venerdì 25 giugno 2021

 

 
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RAFFAELLA DRUSIAN, UN'ARTISTA A VERDERIO.

L'11 aprile scorso è morta,all'età di 51 anni,Raffaella Drusian. Abitava a Verderio con i genitori
Brava nel disegno,dopo le scuole medie si era iscritta al liceo artistico.

Una brutta malattia però le aveva fatto perdere quasi del tutto la vista. Nonostante ciò aveva continuato a disegnare,dipingere e modellare la creta. Amava anche la musica e suonava il pianoforte, la chitarra e il flauto.

Nel 2015 aveva esposto le sue opere in due mostre, a Robbiate e a Verderio. M.B.

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"Poesia e musicalità si uniscono in un'armonia delicata che racconta bene il carattere e l'anima di Raffaella. Un'anima piena di fede semplice e genuina, ma profonda, senza scalfiture.
La luce che ormai non attraversa quasi più gli occhi di Raffaella è però presente nella sua memoria, soprattutto nel suo cuore affettuoso e generoso. Per questo motivo i suoi lavori sono sempre immersi nella Luce dell'Anima e sanno trasmettere pace e serenità".

Dalla locandina di presentazione delle mostre

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"Zia, i tuoi animali preferiti sono gli uccellini, vero?...Racchiudono le tue due caratteristiche principali; cantano ed emettono suoni, come li produci tu con la chitarra, il pianoforte e il flauto; e rappresentano l'eleganza quando sono in volo, come tu quando dipingi e disegni i tuoi quadretti"
 

Pensieri di Luca sulla zia Raffella, tratti da un pannello esposto nella mostra.

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“Qualche anno fa ho conosciuto Raffaella.
Purtroppo l'ho conosciuta poco ma il suo ricordo è indelebile perchè Raffaella era una “ragazza” speciale.
L'ho incontrata quando la malattia, che l'ha colpita ancora adolescente, l'aveva già cambiata nel fisico e nel carattere.
Lei diceva di aver vissuto due vite; una prima e una dopo la brutta malattia. Le erano state tolte alcune capacità fisiche ma le erano state donate capacità spirituali, umane, empatiche; un nuovo modo di approcciarsi alla vita: più socievole, più generoso e più gioioso.
Aveva perso man mano la vista ma continuava a vedere la bellezza intorno e dentro sé e continuava ad elargire bellezza con il suo sorriso e i calorosi abbracci, con il suo parlare gentile e colto, con la sua voglia di cantare e suonare, con i suoi dipinti e le sue sculture.
Era un artista, nata con doti particolari che ha saputo sempre coltivare e i “suoi” colori l'hanno sempre accompagnata e i “suoi colori” ci sono rimasti nel cuore”.

Il ricordo di Giovanna Villa

giovedì 24 giugno 2021

"I PIEMUNTES" - LA FAMIGLIA ROSTAGNO A VERDERIO NEL RACCONTO DI ANTONELLO ROSTAGNO a cura di Marco Bartesaghi

All'estremità nord-orientale di Verderio, in via Porto d'Adda,  abita la famiglia Rostagno,  conosciuta come “i piemuntes”, perché venuta, nel lontano 1952, dal Piemonte.
Quanto segue me lo ha raccontato a voce Antonello, nipote  dei due contadini che sono all'origine di questa storia.

Mancano le fotografie dei protagonisti, che spero di poter aggiungere in un secondo tempo

Con l'aiuto di Fabrizio Oggioni ho cercato di precisare meglio l'identità delle persone citate. Il risultato lo trovate fra parentesi quadre. M.B.

"I PIEMUNTES" - LA FAMIGLIA ROSTAGNO A VERDERIO NEL RACCONTO DI ANTONELLO ROSTAGNO

Mio nonno e mia nonna erano di Entracque, in provincia di Cuneo, un paese della val di Gesso, in pieno parco dell'Argentera. Il paese si chiama così perché è ricchissimo di acqua: è attraversato da tre torrenti: uno di fianco, uno sopra e uno che gli passa in mezzo.
Il nonno, Antonio Rostagno, era nato nel 1904; la nonna, Mariuccia Quaranta, nel 1911. Come tutti gli abitanti della zona  in quel tempo, il nonno faceva il contadino e, soprattutto, il boscaiolo.
Ma in quelle valli, c'era da fare la fame, come spesso succede in montagna, dove i terreni sono in salita e d'inverno vengono (o meglio: venivano) un paio di metri di neve.

 

Entracque in una cartolina del 1953

Entracque è a due passi dalla Francia, ci si poteva andare a piedi attraverso la montagna; molti facevano contrabbando, di caffè e di zucchero; molti emigravano.
Oltre il confine le occasioni di lavoro e di ricchezza erano decisamente maggiori che in valle, così anche i nonni decisero di emigrare. Si stabilirono a Ramatuelle, vicino a Saint-Tropez, dove il nonno trovò lavoro da un  viticoltore e continuò anche a fare il boscaiolo.
Nel 1933, nacque mio papà. Lo chiamarono Pietro Germano, perché Germàn era il nome del padrone delle vigne e suo padrino di battesimo.

