mercoledì 10 febbraio 2010

IL BACO DA SETA O "CAVALEE" di Anselmo Brambilla

Il baco da seta o cavalee era allevato in quasi tutta la Brianza, in alcune zone fino al principio degli anni 50.

La coltivazione del baco coinvolgeva tutta la famiglia, specialmente le donne, in un lavoro faticoso e stressante della durata di circa 40 giorni.

Verso la fine d'aprile il contadino acquistava il seme, sumenza, le uova del baco da seta da cui sarebbero nati i piccoli bigatti, come recitava il proverbio a San Giorg se mët la sumenza al cöld a San Giorgio si mette il seme al caldo.
Le uova o seme erano vendute dai grossisti bigatee che li importavano dai paesi orientali normalmente dal Giappone o dalla Cina, o li producevano in proprio con l'accoppiamento delle farfalle parpaj uscite da bozzoli selezionati per la riproduzione.

I bigatee facendo schiudere le uova in apposite incubatrici, producevano e vendevano anche i piccoli bigatti, quindi i contadini allevatori potevano scegliere fra l'acquistare i bigatti già nati o le uova e farle schiudere in proprio.

Normalmente solo i grandi allevamenti utilizzavano l'incubatrice o compravano i bigattini già nati, i contadini che allevavano il baco a livello famigliare solitamente acquistavano le uova e attraverso mezzi molto singolari le facevano dischiudere in proprio.

Le incubatrici utilizzate dai grossi allevamenti e dai bigatee, erano degli armadietti di legno chiusi da ante, con piccoli cassettini nella parte superiore dove venivano poste le uova e di uno spazio vuoto nella parte inferiore dove si collocava un lume ad olio, ul l'öm, il quale forniva il calore necessario alla schiusa delle uova.

Le uova poste su pezzuole di tela , venivano scaldate dal calore prodotto dal lume ad olio regolato per produrre un calore graduale, da una temperatura iniziale di circa cinque gradi arrivava ai 24 gradi nel momento della schiusa.

L'operazione durava mediamente 8 - 10 giorni, l'incubazione era regolata in modo che la nascita dei primi bigatti coincidesse con il germogliare delle prime foglie di gelso.

Le uova dei bachi prima di metterle nelle incubatrici o in commercio, erano provate per verificarne la fecondità.

L'operazione consisteva nel porle in bacinelle riempite con acqua salata, quelle buone, le fecondate, qüei bön rimanevano a galla e quindi venivano tolte e utilizzate , le altre quelle non buone, qüei mia bön , affondavano ed erano eliminate attraverso un apposito rubinetto situato sull'estremità della bacinella.

All'origine di quanto descritto finora vi è il processo della produzione delle uova in altre parole l'accoppiamento, i migliori bozzoli come consistenza e come colore erano lasciati maturare fino alla sfarfallatura, cioè fino a quando la crisalide si trasformava in farfalla e usciva dal bozzolo.

Normalmente i bozzoli scelti per la riproduzione erano lasciati sul bosco circa 15 giorni in più di quelli destinati alla produzione della seta, il tempo necessario alla trasformazione della crisalide in farfalla.

I maschi più piccoli detti farfallini parpajt sono i primi a sfarfallare e ad uscire forandolo dal bozzolo, immediatamente vanno in cerca delle femmine le quali molto più grosse di loro li attendono senza muoversi più di tanto, l'accoppiamento dura mediamente 8 - 10 ore, alla fine la femmina depone dalle 400 alle 500 uova. (1)


Lasciato il nostro allevatore danaroso alla sua incubatrice o all'acquisto dei piccoli bigatti, torniamo al nostro contadino che un po' meno danaroso acquistava dal bigatee, (di solito a credito impegnandosi a pagare con il raccolto dei bozzoli) un'oncia o un'oncia e mezza di seme secondo la capienza del suo allevamento.

Ogni oncia, un'unza, di seme conteneva circa 50 mila uova e aveva un peso di circa 28 grammi se tutto andava per il verso giusto avrebbe prodotto circa 70 - 80 Kg di bozzoli galët, raramente si arrivava a questo risultato.

