa essere apprezzato anche da coloro che non frequentano la parrocchia.

 
Lo potete trovare su merateonline  oppure cliccando su questo indirizzo:

https://www.youtube.com/watch?v=zBkRTK76pA0&feature=youtu.be

25 APRILE 2020. BELLA CIAO DAL BALCONE DI FABIO E ROSI


  


Link video

 
Bella Ciao da tante finestre e tanti balconi d'Italia. Così è stato l'ultimo 25 aprile.
Fabio e Rosi l'hanno cantato e suonato dal loro balcone e mi hanno concesso di pubblicarne la registrazione. 
Nel filmatoho aggiunto qualche dipinto murale:

Parigi, 2015, fotografata da Sara

Località Moregallo, 2013

Milano, piazzale Cimitero Maggiore, 2019
Lecco, zona ospedale, 2004. Autore Afran
Lecco, via Ferriera, 2011


sabato 9 maggio 2020

LECCO, 14 NOVEMBRE 1943. L'ASSASSINIO DI MAURIZIO ROBBIANI di Marco Bartesaghi

Vi racconto quello che so di Maurizio Robbiani, che aveva  17 anni quando fu ucciso a freddo da un milite delle Brigate Nere, in servizio  di ronda in via Cavour, a Lecco, il 14 novembre 1943.

Lecco, largo Montenero,monumento ai caduti nella lotta di Liberazione



Il suo nome compare fra le vittime del fascismo ricordate sulle lapidi del monumento ai caduti della Resistenza, in Largo Montenero.

Questa è una storia di famiglia, perché Maurizio era cugino di mia mamma.
Era nato a Saltrio (Varese) il 5 febbraio 1926, da Carlo e Barbara Pinardi. A Lecco si era trasferito per lavorare nel panificio in via Cavour, all’angolo con via Cairoli, dove oggi c’è  una libreria; panificio che un suo zio, Domenico Canziani, aveva rilevato nel 1932, dal precedente proprietario. Con lui lavoravano il fratello Luigi e i cugini Velledo e Wanda  Simone, anch’essi originari di Saltrio. Wanda è mia mamma.
 


 
Permesso di circolare nelle ore del coprifuoco, rilasciato a Maurizio, in quanto panettiere, dal comando militare germanico di Lecco

***

So ben poco di chi fosse realmente Maurizio. Non avendo fatto domande, quando era ancora possibile, alle persone che l’avevano frequentato, posso solo dedurre qualcosa su di lui attraverso alcune vecchia fotografie e qualche documento ritrovato.

Carta d'identità di Maurizio Robbiani

















La tessera dell'Unione Ginnica A. Ghislanzoni , rilasciata a Maurizio Robbiani nel 1942

Era un bel ragazzo, piuttosto alto, superava il metro e settanta; aveva occhi cerulei, frequenti nel lato materno della sua famiglia, e tratti regolari.
I suoi genitori erano rimasti a Saltrio e lui abitava in via Cairoli,  vicino  al panificio e alla casa degli zii.
Nel tempo libero frequentava gli amici; d’estate andava al lago, a fare il bagno o a remare. Nel marzo 1942  si era iscritto alll’Un. Ginn. “A.Ghislanzoni, che faceva parte della Reale Federazione Ginnastica d’Italia.



 
Maurizio, a sinistra, con i cugini Orlando e Velledo Simone





















 
Maurizio, in primo piano, a un pranzo di famiglia. Dopo di lui, in senso antiorario, il fratello Marino, la cugina Wanda Simone, lo zio Domenico Canziani, la zia Teresa Pinardi, il papà Carlo Robbiani, il fratello Luigi, la mamma Barbara Pinardi.

 
Maurizio al lago.


Dalla sua scheda personale, compilata il 25 settembre 1945 dall' Amministrazione Militare Alleata (A.M.G.) e sottoscritta dalla mamma, conservata all’A.N.P.I di Lecco, non risulta abbia mai aderito al partito fascista. Non si sa però se abbia mai espresso una particolare contrarietà al regime; forse, al momento della morte, condivideva l’atteggiamento di disincanto e di stanchezza comune ormai a molti italiani. Bisogna però tener conto che aveva solo 17 anni. Di certo non fu un partigiano combattente.

