Questo è il discorso che il sindaco di Verderio, Alessandro Origo, ha pronunciato presso il monumento ai caduti di piazza Annoni, il 25 aprile 2016, anniversario della Liberazione. M.B.
Siamo qui oggi a ricordare il 73° anniversario dell’inizio e il 71° anniversario della fine della Lotta di Liberazione per un doveroso omaggio a tutti coloro che lottarono per garantire a noi la libertà, evidenziando che la lotta della Resistenza non fu solo lotta contro il regime nazifascista ma una lotta per la libertà, per la legalità e per la democrazia.
Con la festa della Liberazione si celebra la fine del regime fascista, dell’occupazione nazista in Italia e la fine della Seconda guerra mondiale, simbolicamente indicata al 25 aprile 1945 perché fu il giorno della liberazione da parte dei partigiani delle città di Milano e Torino, anche se la guerra continuò per qualche giorno ancora, fino ai primi giorni di maggio.
A guerra conclusa, un decreto legislativo del governo italiano provvisorio, datato 22 aprile 1946, dichiarò “festa nazionale” il 25 aprile, limitatamente all’anno 1946. Fu allora che, per la prima volta, si decise convenzionalmente di fissare la data della Liberazione al 25 aprile.
La scelta venne fissata in modo definitivo con la Legge 27 maggio 1949 n. 260, presentata da Alcide De Gasperi in Senato nel settembre 1948, che stabilì che il 25 aprile sarebbe stato un giorno festivo, in quanto “anniversario della liberazione”.
E’ una data questa che segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale e civile, impegnata nella riscossa contro gli invasori e nel riscatto morale dal baratro in cui era sprofondata negli ultimi anni del regime.
Non fu una guerra civile come qualcuno oggi sostiene, fu piuttosto uno scontro tra i sostenitori della libertà e della giustizia sociale contro i seguaci del regime nazifascista, responsabile di quel disastro.
Se di “guerra civile” si vuole parlare, la si deve intendere come guerra “per la civiltà”, una guerra democratica perché democratico era il suo fine ultimo, l’abbattimento di una dittatura e la nascita di una nuova Italia, fondata sulla partecipazione popolare.
Condivido pienamente quanto detto un anno fa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che di seguito riporto:
“Il 25 aprile celebriamo un sentimento di libertà che è diventato pietra angolare della nostra storia e della nostra identità. Dopo gli anni della dittatura, l'Italia è riuscita a riscattarsi, unendosi alle forze che in Europa si sono battute contro il nazifascismo, anticipazione del percorso che avrebbe portato poi all'avvio del progetto europeo e che noi siamo chiamati ancora a sviluppare.
Perché la democrazia, al pari della libertà, non è mai conquistata una volta per tutte. E' un patrimonio che ci è stato consegnato e che, nel volgere di mutamenti epocali, dobbiamo essere capaci di trasmettere alle generazioni future.
La cultura, l'intelligenza, la coscienza civile sono parti essenziali di una società viva, proprio perché sostengono quello spirito critico che è condizione dello sviluppo, della tolleranza, e dunque della tenuta dello stesso ordinamento democratico.
Tante cose sono cambiate da quegli anni. Eppure misurarsi con i valori di libertà, di pace, di solidarietà, di giustizia, che animarono la rivolta morale del nostro popolo contro gli orrori della guerra, contro le violenze disumane del nazifascismo, contro l'oppressione di un sistema autoritario, non è esercizio da affidare saltuariamente alla memoria. Stiamo parlando del fondamento etico della nostra nazione, che deve restare un riferimento costante sia dell'azione dei pubblici poteri sia del necessario confronto nella società per affrontare al meglio le novità che la storia ci pone davanti. Non c'è nulla di retorico nel cercare una sintonia con la felicità e i sentimenti dei nostri padri, o dei nostri nonni, nei giorni in cui conquistavano una libertà costata sangue, sacrifici, paure, eroismi, lutti, laceranti conflitti personali. E' la festa della libertà di tutti.
Una festa di speranza ancor più per i giovani: battersi per un mondo migliore è possibile e giusto, non è vero che siamo imprigionati in un presente irriformabile.
La democrazia è proprio questo: l'opportunità di essere protagonisti, insieme agli altri, del nostro domani.
