martedì 12 settembre 2017

DAL PARCO DEL RIO VALLONE AL P.A.N.E. di Marco Bartesaghi


C’ERA UNA VOLTA …
 

C’era una volta, nelle terre di Cavenago, un buco grande … grandegrande … un buco enorme.
 




Quando gli abitanti - del paese e di quelli intorno e della grande città - cominciarono a buttarci i loro rifiuti pensarono che un buco così non sarebbe mai stato pieno.
Invece -un sacchetto oggi e uno domani, un camion prima e un altro dopo – puf!! il buco non c’è più!! finito!!

Era finito il buco ma – guarda un po’ – non erano finiti i rifiuti.
 

“E adesso dove li portiamo?” – “Mah, per ora portiamoli ancora lì”.
 




E così - un sacchetto oggi e uno domani, un camion prima e un altro dopo - è cresciuta una montagna.
Beh, insomma … diciamo una collina, che però, in quel di Cavenago può quasi considerarsi una montagna.
E lo sarebbe diventata, se a un certo punto non avessero detto:  

“Basta, fermiamoci, prima che ci venga tutto addosso!”.
 

Così Cavenago ha avuto la sua collina.
 

“Una collina di spazzatura? Ma che schifo!”
 

Certo, se l’avessero lasciata così.
 

 
Illustrazioni di Chiara Villa


Ma andate a vederla adesso, che è stata ricoperta di terra, che l’erba è cresciuta e sono stati piantati alberi e arbusti e c’è anche un bosco e un laghetto: è una signora collina!
Pensate che da lei è nato il parco del Rio Vallone, che prende nome da un torrente che le passa vicino.
A dir la verità, anche lui non è proprio un torrente …


LA COLLINA DI CEM Ambiente
 

Più o meno così è nato il parco del Rio Vallone.
Verso la fine degli anni ottanta, epoca in cui la raccolta differenziata era solo agli inizi e tutti i rifiuti venivano gettati in discarica, quella di Cavenago, situata nei pressi dell’autostrada e gestita da CEM Ambiente, era ormai esaurita.
 

 
La discarica in funzione (foto dal web)


Il comune di Milano, in difficoltà, premeva, però, affinché continuasse a operare e, in particolare, ad accogliere la sua spazzatura.
Per acconsentire il sindaco di allora,  arch.  Antonio Varisco, oltre a un giusto compenso economico per il suo comune, pretese che la collina che ne sarebbe risultata fosse alla fine “naturalizzata” e intorno ad essa sorgesse una zona protetta, un parco.


***

Fare una collina non è facile (per quelle vere ci sono voluti secoli e secoli). Non basta fare un cumulo di rifiuti, coprirlo di terra, seminare l’erba e piantare gli alberi.
La collina sarà “pronta” quando la discarica - il suo scheletro - che ha cessato di lavorare nel 1994, sarà del tutto bonificata; quando cioè i rifiuti che la compongono saranno completamente mineralizzati.






 



Fino a quel giorno bisognerà continuare a smaltire il biogas prodotto dalla fermentazione dei rifiuti e il percolato, ossia i liquidi che si depositano sul fondo.
Per il trattamento del biogas, che, nei primi tempi, attraverso vie sconosciute penetrava in diverse cantine, soprattutto di Ornago, creando non pochi disagi e qualche pericolo, in collaborazione con il Politecnico di Milano è stato realizzato un impianto che permette di ricavare metano, e poi produrre energia elettrica e calore.
 




Per il percolato è stato realizzato un apposito impianto di depurazione, il cui prodotto finale viene immesso, come previsto dalle norme, nella fognatura comunale.

***

Ora la collina è a un buon punto (“ottimo”, mi dice Andrea Pirovano, che fra poco vi presento): in parte è ricoperta da bosco, ospita alcuni piccoli orti e, nella parte alta, un vivaio di piante. 







Nella zona che si ritiene ancora un po’ critica, è stato realizzato uno stagno dove sono stati immessi dei pesci”sentinella”, gli storioni, che sono molto sensibili e morirebbero se ci fossero infiltrazioni inquinanti: resistono da anni, è un buon segno.
 






Insieme al “boscone di Ornago” e alle “foppe di Cavenago”, la collina è diventata un importante luogo di sosta per l’avifauna.



