....sono nata a Milano l'11 giugno 1920 da padre ebreo, Edgardo Finzi, e da madre cattolica, Giulia Robiati.
Con mio padre sono stata arrestata a Milano il 22 aprile 1944 e tradotta al carcere di S. Vittore. Dopo una decina di giorni siamo stati spostati a Fossoli (Carpi) e, alla fine di luglio, inviati separatamente in campi di concentramento in Germania.
Da Fossoli siamo stati trasferiti con camion a Verona. Qui, alla partenza per la Germania, sono stata separata da mio padre senza possibilità di seguirlo: solo molto dopo ho saputo che la sua destinazione è stata Auschwitz e che alla prima selezione è stato inviato alla camera a gas.
Partenza quindi per destinazione ignota; viaggio, di circa una settimana, in carri bestiame sigillati; arrivo, al mattino presto, in un campo accolti da SS armate, con cani ringhiosi e con urla e ordini incomprensibili; chiuse in un locale per 24 ore, senza alcun rifornimento di acqua o di cibo.
La mattina seguente sono ricomparse le SS, accompagnate da altre internate, ed è cominciata la spogliazione fisica, morale, psicologica totale. Io ero nel campo di Ravensbruck
Il sistema e il programma erano uguali in tutti i campi: immissione in baracche sovraffollate, sporche, piene di parassiti, malviste da chi era già insediato; due appelli al giorno della durata da 1 a 2 ore, alla mattina alle 6 e alla sera alle 18; obbligo di lavoro, tipo lavori forzati, sempre sorvegliate da SS armate. Questa vita è durata da agosto 1944 sino a maggio 1945.
L'episodio più terribile è stata l'evacuazione del campo in uno stato fisico stremato, sfinite moralmente e fisicamente, ammalate, senza abiti adatti alla stagione, morte di fame sotto i bombardamenti aerei e terrestri. Tutto questo è durato dal 27 aprile alla sera 4 maggio 1945. Alla fine ci hanno abbandonato per l'arrivo di una colonna di carri armati americani, ma la mattina seguente la zona è stata occupata dai russi e le disgrazie per noi non erano ancora finite.
Il rimpatrio è avvenuto alla fine di agosto, dopo un peregrinare tra vari campi di raccolta, ultimo quello di Lubecca.
Il nostro rientro in patria è passato nella più assoluta indifferenza generale e per tanti anni nessuno ha voluto sapere le nostre traversie, le nostre sofferenze nonché le conseguenze.
Ho raccontato questi mesi terribili, di fame, freddo, lavoro disumano, in alcuni incontri pubblici, a partire dal 27 gennaio 2001 (1), Giorno della Memoria, e nel libro che ho scritto "Varcare la soglia" (2).
Prima non ne avevo mai parlato con nessuno, nemmeno con le persone più intime e più vicine a me; non avevo mai raccontato questa mia terribile esperienza, che pure aveva lasciato un solco profondo e un'intima trasformazione: tutto giaceva sepolto nel mio io e non avrei desiderato esternare questi miei ricordi. Il passare degli anni arrivava quasi a convincermi che non ci fosse niente di eccezionale, di così interessante in questa mia storia. Mi pareva, leggendo la medesima vicenda descritta da altri, di rileggere la mia e mi ritrovavo in mille ricordi e sensazioni identiche, mai pensando che avrei potuto anch'io raccontare qualcosa e aggiungere qualche particolare interessante.
La mia vicenda era quella di tante altre persone e il dubbio di ripetere qualcosa di già noto a quelli che si interessavano dell'argomento mi ha sempre dissuasa dal provarci.
E così gli anni sono passati e io sono arrivata alla veneranda età di 81 anni senza dar vita ai miei ricordi. Forse è quando si rimane soli che questi affollano di più la mente e ci si concentra su di essi: possono essere ricordi recenti o lontani, felici o dolorosi, ma sono parte di noi stessi.
Non è vero che la solitudine sia una malattia, dipende da come ogni persona reagisce a questa situazione che può anche instaurarsi improvvisamente e inaspettatamente.
Anch'io mi sono trovata sola (non improvvisamente) alla morte di mio marito e la mancanza di una persona al mio fianco, dopo quasi cinquant'anni di vita insieme, è stato uno shock notevole, ma devo dire che, superato il trauma più violento dei primi mesi, che ti obbliga a far fronte a tutti i problemi di vita pratica per la perdita di una persona cara, la solitudine mi ha quasi costretto a riesaminare e ripercorrere la mia vita passata.