Per la famiglia le cose andavano relativamente bene. Quando scoppia la  guerra, però,  per gli italiani, che già erano considerati gli ultimi, la vita  diventa più difficile. Dovendo scegliere se  fare la fame in Francia o farla a casa propria, i nonni decidono  che è meglio farla a casa propria, e  ritornano in Italia, dove riprendono il lavoro di sempre mentre il papà, che di là aveva già frequentato la quarta elementare, non conoscendo una parola di italiano deve riprendere dalla terza.

Il territorio intorno ad  Entracque, fino a qualche anno fa, era ricco di caserme militari. Una sorella della nonna  conobbe un soldato, lo sposò e andò a vivere a Olginate, il paese del marito. Dopo qualche anno  fece sapere a casa che i padroni di un paese vicino vendevano terreni. Erano gli Gnecchi e il paese era Verderio Superiore.
Il nonno, che aveva sempre avuto il pallino della terra, decise di comprarla e ne comprò tanta, perché il lotto a cui era interessato gli Gnecchi non volevano dividerlo. Dovette fare un debito enorme, ma allora era più facile di adesso. All'inizio erano del nonno anche i terreni a monte della strada che porta all'Azienda Agricola Boschi. Poi li ha venduti, perché stava veramente facendo fatica, e così ha finito di pagare i debiti. Adesso la proprietà è di cinque ettari, compresa la casa.

Per un periodo, intanto che veniva costruita la casa, i nonni fecero avanti e indietro da Entracque.
Una volta finita la stalla, che per il nonno era la cosa principale, si trasferirono definitivamente a Verderio. Era il 1952.  Arrivarono con un camion e tre mucche; arrivarono in quattro: il nonno, la nonna, il papà e sua sorella, Antonietta, che non aveva ancora sei anni. Adesso abita a Brivio, ma viene a Verderio quasi tutti i giorni. Arrivarono a fine agosto e a fine settembre la zia Antonietta iniziò ad andare a scuola, in prima elementare, con la maestra Pirovano. Il papà di anni ne aveva 21.
La casa era la metà di quella di adesso; fu ampliata per il matrimonio di papà. La prima parte fu costruita, se non sbaglio, dal nonno di Danilo Parolini, l'altra dal papà di Roberto Sirtori [Antonio Sirtori, 1921-1981].


Entracque, l’ho già detto, era un luogo ricchissimo di acqua: in tutto il paese, poco più grande di Robbiate, c’erano forse un’ottantina di fontane; tutti avevano già l’acqua corrente in cortile.
A Verderio invece dovevano andare a prenderla in paese, con il  carro trainato dal cavallo e le taniche da 200 litri. C’era la fila per approvvigionarsi. Fu una brutta sorpresa, loro non erano abituati.
Grazie al papà di Orazio, il nonno di Beatrice, il daziere [Renzo Fumagalli], che si impegnò a  risolvere le difficoltà burocratiche, dopo un po’ di anni dal centro del paese fino a cascina Alba fu scavato un canale e furono posati i tubi dell'acqua. Lo scavarono a mano, una cosa oggi impensabile: a lavorare c’erano il nonno, il papà, il Cúnsu [Cunsulen - Antonio Cassago 1913-1988], il papà di Gigi [Giuseppe Sala, classe 1918] e altri che non ricordo.
Allora, dal centro del paese a casa mia c’erano solo il cimitero, la cascina dei Muleta [cascina Provvidenza], il Betulino [Betulén, bettola - osteria], la cascina Isabella, la Casinéta [cascina Malpensata]. Oltre  si trovavano  la cascina di Rho [cascina Amalia] e la cascina Alba, una delle poche che aveva un pozzo.
La cascina di Rho era nello spazio dove poi è sorta la fabbrica dei caschi Nava. L’hanno abbattuta  quando avevo 11 anni. Mi ricordo che per buttarla giù vennero con un mezzo con la palla d’acciaio. Vicino alla cascina c’era una parte di prato più verde, dove c’era sempre acqua, a camminarci ti bagnavi i piedi. Il nonno andava lì ad abbeverare le mucche. Dopo la distruzione della cascina e alcuni lavori fatti sulla strada, l'acqua non c'è più stata.
Per lavare i panni  andavano alla Roggia Annoni, che adesso, purtroppo, è chiusa; un tempo ci facevano anche il bagno.

I nonni avevano sei o sette mucche e un toro. Avevano un cavallo e una falciatrice. Vendevano il latte, al lacé, che era il papà di Emilio [Arialdo Villa]; vendevano qualche vitello ogni anno e il fieno che non serviva per gli animali. Coltivavano il granoturco, più che altro per dar da mangiare alle galline,  e il grano: per  100 chili di grano avevano in cambio 70 chili di pane (oggi ti danno, al  massimo, 19-20 euro). Con questo sono riusciti a pagare il debito. Adesso sarebbe impossibile.