A.M.G. Ufficio patrioti - scheda personale di Maurizio Robbiani

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Molti anni fa (1994) ho cercato, inutilmente, sul settimanale cattolico lecchese “Il Resegone” uscito nei giorni della sua morte notizie sul suo assassinio, perché di questo si trattò. Nella pagina della cronaca lecchese, la seconda delle due che componevano il giornale, nella rubrica “Stato civile di Lecco, riassunto dal  10 al 16 novembre”, tra i morti c’è la scarna frase: “Maurizio Robbiani, 17 anni , Panettiere”. C'è anche un necrologio firmato dalla famiglia, ma ne parlerò più avanti.
Ho anche cercato di sapere se, fra le carte d’archivio del giornale, fosse conservato un documento con cui le autorità “invitassero” a non dare la notizia dell’accaduto. Il signor Galli, che era responsabile amministrativo, mi spiegò che in quel periodo non era necessario un ordine specifico, i giornalisti sapevano di cosa si poteva parlare e di cosa era meglio tacere.
Una fonte possibile mi sembrò potesse essere il Liber  Cronicus del parroco, mons. G.B. Borsieri, ma dall’archivio della parrocchia di san Nicolò mi fecero sapere che quel documento era introvabile.
Infruttuosa è stata anche la ricerca più recente, 2019, fra le carte di prefettura e questura all’Archivio di Stato di Como.
La scheda personale di Maurizio, conservata all’A.N.P.I. di Lecco, in cui è definito “partigiano”, riporta  la notizia della morte e la attribuisce a una rappresaglia delle Brigate Nere locali.
Silvio Puccio, nel suo libro “Una Resistenza” (1), colloca Maurizio nell’elenco  dei caduti per rappresaglia durante il periodo clandestino e dice: “Civile ferito per rappresaglia e deceduto il 14.11.43 a Lecco”.


***

Per ricostruire cosa sia successo quel 11 novembre del 1943, non mi restano che le parole di Teresa Pinardi, zia di Maurizio (mia prozia), moglie di Domenico Canziani.
Questo il sunto del suo racconto, che ho ascoltato il 17 giugno 1994.
 


È  sabato pomeriggio, intorno alle 17,30. Maurizio, Ivo e Orlando Simone, suoi cugini, e l’amico  B., nel’94 titolare di una merceria in via Roma, usciti dal cinema, sostano all’angolo fra via Mascari e via Cavour. Parlano e scherzano tra loro quando incrociano due giovani miliziani delle Brigate Nere in servizio di ronda. Uno dei militari, un certo "V". di Cantù, si sente preso in giro da un atteggiamento - una frase? un sorriso?  una smorfia? – di Maurizio. Gli si avvicina e lo colpisce con il calcio del fucile. Maurizio reagisce e gli dà dell’assassino. Il soldato spara e gli recide l’arteria femorale. È ancora vivo quando viene portato nella vicina casa della zio, ma muore prima che sopraggiunga il medico.
Il militare che ha sparato verrà in seguito trasferito in Piemonte, dove morirà prima della Liberazione. Per l’assassinio di Maurizio non c’è mai stato un processo.
Per permettere ai genitori di Maurizio di partecipare ai funerali serve la benzina. Canziani la chiede alle autorità locali. La ottiene, ma le autorità fanno pressione affinché la cerimonia mantenga un tono basso e non ci sia il corteo funebre. Ai fioristi viene intimato di non mandare fiori.
Si temono disordini, anche perché il giorno dopo la morte di Maurizio sembra che a Lecco ci sia stata un’altra sparatoria, perciò la milizia, il giorno del funerale, è tutta consegnata in caserma.

 Le limitazioni richieste non furono però ascoltate. I fiori arrivarono e la gente, incoraggiata dall'assenza delle guardie, si accodò al corteo che alla fine raggiunse una notevole consistenza e  fu accompagnato per tutto il suo percorso da tante persone ferme ai suoi lati.
 

Le fotografie scattate quel giorno, che la zia Teresa conservava in un album, e il necrologio pubblicato da “Il Resegone” rendono testimonianza di quella partecipazione.
 

Questo il testo del necrologio:
"Le famiglie Robbiani e Canziani, profondamente commosse per l'imponente attestazione di cordoglio e di stima tributate al loro adorato Maurizio ringraziano con devota gratitudine tutti coloro che hanno partecipato alle estreme onoranze del congiunto e che comunque hanno partecipato alla loro indicibile, grande sciagura. Lecco, 17 novembre 1943."



