giovedì 25 marzo 2010

"CROCIFISSIONE" NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI VERDERIO SUPERIORE di Elisabetta Parente

Questo brano è parte del capitolo intitolato La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano: la genesi architettonica e le sue opere, scritto da Elisabetta Parente per il libro La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano 1902 - 2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa, pubblicato dalla parrocchia di Verderio Superiore in occasione del centenario della costruzione della chiesa. Un altro brano dello stesso capitolo, relativo a L'adorazione dei pastori è stato pubblicato su questo blog il 18 dicembre 2009. Lo trovate cliccando sulle stesse etichette di questo.
m.b.







Nel transetto sinistro della chiesa, sopra la porta che immette nel corridoio della sacrestia, è posta la Crocifissione.
E' un'opera di grandi dimensioni, dipinta ad olio su tela e databile intorno alla metà del XVII secolo.
Per il modo in cui viene impiegato il colore e per l'atteggiamento imposto alle figure, ritengo la si possa considerare opera di scuola lombarda, con forti influssi di area cremonese.
Il tema della Crocifissione è tra i più rappresentati nella storia dell'arte e, nel corso dei secoli, la sua iconografia si è andata modificando, a seconda che l'artista abbia tradotto il tema in maniera più o meno corale.
Dopo il riconoscimento ufficiale del culto cristiano, da parte di Costantino, è la semplice croce a venire raffigurata e per trovare l'iconografia della Crocifissione, così come noi la conosciamo, dobbiamo attendere il VI secolo.
L'origine è orientale e il Cristo vi appare con il busto eretto, vestito con una tunica e con gli occhi aperti. E' l'immagine del Cristo "triumphans et docens", trionfante sulla morte, che insegna agli uomini la sua passione.
Solo a partire dal secolo XI si viene affermando l'immagine del Cristo "patiens", cioè il Cristo sofferente, che con il capo reclinato da un lato mostra agli uomini la natura umana della sua sofferenza e del suo dolore.
Se dal XIII secolo, sul braccio verticale della croce, ai lati del corpo di Cristo, cominciano ad essere rappresentati episodi della Passione come la Cattura o la Flagellazione, è però solo con il finire del Medioevo che il tema si volge a diventare più corale e narrativo.
Infatti agli inizi del 1400 si afferma un genere di composizione in cui le immagini a figura intera della Vergine e di san Giovanni sono disposte ai piedi della Croce, alle quali si accompagna quella della Maddalena, in genere inginocchiata, nell'atto di abbracciare il piede della Croce o di sollevare le braccia in segno di disperazione.
Questo tipo di composizione può venire "allargata" e comprendere oltre ad una dettagliata visione del paesaggio di fondo, la presenza dei due ladroni crocefissi ai lati di Cristo, il drappello dei soldati, il gruppo delle pie donne che affiancava Maria.

* * *
Nella Crocifissione di Verderio, il tema è trattato in maniera intima ed essenziale, essendo presenti nella composizione i protagonisti in senso stretto.
Alla destra di Cristo appare la Vergine, gli occhi dolenti levati verso il figlio, le mani giunte, serrate al petto, in segno di dolore più che di preghiera. Spesso gli artisti hanno idealizzato la figura di Maria, raffigurandola sempre giovane, in qualsiasi episodio della Passione di Cristo; qui, invece, la Vergine appare invecchiata, il volto un po' gonfio, segnato da linee d' espressione che si fanno evidenti ai lati della bocca.


MARIA

Dall'altro lato della croce, è rappresentato Giovanni, "il discepolo caro a Gesù".
Giovane e biondo, l'apostolo Giovanni appare chiuso nel proprio dolore, la figura curva in avanti, gli occhi bassi rivolti al terreno.

GIOVANNI

Ai piedi della croce, posta di profilo, la lunga chioma di capelli chiari sciolta sulle spalle, Maria Maddalena avvolge con le braccia il piede della croce, tenendo in una mano un panno, presenza che sembra voler alludere a un altro episodio evangelico, che la vede protagonista: durante il banchetto a casa del Fariseo, Maddalena, nota per la sua vita dissoluta, si getta a terra ai piedi di Gesù e gli asciuga con i capelli i piedi che aveva bagnato con le sue lacrime per poi cospargerli d'unguento.