Per costruire solidamente, le radici devono essere ben piantate in quei principi di rispetto verso le libertà altrui, di rifiuto della sopraffazione e della violenza, di uguaglianza tra le persone, che proprio le donne e gli uomini della Resistenza e della Liberazione indussero a iscrivere nella Costituzione repubblicana.
Ricordando quei giorni, è giusto avere pietà per i morti, rispetto dovuto a quanti hanno combattuto in coerenza con i propri convincimenti: sono sentimenti che, proprio perché nobili, non devono portare a confondere le cause, né a cristallizzare le divisioni di allora tra gli italiani.
Fare memoria in un popolo vuol dire anche crescere insieme. E la nostra storia democratica ci ha aiutato a crescere. Oggi possiamo riconoscere che nella lotta partigiana vi furono, accanto ai tanti eroismi personali e ai tanti straordinari atti di generosità, anche alcuni gravi episodi di violenza e colpevoli reticenze. Questo non muta affatto il giudizio storico sulle forze che consentirono al Paese di riconquistare la sua indipendenza e la sua dignità.
L'antifascismo fu e resta elemento costituivo dell'alleanza popolare per la libertà e quindi dell'Italia repubblicana. L'antifascismo non è stato solo l'esito politico di un conflitto interno, quanto la chiave di apertura della nuova Italia, uscita dalla guerra e dalla dittatura, alla dimensione europea e mondiale”
CONSIDERAZIONI SUL DOPO 25 APRILE 1945
Dalla fine della guerra di Liberazione ebbe anche inizio la lunga corsa verso la crescita e lo sviluppo, non solo dell’Italia, ma di tutte le nazioni uscite dagli orrori del secondo conflitto mondiale.
C’era da ricostruire tutto, c’era da consolidare un nuovo ordine politico planetario, c’erano da definire nuove regole per gli scambi tra le nazioni, per lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse, per la costruzione di un mondo finalmente orientato a conseguire una pace stabile e duratura.
E questa corsa è stata davvero tumultuosa, densa di avvenimenti, che hanno portato l’intero pianeta molto più avanti, in tutti i sensi.
Oggi il mondo è più ricco di allora: la scienza, la tecnologia e tutto lo scibile umano hanno fatto passi da gigante, realizzando negli ultimi settant’anni più di quanto l’umanità sia stata in grado di fare in tutta la sua storia precedente, disegnando un’iperbole spettacolare di cui tutti noi siamo stati fortunati testimoni. Un progresso senza precedenti, che ha migliorato le nostre vite come mai prima, aumentando le risorse a disposizione in ogni settore.
Per decenni abbiamo vissuto in un mondo che continuava a crescere in un modo che sembrava inevitabile, come fosse una legge di natura, almeno per noi che di questa crescita abbiamo, anche se in misura diversa, beneficiato.
Però, se proviamo a guardare a questo periodo da una prospettiva diversa, vediamo che non tutto è così limpido e positivo. Vediamo che, mentre l’occidente è cresciuto, ampie zone del pianeta sono rimaste indietro, sia socialmente che economicamente. Vediamo che in molte aree la guerra non è mai finita, che le
popolazioni non hanno mai conosciuto momenti di tranquillità e continuano ancora oggi a vivere nel terrore e nella disperazione. Vediamo che le risorse del pianeta non sono state utilizzate nel modo più saggio e non sono state distribuite equamente. Vediamo che una piccola minoranza della popolazione, di cui noi facciamo parte, consuma la maggior parte delle risorse, mentre la stragrande maggioranza continua a vivere con poco o niente.
Inoltre, proprio in questi ultimi tempi, come stiamo imparando anche sulla nostra pelle, la crisi che da ormai otto anni imperversa in tutto il mondo industrializzato ci appare sempre di più come un fatto del tutto nuovo, che non si era mai verificato prima e che quindi nessuno è in grado di interpretare e di affrontare correttamente.
La situazione in cui ci troviamo non è una semplice crisi economica. Quello che è accaduto con il tracollo finanziario del 2008 e tutto ciò che ne è seguito è una vera e propria crisi dell’intero sistema.
E’ entrato in crisi il modello economico e finanziario su cui è stato costruito il mondo che conosciamo; il modello su cui è basato il capitalismo moderno non è più in grado di consentire che una piccola parte di mondo, la nostra, continui a consumare più di quello che produce, mentre il resto del pianeta vive nella povertà.
