Premessa
Con il trattato di pace di Cremona del 20/11/1441, e quello di Lodi del 4/4/1454, l'Adda diventa confine di Stato fra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di Venezia, e quindi la nostra zona, specialmente Arlate, diventa zona di confine con tutti i problemi connessi.
Il fiume diventa Milanese, infatti la linea di demarcazione passa sulla sponda sinistra del fiume, e come tale il diritto alle acque rimane soggetto al Ducato di Milano, il quale attraverso appositi accordi bilaterali con i Veneti, cerca di esercitare un certo controllo oltre che sui passaggi da una sponda all'altra, anche sull'uso delle acque, e sulla proprietà delle isole presenti nel fiume .
Accordi che non saranno quasi mai rispettati dalle due parti, con controversie infinite che si susseguiranno per anni anche durante il periodo della dominazione Spagnola del territorio Ducale.
I Bergamaschi approfittando, della situazione abbastanza instabile che si era creata sui diritti di pesca e sulle acque, cercarono di impossessarsi di fatto se non di diritto, di alcune prerogative che non erano loro concesse; navigazione, pesca, costruzione di mulini ecc.
Pare che anche Renzo e Lucia, i famosi protagonisti dei Promessi sposi, nella loro fuga verso il Bergamasco passassero l'Adda grazie al clima di anarchia e disinteresse che si era creato sulle due sponde.
Dal 1454 il fiume, dal Lavello ad Arlate, con i relativi diritti di pesca era dei Vimercati, finché il fisco Ducale nel 1606 lo pretese e dopo varie diatribe lo ottenne nel 1626 (1) Alla fine la Regia Camera lo concede alla contessa Corio Visconti.
Con il trattato di Utrecht del 11/4/1713, la Lombardia e quindi anche il territorio dell'ex Ducato di Milano passa sotto il Governo Austriaco il quale, dopo varie contese decide di regolare i rapporti fra le due sponde dell'Adda con un nuovo trattato con la Serenissima, per armonizzare le questioni contingenti arrivate molte volte a veri e propri atti di brigantaggio e scontri fra le opposte milizie con sconfinamenti e rapimenti pressoché quotidiani.
Accordo firmato il 16/6/1756 in Mantova tra il Governo della Serenissima Repubblica di Venezia e l'Imperial Regio Governo Austriaco di Maria Teresa , stabiliva con una serie di appositi articoli, diritti e doveri dei due Stati per l'uso delle acque e relative pertinenze.
Sostanzialmente ribadiva il divieto assoluto per i Veneti, nella fattispecie abitanti nei paesi della sponda Bergamasca dell'Adda, di pescare o navigare sul fiume, interamente a sovranità Milanese, pena gravi sanzioni.
La costruzione e l'utilizzo dei mulini, anche sulla sponda Bergamasca, le proprietà delle isole, le opere portuarie, ecc, vennero diligentemente e minuziosamente codificate, e attraverso bandi e proclami portati alla conoscenza dei sudditi dei due Stati.
Ma una cosa sono gli accordi un'altra cosa è farli rispettare. Essendo il fiume totalmente in territorio Milanese, i Bergamaschi avrebbero dovuto distruggere, secondo gli accordi tutte le reti, le barche, togliere eventuali sbarramenti queglie (2), e quant'altro usato per pescare sul fiume.
Ma tutto ciò più che calmare le acque esasperò gli abitanti della sponda Bergamasca che , ha torto o a ragione, avevano creduto di avere comunque conquistato per consuetudine, vista la rilassatezza del precedente governo Spagnolo, un tacito diritto di pesca nel fiume.
E quindi, malgrado i proclami del Podestà di Bergamo Vittor Pisani, che spiegava a tutti la nuova situazione, e prometteva punizioni esemplari per i trasgressori, le scorrerie dei pescatori di frodo Bergamaschi continuarono più o meno come prima.
Classico un fatto successo il 15/5/1761 a due pescatori di Brivio tali Antonio Ripamonti e Giacomo Mandelli, i quali mentre erano intenti a pescare nelle acque milanesi, vengono aggrediti dai veneti: Battista Massaretti di Monte Marenzo, e un non meglio identificato figlio del magnano di Calolzio.
I quali armati di tutto punto li costringono ad andare in un'osteria nella zona di Bisone, in territorio Veneto, dove vengono obbligati a pagare otto lire milanesi come indennizzo delle reti a loro confiscate precedentemente dagli sbirri Milanesi che li avevano scoperti a pescare di frodo nelle acque dell'Adda.
Questo genere di azioni malgrado gli interventi delle autorità si susseguono nel tempo , tanto che due anni dopo assistiamo ad una agitazione di massa dei pescatori e degli abitanti della sponda Milanese dell'Adda, i quali denunciano, attraverso i delegati di confine al residente Veneto (3) di Milano, le quotidiane vessazioni a cui sono sottoposti dai frodatori veneti.
La doglianza (denuncia) del 10/8/1763 è firmata, a nome e per conto degli abitanti e dei pescatori della sponda milanese dell'Adda, da: Antonio Ripamonti e Gio Batta Macchi , pescatori professionisti di Brivio, che molte volte erano venuti alle mani con pescatori di frodo Veneti.
Le isole (iselle) di Arlate
Le isolette boscose , poste in acque Milanesi, nel tratto di Adda che scorre in Comune di Calco, un tempo Comunità di Arlate da poco unita a Calco, erano in maggioranza proprietà di tale Gaspare Vimercati, nobile signorotto residente in Milano proprietario di vasti possedimenti in Arlate e dintorni.
Mentre quattro appartenevano a sudditi della Serenissima: due di bosco dolce dell'ampiezza, una di 13,12 pertiche , e una di 3 pertiche, erano proprietà di Gaspare Locatelli e fratelli, e due, sempre di bosco dolce rispettivamente di pertiche: 24,12 e 6,20, erano proprietà di tale prete Giacomo Plodes, e in parte dell' Abate di Pontida.
Due di queste isole erano già state (inutilmente) rivendicate il 7/8/1753, dal Vimercati, con la pretesa che essendo il fiume Milanese, le isole dovevano essere tolte ai loro proprietari Veneziani e diventare proprietà Milanesi.