MARIA MADDALENA

Perno visivo e cromatico della composizione sono la croce e il corpo di Cristo.
La croce è posta in diagonale, con il braccio destro che si perde nell'oscurità, in modo da suggerire il senso della profondità, quel senso della spazialità determinato anche dalla disposizione delle figure.
Dal punto di vista cromatico, la tavolozza impiegata è scurissima, rialzata da pochi e sapienti tocchi di luce: il cartiglio, posto in cima alla croce, con l'inscrizione INRI, cioè "Iesus Nazarenus Rex Iudeorum"; la corona di spine, che cinge la testa di Gesù, dalla quale si sprigionano piccole fiammelle luminose; il corpo livido e freddo, di un biancore quasi irreale, del Cristo.
C'è un particolare insolito in quest'opera: il Redentore appare crocifisso per mezzo di quattro chiodi, due per le mani e due per i piedi, mentre già a partire dalla fine del XIII secolo gli artisti, nel trattare questo tema, ricorrevano ad un solo chiodo per i due piedi, che venivano così dipinti sovrapposti, per rafforzare l'impressione di volume.
E' indubbio che l'artista che ha realizzato quest'opera ha voluto darle un taglio raccolto, ben lontano da qualsiasi tipo di rappresentazione corale; non solo non è presente la folla, ma la composizione è anche priva di una seppur minima ambientazione, in modo tale che la nostra attenzione sia tutta rivolta ai personaggi.
Nell'opera il dolore è rappresentato in forma trattenuta, vissuto con pudore dai singoli, chiusi nella propria sofferenza, senza che fra loro si instauri comunicazione o dialogo.
Questo patetismo controllato e di misura non impedisce all'artista di dare una forma piena alle figure, tratteggiate in maniera larga (si veda, per esempio, la Maddalena), né tanto meno di ricorrere a certi preziosismi cromatici.
Interessante è l'impiego del colore rosso, che l'artista mette in campo in tre note molto differenti: rosso caldo è il manto che ricopre la veste scura di Giovanni; rosso magenta , dalle sfumature quasi viola, è la veste della Maddalena; rosa carico, aranciato, è il colore della veste di Maria, avvolta in un manto blu.

Elisabetta Parente, 2002

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martedì 23 marzo 2010

LA PARROCCHIA DI S. ALESSANDRO A ROBBIATE di Maria Fresoli





LA PARROCCHIA DI S. ALESSANDRO

Tracciare un profilo del nostro Santo Patrono è cosa più ardua che difficile. Infatti, i dati reperibili sono per lo più relativi a leggende e storie tramandate verbalmente, le cui origini e connotazioni reali, si sono perse nella notte dei tempi. Facciamo nostro quindi il profilo del Santo che Piero Bargellini ha tracciato nel libro "Il Santo del giorno" (1)

"Nel secolo III d.C. durante l'impero di Massimiano Cesare, una legione di soldati egiziani, detta "Legione Tebea", perché reclutata nella Tebaide, si trovava nelle valli svizzere, nei pressi del lago di Ginevra, a sedare la ribellione al dominio romano di quei fieri montanari. Durante una pausa di questa guerriglia, l'imperatore ordinò che si celebrassero sacrifici propiziatori agli dei, ma essendo i soldati della legione tutti cristiani, si rifiutarono in massa di obbedire, così l'imperatore per rappresaglia, la decimò quasi interamente. Sant'Alessandro, anch'egli soldato di quella legione, trovandosi momentaneamente con un gruppo di legionari, distaccati in altra località, riuscì a scampare all'eccidio. Sfuggito per due volte al carcere, dopo aver infranto gli idoli davanti allo stesso imperatore, trovò terreno fertile per spargere il seme della parola divina nella città di Bergamo".

Il legame diretto fra S.Alessandro e Robbiate viene evidenziato anche da alcune leggende popolari, una in particolare vuole che il Santo, evaso dal carcere di Milano e diretto a Bergamo, passasse proprio dalle nostre parti, trovando rifugio per la notte in una stalla (curt di Rumett) nei pressi dove fu eretta, secoli dopo, la cappella a lui dedicata. Come già detto questa non è che un'antica leggenda, e come tutte le leggende contiene un pizzico di verità, scoprire quale e quatta ce ne sia in questa è difficile, ci limitiamo quindi a prenderne atto.