A lavorare con gli animali era soprattutto la nonna. Ogni tanto faceva anche il formaggio: non ho tanti ricordi, perché le mucche ci sono state finché ho avuto circa 4 anni, ma la  ricotta avvolta in uno straccio e appesa me la ricordo. Il nonno e il papà invece lavoravano la terra: soprattutto il nonno perché poi papà, quando il mondo ha cominciato a cambiare e sono arrivati i primi trattori, le prime macchine, ha trovato lavoro in fabbrica, come operaio alla Michelin, in corso Sempione a Milano. Una scelta di cui è sempre stato felice.

Sai che i piemontesi hanno sempre le nocciole in tasca? Il nonno, da buon piemontese, per prima cosa ha piantato una fila di noccioli. Poi ha piantato più di 100 alberi da frutta. Aveva tre orti.  Sapeva innestare, era bravo, un vero contadino e boscaiolo.

Era un tipo abbastanza solitario; andava al bar a bere un liquore assurdo, che non so se esiste ancora, il mandorlato; andava a messa a Natale. Per il resto non usciva mai di casa,  anche se aveva amici. Appena arrivati a Verderio si era presentato da loro Tugnin [Antonio Colombo 1917-2005]. Era uno che portava sempre un guanto perché aveva una mano offesa.  Era nato a cascina Alba, ma abitava a Paderno d'Adda con la moglie, una signora bresciana. Quando i nonni sono arrivati a Verderio, Tugnin s'è presentato e, con una gentilezza estrema, gli ha detto: “se avete bisogno di qualcosa chiedete”. All'inizio i nonni avevano fatto molta fatica a comunicare con gli altri, perché tutti parlavano in dialetto e loro non lo capivano, la nonna  parlava addirittura francese. Tugnin era uno dei pochi che parlava italiano. Era un comunista sfegatato. Secondo lui il più buon vino che potevi trovare era quello del circolo di Paderno: era il più buon vino d'Italia, non ce n'erano di migliori.
 

Avevano anche altri amici. Ricordo che c'era Giuvanin di Géta [Giovanni Battista Motta 1905-1996]; c'era “il Gianni” [Gianni Villa 1942-2020], che quando ero piccolo mi aveva insegnato a barare a briscola: a Paderno abitava vicino al Tugnin e anche lui era nato a cascina Alba. Alla domenica la mamma di Gianni, la moglie di Tugnin e “la Rusina” venivano a giocare a briscola con la nonna e si fermavano tutto il pomeriggio.

I rapporti della mia famiglia  con Entracque non si sono mai interrotti. Ogni anno i nonni tornavano almeno una volta al paese e quando sono morti, sono stati sepolti là, perché era sempre stato un loro desiderio.

Papà e mamma si sono sposati nel 1966, un anno prima che nascessi io, il loro unico figlio. La mamma si chiama Renata Lucia Tomasoni,  è di origine bergamasca, della val Seriana, di una frazione di Clusone. Quando ha conosciuto papà abitava  già a Porto d'Adda, poco lontano da casa nostra, in quella cascina che si trova sulla destra, prima di arrivare a Porto. Era l'ultima di una fila di fratelli, muratori che dalla val Seriana erano spessissimo in trasferta a Milano: così decisero di avvicinarsi e costruirono la cascina. Anche loro avevano qualche mucca e qualche capra. Erano una famiglia numerosissima: quando ci si trovava a mangiare si era sempre in sessanta, settanta persone: era bellissimo.
In valle la mamma lavorava come operaia e poi aiutava in casa perché aveva da lavare per tutti quei fratelli.  Anche dopo sposata ha fatto l'operaia, prima da Vertemati, una fabbrica di divani vicino alla cascina La Salette,  poi da Bertolotti e alla Last. Quando la nonna, sua mamma, ha cominciato a non star bene lei è stata a casa per assisterla. Però i suoi fratelli l'hanno assunta come dipendente, così ha potuto maturare la pensione.
Il papà è morto  nel 2010, quando aveva 77 anni.

Morti i nonni, i miei vecchi per anni hanno fatto lavorare la terra ad altri: mettevano il granoturco o il grano; hanno provato anche con la soia. A fine anno il saldo era sempre negativo: meno 2000 euro circa. Una cosa assurda!
Ho pensato per anni su come coltivare quella terra, ma fare il contadino adesso è come fare l'industriale e con 5 ettari di terra non lo fai: un trattore, anche usato, vale di più di tutta la terra che abbiamo. Forse se avessi ereditato l'attrezzatura qualche cosa sarei riuscito a fare, partire da zero, invece,  è una cosa da pazzi.