L'immagine in ricordo di Maurizio, distribuita dalla damiglia a parenti e conoscenti


Queste le immagini del funerale:

Il feretro lascia l'abitazione di via Cavour

Il corteo funebre percorre la via Cavour

All'angolo con via Roma. Teresa Pinardi, a capo scoperto, e, ditro di lei, il marito, Domenico canziani
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venerdì 8 maggio 2020

VERDERIO ALZATI!!! UNA CANZONE OFFERTA DA DORIANO E DA UN GRUPPO DI AMICI ED AMICHE




  



Doriano Riva ha scritto una canzone per incoraggiare gli abitanti di Verderio a rialzarsi  e a reagire alla brutta vicenda del coronavirus. Ha poi proposto a un gruppo di amici ed amiche di cantarla con lui, ma a distanza e di realizzare questo video.

 Hanno partecipato: Alessandra, Alessia, Alice, Cesare, Doriano, Emanuela, Fabiola, Fabio, Galdino, Gloria, Irene,Linda, Paolo, Ricky, Rosy, Sabrina, Virginia


Lo ringrazio per avermi permesso di pubblicarlo

"BÙSINADA DE LA MADONA DEL BÓSCH" raccontata da Anselmo Brambilla



In questo video Anselmo Brambilla racconta, in dialetto di Calco, la storia di un papà, un figlio e un asino che si recano al santuario della Madonna del Bosco, accompagnati dai commenti maligni della gente che incontrano. 
Morale della storia è che quando una persona e convinta di fare una cosa giusta, la deve fare senza dar troppo retta a quel che dicono gli altri.

P.S I disegni li ho fatti io, me ne scuso. M.B.

 

  

 https://www.youtube.com/watch?v=YOsDxQ6tFe4
 


Búsinada de la Madona del Bósch

Un pà, un bagaj e un àsen i vòn bel bel sü la strada che da Sartirona la mena al Santüari de la Madona del Bósch tacàa a Imbersagh.

Pàsen tacàa a la funtona de la cassina e sènten i don che ere lì a lavò e zabetò, che ghe riden adrèe:

“Mò chi dü li in propi di veri bertoldu e bertuldin,
vòn a pë e g'hòn l'asnin”.

Alura ul bagaj el ghe dïs al pà: “Pà va sü ti a caval de l'asen insci almenu la gent la desmet de ridem adrèe”. Ul pà el va sü e i du i seguiten a nò per la sua strada.

Un po' pusé avònti i tröven tri o quater paisòn che faven merenda, che a vedè ul pà, sü l'asen , pacifëch e ul bagaj dedrèe a pë de cursa ch'el fava fadiga a tegni ul pas i disen:

“Varda lò ch'el vèc balota, lü pacifëch su l'asen …
 e ul bagaj cun i gòmb cürt chel tròta”.

A stù puntù ul pà el salta giò e sü  l'asen el fö no sü ul bagaj, pö, un po' gnervus i dü i cuntinuen a   nö per la strada vers Imbersagh.

I paisòn, ch'eren in di còmp in gir a la strada a vangò, a vedè la scena i ghe disén al bagai a caval de l'asen:

“Brüt sbarbàtel d'un maledücaa, che creònza l'è la tua,
ti giuven in sèla e ul tò pader vëc dedrèe de la cua”

Semper pusé gnervus i dü salten a caval de l'asen e cerchen de nò per la sua strada cun la sperònza de ves lasa stò.

Mò purtròp quond pàsen visin a la gesa de la Madona del Bosch, la gent che ve fòra de Messa a vedè i dü a caval de l'asen i se scandalizen e i ghe disen:

“Mò vedì mia, moniga de mascalzòn,
che a la povera bestia ghe rumpi ul filòn”

I  dü, stöf, gnervus e onca un po' rabius, i ciapen l'asen ghe lighen insema i quater gòmb, el lighen  sü ul pal che meten in spala e i vòn per la sua strada senza vardò più in facia a nesügn.

Però 'na scena del gener, dü che purtaven un asen, la pudev mia pasò inuservada e töt la gent cureven a vedei e vusandùch adrèe e ghe diseven:

“Oh … raza de mat … si apena vegnü föra de Mumbel
si pusé asen viòter che quel che purti, vòst fredel”

Alura i dü, urmai pie ras de uservaziun e cunsili, deslighen l'asen, el lasen nò e senza piü fach casu ai ciacer de la gent i seguiten a nò per la sua strada.

Diandula che se sarava sü cun vari pruverbi per fàch capì ai giuven che bisugna mia fach tròp a ment a quel che dis la gent, mò se te se cunvint de fò 'na roba giusta te ghe de fala e basta.

PRUVERBI

Se töt i zifui te vöret scultò a la fin poca bela la te narò.