LA SCUOLA DI S.MARIA DELLA ROSA

Le origini della nostra chiesa si presume siano antichissime, riferibili addirittura all'anno mille. Anche lo storico Giovanni Dozio nel suo libro "Brivio e sua Pieve" asserisce che essa è ricordata in carte del secolo X e XI. Le prime notizie certe risalgono alla metà del 1200 e ci vengono
fornite dal sacerdote Goffredo da Bussero nel suo prezioso "Liber Sanctorun Mediolani" dove, nell'elenco delle chiese della diocesi milanese, si legge:

“Sanctus alexander martir habet ecclesias...in loco robiate plebis de brivio " “In plebe brivio..Robiate ecclesia sancte marie”
La chiesa di S.Maria altro non era che l'attuale parrocchiale di Paderno, dedicata appunto a S.Maria Assunta, da sempre giacente in territorio di Robbiate. In quei tempi S.Alessandro era solo un piccolo oratorio campestre, in cui le sacre funzioni erano officiate saltuariamente da un cappellano inviato dalla chiesa plebana di Brivio.
La messa festiva e gli altri riti principali si celebravano nella chiesa di S.Maria Assunta, data la sua ubicazione equidistante dai due villaggi di Robbiate e Paderno.
Nell'interno del piccolo oratorio, oltre all'altare maggiore, dedicato allora alla natività della Madonna, erano collocati, lungo le fiancate dell'unica navata, due altari: uno, a destra entrando, dedicato a S.Alessandro, l'altro a sinistra, dedicato a S. Giovanni Battista.
Si presume che tra il XIV e il XV secolo, sia stata fondata la "Scuola di S.Maria della Rosa": sarà su questa congregazione che si snoderanno, attraversò i secoli, le varie vicende che caratterizzeranno la vita parrocchiale del nostro paese.
Con gli introiti delle abbondanti elemosine che godeva all'inizio la suddetta scuola, tra la fine del quattrocento e gli inizi del cinquecento, fu eretta nella chiesa la prima cappella laterale, dedicata appunto a S.Maria della Rosa, appellata in seguito "del Rosario" (odierna cappella della Madonna).
Sempre con il ricavato delle elemosine, la Confraternita poté pure mantenere un cappellano fisso, al quale erano corrisposte 80 lire l'anno, con l'obbligo della celebrazione della messa festiva e di quattro feriali.

CROCE ASTILE


PARTICOLARE DELL'ANTICA ISCRIZIONE

Nel 1519 gli "Scolari della Rosa" fecero costruire da un certo Messer Francesco da ... (un foro nel manoscritto impedisce di conoscere la provenienza del valente artista) una bellissima croce astile in ottone dorato e argentato lavorato a mosaico, che si conserva ancor oggi, sulla quale è impressa la seguente iscrizione:

"Questa Croce è delli Scolari della Rosa. In Robià die 25 novembre".
Nel contempo, con le rendite di livelli, legati e vari beni pervenuti alla Scuola, si iniziarono le prime opere di ampliamento della chiesa:
si alzò il tetto sorretto da capriate lignee, si allungò l'edificio dalla parte absidale, si abbellì la Cappella del Rosario e, nel 1556, fu terminata l'icona con la statua della Madonna (2), pregevole opera di legno intagliato di autore ignoto, che fu collocata da principio su due mensole di pietra dietro l'altare maggiore.
CAPPELLA DELLA MADONNA

E' da precisare che allora l'altare maggiore era composto da una semplice mensa lìgnea, senza tabernacolo, e non veniva perciò a precludere l'immagine della Madonna, che troneggiava così su tutta la navata della chiesa.

ANTICO MANOSCRITTO CON LA DESCRIZIONE DELA CHIESA



MANOSCRITTO RIPORTANTE LA DATA DELLA
SCULTURA DELLA STATUA DELLA MADONNA

Nel 1570, un anno prima dell'erezione della nostra parrocchia, la Scuola della Rosa possedeva, oltre a numerosi livelli e legati, i seguenti beni, tutti nel territorio di Robbiate:

11 p.m.. di ronco detto il Monterobbio
15 p.m. di campo vitato detto il Novello di Sopra.
15 p.m. di campo vitato detto il Novello di Sotto.
12 p.m. di campo vitato detto la Foppa delle Brugne.
2 p.m. di campo vitato detto il Chioso,
14 p.m. di bosco detto il Bosco della Rosa.