Ho pensato di coltivare la paulonia,  una pianta che si usa soprattutto in nautica perché il suo legno  ha la caratteristica di bere pochissimo; una pianta che cresce velocemente, ma ha bisogno di molta lavorazione, perché ogni volta che gemma devi togliergli le gemme, non deve avere i nodi eccetera. Per coltivarla però hai bisogno di un impianto di irrigazione che ci metti 10 anni  a ripagare.

Da un sacco di anni faccio il gelatiere: prima la gelateria era mia, adesso lavoro in una gelateria di un'altra persona.

Però ho intenzione in qualche modo di riavvicinarmi alla terra, perché in fondo è la mia vita.
Coltivo zafferano per diletto. Lo zafferano è una piantaccia, se solo gli lasci il terreno asciutto cresce dappertutto.
Ho provato ad allevare lumache, andava anche bene, ma in pratica è come se avessi aperto un ristorante per ratti e topi. Hanno capito che c'era tanto da mangiare ed è stata un'invasione. Trovavo tutti i gusci rosicchiati.

Ho allevato cani per un sacco di anni, cani da show, da expo.  Ho allevato weimaraner e bassotti a pelo lungo. Se potessi e avessi le energie sarei pieno di animali: cani, capre pecore, alpaca asini. Anche le galline  di razza particolare mi piacciono.


 

Antonello Rostagno con alcuni weimaraner...

 

 ... e con un bassotto a pelo lungo.

 

o due pecore, Oscar e Mario. Due anni fa ho dovuto tagliare tanta di quell'erba che ho deciso che bisognava trovare il modo di tagliarla senza dover fare tutto quel lavoro. Allora ho portato a casa Oscar e Mario che ci pensano loro: ho messo in pensione la falciatrice a filo e ho preso quella "a pelo", Oscar e Mario appunto. Devi dargli solo un po' di fieno in inverno, che non apprezzano molto, ma piuttosto che morire di fame lo mangiano.

Prima o poi avrò un asino, anzi due.

Oscar e Mario al lavoro


* Racconto orale di Antonello Rostagno, registrato nel marzo del 2021. Salvo le ultime tre, le fotografie di questo articolo sono di Denise Motta.

martedì 22 giugno 2021

UCCELLI FOTOGRAFATI A VERDERIO DA ERCOLE MAPELLI

Da alcuni anni Ercole Mapelli pratica il birdwatching, ossia la fotografia di uccelli. Le fotografie qui pubblicate sono quelle scattate a Verderio. Ercole usa una maccina fotografica FUJI XT3, con obiettivo 100/400 f4,5/5,6. I nomi comuni degli uccelli fotografati sono stati messi da Ercole, che ha lasciato a me l'onere di trovare, con un suo libro, i corrispondenti nomi scientifici. Spero di non aver fatto troppi errori. Caso mai correggerò.M.B.

 

UCCELLI FOTOGRAFATI A VERDERIO DA ERCOLE MAPELLI

  

PICCHIO VERDE ( picus viridis)

 


 

GHEPPIO (falco tinnunculus)

 

 

 

 RONDINE (irundo rustica)

 



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lunedì 21 giugno 2021

"BICE", UN'AZIENDA DI VERDERIO CHE PRODUCE TELAI DI BICICLETTA SU MISURA di Marco Bartesaghi

 

“Bice” è un'azienda artigiana con sede a Verderio, in via Cesare Battisti, che si occupa della produzione su misura di telai di bicicletta in acciaio.

È stata fondata nel 2015 dall'ingegner Dario Colombo, verderiese di 38 anni, ora residente a Milano, che è approdato a questa attività dopo una lunga serie di iniziative svolte nell'ambito del mondo del ciclismo. Di queste parleremo nell'intervista che segue questo articolo.

Da subito Colombo ha deciso di limitare la propria attività alla sola costruzione del telaio. Questo gli ha consentito di concentrare l' attenzione e affinare la tecnica sulla parte fondamentale della bicicletta e di lavorare senza un grande magazzino di componenti, che dovrebbe essere continuamente aggiornato, se non rinnovato, data la spasmodica evoluzione della componentistica in questo campo, soprattutto quella di alto livello e qualità.



I telai della “Bice” sono in acciaio della Columbus e della Dedacciai, due produttori italiani conosciuti in tutto il mondo, e sono costruiti sulle misure corporee del cliente, non solamente su quelle generiche. L'altezza complessiva, ad esempio, non è un dato sufficiente: serve conoscere anche le componenti di questa altezza. Una persona alta 1 metro e 70 centimetri può avere le gambe relativamente lunghe rispetto al busto o viceversa. Nel primo caso è necessario un telaio corto con buon stacco di gambe; nel secondo le esigenze sono opposte. La stessa persona può inoltre avere braccia lunghe o corte. E questi sono solo due esempio di come le carte in tavola posso mischiarsi e rimischiarsi senza che molti se ne accorgano. 