L'appartenenza e la proprietà di queste isole fu sempre contestata e contesa dai rivieraschi Bergamaschi che sovente , arbitrariamente cercarono di occuparle, o quantomeno usarle, asportandone , legname , fieno, o usandole data la vicinanza alla sponda come punto strategico di passaggio, o anche come postazione per pescare di frodo.
Gli sgherri ( soldati Milanesi) che controllavano il confine erano acquartierati in Brivio, una delle zone più calde dell'intero limite territoriale, e non sempre arrivavano in tempo per impedire gli abusi e arrestarne i colpevoli.
Da una memoria del 22/12/1773 sappiamo che tale prete Giacomo Plodes (4) e fratelli Locatelli di Villa d'Adda , vengono chiamati dalle autorità Venete a discolparsi per avere arbitrariamente, in vari momenti, occupato alcune isolette e, riguardo al Plodes anche quella di averne asportato del fieno.
La doglianza contro i due era stata presentata al residente Veneto da parte del Governo Milanese per abusi consumati l'anno prima, su istanza del fisco per mancato introito.
Il proprietario delle isole adducendo a pretesto l'occupazione e quindi la mancata rendita aveva chiesto l'esenzione delle imposte.
E' anche vero che le due persone in questione si erano già lamentati con le autorità Venete, affinché rivendicassero di fronte al Governo di Milano i loro diritti sulle isole, o quantomeno su parte delle isole, adducendo il fatto che alcune subirono modificazioni ad opera, del fiume deviato, che sovente cambiava geografia alla zona, da palificate varie quasi sempre costruite da Milanesi.
Allo scopo di evitare questo tipo di rivendicazioni il Senato di Milano aveva predisposto la periodica revisione o rettifica dei confini da farsi almeno ogni dieci anni, ad iniziare dal 1721, anno del primo catasto completo dello Stato passato alla storia come il Catasto Teresiano.
Oltre a stabilire esattamente il confine con il Veneto, la rettifica aveva lo scopo di misurare l'eventuale aumento della superficie delle isole, dovuto agli spostamenti naturali del corso d'acqua, e nel caso di aumento l'area in più veniva assoggettata a tassazione.
La rettifica della quale esiste una buona documentazione venne eseguita nel 1842 (5), quando già la Repubblica Veneta era sparita (6), e la zona in questione apparteneva al Regno Lombardo-Veneto con l'Adda non più confine di Stato, ma solo limite fra le province di Como e Bergamo. Infatti i tecnici incaricati vennero inviati non più da Milano ma da Como.
Altre rettifiche e nuove misurazioni delle isole con la stesura di nuove mappe, vengono attuate negli anni 1853, dai tecnici di Como per conto dell'Imperial Regio Governo Austriaco, e 1863 dai tecnici di Como per conto dei Re d'Italia.
Da abuso a incidente diplomatico
Il 6/3/1761 tale Martin Zonca, di Villa d'Adda agente Veneto per i confini di Stato, denuncia il signor Gaspare Vimercati, che oltre ad essere proprietario di vasti territori in Arlate era anche proprietario di mulini sulla sponda milanese dell'Adda, uno dei quali situato allo sbocco dell'antica strada dei Mulini (7), di avere fatto costruire una specie di paratia (8), con pali e tralicci per proteggere le sue proprietà dalla furia delle acque e per dirottare maggior quantità d'acqua verso i suoi mulini.
La denuncia fatta in base all'articolo 23 del trattato di Mantova del 16/6/1756 , stabiliva che non si potessero costruire, nel letto del fiume, opere che fossero ritenute respingenti, cioè che potessero in qualche maniera modificare il decorso normale delle acque con nocumento della sponda Bergamasca.
L'opera contestata dirottando l'acqua dal suo naturale percorso causava, a detta del denunciante, corrosione alla sponda Veneta, con deterioramento delle proprietà del signor Vimercati - Sozzi (9) proprietario di terreni sulla sponda Bergamasca.
Dallo Zonca la denuncia viene inoltrata al rappresentante del Governo Veneto in Bergamo, che rapidamente incarica, il giorno 7/3/1761 l'ingegnere Gian Antonio Urbani, incaricato per la sorveglianza delle terre di confine, di portarsi sul posto per verificare il fatto.
Il 12/3/1761, verifica in loco da parte dell'Urbani , il quale dopo avere interrogato quattro persone a conoscenza dei fatti, stende un verbale e disegna una mappa descrittiva dell'abuso, denominato per la sua forma un po' strana "pennello".
Le quattro persone interrogate dall'Urbani erano: Battista Cattani figlio di Pietro, massaro dei RR PP di Pontida, Domenico Galbusera mugnaio abitante nel mulino dei frati di Pontida, Battista Nava e Domenico Locatelli abitanti di Villadadda, uomini anziani e buoni conoscitori del posto.
Composto da una doppia fila di grossi pali , 81 per la precisione, era lungo 20 trabucchi (10) Milanesi, iniziava da una piccola isola proprietà del Vimercati ed era posto più o meno davanti al mulino dei Reverendi Padri del convento di Pontida ubicato sulla sponda Bergamasca .
Anche se non più utilizzato come mulino il posto è tutt'ora denominato mulino di sopra, ma è più conosciuto come ul mulin di fraa.
Considerata l'opera respingente, era in contrasto non solo con l'articolo 23, ma anche con il 47 del già citato trattato di Mantova, l'Urbani invia al Podestà di Bergamo la raccomandazione di far presente al Governo Milanese la questione, chiedendone la demolizione.
Cosa che il Podestà fa rapidamente il giorno 23/3/1761 con l'invio, attraverso il residente Veneto in Milano, di una nota al marchese Gerolamo Erba, con delegato del Senato milanese ai confini di Stato.
Il giorno 1/4/1761 il marchese Erba risponde al residente Veneto per comunicargli che ha dato incarico all'ingegnere Cesare Quarantini milanese di esaminare con l'Urbani la questione della palificata, aggiunge alla comunicazione una serie di lagnanze per , a suo dire lo scorretto comportamento dei Veneti verso le proprietà (isole) dei Milanesi.