L'è un por regiù de cò quel che di öter el se fò regulò.

Guai se, massëm al dì d'incöe, te laset quido da i àsen i tò fiöe.

Quònti völt se cupa i bòn per fach piasè al mund birbon.

A pretend de cuntentò tuta la gent se crapa de fadiga senza cavach nient (negot).

Vò lò ciucio, lasa ch'el mund el gira, cui so parer el var un sold, na lira.

Se te vöret fò un po' de be, varda in vö e mai chi vò e ve.


giovedì 7 maggio 2020

"DEPOSIZIONE DI CRISTO" IN UN QUADRO DELLA CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO A VERDERIO di Elisabetta Parente



"DEPOSIZIONE DI CRISTO",  CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO

Dirigendosi verso l'uscita della chiesa dei Santi Giuseppe e Floriano di Verderio, sul fondo della navata destra, è posta in controfacciata un'opera dipinta ad olio su tela, databile intorno alla metà del XVI secolo.
Nel censimento delle opere d'arte e dei beni presenti nelle chiese lombarde, fatto realizzare dalla Curia in anni recenti, l'opera è stata catalogata, per quanto riguarda il soggetto, come Deposizione di Cristo nel sepolcro.
In realtà, ritengo che in questa tela siano due i soggetti identificabili e sovrapposti: il Trasporto del Cristo morto e la Deposizione del corpo nel sepolcro.
Il Trasporto del corpo di Cristo è un'iconografia tipicamente rinascimentale, poiché non esistono esempi del genere nell'arte dei secoli precedenti.
Di solito il corpo è adagiato su un lenzuolo tenuto da due uomini, identificabili in Giuseppe d'Arimatea, che tiene il lenzuolo in corrispondenza della testa di Gesù e in Nicodemo, che tiene il lenzuolo in corrispondenza dei piedi. Generalmente completano la scena le figure di San Giovanni Evangelista, le pie donne e la Vergine, colta nell'atto di perdere i sensi.
La Pala Baglioni, opera giovanile di Raffaello, conservata nella Galleria Borghese di Roma, è forse una delle interpretazioni più famose del tema.
La Deposizione di Cristo nel sepolcro, invece, ha assunto nel periodo che va dal Medioevo al Rinascimento, iconografie diverse: in antico, l'evento si svolgeva dinanzi a una grotta, che presentava un ingresso  accanto al quale era disposta una grande lastra, oppure all'interno del sepolcro; nel Rinascimento, invece, il sepolcro è simboleggiato da un sarcofago, in cui sta per essere calato il corpo di Cristo. I personaggi che animano la scena sono più o meno gli stessi presenti nel Trasporto.
È indubbio che i due episodi, presenti consequenzialmente nella trattazione evangelica, sono affini iconograficamente e presentano molte similitudini che, nell'opera di Verderio, sono ben rilevabili.



"DEPOSIZIONE DI CRISTO",  CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO: alcuni personaggi


Alle estremità del dipinto sono rappresentati i due membri dell'Alto Consiglio, cioè Giuseppe d'Arimatea a destra, Nicodemo a sinistra. I due uomini anziani, con la barba fluente ed imponenti copricapo, reggono saldamente l'uno il corpo di Cristo, sostenendolo dalle ascelle, l'altro gli angoli del lenzuolo, in modo da suggerire lo sforzo, non ancora concluso, del trasporto.
Al centro della composizione, la Vergine Maria china sul corpo del figlio e la figura di un apostolo, probabilmente Giovanni Evangelista, lo sguardo rivolto alla mano violata di Gesù.
Alle loro spalle appaiono, dimesse e dolenti, due pie donne.
Interessante è soprattutto la terza figura femminile, quella posta fra la Vergine e Nicodemo. Questa donna, più giovane e meglio caratterizzata in termini di capigliatura ed abbigliamento rispetto alle altre due, stringe al petto una coppa. La presenza di questo oggetto la rende figura simbolica: è “Ecclesia”, cioè il simbolo della Chiesa che, avendo raccolto in un calice il sangue uscito dalla ferita nel costato di Cristo, si fa unica depositaria del messaggio evangelico e della redenzione degli uomini.
Tutti i personaggi gravitano intorno alla figura di Cristo. Il corpo morto sta per essere adagiato nel sarcofago, del quale si intravedono appena i bordi: le forme sono innaturalmente allungate, il braccio destro stretto fra le mani della Vergine, il sinistro spinto in avanti, verso il piano visivo dello spettatore.
A sottolineare lo stato e la condizione del Cristo, concorre indubbiamente il formato dell'opera: il dipinto, che misura circa due metri in lunghezza, per novanta centimetri d'altezza, forza la composizione nella sua dimensione orizzontale, mettendo l'accento sulla posa del Cristo, rispetto a tutti gli altri personaggi astanti.