Prima di tutto doveva far schiudere le uova, non disponendo d'incubatrice era obbligato a trovare altre forme per produrre il calore necessario alla schiusa, qui ognuno si sbizzarriva come meglio poteva, alcuni ponevano i fagottini di tela con i semi nelle stalle, vicino ai camini, sotto il cuscino etc.

Il sistema più usato dai poveri contadini era quello di metterli nel letto sotto il materasso ul paiön per 8 - 9 giorni, alcuni addirittura ponevano i fagottini con i semi fra i seni delle donne più prosperose.

Tutti i mezzi erano buoni per creare il calore necessario a far nascere i bigatti nel periodo più propizio com'evidenziato dal detto: a San Giorg se mët la sumenza al cöld se i cavalee in ben metü a Santa Crus i bigat in nasü (2) quindi importante era la schiusa delle uova ma, in tempo utile e ben determinato.

Nel frattempo si preparava l'ambiente per l'allevamento, con tavole di legno tavul di cavalee veniva predisposto una specie di castello con una serie di ripiani sui quali si ponevano dei graticci costruiti con canne di lago canët de lag, sopra i graticci veniva messa una carta sulla quale erano posti i bigattini.

Per allevare in modo ottimale un'oncia di seme occorrevano 16 - 18 ripiani o graticci per una superficie di circa 50 metri quadrati, inoltre per poter attrezzare il bosco bösch su cui si sarebbero attaccati i bachi per fare i bozzoli, i graticci dovevano stare a circa 50 centimetri uno dall'altro.

Quasi tutte le famiglie disponevano, ovviamente in affitto, di un pezzo di palude vicino ai laghi o ai fiumi dove nei periodi invernali si approvvigionavano delle canne necessarie per costruire nuovi graticci o riparare i vecchi.

Predisposto il castello con i graticci, messa la carta sopra di essi si operava la cernita dei bacolini nati, visto che le uova non si schiudevano tutte contemporaneamente si rendeva necessaria una ulteriore operazione.


Si metteva un foglio di carta con piccoli fori sopra il panno dove era contenuto il seme in schiusa e sopra la carta si mettevano foglie di gelso tagliuzzate, i bacolini affamati salivano attraverso i buchini sulla carta attratti dall'alimento, rendendo facile la separazione dalle uova non ancora schiuse che erano rimesse nelle incubatrici, nei materassi o in altri luoghi.

La stessa operazione, con fogli di carta più grandi e buchi più grossi, si faceva anche per le pulizie periodiche, stendendoli sopra i graticci con la solita foglia di gelso sopra in modo che i bachi , salendo attraverso i buchi sul nuovo foglio, consentivano la pulizia delle tavole con la rimozione dei fogli posti in precedenza sui quali i bachi erano saliti piccoli e sui quali erano cresciuti.

I piccoli bigatti iniziavano immediatamente a mangiare, alimento base e unico di quest'animaletto le foglie del gelso murön pianta coltivata quasi esclusivamente per garantire l'alimentazione al baco da seta, la campagna Brianzola un tempo era costellata da innumerevoli filari di gelsi.

Per portare a maturazione la solita oncia di seme si calcolavano necessari circa un migliaio di Kg di foglie di gelso, ogni pianta di gelso produceva 20 - 25 Kg di foglia, immaginarsi la quantità di piante occorrenti per arrivare dai circa 28 grammi del seme ai 70 - 80 Kg di bozzoli.

NOTE
(1) Probabilmente il detto Brianzolo el gha un po' del parpajn, indirizzato ai giovanotti in perenne ricerca di femmine è originato dalla similitudine con il maschio del baco da seta.

(2) A San Giorgio si mette la semenza al caldo e se il seme è buono per Santa Croce i bachi sono nati

Anselmo Brambilla, 15 marzo 2009

Nelle fotografie, il gelso della rotonda del cimitero di Verderio Superiore nelle diverse stagioni. Manca, per ora, la primavera. L'albero è stato piantato nel corso della precedente amministrazione comunale (2004 - 2009) presieduta dal Sindaco Beniamino Colnaghi. M.B.

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