Incontro il 4/4/1761 fra il marchese Gerolamo Erba e il residente Veneto in Milano Giò Gobbi, per cercare un accordo sulle tematiche aperte fra i due paesi, fra le quali la palificata Vimercati.
Accordo probabilmente non raggiunto visto che il giorno 6/4/1761 arriva un'altra lettera del residente Veneto di contestazione al fatto, e di rigetto della memoria inviata dal Vimercati relativa a responsabilità dei frati di Pontida.
Antecedente all'incontro fra l'Erba e il Gobbi, il Vimercati aveva mandato una memoria al residente Veneto a difesa del suo operato con la descrizione di un intervento fatto dai padri di Pontida, che a suo dire lo avevano obbligato ad agire di conseguenza per salvaguardare le sue proprietà.
Nel 1735 essendo il fiume tutto sotto giurisdizione Milanese, i monaci di Pontida intenzionati a costruire sulla sponda Bergamasca un mulino, chiesero e ottennero dal Senato di Milano il permesso alla sua edificazione.
Provvedendo alla sua alimentazione attraverso un canale di derivazione delle acque, valutato dagli ingegneri Cesare Quarantini Milanese ed Andrea Erculeo Veneto non dannoso alla portata del fiume.
Nel 1737 i padri di Pontida chiesero al Senato di Milano di poter costruire una palificata nel fiume al fine di deviare una maggiore quantità di acqua verso il loro mulino, che specie nei periodi di secca non disponeva di sufficiente alimentazione.
Ottennero dai succitati ingegneri Camerali il permesso per tale palificata, oltre al parere favorevole del signor Vimercati - Sozzi che possedeva un mulino nei pressi del loro, sempre sulla riva Bergamasca.
Questa concessione rilasciata ai frati di Pontida, ribadisce il Vimercati a sua difesa, con la chiusa costruita a monte delle isole di sua proprietà, ha mutato talmente tanto il corso del fiume che è stato quasi obbligato a costruire la palificata per porre qualche riparo ai suoi possedimenti.
Possedimenti peraltro già devastati dai Bergamaschi che asportano legna e usano arbitrariamente le isole come pascoli, inoltre manca anche l'acqua, dirottata altrove, per far funzionare i mulini, quindi la palificata è stato costruita per difendere il poco reddito dei suoi terreni, reddito che serviva unicamente per i carichi fiscali.
Chiude la memoria una doglianza contro alcuni pescatori di Villa d'Adda ritenuti fuorilegge perché pescavano in acque Milanesi di frodo, in special modo contro tale Berti di N.N. detto il Magnano.
La memoria di autodifesa del Vimercati, aveva ottenuto l'appoggio, attraverso una lettera di accompagnamento, anche del marchese Erba, ma non era servita praticamente a nulla vista la nuova missiva, a due giorni dall'incontro, di contestazione.
Immediata risposta nello stesso giorno 6/4/1761 del marchese Erba a nome del Senato di Milano, con perentoria richiesta al residente Veneto di adoperarsi per fermare le usurpazioni, le scorrerie, e la pesca di frodo, nessun accenno alla palificata.
Vengono indicati come autori di scorrerie e violenze da perseguire, oltre ai soliti fratelli Berti, anche tali: Vincenzo Locatelli e figli sempre di Villa d'Adda, i quali oltre che a pescare di frodo, portano i loro animali a pascolare sulle isole milanesi.
Per alcuni mesi si continua con lettere di doglianze e risposte di rigetto, fra il residente Veneto e il Senato di Milano, con ingiunzioni e contestazioni varie, per abusi vari perpetrati dall'una o dall'altra parte.
Senza mai arrivare ad assumere decisioni concrete, ne verso la palificata Vimercati, ne verso le varie scorrerie, sconfinamenti, contrabbandi ecc, operate quotidianamente dagli abitanti delle due sponde del fiume.
Il 30/8/1761 i Veneti rigettano tutte le argomentazioni usate dal Vimercati a difesa del suo operato e insistono sulla rapida demolizione della palificata, per controllare che tutto si compia incaricano nuovamente l'Urbani di occuparsi del problema e verificarne gli sviluppi.
Il marchese Erba , a sua volta incarica l'ingegnere Quarantini di procedere alla ricognizione della palificata Vimercati, e darne comunicazione al Senato di Milano.
Cosa che farà il giorno 6/9/1761 e il 13/9/1761, con la stesura e l'invio di due relazioni complete al Senato di Milano sulla palificata, e con la proposta di un incontro congiunto, previsto per il giorno 3/10/1761, dei due ingegneri: Cesare Qurantini Milanese e Gian Antonio Urbani Veneto per visionare l'opera e decidere il da farsi.
Il giorno stabilito i due si incontrano nella località Bergamasca della Sosta , con i relativi agrimensori, e da qui raggiungono il punto della incriminata palificata.
Dopo attenta valutazione e misurazione, i due ingegneri concordano che la palificata, lunga 22 (11) trabucchi milanesi pari a 34 (12) passi veneti che sostenta un piede e due once d'acqua, è da ritenersi opera respingente e quindi in contrasto con l'articolo 23 del trattato di Mantova.
Il milanese propone, tenendo conto della palificata dei padri di Pontida come evidenziato dal Vimercati, di levarne una metà ma il Veneto non accetta non essendo egli abilitato per decidere sulle risultanze della perizia cosa di pertinenza dei suoi superiori anche se lui è del parere che la palificata vada tutta demolita.
Il 29/10/1761 si pronuncia con una lettera in tal senso, la palificata va demolita tutta non essendo pensabile lo scambio fra le opere costruite dai padri di Pontida, per le quali avevano ottenuto il permesso dai milanesi e quindi non contestabili in base al trattato di Mantova, e l'abuso perpetrato dal Vimercati che invece era in contrasto con tale trattato.
Nella intensa corrispondenza di reciproche denuncie di inadempienze e trasgressioni al trattato di Mantova, che settimanalmente fra le due sponde, la famigerata palificata viene dimenticata per un paio d'anni.