La solitudine bisogna saperla affrontare come qualsiasi evento della vita e non subirla come una malattia che ti aggredisce. Il ripercorrere a ritroso la propria esistenza, il cercare di ravvisare nei propri ricordi una sorta di meditazione sugli eventi che si sono susseguiti è una occupazione della mente e della psiche , è un aiuto a meglio conoscere se stessi, a ragionare su certi comportamenti, a conoscere come il destino ha giocato nella nostra vita o le nostre scelte hanno favorito o contrastato questo destino.
Quando si comincia questo riesame è qualcosa che appassiona e sprona a continuare, in fondo è un po' come un gioco con se stessi che occupa le ore libere e obbliga la mente a lavorare su questo e quindi a superare il senso di solitudine.
La mia vita ha avuto un episodio dominante che indubbiamente è quello che mi ha marchiato, anche se solo in vecchiaia ho avuto il tempo e il coraggio di affrontarlo a fondo.
Penso però che la vita di ogni persona sia ricca di eventi, di ricordi, di esperienze: bisogna avere la voglia e la volontà di rivedere tutto questo vissuto (che può essere lungo per chi è vecchio, ma anche per un giovane può avere ricchezza di aspetti diversi a seconda dell'età), filtrarlo, decantarlo, assimilarlo attraverso gli eventi che sono seguiti e attraverso la situazione, presente tramite la solitudine che aiuta questo ripasso e questa revisione.
Fausta Finzi
(1) La prima testimonianza pubblica di Fausta Finzi è avvenuta il 27 gennaio 2001 a Verderio Superiore. La signora Fausta non parlò direttamente al pubblico, ma lo fece attraverso una videointervista realizzata da Jurij Razza, a quel tempo in servizio civile presso il comune di Verderio Superiore. Il video, su supporto VHS e DVD, può essere chiesto in prestito presso la Biblioteca Intercomunale di Verderio.
(2) Fausta Finzi, VARCARE LA SOGLIA, a cura di Federico Bario e Marilinda Rocca, 2002, Lecco. Dopo questo prima edizione a cura dell'Istituto Lecchese per la Storia del Movimento di Liberazione e dell'Età Contemporanea, nel 2005 il libro, ampliato, è stato pubblicato dall'editore Gaspari di Gorizia con la prefazione di Frediano Sessa e con un nuovo titolo: A RIVEDER LE STELLE.
Con mio padre sono stata arrestata a Milano il 22 aprile 1944 e tradotta al carcere di S. Vittore. Dopo una decina di giorni siamo stati spostati a Fossoli (Carpi) e, alla fine di luglio, inviati separatamente in campi di concentramento in Germania.
Da Fossoli siamo stati trasferiti con camion a Verona. Qui, alla partenza per la Germania, sono stata separata da mio padre senza possibilità di seguirlo: solo molto dopo ho saputo che la sua destinazione è stata Auschwitz e che alla prima selezione è stato inviato alla camera a gas.
Partenza quindi per destinazione ignota; viaggio, di circa una settimana, in carri bestiame sigillati; arrivo, al mattino presto, in un campo accolti da SS armate, con cani ringhiosi e con urla e ordini incomprensibili; chiuse in un locale per 24 ore, senza alcun rifornimento di acqua o di cibo.
La mattina seguente sono ricomparse le SS, accompagnate da altre internate, ed è cominciata la spogliazione fisica, morale, psicologica totale. Io ero nel campo di Ravensbruck
Il sistema e il programma erano uguali in tutti i campi: immissione in baracche sovraffollate, sporche, piene di parassiti, malviste da chi era già insediato; due appelli al giorno della durata da 1 a 2 ore, alla mattina alle 6 e alla sera alle 18; obbligo di lavoro, tipo lavori forzati, sempre sorvegliate da SS armate. Questa vita è durata da agosto 1944 sino a maggio 1945.
L'episodio più terribile è stata l'evacuazione del campo in uno stato fisico stremato, sfinite moralmente e fisicamente, ammalate, senza abiti adatti alla stagione, morte di fame sotto i bombardamenti aerei e terrestri. Tutto questo è durato dal 27 aprile alla sera 4 maggio 1945. Alla fine ci hanno abbandonato per l'arrivo di una colonna di carri armati americani, ma la mattina seguente la zona è stata occupata dai russi e le disgrazie per noi non erano ancora finite.
Il rimpatrio è avvenuto alla fine di agosto, dopo un peregrinare tra vari campi di raccolta, ultimo quello di Lubecca.