***
Dal 2014 la collina è, saltuariamente, accessibile al pubblico: nel mese di maggio CEM organizza “Le domeniche in collina”, aperte alla cittadinanza; altre attività sono rivolte alle scuole e altre ancora sono organizzate dal Parco Rio Vallone. 





IL PARCO DEL RIO VALLONE
 

A voler essere precisi, è un Parco Locale di Interesse Sovracomunale; volendo essere altrettanto precisi, ma più sintetici, è un PLIS; “terra a terra” è il Parco del Rio Vallone.
Nasce nel 1992 su iniziativa dei comuni di Cavenago, Masate, Basiano, Bellusco e Ornago, che hanno voluto mantener fede alla promessa di costituire un parco, fatta quando la collina di rifiuti aveva cominciato a crescere. Più tardi, nel 2005, hanno aderito Mezzago, Sulbiate, Aicurzio e Verderio Inferiore (ora Verderio), , poi sono entrati Gessate (2007), Busnago (2010), Cambiago (2012) e infine Roncello nel 2014.


***

L’adesione di un comune al parco non è immediata. L’iter prevede, in primo luogo, una delibera favorevole del Consiglio Comunale, che comprenda l’indicazione delle aree che si vogliono inserire; di conseguenza, è necessaria la modifica dello strumento urbanistico locale, per adeguarlo alla volontà espressa dal Consiglio.

***

Il percorso di Verderio Inferiore ha avuto inizio tra il 1990 e il 1995, con la prima amministrazione guidata da Alessandro Origo. Per incoraggiare la scelta, a una seduta del Consiglio Comunale parteciparono l’allora presidente del parco, l’arch. Antonio Varisco -  quel personaggio, se vi ricordate, che da sindaco di Cavenago ne aveva proposto la nascita - e il direttore, ancor oggi in carica, Massimo Merati.
Quando al Consiglio Comunale toccò esprimersi, lo fece con voto unanimemente favorevole.


***

Il parco si sostiene, innanzitutto, grazie ai contributi che i comuni versano annualmente. La quota, per ciascuno di essi, è proporzionale all’ampiezza del territorio inserito e al numero degli abitanti.
 




Queste entrate rappresentano solo una parte del bilancio dell’Ente. Altre significative risorse vengono acquisite attraverso l’adesione a bandi regionali o grazie ai contributi di fondazioni private e altri enti.
I più importanti sono quelli della Fondazione CARIPLO e del Consorzio Brianza Acque.
Con Fondazione CARIPLO è stato realizzato il progetto V’Arco Villoresi (Nota 1), il progetto A.P.R.I.R.E. (Azioni Per il Rafforzamento Integrato delle Reti  Ecologiche), e i progetti Tre Parchi in Filiera e il P.A.N.E.  di cui parleremo più avanti.


***

Nel 2014 il parco aveva raggiunto la sua massima ampiezza, 1600 ettari, sennonché, nel 2016, le nuove amministrazioni comunali di Cambiago e Gessate hanno deciso di interrompere la loro adesione.
Una scelta che brucia come una ferita, soprattutto per quanto riguarda Cambiago.
“Per Gessate in questi anni abbiamo fatto troppo poco” mi dice ancora Andrea Pirovano, quasi a giustificare questo comune “Loro sono anche nel territorio della Martesana, così hanno deciso di aderire a quel parco, anche se ancora in fase di costituzione, e abbandonare il nostro … peccato!”
A Cambiago è stata tutta un’altra storia, perché sul suo territorio, negli ultimi due anni il parco ha speso circa 200.000 euro : 