Finché con una lettera datata 4/11/1763 l'ingegnere Urbani ritorna alla carica chiedendo al proprio superiore in Bergamo di inoltrare di nuovo al Senato di Milano, la richiesta di demolizione della contestata palificata. perché sta causando notevoli danni alla sponda Bergamasca, precisamente alle proprietà della nobile famiglia Vimercati - Sozzi
Da Milano rispondono il 9/11/1763 che la pratica è in attesa di essere valutata dal Senato, e che quanto prima vi sarà un nuovo incontro fra le parti per la verifica del caso.
Per tutto il mese di novembre e dicembre 1763 e gennaio 1764, si susseguono, denuncie e contro denunce, sia da una parte che dall'altra, con i Veneti, che invitano i Milanesi a demolire rapidamente la palificata, e i Milanesi che tergiversano, contrattaccando e denunciando a loro volta scorrerie, abusi ecc.
E riguardo alla palificata, scaricando le responsabilità della situazione sulle opere fatte costruire nel fiume dai frati di Pontida, che di fatto avevano obbligato il Vimercati a difendere le sue proprietà, quindi il Podestà di Bergamo pensi prima di tutto a sistemare i propri sudditi.
E della palificata non si sente più parlare fino al 18/6/1770 quando un promemoria Veneto arriva al Senato di Milano con la particolareggiata denuncia degli effetti negativi di corrosione della sponda Veneta (proprietà del Vimercati - Sozzi) causati dalla corrente del fiume Adda deviata dalla famigerata opera nei circa 9 anni di esistenza.
E con questo ennesimo intervento probabilmente andato a vuoto come tutti gli altri si conclude, almeno per i documenti in mio possesso, la vicenda dell'abuso di un signorotto locale, che per le particolari condizioni ambientali dove tale abuso si è consumato, si è trasformato in un caso diplomatico di difficile soluzione.
NOTE
(1) Cesare Cantù - Storia di Como e sua provincia - Editore e stampatore Fausto Sardini - Ristampa 1975 - Pagina 959
(2) Le queglie erano degli sbarramenti costruiti nel fiume con legname per intrappolare e catturare pesci
(3) Diplomatico Veneto presso il Governo Milanese, una specie di Console Generale presso il Governo di Milano
(4) A sua attenuante il Plodes dichiara che parte dell'isola è sua perché il corso del fiume si è spostato a oriente , per colpa di una palificata fatta addirittura 50 anni prima, da un altro Vimercati, tale Alessandro, probabile antenato di Gaspare. A sostegno della sua tesi porta la testimonianza di altre persone a lui favorevoli.
Tale Angeloni dichiara che la palificata costruita 10 o 15 anni prima, e che in questo tempo a creato un canale sulla riva Bergamasca portandosi via la terra. Lorenzo Milesi di Villa d'Adda dice che sono circa 18 o 20 anni che la palificata esiste fatta costruire sempre dall'Alessandro Vimercati e che ciò deviando il fiume ha causato notevole danno alla sponda Bergamasca.
(5) ASC - Archivio di Stato di Como - Mappe Catasto Teresiano e Cessato - Anni 1721 - 1842 - 1853 - 1863
Rettifiche dei confini dell'Adda
(6) Il confine di Stato fra la Serenissima e il Ducato di Milano sparisce con la creazione della Repubblica Cisalpina nel giorno 9 luglio 1797
(7) L'attuale via dei Mulini che parte dalla via Papa Giovanni XXIII e arriva fino alla sponda dell'Adda
(8) Secondo le testimonianze raccolte anni dopo, la palificata anche se di dimensioni più ridotte esisteva da molti anni, solo che questa volta la costruzione era notevolmente aumentata sia come lunghezza che come altezza quindi la cosa viene denunciata.
(9) Ramo Bergamasco della stessa famiglia Vimercati. La famiglia Vimercati - Sozzi non è altro che la famiglia Sozzi dei Capitani de Vimercate, citata in un primo tempo con il solo nome di Vimercati. Tra i consoli maggiori già nel XII secolo e nel corso del XV secolo un ramo della famiglia acquisto beni immobili in Caprino Bergamasco e dal 1563 i Sozzi furono dichiarati nobili bergamaschi.
(10) Il trabucco Milanese misurava m. 2,61, quello Comasco m. 2,70 circa
(11) Come già detto essendo il trabucco metri, la palizzata era lunga circa 57/60 metri
(12) Il passo Veneto misurava metri 1,76 circa
Fonti
Biblioteca Angelo May di Bergamo
Quasi tute le informazioni contenute nella ricerca sono state ricavate da una serie di volumi dei quali diamo i riferimenti, contenenti documenti, in ordine cronologico, ma non numerati sulle secolari vicende legate ai confini Veneti dell'Adda, conservati nella biblioteca Angelo May .
Confini dell'Adda Anno 1761 - 1762 - 1763 - 1770 - 1773
Tomo LX.1 Segnatura 97 R 24
Tomo LXII.19 Segnatura 97 R 25
Tomo LXII.17 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.18 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.21 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.22 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.23 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.24 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.25 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.26 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.27 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.28 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.29 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.30 Segnatura 97 R 26
Tomo LXIII.1 Segnatura 97 R 27
Tomo LXIII.2 Segnatura 97 R 27
Tomo LXVI.12 Segnatura 97 R 30
Tomo LXVIII.25 Segnatura 97 R 32
Tomo LXXI.3 Segnatura 97 R 35
ASC - Archivio di Stato di Como - Mappe Catasto Teresiano e Cessato - Anni 1721 - 1842 - 1853 - 1863 Rettifiche dei confini dell'Adda
Historia Veneziana - Pietro Bembo - Cisalpina Goliardica 1808 - Ristampa
Giuseppe Cadolini - Prontuario per l'ingegnere e per il meccanico - Milano 1843
10/10/2003 Anselmo Brambilla
Le fotografie di questo articolo sono state scattate all'alba di un giorno del 1985. M.B.