Nello stesso anno, il Cancelliere Arcivescovile Antonio Bellino fece un'ispezione alla Pieve di Brivio, e giunto a Robbiate non mancò di biasimare il comportamento scorretto di Ambrogio Ajroldi, chierico e cappellano titolare del Beneficio di S.Giovanni Battista di "jus patronato" della stessa famiglia Ajroldi (3).
Ecco dunque gli ordini del Cancelliere:

"Ambrosio Ajroldo vada fra quattro mesi ad habitare nella casa della sua cappella: sotto pena de 50 scudi...nei quali casi non tenga donne a sua servitio, ne admitta in casa sorelli, ne parenti, sotto pena ad arbitrio nostro. Vada di continuo in habito lungo et porti la chierica, aiuti alli vesperi et divini officii ... non pratichi ne conversi in modo alcuno con la Chaterina, moglie di Dionisio di Robiate, ne con la Donnetta ... Non vada a pescare ne alla caccia, ne si dia ad altro esercitio indicenti all'habito che tiene, ne tenghi in casa sua reti, ne altri instrumenti per andare a quaglie ... "

La trascrizione di questo documento è solo un piccolo esempio di quel grave decadimento di fede, di costumi e di disciplina in cui giacevano le istituzioni ecclesiastiche in quel tempo. Sarà allora l’opera di S. Carlo a rimettere ordine e decoro al clero secolare attraverso le visite pastorali, con regole precise e severe. Questi richiami ad una miglior condotta, ricadevano indistintamente anche sui nobili e contadini, colpevoli pure loro di un comportamento dissoluto.

Maria Fresoli, dicembre 2003



NOTE
(1) Piero Bargellini: “I Santi del giorno” pag. 477-478.
(2) L'effigie della Vergine è la stessa che tuttora si trova sull'altare della Cappella della Madonna.
(3) Questo beneficio, sotto il titolo di S.Giovanni Battista, quale patrono della famiglia Ajroldi, fu istituito nel 1400 da un membro della famiglia tessa. Tale beneficio, che consisteva in cospicui beni, serviva a mantenere stabilmente un cappellano col compito di officiare all'altare di detto Santo. Per quest’istituzione le autorità ecclesiastiche concessero agli Ajroldi e loro eredi lo "jus patronato": cioè il diritto di nominare il titolare del beneficio. Affinché il ricavato dei cospicui beni rimanesse in famiglia, gli Ajroldi si premuravano di avviare, di volta in volta, un loro erede alla carriera ecclesiastica a ricoprire il ruolo di cappellano titolare.


Questo testo è tratto da un libretto scritto da Maria Fresoli ed edito dalla parrocchia di Robbiate nel 2003. Qui sotto il frontespizio del volume e l'introduzione dell'autrice.


INTRODUZIONE
Questa raccolta di notizie, si propone di ricostruire, o meglio tentare di ricostruire una “piccola storia”, all’interno di quella che fu la più ampia storia della Brianza, riportando i fatti e gli avvenimenti, attinti da vari archivi e riproposti in buona parte in forma originale e in ordine cronologico, che hanno caratterizzato il percorso millenario della nostra Comunità.
Come si potrà riscontrare, durante la lettura, la piccola storia si basa principalmente su notizie di cronaca che offrono la possibilità di fare un viaggio, attraverso i secoli, offrendo l’opportunità di scoprire l’essenza delle origini, delle vicende, degli usi e della fede del nostro popolo.
Nella parte iniziale troviamo il percorso religioso della prima comunità cristiana, ricostruito a grandi linee, da notizie ricavate da antichi documenti e da noti e famosi storici della Brianza, facendosi poi più dettagliato dopo l’erezione della nostra parrocchia, grazie allo straordinario materiale custodito nell’Archivio Parrocchiale e, a tal proposito, si ringrazia la squisita disponibilità alla consultazione da parte del Parroco Don Eugenio.
La seconda parte è in prevalenza una raccolta di fatti di cronaca, attinta in gran parte da notizie d’archivio e riportate fedelmente, che offre uno spaccato di ciò che ha caratterizzato questo cammino millenario, concludendosi agli albori del XX secolo.
Consci dell’incompiutezza di quest’opera, che avrebbe voluto estendersi oltre, ma l’impossibilità, per motivi tecnici, di consultare l’Archivio Comunale, lascia aperto l’argomento a chi, con più fortuna e passione, voglia riprendere, aggiornare e completare questo m od e s to l av o ro .

Robbiate, dicembre 2003



giovedì 11 marzo 2010

CONSIDERAZIONI SULLA POTATURA DEGLI ALBERI di Giorgio Buizza



Questo testo è tratto da una lettera che il dott. Giorgio Buizza, agronomo, ha inviato alle autorità locali di Lecco per invitarle a riflettere sull'opportunità delle pesanti potature che periodicamente vengono effettuate sugli alberi della città.
Il tema non riguarda solo Lecco: le foto che corredano l'articolo sono state scattate a Verderio Superiore il 25 febbraio scorso ma di simili se ne potrebbero scattare in quasi tutti i paesi della Brianza e non solo.
L'idea che le potature siano utili agli alberi è assai radicata e difficile da scalfire. Come la "purghetta", che chi la prende regolarmente da una vita pensando che serva a purificare l'intestino continuerà a farlo nonostante le controindicazioni e i consigli in senso opposto, così le potature continueranno a essere effettuate nella convinzione che gli alberi ne escano ogni volta rinforzati. M.B.