 
"DEPOSIZIONE DI CRISTO",  CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO: particolare dello sfondo

Seppure tutta l'attenzione si concentri sull'evento rappresentato in primo piano, il nostro occhio non può non venire egualmente catturato da quel piccolo brano di paesaggio che si apre nell'estremità destra del quadro: sullo sfondo del cielo, che va schiarendo all'orizzonte, si stagliano le tre croci, due occupate dai ladroni, vuota quella al centro, alla quale è ancora visibilmente appoggiata la scala che ha permesso a Nicodemo di liberare dai chiodi il corpo di Cristo.
Il Golgota è rappresentato, secondo la tradizione, come una collina e dal luogo dove sono poste le croci si diparte un piccolo sentiero che corre a zig-zag, sentiero che permette allo spettatore di ripercorrere la strada compiuta dai personaggi raffigurati in primo piano, mettendolo in grado di ricostruire mentalmente lo svolgimento degli eventi: crocifissione, morte, deposizione e sepoltura di Cristo.
Parallelamente al bordo superiore dell'opera, corre una scritta in latino: HUMANORUM GENUS REDEMPTIO. Forse incompleta e oggi scarsamente leggibile, la frase può essere liberamente tradotta come “la redenzione del genere umano”, alludendo cioè come dalla morte di Gesù, tema dell'opera, sia derivata la salvezza degli uomini.
Da un punto di vista stilistico, il quadro non è di elevata fattura, opera di un esecutore che non possiede le qualità di un grande maestro, quanto piuttosto la tecnica del buon mestierante.
I visi non sono particolarmente espressivi e appaiono poco caratterizzati (si vedano, per esempio, i volti quasi identici di Giuseppe e di Nicodemo); si denota una certa secchezza di stile sia nella resa delle forme (il volto “scavato” della Vergine, l'evidente sproporzione delle parti del corpo, un po' legnoso, di Cristo), sia nella fattura delle vesti, dalle pieghe dure e rigide.
Allo stato attuale è difficile valutare l'aspetto cromatico della tela, i cui colori appaiono un po' spenti, necessitando l'opera di un'adeguata pulitura.
Non si può però, nel complesso dell'opera, non apprezzare l'attenzione che l'ignoto autore ha dedicato ai tessuti preziosi e ricercati che rivestono i personaggi e, soprattutto, il toccante intreccio di braccia e mani di Maria e suo figlio, che l'artista ha posto significativamente al centro del quadro.



Elisabetta Parente, 2002

Testo tratto da: Elisabetta Parente, "La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano: la genesi architettonica e le sue opere", terzo capitolo del libro: VERDERIO, La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano 1902-2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa.
 

 

martedì 5 maggio 2020

LA FOCACCIA DI PATATE PREPARATA DA GIOVANNA di Marco Bartesaghi

Questa è una ricetta che Giovanna faceva spesso quando in casa con noi c'erano ancora le nostre figlie. Non mancava mai fra i viveri del primo giorno di vacanza, da mangiare durante il viaggio, naturalmente quando in vacanza venivano anche loro. Poi la ricetta è stata dimenticata e c'è voluto il lookdown  e un bel mazzo di fiori per convincerla a riesumarla.

Ricetta della focaccia di patate

Era una ricetta della signora Giuseppina, la mamma di nostra cognata Elisabetta che l'aveva ricopiata per noi su questo foglietto.

Quando Giovanna l'ha preparata, ho guardato e preso  appunti.






Intanto che le patate cuociono, si prepara il lievito, sciogliendolo in un po' d'acqua e mischiandolo con un cucchiaio di farina.




Si schiacciano le patate, ancora calde, nel mezzo della “montagnetta” di farina ...




 e si aggiunge il lievito.


Si impasta il tutto fino a raggiungere la giusta consistenza. Ho provato tante volte, ma non sono mai riuscito, a farmi spiegare da Giovanna come si faccia a capire di aver raggiunto “la giusta consistenza”: quando è giusta è giusta, punto. 

N.B. Nel quarto riquadro di questa immagine, vicino alla ciotola con l'impasto, il mazzo di fiori con cui l'ho convinta a farmi la focaccia.




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