Con il trattato di pace di Cremona del 20/11/1441, e quello di Lodi del 4/4/1454, l'Adda diventa confine di Stato fra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di Venezia, e quindi la nostra zona, specialmente Arlate, diventa zona di confine con tutti i problemi connessi.
Il fiume diventa Milanese, infatti la linea di demarcazione passa sulla sponda sinistra del fiume, e come tale il diritto alle acque rimane soggetto al Ducato di Milano, il quale attraverso appositi accordi bilaterali con i Veneti, cerca di esercitare un certo controllo oltre che sui passaggi da una sponda all'altra, anche sull'uso delle acque, e sulla proprietà delle isole presenti nel fiume .
Accordi che non saranno quasi mai rispettati dalle due parti, con controversie infinite che si susseguiranno per anni anche durante il periodo della dominazione Spagnola del territorio Ducale.
I Bergamaschi approfittando, della situazione abbastanza instabile che si era creata sui diritti di pesca e sulle acque, cercarono di impossessarsi di fatto se non di diritto, di alcune prerogative che non erano loro concesse; navigazione, pesca, costruzione di mulini ecc.
Pare che anche Renzo e Lucia, i famosi protagonisti dei Promessi sposi, nella loro fuga verso il Bergamasco passassero l'Adda grazie al clima di anarchia e disinteresse che si era creato sulle due sponde.
Dal 1454 il fiume, dal Lavello ad Arlate, con i relativi diritti di pesca era dei Vimercati, finché il fisco Ducale nel 1606 lo pretese e dopo varie diatribe lo ottenne nel 1626 (1) Alla fine la Regia Camera lo concede alla contessa Corio Visconti.
Con il trattato di Utrecht del 11/4/1713, la Lombardia e quindi anche il territorio dell'ex Ducato di Milano passa sotto il Governo Austriaco il quale, dopo varie contese decide di regolare i rapporti fra le due sponde dell'Adda con un nuovo trattato con la Serenissima, per armonizzare le questioni contingenti arrivate molte volte a veri e propri atti di brigantaggio e scontri fra le opposte milizie con sconfinamenti e rapimenti pressoché quotidiani.
Accordo firmato il 16/6/1756 in Mantova tra il Governo della Serenissima Repubblica di Venezia e l'Imperial Regio Governo Austriaco di Maria Teresa , stabiliva con una serie di appositi articoli, diritti e doveri dei due Stati per l'uso delle acque e relative pertinenze.
Sostanzialmente ribadiva il divieto assoluto per i Veneti, nella fattispecie abitanti nei paesi della sponda Bergamasca dell'Adda, di pescare o navigare sul fiume, interamente a sovranità Milanese, pena gravi sanzioni.
La costruzione e l'utilizzo dei mulini, anche sulla sponda Bergamasca, le proprietà delle isole, le opere portuarie, ecc, vennero diligentemente e minuziosamente codificate, e attraverso bandi e proclami portati alla conoscenza dei sudditi dei due Stati.
Ma una cosa sono gli accordi un'altra cosa è farli rispettare. Essendo il fiume totalmente in territorio Milanese, i Bergamaschi avrebbero dovuto distruggere, secondo gli accordi tutte le reti, le barche, togliere eventuali sbarramenti queglie (2), e quant'altro usato per pescare sul fiume.
Ma tutto ciò più che calmare le acque esasperò gli abitanti della sponda Bergamasca che , ha torto o a ragione, avevano creduto di avere comunque conquistato per consuetudine, vista la rilassatezza del precedente governo Spagnolo, un tacito diritto di pesca nel fiume.
E quindi, malgrado i proclami del Podestà di Bergamo Vittor Pisani, che spiegava a tutti la nuova situazione, e prometteva punizioni esemplari per i trasgressori, le scorrerie dei pescatori di frodo Bergamaschi continuarono più o meno come prima.
Classico un fatto successo il 15/5/1761 a due pescatori di Brivio tali Antonio Ripamonti e Giacomo Mandelli, i quali mentre erano intenti a pescare nelle acque milanesi, vengono aggrediti dai veneti: Battista Massaretti di Monte Marenzo, e un non meglio identificato figlio del magnano di Calolzio.
I quali armati di tutto punto li costringono ad andare in un'osteria nella zona di Bisone, in territorio Veneto, dove vengono obbligati a pagare otto lire milanesi come indennizzo delle reti a loro confiscate precedentemente dagli sbirri Milanesi che li avevano scoperti a pescare di frodo nelle acque dell'Adda.
Questo genere di azioni malgrado gli interventi delle autorità si susseguono nel tempo , tanto che due anni dopo assistiamo ad una agitazione di massa dei pescatori e degli abitanti della sponda Milanese dell'Adda, i quali denunciano, attraverso i delegati di confine al residente Veneto (3) di Milano, le quotidiane vessazioni a cui sono sottoposti dai frodatori veneti.
La doglianza (denuncia) del 10/8/1763 è firmata, a nome e per conto degli abitanti e dei pescatori della sponda milanese dell'Adda, da: Antonio Ripamonti e Gio Batta Macchi , pescatori professionisti di Brivio, che molte volte erano venuti alle mani con pescatori di frodo Veneti.
Le isole (iselle) di Arlate
Le isolette boscose , poste in acque Milanesi, nel tratto di Adda che scorre in Comune di Calco, un tempo Comunità di Arlate da poco unita a Calco, erano in maggioranza proprietà di tale Gaspare Vimercati, nobile signorotto residente in Milano proprietario di vasti possedimenti in Arlate e dintorni.
Mentre quattro appartenevano a sudditi della Serenissima: due di bosco dolce dell'ampiezza, una di 13,12 pertiche , e una di 3 pertiche, erano proprietà di Gaspare Locatelli e fratelli, e due, sempre di bosco dolce rispettivamente di pertiche: 24,12 e 6,20, erano proprietà di tale prete Giacomo Plodes, e in parte dell' Abate di Pontida.
Due di queste isole erano già state (inutilmente) rivendicate il 7/8/1753, dal Vimercati, con la pretesa che essendo il fiume Milanese, le isole dovevano essere tolte ai loro proprietari Veneziani e diventare proprietà Milanesi.