Lecco, 26 febbraio 2010

Anche quest'anno sono iniziati i lavori di manutenzione straordinaria del verde cittadino, si cominciano a vedere alberi potati nell'area del monumento ai Caduti, da lì si procede a tamburo battente verso il centro città e vedremo fin dove si arriverà.
La domanda è la solita.
Perché si potano i platani in questo modo? Perché si spendono soldi pubblici inutilmente e, se si considera l'interesse generale, con effetti controproducenti.
Cerco di spiegare perché.



In un momento di generale sofferenza per le condizioni ambientali gravate da smog, polveri sottili, aria irrespirabile, blocchi del traffico ecc. il Comune riduce le ampie chiome degli alberi a moncherini privi di foglie e di gemme. Le chiome degli alberi, soprattutto le chiome dei grandi alberi, sono produttori di ossigeno; le foglie catturano anidride carbonica e rilasciano ossigeno; gli alberi con le fronde sono gli unici viventi in grado di svolgere questo compito con beneficio generale di salubrità dell'aria, di riduzione della CO2, di abbattimento delle polveri Il tutto, si noti bene, a costo zero, perché questa operazione gli alberi sono in grado di farla in piena autonomia, senza alcun "aiutino" da parte degli umani. Ma oltre a questo beneficio se ne possono ricordare altri: produzione di ombra durante la stagione calda, equilibrio dell'umidità atmosferica grazie alla traspirazione, accumulo di biomassa a partire dalla cattura di CO2 dall'aria. Continuare ad elencare benefici sarebbe noioso, ma forse è il caso di ricordarlo nuovamente, viste le continue "emergenze da smog".



Passiamo ora ai danni effettivi e potenziali di potature malfatte ed inutili.
La potatura è giustificata per ragioni di sicurezza stradale infatti alcuni rami sono cresciuti verso la sede stradale; in altri casi i rami si protendono verso le finestre delle abitazioni e tolgono luce agli ambienti domestici, in altri casi si devono rimuovere rami pericolanti rimasti appesi o rami secchi. Queste sono le operazioni che giustificano la potatura. Potare non significa necessariamente azzerare le chiome come si sta facendo sulle alberate di Lecco.
La riduzione indiscriminata e completa di tutta la chioma su filari di platani che non possono creare danni a chicchessia (lontano dalle strade, lontano dalle abitazioni, lontano dai fili della luce, ecc.) e che, per di più, fanno paesaggio per la loro posizione, non hanno altro risultato che indebolire il sistema di difesa naturale degli alberi, aprendo ferite da taglio da cui poi entreranno funghi e parassiti varii.



Ricordo per inciso che le potature dei platani eseguite a Lecco lungo l'asse viario Valsugana, Montegrappa, Tonale hanno provocato la morte e la scomparsa di oltre il 50% degli alberi esistenti fino agli inizi degli anni 90 su quelle strade.
Ciò che più indispone è la contraddizione tra l'affannosa e conclamata ricerca di miglioramenti delle condizioni dell'aria e il persistere nel tagliare (inutilmente e senza giustificazione) fronde e
chiome con il risultato di far ritardare l'emissione delle foglie e di produrre chiome molto, molto più piccole che quindi svolgeranno la loro funzione in modo ridotto rispetto alla chioma dello stesso albero non potato. E, viste le ristrettezze di bilancio che consiglierebbero di ridurre le spese all'essenziale, tutta questa operazione (inutile, dispendiosa e senza giustificazione) noi cittadini, tramite il nostro Comune, la paghiamo anche!!



Se si lascia il calorifero acceso sotto la finestra aperta, si sperpera energia, si buttano risorse da quella finestra aperta; analogamente se si lascia il motore acceso durante una sosta. Ma tutti coloro che invocano la salubrità dell'aria e si lamentano del blocco del traffico non capiscono che un contributo fondamentale alla salute delle città deriva anche dal numero di alberi, dalle loro dimensioni, dalla quantità delle aree verdi, dalla buona salute delle chiome e dal numero delle foglie che, nel loro complesso restituiscono ossigeno e qualità della vita alla città?
Da molti anni si invoca per la città una migliore gestione del verde pubblico. Non si sono visti miglioramenti, ma soprattutto pare che taluni lavori, costosi per le casse comunali, siano fatti sena competenza, senza motivazioni o con motivazioni sbagliate.


