martedì 4 dicembre 2012

NOVEMBRE 1951, ALLUVIONE IN POLESINE: PADERNO D'ADDA OSPITA SEI FAMIGLIE DI PROFUGHI di Marco Bartesaghi

Il 21 novembre 1951, a pochi giorni dall'esondazione del fiume Po che aveva inondato le terre del Polesine, provocato vittime e immensi danni all'agricoltura e alle abitazioni, costretto migliaia di persone a lasciare la propria terra, il comune di Paderno d'Adda aveva risposto alla lettera del Comitato Provinciale Pro Alluvionati di Como, comunicando di aver dato vita, come richiesto, al Comitato Comunale, che si sarebbe assunto il compito di coordinare e incrementare la raccolta di fondi, già iniziata per un moto spontaneo della popolazione.
 
Il manifesto- appello del comune di Paderno d'Adda ai propri cittadini
Il comune di Paderno aveva  in precedenza risposto all'appello alla solidarietà promosso dalla RAI, con la trasmissione radiofonica "Catena della Fraternità", chiedendo l'assegnazione di 20 bambini, che altrettante famiglie erano disposte ad ospitare nell'emergenza, e mettendo a disposizione indumenti e generi alimentari, per il valore di 1.500.000 lire, da inviare alle zone sinistrate con la colonna organizzata dall'ente.
 
Lettera di ringraziamento della RAI

In paese erano anche state raccolte 520.000 lire, oltre alle 218.000 consegnate all'ente radiofonico direttamente da alcuni privati. Un altro milione e mezzo in materiale di vario genere fu consegnato al Comitato Provinciale Pro Alluvionati.
IL buon successo della raccolta di fondi e di beni, soprattutto capi di vestiario, era stato possibile anche grazie alla presenza sul territorio di diverse aziende, per lo più maglifici, i cui proprietari avevano dato un proprio contributo, a cui si erano aggiunti i ricavi delle collette fra gli operai.

 
La lettera con cui la I.M.E.C presenta l'offerta sua e dei suoi operai.
 
Nella lettera al Comitato Provinciale, Paderno affermava anche di poter ospitare quattro famiglie di profughi composte da quattro o cinque persone. La risposta a questa opportunità non si fece attendere e, indirizzate a Paderno dal centro di smistamento di Milano, pochi giorni dopo l'alluvione cominciarono a giungere le prime famiglie: il 23 novembre Ada Moretti, vedova Perseghin, con le figlie Carla ed Erina, di 13 e 11 anni, provenienti da Loreo, in provincia di Rovigo (RO); il 25, da Rovigo, Biase Antonelli con la moglie Assunta Veronese; il 30, da Villadose (Ro), Norina Roccato con i figli Luigino, 15 anni, e Luciana, 9 anni, raggiunti il 7 dicembre dal capo famiglia, Gino Mariotto, e l'11 gennaio 1952, dalla mamma di questi, Amalia Catan, dimessa dall'Ospedale Maggiore di Milano. Antonietta Gianni, nubile, da Polesella (RO), giunse il 29 novembre; il 30, da Pincara (RO), arrivarono Teresa Pavan con il figli Ginetta, 14 anni, Ivana, 10, e Giuseppe, 4; Giovanni Corazza, il capo famiglia, si ricongiunse a loro il 29 dicembre. Da Pincara, sempre il 30 novembre, arrivarono Ubaldino Altafini con la moglie Gabriella Corazza e la figlia Mariachiara.
Diciannove persone, appartenenti a sei nuclei famigliari diversi, provenienti da cinque località del Polesine, furono quindi ospitate in locali ricavati dal'edificio comunale di Paderno d'Adda, in piazza della Vittoria, e in case di privati.
 
Una scheda del censimento dei profughi effettuato il 15 dicembre 1951
I profughi ospitati ufficialmente risultavano però essere 20, perché della famiglia di Giovanni Corazza faceva parte anche un altro figlio, Severino, classe 1930, seminarista, che, dopo pochi giorni di permanenza a Paderno, aveva fatto ritorno al seminario di Rovigo; fra le carte dell'archivio comunale è conservata una sua lettera di ringraziamento al sindaco e la relativa risposta. Eccone alcuni brani:
"È certo - scrive Severino Corazza -  che se è ben doloroso abbandonare il proprio paese, la propria casa, quell'intimità famigliare che rende felice il nido domestico, se è crudo perdere la propria casa, tutto il lavoro di una vita in poche ore come è toccato a noi, è altrettanto consolante trovare una mano pietosa come la sua che ci dia un letto su cui posare i corpi oppressi, un pane per sfamarci, un lavoro per tentare di ricostruirci una nuova esistenza"
 
Nella risposta, il sindaco Luigi Bianchi, dopo aver espresso gratitudine per le belle parole della lettera ed essersi rammaricato di aver potuto fare troppo poco "in proporzione alla vastità della sciagura", evoca il sentimento di fratellanza, scomparso durante il recente conflitto e resuscitato dal disastro del Polesine:
"Le sue parole suonano [...] molto commoventi e ci fanno sperare, così come desideriamo, quella profonda fraternità che ancora pochi anni orsono sembrava irraggiungibile.
Il ritorno a questi sentimenti di nobile e sentita fratellanza fanno ancora grandi l'uomo nella sua piccolezza e nella sua impotenza; e di questo noi ci sentiamo debitori verso i fratelli del Polesine così duramente provati"
.
 