  • Con la fondazione CARIPLO e il progetto V’Arco Villoresi, ha realizzato una rampa d’ingresso e un percorso in legno di un centinaio di metri, alzato di 50 cm, su una zona umida naturale a ridosso del canale Villoresi. La pedana in legno arriva ad un esagono di panchine da dove è possibile l’osservazione delle farfalle. La zona è lasciata incolta proprio per favorire la proliferazione di questi insetti.
  • Sempre tramite CARIPLO, spendendo 70.000 euro, ha comprato un bosco, a ridosso della zona industriale – “un postaccio che non ti dico” (Andrea) -, l’ha pulito, liberato dai rovi, e realizzato due aree umide.
    Cose ritenute inutili dalla nuova amministrazione comunale (“tutte quelle erbacce, era mica meglio fare una pista di motocross?” pare sia stato detto) che ha comunicato al parco la sua decisione di recedere dall’adesione. Adesso la situazione è strana: a Cambiago, su un’area privata, è stato realizzato un progetto (percorso in legno e punto di osservazione delle farfalle) con il finanziamento CARIPLO e la convenzione con il comune, ora fuoriuscito. In più il parco è proprietario di un’area (il bosco) in un comune che non è più suo socio.
PER COMPLETARE LA LETTURA  CLICCA SU "CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO 




IL RIO VALLONE
 

Tutti conoscono il fiume Adda; molti, a livello locale, hanno almeno sentito parlare del fiume Molgora; quasi nessuno sa cosa sia il Rio Vallone.
 

 
La Roggia Annoni nei pressi di Cascina Bice, Verderio


È il tronco finale di un canale artificiale, una “roggia”, realizzata nella seconda metà del XV secolo (la concessione per la sua costruzione è del 27 aprile 1476) che portava l’acqua del lago di Sartirana ad irrigare i prati del fondo Bergamina, a Verderio (allora Inferiore), e poi proseguiva fino a sfociare, a Bellinzago Lombardo, nel Naviglio della Martesana.


Cascina Bergamina a Verderio
Il primo tratto, in origine si chiamava Roggia Verderio. Prese il nome di Roggia Annoni nel 1727, quando questa nobile famiglia milanese ne divenne proprietaria.
Dopo la Cascina Bergamina, lasciato Verderio, il canale entra nella provincia di Monza Brianza, dove prende il nome di Rio Vallone e prosegue verso sud solcando, in zone quasi sempre periferiche, i territori dei comuni che hanno dato vita al parco.
 

 
L'imbocco della Roggia Annoni al lago di Sartirana


Non più alimentato dal lago di Sartirana, la sua fonte principale, né da quelli di Novate, interrato da decenni, e di San Rocco, che ora scarica in Adda, il canale è ormai allagato solo quando piove. Se le precipitazioni sono intense, raggiunge anche notevoli portate, fino, a volte, a fuoriuscire dal suo alveo in alcuni punti critici del percorso.

***

Il tracciato della Roggia Annoni ha perso la sua continuità. Fonte di secolari dissidi fra i suoi proprietari e quelli dei terreni attraversati, a causa delle inondazioni che provocava, è stata interrata in più punti. Non a Verderio, però, dove la si può seguire per tutto il suo sviluppo, partendo, all’incirca, dalla Cascina Assunta di Paderno d’Adda (2).
Ancora integro invece è il percorso del Rio Vallone, da Verderio a Bellinzago Lombardo, dove sfocia nel Naviglio.


CHIACCHIERANDO CON ANDREA PIROVANO, PRESIDENTE C.d.A DEL PARCO DEL RIO VALLONE
 

È il momento di presentarvi, come avevo promesso, Andrea Pirovano, da tre anni presidente del Consiglio di Amministrazione del Parco del Rio Vallone.
 

Andrea è un verderiese, classe 1956, con cui, se parlate di un argomento che lo appassiona, come in questo caso, rischiate di tirar notte.
 

E infatti il suo racconto parte da lontano, dai suoi ricordi di bambino:
“La Roggia Annoni è stata utilizzata fino agli anni sessanta del novecento. Io me lo ricordo bene, perché ho abitato alla Cascina Bice fino al 1964. Finché alla Bergamina ci sono stati i cavalli da corsa della Scuderia Alpina, i terreni erano coltivati a “prato stabile”, per produrre l’erba necessaria al loro allevamento. La Roggia forniva l’acqua per l’irrigazione.
Il prato stabile, se l’ambiente è giusto, il clima buono e se è ben irrigato, ti permette di tagliare il fieno tre, quattro e anche cinque volte all’anno: a maggio fai il maggengo, poi il nostrano, poi il terzuolo …”



I prati della Bergamina
D –Perché questo tipo di coltura è stata abbandonata?
RNon ci sono più stati i cavalli, ormai nessuno ha le mucche e così la gran parte dei prati stabili sono stati arati. Ed è stato un grosso danno.
 