Dott. Agr. Giorgio Buizza
Presidente Ordine dott. Agronomi e Dott. Forestali
di Como, Lecco e Sondrio


mercoledì 10 marzo 2010

UN LIBRO PER I 150 ANNI DELL'UNITA' D'ITALIA CON DOCUMENTI PROVENIENTI DALLA COLLEZIONE DI FRANCESCO GNECCHI RUSCONE di Beniamino Colnaghi



"Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861".



Sono le parole che si possono leggere nel documento della legge n. 4671 del Regno di Sardegna e valgono come proclamazione ufficiale del Regno d'Italia, che fa seguito alla seduta del 14 marzo 1861 del parlamento, nella quale è stato votato il relativo disegno di legge. E il 21 aprile 1861 quella legge diventa la n. 1 del Regno d'Italia. In circa due anni, dalla primavera del 1859 alla primavera del 1861, nacque, da un'Italia divisa in sette Stati, il nuovo regno: un percorso che parte dalla vittoria militare degli eserciti franco-piemontesi nel 1859 e dal contemporaneo progressivo sfaldarsi dei vari Stati italiani che avevano legato la loro sorte alla presenza dell'Austria nella penisola e si conclude con la proclamazione di Vittorio Emanuele II re d'Italia.
In occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, lo Stato italiano, per ricordare l'evento, ha in programma diverse celebrazioni e un programma di iniziative che si svolgeranno su tutto il territorio nazionale.



Un importante iniziativa editoriale riguarda la pubblicazione del volume "L'UNITA' D'ITALIA - 1861- 2011 - 150° ANNIVERSARIO" promossa da Collezioni Numismatiche, che raccoglie documenti inediti, immagini, incisioni che provengono da diverse collezioni, fra cui quella di Francesco Gnecchi Ruscone. L'opera intende offrire un importante contributo di divulgazione storica e di educazione civile in virtù del notevole interesse dei documenti che sono in esso presentati, dell'alto valore scientifico degli scritti pubblicati e dell'ottimo pregio editoriale che lo caratterizza.



I motivi che mi hanno indotto a porre questa iniziativa all'attenzione dei lettori di questo blog sono sostanzialmente due: in primo luogo perché ritengo che l'Unificazione d'Italia, insieme alla Resistenza ed alla Carta Costituzionale, sia stata, seppur fra mille difficoltà, boicottaggi, sommosse ed errori, uno tra gli eventi più significativi che hanno portato alla costruzione del nostro stato democratico, secondo perché il volume sopraccennato contiene preziosi documenti tratti dalla collezione di Francesco Gnecchi Ruscone, che trascorse alcuni periodi della sua vita nella villa di famiglia a Verderio.



Chi era Francesco Gnecchi? La nota biografica che accompagna questo articolo, inserita nell'opera soprarichiamata, descrive bene la sua figura e le sue opere. A me preme solo aggiungere che Francesco Gnecchi ha scritto un pezzo pregevole della storia di Verderio Superiore, perché fu sindaco a partire dal 1893 e fu colui che realizzò e donò, alla comunità locale, alcune fra le opere più belle e interessanti del nostro Comune: il palazzo municipale, l'asilo Giuseppina Gnecchi, il cimitero e la chiesa parrocchiale, la fonte Regina.
Morì a Roma nel 1919 e la salma fu tumulata nella cappella di famiglia presso il cimitero di Verderio Superiore.

Beniamino Colnaghi


Le prime due immagini di questo articolo sono "figurine"di una collezione edita nel 1961 in occasione del centenario dell'Unità d'Italia dalla casa editrice B.E.A.
M.B.

FRANCESCO GNECCHI RUSCONE, NOTA BIOGRAFICA


Questi brani sono tratti dal volume "L'UNITA' D'ITALIA - 1861- 2011 - 150° ANNIVERSARIO" edizione a cura di Collezioni Numismatiche.



LA COLLEZIONE RISORGIMENTALE
DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE

Privati e Istituzioni per il Recupero di un Tesoro
A testimoniare in modo vivissimo i fatti e i protagonisti del Risorgimento, fino all'Unità d'Italia sono stati scelti i documenti tratti dalla collezione Gnecchi Ruscone, conservata dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: immagini e articoli provenienti da giornali, dispacci, agenzie e altri materiali a stampa degli anni compresi fra il 1848 e il 1870. Un corpus raro, di notevolissimo interesse, fino ad oggi non divulgato organicamente, raccolto da Francesco Gnecchi Ruscone (Milano 1847 - Roma 1919), interprete esemplare del collezionismo colto ed eclettico che caratterizzò la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.