 

Dario Colombo


Colombo realizza circa 50 telai all'anno divisi in MTB, il 40% della produzione, Gravel, 50%, da corsa, ma solo con freni a disco, il restante 10%.

 

"BICE": telaio MTB

 

 

 

 

 

 

 

 

"BICE": telaio gravel

 

"BICE": telaio bici da strada

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I telai MTB e gravel sono adatti anche per essere pedalate in modalità “single speed”, senza cambio, con un solo pignone dietro e una sola corona davanti.

Non si rivolge al campione professionista, per il quale è fondamentale l'alta prestazione e il peso complessivo della bicicletta e che perciò mai sceglierebbe un telaio in acciaio.

I suoi clienti sono ex atleti, professionisti del mondo del ciclismo, meccanici, biomeccanici, giornalisti; appassionati della bicicletta, ma di indole tranquilla, interessati a percorrere anche molti chilometri e a fare qualche gara “per amatori”, che cercano però anche la comodità. Si rivolgono a Colombo persone che, dopo aver provato tante biciclette standard, “commerciali”, stanche di soffrire di mal di schiena, optano per un mezzo personalizzato e pensato attorno alle loro esigenze.

La clientela femminile è minoritaria, ma in costante crescita.

Le richieste provengono da Italia, Austria, Germania, Olanda, Belgio, Stati Uniti; attualmente si è aggiunto un cliente di Singapore.

Dicono le statistiche che la disponibilità di spesa media di un italiano per l'acquisto di una bicicletta è passata dalle 150 euro del 2013 alle 350 attuali. Nella composizione della clientela di “Bice” è perciò aumentato il numero di italiani, perché è maggior il numero di quelli disposti a pagare il prezzo di circa 2000 euro di un suo prodotto.

Il contatto con nuovi clienti avviene o attraverso l'indicazione di quelli vecchi o attraverso i social network, soprattutto Facebook e Istagram.


 


 

 

La rilevazione delle misure e di tutti i dati necessari alla progettazione, è fatta direttamente da Colombo in azienda o da professionisti da lui indicati in luoghi più accessibili all'interessato. A questo scopo è nata in questi anni una nuova figura professionale, quella del biomeccanico.


Il progetto è realizzato con l'ausilio di Bikecad, un programma di disegno dedicato alla bicicletta.

Per l'assemblaggio dei componenti principali vengono effettuate saldature “tig”, mentre per la minuteria, onde evitare il riscaldamento del telaio, le saldature sono eseguite all'argento.


 

 

 

 

 

 

 

 


 In sede viene effettuata la sabbiatura del pezzo, mentre la verniciatura è demandata ad un'azienda esterna.

Tutte le fasi di lavorazione vengono fotografate e le immagini via via inviate al cliente, che può così rendersi conto di come procede il lavoro e di come viene effettuato.

Fatto il telaio, il completamento della bicicletta è affidato ad altri soggetti: ai clienti stessi, che spesso hanno la passione per questa attività, o a meccanici scelti da loro; a negozi specializzati, in Italia e all'estero, che godono della fiducia di Colombo e che da lui sono indicati al cliente per la vicinanze al suo luogo di residenza.



Dopo i primi anni di vita, l'azienda è, secondo il suo fondatore, abbastanza ben avviata. Per poter stare al passo con l'evoluzione del settore prevede però la necessità di alcuni interventi: intende acquistare una stampante 3D, vorrebbe munirsi di una cabina di verniciatura, per poter eseguire in proprio anche questa operazione, e, di conseguenza, vorrebbe poter avere a disposizione uno spazio maggiore di quello attuale.


Per dedicare più tempo alla ricerca e all'innovazione del prodotto, cosa che gli sta molto a cuore, avrebbe bisogno di assumere un aiutante che lo liberasse da alcune incombenze.

 Marco Bartesaghi


* Tutte le fotografie di questo articolo sono di proprietà di Dario Colombo

venerdì 18 giugno 2021

INCONTRO CON DARIO COLOMBO, COSTRUTTORE DI TELAI DI BICICLETTA SU MISURA di Marco Bartesaghi

 

Nel mondo, gli artigiani che producono telai di bicicletta su misura sono tra i trecento e i quattrocento in tutto; in Italia non più di quaranta. Da Dario Colombo, uno di loro, voglio sapere  come è approdato a questo lavoro.
È nato a Verderio, allora Inferiore, il 28 aprile 1983. Dopo le scuole medie, frequentate a Robbiate, ha studiato elettronica e telecomunicazioni, prima all'ITIS di Vimercate, poi al Politecnico di Milano, dove, nel 2006, ha conseguito la laurea triennale in ingegneria. In seguito ha trovato lavoro come consulente alla Siemens di Cinisello Balsamo.

“Ero ricercatore. Facevamo le  schede elettroniche che raccolgono i dati in arrivo dai cellulari, le schede madre  collocate nei basamenti delle antenne: alcune le ho disegnate io e facevo anche il debug [ricerca ed eliminazione di errori e difetti]. Era un lavoro bellissimo, andava anche bene economicamente, però mi serviva qualcosa d'altro. Mi sono licenziato l'8-08-2008”.