D – Perché?
R - Il prato stabile non ha bisogno di grandi concimazioni e, comunque, anche quelle necessarie sono fatte con concime naturale, il letame; non serve fare il diserbo e gli animali, tipo i grilli, sono contenti.
Se invece fai il mais devi arare, fresare, dare il concime e poi seminare. Il seme deve essere trattato, se no te lo mangiano. Poi devi dare il veleno, poi un po’ di azoto, per dargli subito una spintarella. Quando la pianta è alta “così” (?) solitamente è a posto. Ma se hai l’attacco di nottua è un casino, perché questo insetto entra dentro il gambo, fa il buco, le piantine fanno “ puf” e crollano. Allora devi intervenire con gli anticrittogamici, che uccidono la nottua, ma anche gli altri insetti.
Nel dopoguerra, anni 50 – 60, i contadini che erano in affitto, siccome facevano la fame, avevano preferito andare a lavorare in fabbrica.
La coltivazione estensiva del mais è iniziata allora. Sono stati sradicati i gelsi - a Verderio ne avevamo 8500, altrettanti ne aveva Sulbiate e, di sicuro, ad Aicurzio e Bernareggio ce ne saranno stati in proporzione – e i pochi contadini rimasti hanno cominciato a lavorare la terra con grandi trattori. La conseguente cancellazione dei fossi e il fatto che con il mais il terreno la trattiene meno, ha fatto nascere il problema della regolazione dell’acqua piovana.

 




D – E questo, se non sbaglio è uno dei grossi problemi che dovete affrontare …
R Sì. Ed è sempre più difficile, perché il terreno è diventato come di cemento e non assorbe più. Le zone più critiche sono quelle di Sulbiate, Aicurzio e Bernareggio. Con Brianza Acque, che ha una certa disponibilità finanziaria, abbiamo pensato di costruire, sopra il CTR3 di Bernareggio, una vasca di contenimento, che raccolga l’acqua quando si è in presenza di forti eventi piovosi, e poi la smaltisca pian piano.
Vorremmo però, e questa è la seconda faccia del progetto, che la vasca non rilasciasse tutta l’acqua, ma ne mantenesse una parte, permettendoci di realizzare un’oasi naturale.

 

D – Bello …
R Un compito del parco, il principale, direi è quello di favorire la naturalità dell’ambiente. Progetti come quello di cui abbiamo parlato, vanno in questa direzione. Brianza Acque ci sta dando un notevole aiuto.
 

D – “Favorire la naturalità dell’ambiente”. Interessante. Come vi muovete?
R Ci muoviamo soprattutto in due direzioni: la difesa delle zone boscate e la creazione di zone umide.
Le prime, nel parco ormai sono pochissime, mentre, se si guardano le mappe catastali della fine dell’ottocento, si rimane stupiti di quanto fossero ancora estese. Boschi esistenti da secoli, che subivano un continuo rinnovamento, perché la legna serviva per riscaldarsi.  
 
 

D – In cosa consiste la difesa dei boschi? 
R Cerchiamo di salvaguardare le piante autoctone rimaste e di reintrodurle laddove sono scomparse. Il bosco più significativo del parco è il “boscone di Ornago”. Per la sua salvaguardia abbiamo stipulato una convenzione trentennale con il proprietario e speso molte risorse per liberarlo dalle piante infestanti, che avevano preso il sopravvento soffocando molte varietà preesistenti.
 

 
Il "boscone" di Ornago (foto da web)


D – Qualche esempio delle usurpatrici?
RLa robinia è un tipico esempio, che però almeno ha qualche pregio: fornisce la legna, mantiene le sponde, …
Il ciliegio selvatico invece è disastroso e si riproduce facilmente perché gli uccelli mangiano le ciliegie e poi espellono i nocciolini. Allora lo devi tagliare e mettere l’acido per farlo morire. Se non lo fai soffoca tutte le altre specie. Invece è bello vedere il sentiero nel bosco con le querce, i carpini, insomma, con tutte le piante che c’erano una volta.