NOTE BIOGRAFICHE SU FRANCESCO GNECCHI RUSCONE

Industriale, politico, storico, artista di vecchia famiglia milanese, Francesco Gnecchi Ruscone raccolse e ordinò questa poderosa messe documentale partendo da un primo nucleo avviato dal figlio Cesare, allora diciassettenne. Affrontò l'impegno con slancio e costanza, metodo e grandissima passione, mettendo a frutto un diffuso sistema di relazioni che lo portava a reperire materiali in tutta Italia e principalmente nel Settentrione. Giornali conservati integralmente, numeri unici, edizioni speciali, compongono così una straordinaria testimonianza della storia attraverso gli occhi della stampa, grazie all'opera di questo collezionista dalla personalità vivace e aperta, curiosa, impegnata, attentissima al mondo in cui viveva. Francesco Gnecchi Ruscone aveva passione per le arti e varie forme di collezionismo che coltivò con sensibilità e profonda cultura.
Nel 1866 fu volontario nella III Guerra d'Indipendenza. Nel 1892 Consigliere del Comune di Milano. Dal 1893 al 1919 Sindaco di Verderio Superiore, Comune cui donò gli edifici del Municipio e della scuola, l'acquedotto e la chiesa parrocchiale. Consigliere d'amministrazione di: Lanificio Rossi, Società Ferroviaria Milano-Seregno; Società telefonica lombarda; Edison italiana; Assicurazioni di Milano; Società anonima fabbrica lombarda di prodotti chimici di Luigi Erba; Ricordi. Presidente della Filati Cucirini e di Società per la Filatura di Cascami di Seta. I suoi studi di numismatica lo portarono a divenire socio onorario delle Società Numismatiche di Gran Bretagna, Svizzera e Belgio, nonché fondatore della Società Numismatica Italiana e di Rivista Numismatica e membro della Commissione monetaria del Ministero del Tesoro dal 1904 al 1912.
Fu autore di numerose opere di numismatica e la sua prestigiosa collezione oggi arricchisce il Medagliere del Museo Nazionale Romano.
Fu anche pittore, allievo di buoni Maestri e partecipò all'Esposizione nazionale del 1881, alla Mostra di Palermo del 1884, alla Permanente di Milano del 1886, a varie altre mostre in Italia e all'estero. Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia.


martedì 9 marzo 2010

IL BACO DA SETA O "CAVALEE" di Anselmo Brambilla - terza e ultima parte




Chiaramente più legati alla matrice superstiziosa la serie di indicazioni seguenti anche se non mancano intrecci con credenze religiose :

* I primi pasti dei cavalee dovevano essere somministrati da giovine e polita donzella vergine naturalmente la foglia doveva essere benedetta.

* Non si doveva bruciare legno di gelso durante l'allevamento.

* Bisognava tenere un ramo di noce nei locali usati per allevare i bachi per evitare ul maa del gës.

* Il primo giorno quando si iniziava l'allevamento si doveva bruciare un residuo del ceppo natalizio conservato.



* Non si deve far la muda il giorno dell'Ascensione.

* Non bisogna mai affermare che i bachi sono belli in loro presenza.

* In caso di malattie bruciare zolfo e un ramoscello d'ulivo.

* E' importante tenere un ramoscello di ulivo benedetto o il rosario e un lumino acceso davanti all'immagine di San Giobbe protettore dei cavalee.

* Non dire mai ai bigatti che sono bisce o serpi.

* Tenere lontani tamburi, trombe e corni.

* Non lasciare entrare nei locali persone che avessero mangiato aglio, porri o cipolle.

* Non fare entrare gente, donne o uomini, con voce roca, faccia triste o vecchia e occhio alle streghe, potrebbe tali persone fare ai miserelli qualche incanto.

* Si favorisca l'entrata nei locali a persone giovani, belli e possibilmente con voce soave per cantare amorose canzoni ai bigatti.

* La rovina sarà certa anche se non si rispetteranno i riposi festivi.

* Il raccolto non potrà che essere ottimo se il capo famiglia, al tocco della mezzanotte di Natale, si alza e bagna con acqua benedetta i graticci su cui mesi dopo saranno posti i bachi.