Una data importante, perché subito dopo avviene un incontro fulminante. Una donna? Questo non lo so. Incontra la bicicletta e non l'abbandona più.

“Il giorno dopo essermi licenziato, con  altre otto persone, sono partito per un viaggio in bicicletta in Provenza. Avevamo ancora quelle bici “scascione”di una volta, sembra passata un'era geologica. È stata un'esperienza bellissima: bicicletta tenda e … vento contrario. In Provenza da qualunque parte ti giri hai il vento contrario. Abbiamo fatto tutti gli errori dei principianti: troppi chilometri il primo giorno - ma questo lo fai sempre, anche quando sei più esperto -, viveri che sembrano troppi ma poi mancano, strade sbagliate. Siamo partiti da Marsiglia e abbiamo chiuso lì l'anello dopo 12 giorni. Sono ancora in contatto con questi ragazzi. Prima di partire conoscevo solo due di loro, i fratelli Todaro, Simone e Letizia, che sono di Robbiate”.

 

bicicletta con telaio "BICE" - foto Dario Colombo (D.C.)

La bicicletta gli fa tornare la voglia di studiare. Si iscrive ancora al Politecnico per il biennio di specializzazione. Sceglie ingegneria ambientale, con l'idea di dedicarsi alla pianificazione del territorio e lavorare con i comuni.

“Un' esperienza stupenda. Ingegneria delle telecomunicazioni era stata veramente una “saccagnata”, proprio tosta; “ambientale” era molto più blanda e in più avevo dietro un'esperienza di tre anni di lavoro, quindi l'ho passata abbastanza in scioltezza. Nel frattempo ero  diventato catechista e consigliere comunale nell'ultima amministrazione comunale di Verderio Inferiore, prima della fusione dei due comuni, con Sandro Origo sindaco”.

E la bicicletta?

“Ho fatto una tesi dal titolo: Sviluppo di un modello matematico per la ciclabilità della città di Milano. Partendo dalle caratteristiche fisiche e funzionali delle strade, dalle loro intersezioni - che possono essere incroci o rotonde - e dal loro percorso, riuscivo a presumere quale sarebbe stato il tragitto che il ciclista avrebbe ritenuto migliore, e quindi scelto, per arrivare da un punto A a un punto B. Supponevo che il ciclista si sarebbe comportato secondo un principio di ciclabilità, ossia avrebbe deciso in base ad un mix fra comfort e senso di sicurezza”.

Milano, navigli - foto M.B.

L'hai proposto al comune di Milano?

“Sì, ma non ho avuto ascolto. Il modello funzionava bene ma non era recepito da chi lavorava nell'ufficio tecnico, che non sapeva cosa fosse una bicicletta e non riusciva a capire che oltre al problema di spostarsi dal punto A al punto B ce ne sono altri connessi”.
 
Ad esempio?

“ Quando arrivo in B devo lasciare la bici e andare, mettiamo, in ufficio. Al ritorno la devo ritrovare. Solo adesso  questo fatto comincia ad essere recepito, ma siamo agli inizi, per ora si sta ancora pensando solo a come far muovere la gente, non ancora a cosa succede quando la bicicletta è lì da sola. Avevo capito che il concetto di bici nella pianificazione era troppo avanti ed era un concetto di parte: c'era chi era contro e chi invece era favorevole, a priori.  Alla fine litigavo con entrambe le parti, quella dei favorevoli e quella dei contrari. I primi mi chiedevano:si può andare in senso contrario? No, non si può . Allora si lamentavano  perché con il mio progetto non si poteva andare contromano. E chi si prende la responsabilità di dirti vai pure contromano: io?  e poi mi denunci se succede qualcosa? Adesso le cose stanno cambiando e la gente comincia a capire”.

foto M.B.

E il lavoro?

“Dopo la laurea ho fatto diverse cose. Prima ho lavorato per “Venti Sostenibili”, un'associazione di Milano che interviene nelle scuole sul tema della sostenibilità applicata alle città. Facevo lezioni nelle superiori e negli istituti professionali. Mi occupavo della mobilità. Si faceva una parte teorica in cui si parlava della smart city, cos'è la mobilità. Ai ragazzini proponevo la classica analisi swot, ossia come si ragiona per risolvere i problemi di una città.
E poi c'era la parte pratica. Avevo l'incarico di realizzare nelle scuole tante piccole ciclofficine, gestite dai ragazzi, dove imparavano a riparare le loro biciclette. Nelle scuole professionali facevano anche il retrofitting delle bici [adattamento e riconfigurazione]. Erano gli anni in cui uscivano le prime bici elettriche, che costavano veramente tanto. Allora qualcuno si era inventato il fatto di fare il retrofitting, con un motore e un pacco di batterie: il motore lo infilavi nel movimento centrale della tua vecchia bici e il pacco  batterie lo avvitavi sopra.  Era un modo per far vedere ai ragazzi che  ci sono vari gradi di evoluzione della bicicletta, cosa che adesso è palese, anche troppo. Ho lavorato con il comune di Bergamo; ho aperto ciclofficine a Gorgonzola, all’ITIS di Gallarate, di Varese, di Curno”.