 

D – Per quanto riguarda le zone umide?
R - Il nostro territorio era ricco di zone umide, di stagni. C’erano le cosiddette “foppe” in corrispondenza dei luoghi di estrazione dell’argilla. Quelle di Masate esistono ancora e sono molto significative, così come quelle di Cavenago che si trovano vicino alla sede del parco .
Avevano grande importanza naturalistica perché lì arrivavano i girini, le rane, i rospi, le salamandre, le bisce, gli uccelli: tutto un ciclo che adesso si è in parte perso. Abbiamo fatto delle indagini e scoperto che il parco, soprattutto nella zona sud dove c’è il canale Villoresi, è ancora ricco di anfibi, compreso il tritone crestato, una specie protetta dalla comunità europea. Nostro obiettivo è portare gli anfibi anche nella parte nord del parco, dove però gran parte delle zone umide si sono perse.
 

 
Foppe di Cavenago (foto da web)


D – Quindi dovete farne di nuove. Come?
R - Si scava un bacino e gli si fa il fondo con un telo impermeabilizzante o con argilla espansa di un certo tipo. Poi bisogna recuperare le piante acquatiche e piantarle. Per questo ci rivolgiamo al Parco del Monte Barro, che in un suo laboratorio coltiva le essenze tipiche del nostro territorio.
 

D – Come si sceglie il luogo dove realizzarle?
R - Gli anfibi vivono nell’acqua in gennaio, febbraio, marzo e aprile, poi escono e vanno nel bosco. L’ideale sarebbe quindi realizzarle vicino ai boschi, come abbiamo fatto a Ornago. Ne abbiamo fatta un’altra bella a Mezzago, dietro ai campi di asparagi e diverse altre più piccole e meno visibili.
Sappiamo progettare e realizzare le foppe, e avremmo anche i finanziamenti, ma mancano le aree perché è difficile che i proprietari le mettano a disposizione, anche se le tengono pressoché inutilizzate.



***

Altri problemi del parco dipendono, mi racconta Andrea, dalla stupidità umana.
Alle foppe di Masate, un anno il faunista aveva rilevato un’ottima ovatura (deposizione di uova), segno di buona vitalità. L’anno successivo niente. Il Cobite Asiatico, un grazioso pesciolino che qualcuno s’era stufato di tenere nell’acquario, aveva fatto strage nella foppa dove era stato rilasciato e poi, sfruttando la sua capacità di vivere anche nella melma, era emigrato nella seconda e, ancora, nella terza, provocando anche lì disastri.
 

Altro esempio? Il gambero della Louisiana, importato perché più grande rispetto ai nostri e buono da mangiare. Però se scappa, o viene lasciato andare, e trova uno stagno, lo colonizza e ne distrugge la fauna. Esaurito il primo si sposta, ne trova un altro, poi un altro ancora e così via. Camminando su terreno asciutto riesce a fare anche 10 km al giorno.
La soluzione escogitata è quella di fare stagni più piccoli, che svolgano la loro funzione di accogliere gli anfibi da gennaio ad aprile, poi, con il caldo, si asciughino provocando così la morte degli animali infestanti.



CAMMINARE NEL PARCO

Il Parco del Rio Vallone ha pubblicato una cartina  che evidenzia una rete sentieristica di circa 40 km, suddivisa in 8 itinerari. 
Il principale, N.1, parte da Verderio e arriva a Gessate. Inizia a Verderio anche il sentiero N.7, che arriva a Cornate d’Adda. Gli appassionati  dei percorsi ad anello, alla fine del sentiero N.7 possono imboccare il N.6, Cornate – Sulbiate, per poi , all’incrocio, prendere verso destra il N.1 e tornare a Verderio.







Il retro della cartina contiene utili informazioni su vari aspetti naturalistici del parco. Con sintetiche descrizioni viene presentata la geologia del territorio ed elencati i corsi d’acqua che vi si incontrano; fauna  e flora sono oggetto di apposite schede, così come i più rilevanti aspetti del paesaggio naturalistico e le testimonianze della presenza umana: le cascine, gli edifici sacri e quelli industriali oggi considerati beni archeologici.