Oggi noi avvertiamo sempre più forte su di noi il morso di questa crisi, con il lavoro che è sempre di meno mentre aumentano le persone che il lavoro lo hanno perso e non riescono più a ritrovarlo, fino a perdere la stima in sé stessi nel momento in cui non riescono più a provvedere alle esigenze della loro famiglia.
E’ un momento molto difficile, e lo stiamo vivendo senza avere davanti una prospettiva di riscatto, un sogno da coltivare, una speranza in cui credere.
Il governo e la politica tutta sono talmente concentrati sui problemi quotidiani da non riuscire neppure a trasmettere un’immagine di prospettiva, una luce da guardare in lontananza, e questo è forse più difficile da sopportare, oltre ogni difficoltà materiale.
Quel giorno di tanti anni fa, quando la nazione proclamò la Liberazione dall’incubo nazifascista, i nostri padri stavano molto peggio di come stiamo noi oggi. Ma loro avevano in testa la visione di un mondo nuovo, di un mondo più giusto, dove ciascuno potesse esercitare il proprio diritto ad avere una vita serena, a crescere i propri figli e a migliorare con il lavoro la propria condizione sociale.
I nostri padri hanno vissuto sostenuti da questa visione e hanno lavorato per realizzarla. Oggi quella spinta ideale si è perduta, e tocca a noi di trovarne una nuova.
Questo è il compito di chi oggi ha responsabilità di governo: che non è solo quello di riparare i guasti della crisi e riportare in carreggiata l’economia ma, soprattutto, di dare una nuova prospettiva al futuro della nazione, costruire insieme agli altri paesi un nuovo modello di sviluppo equo e solidale, un modello economico che vada oltre la sterilità dei numeri per affermare la centralità dell’uomo.
Un modello a cui tutti possiamo guardare come all’obiettivo comune da raggiungere.
La nostra luce in fondo al tunnel deve essere riconoscibile e condivisa: un mondo dove tutti possono contribuire alla crescita, dove ciascuno può avere secondo i propri meriti, ma anche proporzionalmente ai propri bisogni, e dove tutti contribuiscono alle esigenze della comunità in ragione delle proprie possibilità.
Un mondo che sa utilizzare le risorse disponibili senza sprecarle e che le sa distribuire equamente e con parsimonia.
Un mondo in cui ogni comunità di persone come la nostra, costruisce il proprio futuro traendo insegnamento dal passato, rispettando e salvaguardando l’ambiente in cui vive, valorizzando le cose che ha e costruendo su di esse un futuro sostenibile.
Forse questi sono solo sogni visionari in un mattino di primavera, ma noi oggi non saremmo qui se quel giorno di 71 anni fa i nostri padri non avessero avuto in testa il sogno di un mondo nuovo.
E allora dobbiamo rimboccarci le maniche e affrontare le difficoltà a viso aperto, ma soprattutto costruiamo insieme il sogno per il futuro nostro e delle generazioni che verranno.
RIFLESSIONI SU VALORI, SACRIFICIO, LEGAME TRA POLITICA E MORALITA', TRA STATO E INTERESSE DEL POPOLO
Per rinnovare il legame, anzi, la simbiosi tra italianità, nazione e unità, dobbiamo allora tornare a promuovere i valori e sostenere le aspirazioni che animarono gli uomini che 71 anni fa contribuirono a rifondare lo spirito democratico del Paese, recuperando il significato morale del fare politica, ripartendo da un nuovo inizio, sulla strada che porta a costruire quello Stato di cittadini liberi ed uguali, desiderato, immaginato ed infine realizzato dai tanti che si impegnarono e si sacrificarono per la Patria.
A loro va dunque oggi il nostro pensiero, carico di ammirazione e riconoscenza.
Possiamo dire che ciò che contraddistingue il sacrificio è la sua gratuità. E’ trascurare le conseguenze personali delle proprie scelte, se queste scelte sono ispirate a valori che si ritengono superiori perché appartengono a tutti ed a tutti devono essere garantiti come diritti.
Basterebbe considerare la grandezza e la nobiltà di questo sacrificio per comprendere il significato fondamentale della Liberazione e affrancare la sua celebrazione dal rischio di ridursi a una circostanza scontata, inespressiva, per alcuni (purtroppo non pochi) persino fastidiosa ed imbarazzante.
Cosa dire, allora, quali parole usare per far comprendere alle persone della mia generazione e di quelle successive perché è importante celebrare il 25 Aprile, perché questa data è viva nel presente e ricordarla non è solo un obbligo da assolvere.