L'appartenenza e la proprietà di queste isole fu sempre contestata e contesa dai rivieraschi Bergamaschi che sovente , arbitrariamente cercarono di occuparle, o quantomeno usarle, asportandone , legname , fieno, o usandole data la vicinanza alla sponda come punto strategico di passaggio, o anche come postazione per pescare di frodo.
Gli sgherri ( soldati Milanesi) che controllavano il confine erano acquartierati in Brivio, una delle zone più calde dell'intero limite territoriale, e non sempre arrivavano in tempo per impedire gli abusi e arrestarne i colpevoli.
Da una memoria del 22/12/1773 sappiamo che tale prete Giacomo Plodes (4) e fratelli Locatelli di Villa d'Adda , vengono chiamati dalle autorità Venete a discolparsi per avere arbitrariamente, in vari momenti, occupato alcune isolette e, riguardo al Plodes anche quella di averne asportato del fieno.
La doglianza contro i due era stata presentata al residente Veneto da parte del Governo Milanese per abusi consumati l'anno prima, su istanza del fisco per mancato introito.
Il proprietario delle isole adducendo a pretesto l'occupazione e quindi la mancata rendita aveva chiesto l'esenzione delle imposte.
E' anche vero che le due persone in questione si erano già lamentati con le autorità Venete, affinché rivendicassero di fronte al Governo di Milano i loro diritti sulle isole, o quantomeno su parte delle isole, adducendo il fatto che alcune subirono modificazioni ad opera, del fiume deviato, che sovente cambiava geografia alla zona, da palificate varie quasi sempre costruite da Milanesi.
Allo scopo di evitare questo tipo di rivendicazioni il Senato di Milano aveva predisposto la periodica revisione o rettifica dei confini da farsi almeno ogni dieci anni, ad iniziare dal 1721, anno del primo catasto completo dello Stato passato alla storia come il Catasto Teresiano.
Oltre a stabilire esattamente il confine con il Veneto, la rettifica aveva lo scopo di misurare l'eventuale aumento della superficie delle isole, dovuto agli spostamenti naturali del corso d'acqua, e nel caso di aumento l'area in più veniva assoggettata a tassazione.
La rettifica della quale esiste una buona documentazione venne eseguita nel 1842 (5), quando già la Repubblica Veneta era sparita (6), e la zona in questione apparteneva al Regno Lombardo-Veneto con l'Adda non più confine di Stato, ma solo limite fra le province di Como e Bergamo. Infatti i tecnici incaricati vennero inviati non più da Milano ma da Como.
Altre rettifiche e nuove misurazioni delle isole con la stesura di nuove mappe, vengono attuate negli anni 1853, dai tecnici di Como per conto dell'Imperial Regio Governo Austriaco, e 1863 dai tecnici di Como per conto dei Re d'Italia.
Da abuso a incidente diplomatico
Il 6/3/1761 tale Martin Zonca, di Villa d'Adda agente Veneto per i confini di Stato, denuncia il signor Gaspare Vimercati, che oltre ad essere proprietario di vasti territori in Arlate era anche proprietario di mulini sulla sponda milanese dell'Adda, uno dei quali situato allo sbocco dell'antica strada dei Mulini (7), di avere fatto costruire una specie di paratia (8), con pali e tralicci per proteggere le sue proprietà dalla furia delle acque e per dirottare maggior quantità d'acqua verso i suoi mulini.
La denuncia fatta in base all'articolo 23 del trattato di Mantova del 16/6/1756 , stabiliva che non si potessero costruire, nel letto del fiume, opere che fossero ritenute respingenti, cioè che potessero in qualche maniera modificare il decorso normale delle acque con nocumento della sponda Bergamasca.
L'opera contestata dirottando l'acqua dal suo naturale percorso causava, a detta del denunciante, corrosione alla sponda Veneta, con deterioramento delle proprietà del signor Vimercati - Sozzi (9) proprietario di terreni sulla sponda Bergamasca.
Dallo Zonca la denuncia viene inoltrata al rappresentante del Governo Veneto in Bergamo, che rapidamente incarica, il giorno 7/3/1761 l'ingegnere Gian Antonio Urbani, incaricato per la sorveglianza delle terre di confine, di portarsi sul posto per verificare il fatto.
Il 12/3/1761, verifica in loco da parte dell'Urbani , il quale dopo avere interrogato quattro persone a conoscenza dei fatti, stende un verbale e disegna una mappa descrittiva dell'abuso, denominato per la sua forma un po' strana "pennello".
Le quattro persone interrogate dall'Urbani erano: Battista Cattani figlio di Pietro, massaro dei RR PP di Pontida, Domenico Galbusera mugnaio abitante nel mulino dei frati di Pontida, Battista Nava e Domenico Locatelli abitanti di Villadadda, uomini anziani e buoni conoscitori del posto.
Composto da una doppia fila di grossi pali , 81 per la precisione, era lungo 20 trabucchi (10) Milanesi, iniziava da una piccola isola proprietà del Vimercati ed era posto più o meno davanti al mulino dei Reverendi Padri del convento di Pontida ubicato sulla sponda Bergamasca .
Anche se non più utilizzato come mulino il posto è tutt'ora denominato mulino di sopra, ma è più conosciuto come ul mulin di fraa.
Considerata l'opera respingente, era in contrasto non solo con l'articolo 23, ma anche con il 47 del già citato trattato di Mantova, l'Urbani invia al Podestà di Bergamo la raccomandazione di far presente al Governo Milanese la questione, chiedendone la demolizione.
Cosa che il Podestà fa rapidamente il giorno 23/3/1761 con l'invio, attraverso il residente Veneto in Milano, di una nota al marchese Gerolamo Erba, con delegato del Senato milanese ai confini di Stato.
Il giorno 1/4/1761 il marchese Erba risponde al residente Veneto per comunicargli che ha dato incarico all'ingegnere Cesare Quarantini milanese di esaminare con l'Urbani la questione della palificata, aggiunge alla comunicazione una serie di lagnanze per , a suo dire lo scorretto comportamento dei Veneti verso le proprietà (isole) dei Milanesi.
