Tre cascine scomparse: Fornacetta, san Giuseppe e Borgonovo
Dopo la seconda metà del secolo scorso, tre cascine sono rimaste disabitate: la san Giuseppe, la Fornacetta e la Borgonovo. In balìa delle intemperie, sovrastate dalla crescita delle piante e dalle erbe selvatiche, i muri che sostenevano le grosse travi di sostegno iniziarono a sgretolarsi, fino al crollo definitivo.
Nella cascina san Giuseppe, più conosciuta come pulentel, così chiamata perché qualcuno amava la polentina, vivevano due ceppi di famiglie: i Villa e gli Oggioni. Dei primi non è rimasto nessun discendente in paese. Forse emigrarono altrove. Ci sono ancora, invece, alcuni componenti degli Oggioni, sparsi un poco ovunque, ma sempre presenti nei nostri due paesi. La loro è una storia di migratori. Infatti, inizialmente facevano parte del ceppo familiare che abitava alla cascina Salette, a Verderio Superiore. A seguito delle divisioni familiari, si trasferirono per un breve periodo alla Borgonovo e definitivamente, nel 1927, approdarono alla cascina san Giuseppe, appena fuori del centro abitato, in direzione Francolino.
Le famiglie contadine erano spesso costrette a cercare nuovi spazi liberi, a causa di divisioni familiari e di matrimoni interni con l'aumento della prole. I locali a disposizione non bastavano per tutti e quindi si coglieva l'occasione per occupare locali lasciati vuoti da altre famiglie che cambiavano residenza, per stabilirsi al loro posto, alla ricerca di una propria indipendenza e fortuna.
Componenti della famiglia Passoni, abitante della cascina Borgonuovo |
Alla Borgonovo, burnoeuv in dialetto, abitavano le famiglie Passoni. In una di queste viveva la sorella di mia nonna Isolina, di nome Antonia, ma che tutti chiamavano per Tugnina. Non era una cascina come le altre, assomigliava di più ad una casa colonica, con stalle, fienili ed abitazioni in un solo corpo. La cascina si trovava all'estremo confine ovest del paese, attorniata da molta terra, con piante da frutta e vigneti di uva clinton, con la quale i contadini locali producevano un vino molto modesto, dal gusto acerbo, ma apprezzato perché non c'era altro. Lo chiamavano pincianell. Nelle vicinanze un grande bosco di robinie che, per l'inverno, garantiva abbondante legna ai camini e alle stufe.
Una piccola curiosità: proprio da bambino, al burnoeuv, la mia incoscienza mi portò alla prima ed unica sbornia, dopo aver bevuto un bicchiere di vino rosso. Non aveva molti gradi, ma non poteva certo essere tollerato facilmente da un ragazzo di dieci anni. La strada di ritorno fino alla cascina Salette, dove abitavo, circa cinquecento metri, la feci tutta a ruzzoloni.
Le cascine Borgonovo e san Giuseppe erano di proprietà della Curia milanese. Nei due secoli scorsi, come già per Verderio Superiore, anche a Inferiore, i lasciti dei benefattori venivano investiti nella costruzione di piccoli cascinali e nell'acquisizione di terreni. In questo modo si creava un tornaconto per le parrocchie, chiamate ad amministrare i beni e a riscuotere gli affitti. Ancora oggi, la Curia è proprietaria di terreni nel nostro territorio, mentre altri appezzamenti sono stati venduti recentemente per costruire abitazioni. In cambio, il donatore usufruiva di sante Messe perpetue per tutta la vita della parrocchia.
In questa e nelle fotografie che seguono, che risalgono al febbraio 2010, la cascina Fornacetta |
La cascina Fornacetta, Furnaseta, ha una storia un poco più lunga. Nel Catasto Teresiano del 1722 si dice che il proprietario era un certo Nicola Majnone. Nel 1769 passò alla famiglia Taveggia, mentre nel Catasto Cessato del 1856 figura un altro propietario: Sottocornola. Nel 1898 venne ristrutturata dai nuovi proprietari, i fratelli Villa Antonio e Francesco, di Cernusco Lombardone. Nella cascina, in aperta campagna e attorniata da ampie zone coltivabili, sul
confine di Cornate d'Adda, abitavano sei famiglie i cui cognomi erano: Pirovano, Crippa e Pozzoni: con genitori, figli e prole, formavano un nucleo di oltre ottanta persone. I due fratelli Villa, scapoli, erano, a detta di un testimone, persone facoltose, tanto da destinare in beneficenza decine di milioni di lire. Pare che il più beneficiato dalla loro generosità sia stato l'ospedale di Vimercate.
In cascina, oltre alle abitazioni, c'erano diverse stalle con mucche, asini, cavalli e maiali. In un angolo, era stata costruita anche una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana che serviva per abbeverare le bestie. Ogni anno veniva svuotata per essere ripulita dalla melma che si depositava sul fondo. L'acqua era così sempre limpida ma non potabile. Quest'ultima veniva attinta dai pozzi delle cascine vicine o al posto pubblico in paese.
Mattoni cotti al forno, a sinistra, e cotti al sole, a destra |
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo a mancare l'attività agricola contadina, iniziò la fuoriuscita dallacascina di alcuni giovani, freschi di nozze, che si trasferirono nelle corti del paese. L'esodo terminò nel 1979 e la cascina rimase disabitata. Nel giro di pochi anni iniziarono a sgretolarsi i muri e a cadere i tetti, fino al crollo definitivo.
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