Insomma, dopo il viaggio in Provenza sei entrato nel mondo delle biciclette e ci sei rimasto.

“Sì, la bicicletta è stato l'obiettivo generico. Ho provato la pianificazione ma ... mmh. Ho fatto l’insegnante: bellissimo!  Poi sono stato contattato dall’Ospedale San Raffaele di Milano. Avevo inviato il curriculum anche alla FCI, Federazione Ciclistica Italiana. Un loro dirigente, che era un dottore del laboratorio di biomeccanica del San Raffaele, aveva trovato interessante le cose che avevo fatto fino allora e  mi aveva inserito nel suo laboratorio per occuparmi di come  consapevolizzare le persone nelle proprie scelte. Era un argomento che conoscevo bene, perché ad ingegneria ambientale avevamo fatto dei corsi veramente tosti, con dentro sia calcoli che  psicologia, su come coinvolgere le persone, come favorire la partecipazione. I temi di cui si occupava il laboratorio, questo ed altri, come ad esempio la nutrizione, avevano come collante il benessere delle persone.
In quell’ambito abbiamo anche organizzato, su mia proposta, l’Università della Bicicletta (sembra una cosa esagerata, eh?). Erano corsi concentrati in due giorni. Il primo di teoria della biomeccanica, dell’alimentazione, della bicicletta, della pianificazione. Il secondo giorno era  più ludico: la classe di una quarantina di persone veniva divisa in gruppi, secondo i diversi livelli di preparazione, che  seguivano corsi  di manutenzione e  assemblaggio della bicicletta.
Era un bel laboratorio, dove si sperimentava tantissimo”.


Foto M.B.

Poi hai cominciato a costruire telai?

“Sì, per hobby, ma non ancora per lavoro. Sono entrato nella cooperativa PASO Lavoro.
Con  loro ho aperto una ciclofficina alla stazione di Osnago, al circolo ARCI La Locomotiva.
Era un'iniziativa concentrata sul pendolarismo: da casa a Osnago vai in bicicletta; questa ha un problema? la lasci qua, noi te la ripariamo e alla sera, quando torni dal lavoro, la trovi pronta.
Il martedì e il giovedì, nell’orario di ritorno dal lavoro, facevamo corsi di  riparazione  per i pendolari.
Ero riuscito a realizzare anche una sorta di parcheggio automatico, tramite una scheda NFC di prossimità e un sensore. La scheda era nominale e doveva essere rinnovata ogni quattro mesi. Avvicinando la scheda al sensore aprivi la porta del deposito, poi parcheggiavi, legavi la bici e alla sera, quando tornavi, la ritrovavi. Perché se tu diventi bravissimo a ripararti la bici ma ogni mese te la fregano, ti girano le balle.  
Lo stesso progetto era stato realizzato anche alla stazione di Cernusco Lombardone. Lì lo spazio era più grande, per cui avevo chiesto, e mi era stato assicurato che l'avrei ottenuto, uno spazio per costruire i miei telai. Alla fine lo spazio non è saltato fuori e così me ne sono andato. Da quel momento in poi non ho più lavorato con i comuni, perché lo ritengo una perdita di tempo”.


Stazione di Osnago - Foto merateonline .

E sei diventato artigiano?

“Sì, ho mollato tutto e ho iniziato seriamente a lavorare  sui telai. Avevo cominciato come hobbysta; poi li ho fatti come secondo lavoro (Venti Sostenibili e San Raffaele erano il “primo”); poi  come primo (facevo ancora qualcosa al San Raffaele) e infine, verso il 2015,  come unico, quando ho capito che lavoravo bene e che i miei lavori erano apprezzati.
Il mio primo telaio  l'ho finito il 14 dicembre 2010, mentre passava  Babbo Natale. Nevicava ed io ero fuori in  bici a provarlo. A quei tempi provavo , poi lasciavo passare sei mesi perché avevo altro da fare, poi riprendevo in mano il progetto. Invece adesso tutti i giorni mi alzo e penso a questo che è il mio lavoro. La  prima bici prodotta da “Bice” ce l'ho ancora, è ancora lì.”.


La tua azienda si chiama “Bice”. Perché?

“Perché … Bice è il nome di una cascina che c'è qui vicino; perché, negli anni in cui ho scelto, le sigle delle biciclette erano di quattro, massimo cinque lettere. Perché “Bice” è anche un gioco di parole, il  singolare che non c'è della parola bici, e può essere letto anche in inglese, dove “bice” è una certa tonalità di turchese. In sintesi, perché si chiama così non lo so. In quel momento è spuntato quel nome”.

