Dopo una settimana d'ira di Dio - piogge torrenziali, tuoni, lampi, lago minaccioso e gonfio fin quasi all'altezza delle banchine, cavalcate di nuvole fra un rovescio e l'altro - stamattina è comparsa, col sereno, Biancaneve sui monti.
Brutto tempo sul lago di Como |
Candide le creste del Legnone e delle due Grigne: quella cipria leggera placa la crudeltà dei loro picchi dentati. Il Legnonino, chi sa perché, non ha un filo di neve; ma il San Primo, che dall'opposto lato chiude la conca del lago, è incappucciato di bianco alla fratesca. Dietro il rugginoso massiccio del San Martino la punta del Crocione, abbacinante, ferisce l'azzurro che si fa quasi nero al contrasto; e la catena dei monti di Còlico è una muraglia merlata di candore intatto.
"Legnonino" o Legnoncino, la punta a sinistra:del Legnone appare solo la punta innevata |
Sbucando dalle ultime nubi che il tivano mette in fuga, il sole colpisce, a tratti, quella muraglia, con raggi trasversali, che sembrano proiettati da un riflettore.
Sotto il tivano il lago ha una faccia di cattiveria, d'un verde mutevole, a creste bianche; e si scaglia schiumante e rombante contro le rive. Le voci unite del vento, del lago e degli alberi formano una specie d'ululato vorticoso, or alto or basso, che in certe insenature si deforma, si frantuma in mille grida e singhiozzi; e dalle misteriose cavità di certe dàrsene trae lamenti disperati.
Sotto il tivano il lago ha una faccia di cattiveria, d'un verde mutevole, a creste bianche; e si scaglia schiumante e rombante contro le rive. Le voci unite del vento, del lago e degli alberi formano una specie d'ululato vorticoso, or alto or basso, che in certe insenature si deforma, si frantuma in mille grida e singhiozzi; e dalle misteriose cavità di certe dàrsene trae lamenti disperati.
"I monti di Colico" all'alba da Pianello del Lario |
Ma v'è nello spazio tale felicità d'ossigeno, che ne ricevo un urto salubre, un senso di ebbrezza. La neve non copre che le cime dei più alti monti; ma ha lavato l'atmosfera, ha pósto ne' suoi atomi la freschezza del ghiaccio, la potenza d'un caustico.
Questo bene degli occhi, della gola, del sangue sferzato, del pensiero liberato, io lo ricevo direttamente e lo trasmetto ai centri vitali, intatto, perché son sola.
Questo bene degli occhi, della gola, del sangue sferzato, del pensiero liberato, io lo ricevo direttamente e lo trasmetto ai centri vitali, intatto, perché son sola.
Il "massiccio del S. Martino" con la piccola chiesa |
Nessuno è accanto a me, che io ami oppure òdii, che mi ami oppure mi ódii, dinanzi a cui io debba vagliare, coordinare, falsare le mie sensazioni.
Le contadine che passano per la strada sui forti zoccoli, portando a spalla carichi di foglie secche: i carrettieri, i barcaioli sicuri e placidi sui remi, nei barconi manzoniani a tre cerchi, zeppi di sacchi e di legname: i giardinieri che, approfittando del sereno, móndano, pótano, scapitózzano, dietro i cancelli delle ville, non turbano la mia solitudine. Io posso, se mi aggrada, accompagnarmi con loro, ascoltar le loro parche parole, compiacermi con loro del maltempo passato, del gran vento che "porta buono", del vitellino che è nato ieri, del salice morto che si dovrà tagliar domani, senza uscire di una linea dall'inviolabilità della mia solitudine. Nessuno di essi può farmi del male. Ciò che dentro di me è ferito, quindi ombroso, sofferente e pronto a soffrire di più, non esiste per loro.
Così in alto, lontana, la neve!... Non la vidi mai così immacolata. Ho l'illusione di affondarvi le mani, di sentirmene i diacciòli in bocca e il fuoco nelle palme, Su un ghiareto, alcuni sterratori lavorano, con movimenti di perfetta coordinazione ritmica: il rumor de' sassi raccolti dalle pale e ammassati nelle carriole accompagna in sordina la musica dell'aria. Ho la certezza di averli sempre veduti e uditi, in questa cerchia di lago e di monti, in questo nitore, sotto la sferza di questo vento, che vuol solcare le facce di cicatrici: e null'altro sia stato nella mia vita, null'altro debba essere.