Castel Negrino, Aicurzio















 
Cascina Camuzzago, Bellusco, prima della ristrutturazione



 
La Commenda, Aicurzio












 ***


La cartina oggi è pressoché esaurita; invece di procedere alla ristampa, è stato realizzato un sito telematico di facile consultazione con maggiori dettagli sul parco. Tramite il Webgis si possono visualizzare, scaricare, stampare, tutti gli itinerari che possono interessare.

 ***

Il territorio del parco è toccato dal Cammino di Sant’Agostino, pellegrinaggio che tocca  50 santuari mariani della Lombardia. Fra questi il santuario della Madonna del Lazzaretto di Ornago.
Il cammino, lambisce il territorio di Verderio, attraversa Aucurzio e Bellusco, per poi raggiungere Ornago. 






DAL PROGETTO “TRE PARCHI IN FILIERA” AL PROGETTO P.A.N.E.
 

Il parco del Rio Vallone, quello del Molgora e quello della Cavallera, hanno iniziato la loro collaborazione realizzando il progetto “Tre parchi in filiera”. Lo scopo era quello di mettere a disposizione dei cittadini le produzioni agricole più significative dei loro territori, in particolare la patata a pasta bianca di Oreno, il grano del Molgora, gli asparagi di Mezzago. Sono inoltre stati coinvolti i produttori di miele e i coltivatori di zafferano e di micro ortaggi.
 

 
D - Cosa sono?
R - Sono mini ortaggi. Ad esempio, alcuni coltivano basilico in miniatura che però ha un profumo di una tale intensità che non è necessario usare un’intera piantina, ma solo un pezzettino. A fare queste produzioni sono tutti ragazzi giovani, pieni di entusiasmo.
 

D - Nell’iniziativa è stata coinvolta anche l’Azienda Agricola ai Boschi, di Verderio, che però non è nel territorio del Rio Vallone, bensì in quello del Parco Adda Nord …
RÈ vero, ma, dato che Verderio è sia nel parco Adda Nord che nel Rio Vallone, mi sono permesso di coinvolgerla. L’azienda, che produce bovini di razza limousine, è un allevamento modello, importantissimo per il territorio, per il discorso che abbiamo fatto prima sul prato stabile. In più sta tentando la conversione al biologico. Quest’anno, ad esempio, è stato piantato tanto favino bianco, un baccello che serve per fare mangime.
 

 
L'Azienda Agricola ai Boschi, Verderio


Qual è il suo problema? Che se vende direttamente al consumatore riesce a spuntare un certo margine di guadagno, se invece le richieste dirette non sono sufficienti deve vendere ai macelli ottenendo un minor guadagno, soprattutto se la mucca ha superato i 24 mesi di allevamento. Senza la vendita diretta ai privati l’azienda non riuscirebbe a reggere. L’azienda “ai Boschi” ha aderito al progetto e, grazie alle visite guidate in azienda e al rapporto instaurato con i G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale), ha avuto, mi sembra, un buon incremento. A parte tutto questo, l’Azienda ai Boschi merita sostegno perché è un esempio di gestione al femminile.

 ***

Da questa ed altre collaborazioni tra il Parco del Rio Vallone e quello del Molgora è nato il P.A.N.E., Parco Agricolo Nord Est. È nato però monco, poiché il Parco della Cavallera, che ne avrebbe dovuto far parte, smetterà di esistere alla fine del 2017.
P.A.N.E. vuole essere il corridoio ecologico che, collegando i grandi parchi regionali limitrofi, Lambro, Adda Nord, Curone e Parco Sud, facilita la variabilità genetica, grazie alla migrazione della fauna dall’uno all’altro territorio, altrimenti separati.  
 




A questo scopo Andrea Pirovano pensa che sarebbe importante far coincidere il confine di  P.A.N.E. con quello del parco Adda Nord, obbiettivo raggiungibile se il comune di Verderio fosse disposto ad aumentare, verso nord, l’area del suo territorio inserita in P.A.N.E.
Non sarebbe una buona idea? 


NOTE
(1)    V’Arco Villoresi:http://www.parcoriovallone.it/index.php?Mod=Pagina&Pagina=2422).
(2)    La Roggia Annoni su questo blog: http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/search/label/Roggia%20Annoni


Marco Bartesaghi

Nessun commento:

Posta un commento