Il nostro rientro in patria è passato nella più assoluta indifferenza generale e per tanti anni nessuno ha voluto sapere le nostre traversie, le nostre sofferenze nonché le conseguenze.
Ho raccontato questi mesi terribili, di fame, freddo, lavoro disumano, in alcuni incontri pubblici, a partire dal 27 gennaio 2001 (1), Giorno della Memoria, e nel libro che ho scritto "Varcare la soglia" (2).
Prima non ne avevo mai parlato con nessuno, nemmeno con le persone più intime e più vicine a me; non avevo mai raccontato questa mia terribile esperienza, che pure aveva lasciato un solco profondo e un'intima trasformazione: tutto giaceva sepolto nel mio io e non avrei desiderato esternare questi miei ricordi. Il passare degli anni arrivava quasi a convincermi che non ci fosse niente di eccezionale, di così interessante in questa mia storia. Mi pareva, leggendo la medesima vicenda descritta da altri, di rileggere la mia e mi ritrovavo in mille ricordi e sensazioni identiche, mai pensando che avrei potuto anch'io raccontare qualcosa e aggiungere qualche particolare interessante.
La mia vicenda era quella di tante altre persone e il dubbio di ripetere qualcosa di già noto a quelli che si interessavano dell'argomento mi ha sempre dissuasa dal provarci.
E così gli anni sono passati e io sono arrivata alla veneranda età di 81 anni senza dar vita ai miei ricordi. Forse è quando si rimane soli che questi affollano di più la mente e ci si concentra su di essi: possono essere ricordi recenti o lontani, felici o dolorosi, ma sono parte di noi stessi.
Non è vero che la solitudine sia una malattia, dipende da come ogni persona reagisce a questa situazione che può anche instaurarsi improvvisamente e inaspettatamente.
Anch'io mi sono trovata sola (non improvvisamente) alla morte di mio marito e la mancanza di una persona al mio fianco, dopo quasi cinquant'anni di vita insieme, è stato uno shock notevole, ma devo dire che, superato il trauma più violento dei primi mesi, che ti obbliga a far fronte a tutti i problemi di vita pratica per la perdita di una persona cara, la solitudine mi ha quasi costretto a riesaminare e ripercorrere la mia vita passata.
La solitudine bisogna saperla affrontare come qualsiasi evento della vita e non subirla come una malattia che ti aggredisce. Il ripercorrere a ritroso la propria esistenza, il cercare di ravvisare nei propri ricordi una sorta di meditazione sugli eventi che si sono susseguiti è una occupazione della mente e della psiche , è un aiuto a meglio conoscere se stessi, a ragionare su certi comportamenti, a conoscere come il destino ha giocato nella nostra vita o le nostre scelte hanno favorito o contrastato questo destino.
Quando si comincia questo riesame è qualcosa che appassiona e sprona a continuare, in fondo è un po' come un gioco con se stessi che occupa le ore libere e obbliga la mente a lavorare su questo e quindi a superare il senso di solitudine.
La mia vita ha avuto un episodio dominante che indubbiamente è quello che mi ha marchiato, anche se solo in vecchiaia ho avuto il tempo e il coraggio di affrontarlo a fondo.
Penso però che la vita di ogni persona sia ricca di eventi, di ricordi, di esperienze: bisogna avere la voglia e la volontà di rivedere tutto questo vissuto (che può essere lungo per chi è vecchio, ma anche per un giovane può avere ricchezza di aspetti diversi a seconda dell'età), filtrarlo, decantarlo, assimilarlo attraverso gli eventi che sono seguiti e attraverso la situazione, presente tramite la solitudine che aiuta questo ripasso e questa revisione.
Fausta Finzi
(1) La prima testimonianza pubblica di Fausta Finzi è avvenuta il 27 gennaio 2001 a Verderio Superiore. La signora Fausta non parlò direttamente al pubblico, ma lo fece attraverso una videointervista realizzata da Jurij Razza, a quel tempo in servizio civile presso il comune di Verderio Superiore. Il video, su supporto VHS e DVD, può essere chiesto in prestito presso la Biblioteca Intercomunale di Verderio.
(2) Fausta Finzi, VARCARE LA SOGLIA, a cura di Federico Bario e Marilinda Rocca, 2002, Lecco. Dopo questo prima edizione a cura dell'Istituto Lecchese per la Storia del Movimento di Liberazione e dell'Età Contemporanea, nel 2005 il libro, ampliato, è stato pubblicato dall'editore Gaspari di Gorizia con la prefazione di Frediano Sessa e con un nuovo titolo: A RIVEDER LE STELLE.
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