Altre superstiziose credenze erano operate nei confronti di chi si occupava di far schiudere le uova, come già detto il seme era posto in luogo caldo, nelle stalle, sotto il materasso e anche fra i seni delle donne, ovviamente queste non dovevano essere ne mestruate né in fase d'allattamento altrimenti sarebbe finita male, chi invece lo teneva sotto il materasso doveva rifare il letto solo di sera prima di coricarsi e via di seguito.



Scientificamente si riteneva pessima la raccolta dei bozzoli prodotti dai semi incubati con questi mezzi empirici, queste forme d'incubazione furono utilizzate per lungo tempo specialmente dai meno abbienti.

La presenza di una forte componente di superstizione nella cultura e nell'anima del contadino Brianzolo, era conseguente anche alla soffocante religiosità formale imposta dall'ottusità del clero del tempo.
La presenza in tutti gli atti quotidiani di un Dio castigatore in costante attesa del peccatore da punire, le prediche e i sermoni sempre pieni di inferni e castighi per i poveri e di tolleranza e perdono per lor signori, obbligavano la gente per sopravvivere ad assumere una religiosità di facciata, legata fatalisticamente all'impotenza di cambiare il loro drammatico destino terreno.

Inutile prendersela tanto per migliorare le cose terrene, era risaputo che solo quando passava a miglior vita il povero avrebbe avuto il premio, il Paradiso era ad attenderlo quindi era inutile cercarsi delle risposte sul perché mangiava poco, lavorava tanto, era sfruttato, umiliato etc, alla fine, dopo aver tirato le cuoia in Paradiso si fara quattro risate di queste cose terrene.


Cosi dicevano ai contadini i solerti imbonitori dispensatori d'amore, aggiungendo che mentre il povero immancabilmente riceveva il premio, il ricco, gozzovigliatore, lazzarone, sfruttatore e chi più ne ha più ne metta, sarebbe precipitato all'inferno fra le braccia de Satanel a bruciare in eterno.
Semprechè il riccastro al momento del trapasso non si fosse pentito delle sue malefatte (donando beni alla Chiesa) in tal caso è amnistiato e va anche lui in Paradiso, con gran gioia del nostro contadino che se lo ritrova fra i piedi.

La limitata istruzione che in alcuni casi era data ai contadini, era costantemente osteggiata dai ricchi possidenti, per ovvi motivi, i quali coadiuvati brillantemente dai preti fomentavano accuratamente pregiudizi popolari verso la cultura, indicata, quando si doveva darla al popolo, come elemento di confusione e depravazione sociale.


Vorrei chiudere questa non esaustiva nota sul baco da seta con una canzone, niente di straordinario ve ne sono diverse sul tema, ma questa è espressiva dell'importanza che aveva, nella magra economia della famiglia del contadino Brianzolo l'allevamento del baco, quasi unico mezzo per avere un po' di denaro contante quando andavano bene e del dramma che ne conseguiva quando andavano male.

O sciur padron i cavalee van maa
o sciur padron i cavalee van maa
furment e furmenton
ghe pasarò l'anada senza pagò ul padron
o paison fem scioper fem scioper e burdej
ghe pasarò l'anada sensa ciapò cinc ghei
o paison fem scioper fem scioper e burdej
furment e furmenton
e ul padron el pagarem con la ronza e ul furcon.

(O Signor padrone i bachi vanno male/o Signor padrone i bachi vanno male/frumento e granoturco/passerà l'anno senza pagare il padrone/o contadini facciamo sciopero facciamo chiasso e sciopero/passerà l'anno senza prendere cinque centesimi/o contadini facciamo sciopero facciamo chiasso e sciopero/frumento e granoturco/il padrone lo pagheremo con la falce e il tridente).

Sciur Fatur - Specie di borioso scagnozzo che sovrintendeva agli interessi del Padrone (oltre che dei propri) vessando in sua vece i contadini quando questi era in altre faccende affaccendato, scelto dal padrone fra i suoi sottoposti più fedeli era l'intermediario fra ul sciur e la culumbera, cosi si definiva l'insieme dei contadini di un proprietario terriero Brianzolo.

FONTI

Cherubini F., Superstizioni popolari dell'alto Contado Milanese Rivista Europea, Agosto 1847;

Giovanni Cantoni, "Sulle condizioni economico-morali del contadino in Lombardia, Italia del Popolo, Milano 1848.
"
Il Lavoratore Comasco", 8 ottobre 1892, 1893, 1894, 1895

"Atti del Congresso serico", Padova, 1923

Anselmo Brambilla, 15 marzo 2009