Incontro il 4/4/1761 fra il marchese Gerolamo Erba e il residente Veneto in Milano Giò Gobbi, per cercare un accordo sulle tematiche aperte fra i due paesi, fra le quali la palificata Vimercati.
Accordo probabilmente non raggiunto visto che il giorno 6/4/1761 arriva un'altra lettera del residente Veneto di contestazione al fatto, e di rigetto della memoria inviata dal Vimercati relativa a responsabilità dei frati di Pontida.
Antecedente all'incontro fra l'Erba e il Gobbi, il Vimercati aveva mandato una memoria al residente Veneto a difesa del suo operato con la descrizione di un intervento fatto dai padri di Pontida, che a suo dire lo avevano obbligato ad agire di conseguenza per salvaguardare le sue proprietà.
Nel 1735 essendo il fiume tutto sotto giurisdizione Milanese, i monaci di Pontida intenzionati a costruire sulla sponda Bergamasca un mulino, chiesero e ottennero dal Senato di Milano il permesso alla sua edificazione.
Provvedendo alla sua alimentazione attraverso un canale di derivazione delle acque, valutato dagli ingegneri Cesare Quarantini Milanese ed Andrea Erculeo Veneto non dannoso alla portata del fiume.
Nel 1737 i padri di Pontida chiesero al Senato di Milano di poter costruire una palificata nel fiume al fine di deviare una maggiore quantità di acqua verso il loro mulino, che specie nei periodi di secca non disponeva di sufficiente alimentazione.
Ottennero dai succitati ingegneri Camerali il permesso per tale palificata, oltre al parere favorevole del signor Vimercati - Sozzi che possedeva un mulino nei pressi del loro, sempre sulla riva Bergamasca.
Questa concessione rilasciata ai frati di Pontida, ribadisce il Vimercati a sua difesa, con la chiusa costruita a monte delle isole di sua proprietà, ha mutato talmente tanto il corso del fiume che è stato quasi obbligato a costruire la palificata per porre qualche riparo ai suoi possedimenti.
Possedimenti peraltro già devastati dai Bergamaschi che asportano legna e usano arbitrariamente le isole come pascoli, inoltre manca anche l'acqua, dirottata altrove, per far funzionare i mulini, quindi la palificata è stato costruita per difendere il poco reddito dei suoi terreni, reddito che serviva unicamente per i carichi fiscali.
Chiude la memoria una doglianza contro alcuni pescatori di Villa d'Adda ritenuti fuorilegge perché pescavano in acque Milanesi di frodo, in special modo contro tale Berti di N.N. detto il Magnano.
La memoria di autodifesa del Vimercati, aveva ottenuto l'appoggio, attraverso una lettera di accompagnamento, anche del marchese Erba, ma non era servita praticamente a nulla vista la nuova missiva, a due giorni dall'incontro, di contestazione.
Immediata risposta nello stesso giorno 6/4/1761 del marchese Erba a nome del Senato di Milano, con perentoria richiesta al residente Veneto di adoperarsi per fermare le usurpazioni, le scorrerie, e la pesca di frodo, nessun accenno alla palificata.
Vengono indicati come autori di scorrerie e violenze da perseguire, oltre ai soliti fratelli Berti, anche tali: Vincenzo Locatelli e figli sempre di Villa d'Adda, i quali oltre che a pescare di frodo, portano i loro animali a pascolare sulle isole milanesi.
Per alcuni mesi si continua con lettere di doglianze e risposte di rigetto, fra il residente Veneto e il Senato di Milano, con ingiunzioni e contestazioni varie, per abusi vari perpetrati dall'una o dall'altra parte.
Senza mai arrivare ad assumere decisioni concrete, ne verso la palificata Vimercati, ne verso le varie scorrerie, sconfinamenti, contrabbandi ecc, operate quotidianamente dagli abitanti delle due sponde del fiume.
Il 30/8/1761 i Veneti rigettano tutte le argomentazioni usate dal Vimercati a difesa del suo operato e insistono sulla rapida demolizione della palificata, per controllare che tutto si compia incaricano nuovamente l'Urbani di occuparsi del problema e verificarne gli sviluppi.
Il marchese Erba , a sua volta incarica l'ingegnere Quarantini di procedere alla ricognizione della palificata Vimercati, e darne comunicazione al Senato di Milano.
Cosa che farà il giorno 6/9/1761 e il 13/9/1761, con la stesura e l'invio di due relazioni complete al Senato di Milano sulla palificata, e con la proposta di un incontro congiunto, previsto per il giorno 3/10/1761, dei due ingegneri: Cesare Qurantini Milanese e Gian Antonio Urbani Veneto per visionare l'opera e decidere il da farsi.
Il giorno stabilito i due si incontrano nella località Bergamasca della Sosta , con i relativi agrimensori, e da qui raggiungono il punto della incriminata palificata.
Dopo attenta valutazione e misurazione, i due ingegneri concordano che la palificata, lunga 22 (11) trabucchi milanesi pari a 34 (12) passi veneti che sostenta un piede e due once d'acqua, è da ritenersi opera respingente e quindi in contrasto con l'articolo 23 del trattato di Mantova.
Il milanese propone, tenendo conto della palificata dei padri di Pontida come evidenziato dal Vimercati, di levarne una metà ma il Veneto non accetta non essendo egli abilitato per decidere sulle risultanze della perizia cosa di pertinenza dei suoi superiori anche se lui è del parere che la palificata vada tutta demolita.
Il 29/10/1761 si pronuncia con una lettera in tal senso, la palificata va demolita tutta non essendo pensabile lo scambio fra le opere costruite dai padri di Pontida, per le quali avevano ottenuto il permesso dai milanesi e quindi non contestabili in base al trattato di Mantova, e l'abuso perpetrato dal Vimercati che invece era in contrasto con tale trattato.
Nella intensa corrispondenza di reciproche denuncie di inadempienze e trasgressioni al trattato di Mantova, che settimanalmente fra le due sponde, la famigerata palificata viene dimenticata per un paio d'anni.