Il 20 novembre 1951 il Consiglio dei Ministri emanò un decreto (n.1184, convertito in legge il 20 gennaio 1952) che estendeva ai profughi delle zone colpite dall' alluvione le provvidenze assistenziali previste per i profughi per eventi di guerra. In particolare, il decreto affermava che le spese relative al ricovero ed al mantenimento di quelli bisognosi erano a carico dello stato e che, coloro che non usufruivano di questa assistenza diretta, avevano diritto ad un sussidio giornaliero di lire 250 per il capofamiglia e per la persona isolata, e di lire 100 per ciascun componente a carico. La commissione comunale, cui spettava la valutazione dello stato di bisogno delle famiglie, stabilì che tutte quelle ospitate a Paderno erano in condizione di ricevere i sussidi, i quali venivano erogati attraverso l'Ente Comunale di Assistenza (E.C.A).
 


In due diverse occasioni furono concessi aiuti straordinari: in prossimità del Natale 1951 ogni persona poté usufruire di una cifra di 2500 lire e a febbraio del 1952 vennero distribuiti 20 Kg di farina, 1 Kg di zucchero e 500 g di olio a testa e i ragazzi di età inferiore a 14 anni, a Paderno erano in 7, ricevettero dalla Croce Rossa una scatola di latte condensato.
 

Dovendo far fronte alle spese per l'accoglienza dei profughi, con una lettera indirizzata al Comitato Provinciale pro Alluvionati (1 dicembre 1951), il Sindaco Bianchi chiese di poter trattenere la somma di 520.000 lire raccolta fra la cittadinanza, assicurando che del suo utilizzo sarebbe stata prodotta regolare contabilità. La risposta fu negativa: per i il versamento del 

La richiesta del sindaco Bianchi di poter trattenere la somma raccolta, sostenute per far fronte alle spese per l'accoglienza dei profughi e, sotto la risposta del Comitato Provinciale
 
denaro il comune doveva attenersi a quanto stabilito dal Comitato Provinciale, mentre poteva rivolgersi alla prefettura  per ottenere l'anticipazione dei fondi necessari al mantenimento dei profughi. Sull'argomento tornò il sindaco al momento del versamento della cifra raccolta: consegnò infatti un assegno di 420.000 lire, chiedendo l'autorizzazione di trattenere 100.000 lire per la liquidazione delle spese di prima sistemazione degli assistiti.
 
Per tornare alle loro case le famiglie degli sfollati dovettero attendere che esse fossero di nuovo in grado di accoglierle. Per sincerarsene, il comune di Paderno, dal gennaio 1952, scrisse ai comuni di provenienza, per avere informazioni sullo stato delle abitazioni.
Il comune di Polesella, rispose (25 gennaio) che la casa di Antonietta Gianni era ancora gravemente danneggiata e pericolante: resterà a Paderno fino ai primi di maggio.
Mai invasa dalle acque, invece, l'abitazione di Biase Antonelli e della moglie Assunta Veronese che partirono all'inizio di febbraio.
La signora Ada Moretti, vedova Perseghin, tornò con le figlie al suo paese, Loreo, a febbraio, ma trovò una brutta sorpresa: la sua casa era ancora allagata. Il sindaco scrisse allora al Prefetto di Como, si scusò per l'inconveniente, chiese che la famiglia potesse rientrare a Paderno e raccomandò che alla signora, vedova di guerra e in disagiate condizioni economiche, fosse prestato particolare riguardo. Saranno fra gli ultimi a lasciare Paderno, all'inizio di agosto.
L'8 febbraio, giorno del sopralluogo dei tecnici comunali, la casa della famiglia Altafini, in comune di Pincara, risultava ancora inabitabile per i gravi danni subiti. Gli Altafini partiranno all'inizio di aprile.
Il primo marzo fece rientro a Villadose la famiglia di Mariotto Gino, che era stato richiamato dal datore di lavoro.
 
Più difficile il rientro per la famiglia di Giovanni Corazza, la cui casa era stata distrutta per tre quarti dall'alluvione. Fino all'estate del 1953 risultano ancora presenti in paese e, dai documenti conservati in archivio, si evince che i rapporti fra il comune e la famiglia non sono più tanto cordiali.
 
Le condizioni della casa di Pincara della famiglia Corazza

Il 27 marzo 1953, il sindaco di Paderno, Carlo Gerosa, scrive a quello di Pincara, per dirgli che i locali occupati dalla famiglia Corazza gli servono per le prossime elezioni politiche e quindi di attivarsi per il suo rientro a casa o per la sistemazione in un centro di accoglienza alluvionati della provincia di Rovigo.
 


Tre giorni dopo, 31 marzo, la prefettura di Como scopre, dopo quasi due anni, che i Corazza non si trovano nelle condizioni di assoluto bisogno previsto dalla legge per avere diritto al sussidio e quindi glielo revocano a partire dal 30 aprile.
Il 6 luglio il sindaco di Paderno scrive alla prefettura di Como, ricordando che il Corazza si trova a Paderno con la famiglia dal novembre 1951, che si rifiuta di tornare al suo paese perché non vi troverebbe una casa e che, per decisione della prefettura stessa, gli è stato sospeso il sussidio. Siccome il Corazza occupa due locali, "che venivano concessi in linea del tutto eccezionale e solo provvisoriamente", dove il comune "deve conservare il materiale elettorale (urne, cabine e tramezzi)" e "non si decide a lasciarli liberi" e"non potendo per considerazioni ovvie, adire l'Autorità Giudiziaria" il sindaco chiede alla prefettura di attivarsi per il rientro al comune di provenienza o di trovare alla famiglia una sistemazione in un centro raccolta profughi della provincia.
Dai documenti conservati non si riesce a conoscere la data di partenza da Paderno d'Adda della famiglia Corazza.


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