Nella storia dell’umanità, il sacrificio ha uno straordinario valore di rinnovamento ed ogni volta che si compie ha il significato di una rivoluzione morale, perché all’apparenza è contro ogni ragione.
Cesare Beccaria scriveva nella sua celebre opera “Dei delitti e delle pene”.
“Nessun uomo ha fatto il dono gratuito della propria libertà in vista del bene pubblico. Questa chimera non esiste che nei romanzi”.
Invece no! La Resistenza e la guerra di Liberazione sono stati la dimostrazione che uomini e donne possono superare il pessimismo ed il cinismo della ragione che si fa rassegnazione, se si sentono chiamati a battersi per il bene sociale, se partecipano con passione, se credono in una giustizia che regola la convivenza, garantendo dignità della persona, uguaglianza e rispetto della libertà.
La Resistenza non è stata un romanzo. E' stata una straordinaria vicenda di vite dedicate con speranza, coraggio ed altruismo all’affermazione di ideali altissimi ed è per questo che non dovrebbe essere difficile raccontarla a chi non vi ha partecipato e fare sentire i giovani parte di quella vicenda, senza avere timore di ripetere parole che non possono diventare vuote e retoriche se trovano corrispondenza nei nostri comportamenti di ogni giorno.
Il metro con cui si misura il valore e l’importanza di un sacrificio è l’utilità che ne deriva al bene comune, una categoria continuamente evocata ma troppo spesso disattesa, anche nella politica.
Allora, c’è bisogno di ritornare a vivere la politica come il momento in cui si diventa responsabili delle proprie scelte, non solo nei confronti di se stessi, ma soprattutto nei confronti degli altri.
C’è bisogno di nuove e continue dimostrazioni che ciò che nell’impegno nei partiti e nelle istituzioni viene dato alla politica non viene sottratto alla morale, che amministrare la cosa pubblica con senso pratico non significa farlo senza principi, che non si può chiedere il rispetto delle regole ai cittadini senza prima riconoscere la libera dignità delle persone, come sosteneva un personaggio centrale della democrazia repubblicana, Giuseppe Dossetti.
E’ questo il grande lascito nato dalla Resistenza, sfociato nella Liberazione e giunto sino a noi con i principi della Costituzione, a partire da quello dell’uguaglianza tra i cittadini e della ricongiunzione tra cittadino e persona.
Riconoscere questi principi è la condizione per affermare la preminenza assoluta dei diritti inalienabili dell’uomo e allo stesso tempo costruire una società in cui tutti sono partecipi di una speranza collettiva; speranza di cui, oggi più che mai, per i giovani, per i lavoratori, per chi è in difficoltà, sentiamo fortissimo il bisogno.
Oggi come allora la politica è chiamata ad interpretare le grandi questioni e ad affrontare i problemi che in ogni epoca si presentano ad ogni società, ancor più nella dimensione globalizzata della difficile attualità che viviamo: come ricercare e realizzare la giustizia sociale; come associare etica, responsabilità e aspirazioni; come mettere in relazione e far dialogare le diverse identità e culture.
Sino a giungere a quel traguardo, intravisto con coraggio ed inseguito con doloroso sacrificio da tutti quelli che hanno messo in gioco le loro vite per rendere libere le vite di tutti noi: ricomporre il legame indispensabile, drammaticamente negato nell'esperienza della dittatura fascista, tra la politica e la moralità, tra lo Stato e l’interesse del popolo.
CONCLUSIONE
Come ho già detto altre volte:
- dobbiamo evitare che questa celebrazione sia vissuta solo come rito ma viverla come momento per farci carico di quei principi e valori fondamentali, per riaffermarli, riproporli seppur in un contesto storico, sociale, morale ed economico diverso.
- dobbiamo custodire la memoria per coltivare il futuro, cioè i Cittadini italiani e tutti coloro che pacificamente vivono e lavorano nel nostro Paese devono riflettere e prestare attenzione alla propria storia ed alla propria identità per ritrovare lo slancio con il quale costruire il presente guardando al futuro.
Le nostre azioni non segnino solo il nostro tempo, ma costruiscano anche il futuro, consapevoli che la speranza per un futuro migliore di pace e di solidarietà va continuamente tenuta viva.
Auguro un buon 25 aprile a tutti con l’impegno a coltivare e rafforzare questa speranza.
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