Finché con una lettera datata 4/11/1763 l'ingegnere Urbani ritorna alla carica chiedendo al proprio superiore in Bergamo di inoltrare di nuovo al Senato di Milano, la richiesta di demolizione della contestata palificata. perché sta causando notevoli danni alla sponda Bergamasca, precisamente alle proprietà della nobile famiglia Vimercati - Sozzi
Da Milano rispondono il 9/11/1763 che la pratica è in attesa di essere valutata dal Senato, e che quanto prima vi sarà un nuovo incontro fra le parti per la verifica del caso.
Per tutto il mese di novembre e dicembre 1763 e gennaio 1764, si susseguono, denuncie e contro denunce, sia da una parte che dall'altra, con i Veneti, che invitano i Milanesi a demolire rapidamente la palificata, e i Milanesi che tergiversano, contrattaccando e denunciando a loro volta scorrerie, abusi ecc.
E riguardo alla palificata, scaricando le responsabilità della situazione sulle opere fatte costruire nel fiume dai frati di Pontida, che di fatto avevano obbligato il Vimercati a difendere le sue proprietà, quindi il Podestà di Bergamo pensi prima di tutto a sistemare i propri sudditi.
E della palificata non si sente più parlare fino al 18/6/1770 quando un promemoria Veneto arriva al Senato di Milano con la particolareggiata denuncia degli effetti negativi di corrosione della sponda Veneta (proprietà del Vimercati - Sozzi) causati dalla corrente del fiume Adda deviata dalla famigerata opera nei circa 9 anni di esistenza.
E con questo ennesimo intervento probabilmente andato a vuoto come tutti gli altri si conclude, almeno per i documenti in mio possesso, la vicenda dell'abuso di un signorotto locale, che per le particolari condizioni ambientali dove tale abuso si è consumato, si è trasformato in un caso diplomatico di difficile soluzione.
NOTE
(1) Cesare Cantù - Storia di Como e sua provincia - Editore e stampatore Fausto Sardini - Ristampa 1975 - Pagina 959
(2) Le queglie erano degli sbarramenti costruiti nel fiume con legname per intrappolare e catturare pesci
(3) Diplomatico Veneto presso il Governo Milanese, una specie di Console Generale presso il Governo di Milano
(4) A sua attenuante il Plodes dichiara che parte dell'isola è sua perché il corso del fiume si è spostato a oriente , per colpa di una palificata fatta addirittura 50 anni prima, da un altro Vimercati, tale Alessandro, probabile antenato di Gaspare. A sostegno della sua tesi porta la testimonianza di altre persone a lui favorevoli.
Tale Angeloni dichiara che la palificata costruita 10 o 15 anni prima, e che in questo tempo a creato un canale sulla riva Bergamasca portandosi via la terra. Lorenzo Milesi di Villa d'Adda dice che sono circa 18 o 20 anni che la palificata esiste fatta costruire sempre dall'Alessandro Vimercati e che ciò deviando il fiume ha causato notevole danno alla sponda Bergamasca.
(5) ASC - Archivio di Stato di Como - Mappe Catasto Teresiano e Cessato - Anni 1721 - 1842 - 1853 - 1863
Rettifiche dei confini dell'Adda
(6) Il confine di Stato fra la Serenissima e il Ducato di Milano sparisce con la creazione della Repubblica Cisalpina nel giorno 9 luglio 1797
(7) L'attuale via dei Mulini che parte dalla via Papa Giovanni XXIII e arriva fino alla sponda dell'Adda
(8) Secondo le testimonianze raccolte anni dopo, la palificata anche se di dimensioni più ridotte esisteva da molti anni, solo che questa volta la costruzione era notevolmente aumentata sia come lunghezza che come altezza quindi la cosa viene denunciata.
(9) Ramo Bergamasco della stessa famiglia Vimercati. La famiglia Vimercati - Sozzi non è altro che la famiglia Sozzi dei Capitani de Vimercate, citata in un primo tempo con il solo nome di Vimercati. Tra i consoli maggiori già nel XII secolo e nel corso del XV secolo un ramo della famiglia acquisto beni immobili in Caprino Bergamasco e dal 1563 i Sozzi furono dichiarati nobili bergamaschi.
(10) Il trabucco Milanese misurava m. 2,61, quello Comasco m. 2,70 circa
(11) Come già detto essendo il trabucco metri, la palizzata era lunga circa 57/60 metri
(12) Il passo Veneto misurava metri 1,76 circa
Fonti
Biblioteca Angelo May di Bergamo
Quasi tute le informazioni contenute nella ricerca sono state ricavate da una serie di volumi dei quali diamo i riferimenti, contenenti documenti, in ordine cronologico, ma non numerati sulle secolari vicende legate ai confini Veneti dell'Adda, conservati nella biblioteca Angelo May .
Confini dell'Adda Anno 1761 - 1762 - 1763 - 1770 - 1773
Tomo LX.1 Segnatura 97 R 24
Tomo LXII.19 Segnatura 97 R 25
Tomo LXII.17 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.18 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.21 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.22 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.23 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.24 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.25 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.26 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.27 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.28 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.29 Segnatura 97 R 26
Tomo LXII.30 Segnatura 97 R 26
Tomo LXIII.1 Segnatura 97 R 27
Tomo LXIII.2 Segnatura 97 R 27
Tomo LXVI.12 Segnatura 97 R 30
Tomo LXVIII.25 Segnatura 97 R 32
Tomo LXXI.3 Segnatura 97 R 35
ASC - Archivio di Stato di Como - Mappe Catasto Teresiano e Cessato - Anni 1721 - 1842 - 1853 - 1863 Rettifiche dei confini dell'Adda
Historia Veneziana - Pietro Bembo - Cisalpina Goliardica 1808 - Ristampa
Giuseppe Cadolini - Prontuario per l'ingegnere e per il meccanico - Milano 1843
10/10/2003 Anselmo Brambilla
Le fotografie di questo articolo sono state scattate all'alba di un giorno del 1985. M.B.
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