 

Il marchio "Bice" - foto D.C.

Come si diventa tuoi clienti?

“Molti arrivano a me attraverso i social,  Facebook e Istagram.  Facebook è diventato un grande calderone per quarantenni, cinquantenni e sessantenni; è molto scritto, ha una giusta quantità di foto e video  e tanta interazione. In Istagram  c'è meno interazione, ma più presentazione  e più cura della fotografia, che per me è molto importante, e la gente è molto seria. Preferisco Istagram che  è ancora molto pulito - anche se per poco, temo -  non ha tutto quel rumore di fondo, quella violenza, che c'è su Facebook, che sta veramente degenerando. Mi sto interessando anche ai nuovi social, perché devo rendermi conto di quello che ci sarà fra una decina d'anni. Tik Tok e gli altri però sono un bordello da cui ci si cava poco”.  

Quindi i clienti ti contattano direttamente ...

“Sì, ora sì. I primi anni mandavo un telaio ad alcuni negozi di cui mi fidavo e loro mi facevano avere i clienti. Ho visto che non funzionava bene e allora faccio il contrario: sono io la porta d'ingresso, il collettore che riceve il lavoro e  lo distribuisce ad altri professionisti. Il mondo del ciclismo è un mondo molto piccolo, semplice e pieno di “zabette”, in un attimo si sa tutto di tutti. Ma è tutta gente legata dalla passione. Quando ci troviamo ai raduni, parliamo solo di bici e così nascono gli agganci professionali, che poi diventano anche amicizie. È molto importante perché ci si scambiano esperienze: io do a te tu dai a me. Ci si dà una mano, anche perché in confronto a quella della motocicletta, l'industria del ciclismo è veramente piccola. Il giro di soldi dell'industria ciclistica italiana è pari a una parte – dico una parte -  di quello della Piaggio. Solo della  Piaggio”

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giovedì 17 giugno 2021

OPUSCOLI IN RICORDO DELLA COMUNIONE PASQUALE, OFFERTI AI FEDELI DALLA PARROCCHIA DEI SANTI NAZARO E CELSO DI VERDERIO - AGGIORNAMENTI di Marco Bartesaghi


Un precetto del Concilio lateranense IV, dell'anno 1215, stabiliva per il cristiano l'obbligo di confessarsi almeno una volta all'anno e di comunicarsi a Pasqua.

Secondo una tradizione, che non so quando ebbe inizio ne quando fu interrotta, ma che certamente era in auge alla fine del XIX secolo e si protrasse per molti decenni del XX, i fedeli che obbedivano a questo precetto ricevevano in ricordo, dalle parrocchie, un piccolo dono. 

Nella Parrocchia dei santi  Nazaro e Celso, di Verderio Inferiore, il ricordo consisteva in un piccolo “opuscolo”, se così si può chiamare, di sole quattro pagine (quello del 1929, però, ne aveva sei) che,
in prima pagina, conteneva solitamente un' immagine sacra, di Gesù o della  Vergine Maria o  di un santo a cui, in quell'anno, era rivolta una particolare devozione, e, nelle altre pagine, preghiere o brevi riflessioni.

Gli esemplari che vi presento sono conservati dalla signora Isabella Villa, che mi ha permesso di riprodurli. Non so in che anno la serie abbia avuto inizio, né se e quando sia terminata. Di certo in questa presentazione mancano molti degli esemplari distribuiti negli anni  e sarei molto grato a chiunque mi aiutasse a coprire le lacune di questa raccolta e quelle delle conoscenze che ho su questo argomento. Grazie.

5 febbraio 2021 - Ho ricevuto dal signor Maurizio Pirovano le immagini relative agli anni 1942 - 1969 - 1970 - 1971 - 1973 che aggiungo al POST originale. Lo ringrazio e rinnovo a tutti l'invito ad aiutarmi a colmare le lacune ancora presenti mandandomi le fotografie delle immaginette in loro possesso. Grazie, M.B.

 14 giugno 2021 - Aggiorno nuovamente questo post, perchè ho ricevuto dall'amica Carla Comi le immagini relative agli anni 1907 - 1948 - 1949 - 1955 - 1956 - 1960. Ringrazio Carla e invito ancora tutti voi ad aiutarmi a completare la serie. Grazie M.B.

 

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Anno 1904 

"La Comunione Pasquale nel 1904" - fronte e retro





 
"La Comunione Pasquale nel 1904" - pagine interne


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Anno 1907

"Comunione Pasquale  - anno 1907" - fronte e retro

"Comunione Pasquale - anno 1907" - pagine interne

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  Anno 1919


"-1919- Comunione Pasquale" - fronte e retro



"-1919- Comunione Pasquale" - pagine interne



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Anno 1920

"-1920- Comunione Pasquale" - fronte e retro
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