Sopore della memoria: del desiderio: allontanamento da tutto, fuor che dal senso d'essere vivente.
A poco a poco, con gradazione inavvertita, l'orchestra aerea si attenua, si spegne, il lago si placa.
Ignoro che avvenga di me, durante le ore meridiane: passano, si trascolorano, ed io con esse:come se dormissi con gli occhi aperti.
Mi sveglia, a un minuto fisso, un richamo. Più che un richiamo un comandamento.
Sono le vette del Legnone e delle due Grigne, che hanno parlato.
Le contadine che passano per la strada sui forti zoccoli, portando a spalla carichi di foglie secche: i carrettieri, i barcaioli sicuri e placidi sui remi, nei barconi manzoniani a tre cerchi, zeppi di sacchi e di legname: i giardinieri che, approfittando del sereno, móndano, pótano, scapitózzano, dietro i cancelli delle ville, non turbano la mia solitudine. Io posso, se mi aggrada, accompagnarmi con loro, ascoltar le loro parche parole, compiacermi con loro del maltempo passato, del gran vento che "porta buono", del vitellino che è nato ieri, del salice morto che si dovrà tagliar domani, senza uscire di una linea dall'inviolabilità della mia solitudine. Nessuno di essi può farmi del male. Ciò che dentro di me è ferito, quindi ombroso, sofferente e pronto a soffrire di più, non esiste per loro.
Così in alto, lontana, la neve!... Non la vidi mai così immacolata. Ho l'illusione di affondarvi le mani, di sentirmene i diacciòli in bocca e il fuoco nelle palme, Su un ghiareto, alcuni sterratori lavorano, con movimenti di perfetta coordinazione ritmica: il rumor de' sassi raccolti dalle pale e ammassati nelle carriole accompagna in sordina la musica dell'aria. Ho la certezza di averli sempre veduti e uditi, in questa cerchia di lago e di monti, in questo nitore, sotto la sferza di questo vento, che vuol solcare le facce di cicatrici: e null'altro sia stato nella mia vita, null'altro debba essere.
Sopore della memoria: del desiderio: allontanamento da tutto, fuor che dal senso d'essere vivente.
A poco a poco, con gradazione inavvertita, l'orchestra aerea si attenua, si spegne, il lago si placa.
Ignoro che avvenga di me, durante le ore meridiane: passano, si trascolorano, ed io con esse:come se dormissi con gli occhi aperti.
Mi sveglia, a un minuto fisso, un richamo. Più che un richiamo un comandamento.
Sono le vette del Legnone e delle due Grigne, che hanno parlato.
Il Legnone, percorrendo il Sentiero del Viandante |
Dietro la cortina paonazza dei monti di Lecco, divampano, eccelse, nel riflesso dell'opposto monte al tramonto. Si direbbe che il Legnone soffra d'essere così lontano dalla Grande Grigna, e di non poterla toccare prima di spegnersi.
Ma impassibile è la Grande Grigna: a tutto sovrasta, con quella sua fronte sfolgorante.
"...Una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dorso e il gomito a una montagna: e non finta, ma viva: di volto mezzo fra bello e terribile, di occhi e capelli nerissimi: la quale guardava fissamente..."
Solo l'implacabilità della visione con la quale il Leopardi personificò la natura io posso paragonare l'aspetto della Grande Grigna, quale mi sta dinanzi.
"...Di volto mezzo fra bello e terribile..."
Ma impassibile è la Grande Grigna: a tutto sovrasta, con quella sua fronte sfolgorante.
"...Una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dorso e il gomito a una montagna: e non finta, ma viva: di volto mezzo fra bello e terribile, di occhi e capelli nerissimi: la quale guardava fissamente..."
Solo l'implacabilità della visione con la quale il Leopardi personificò la natura io posso paragonare l'aspetto della Grande Grigna, quale mi sta dinanzi.
"...Di volto mezzo fra bello e terribile..."
"Grande Grigna", o Grignone e "Piccola Grigna", o Grignetta, riprese dai piedi del monte S. Primo |
Lo Spirito della Terra? Lo Spirito della Vita?... Al suo fianco, un po' in basso, gl'irti addentellati della Grigna Piccola formano un'accolta di roghi minori. Scolorano, si oscurano, vaniscono: anche il cielo scolora. Tutto entra nell'ombra; e la Grande Grigna continua a splendere. Ma deve pure arrendersi alla notte; e il suo volto impallidito si rovescia verso il cielo, nella trasfigurazione d'una divina sofferenza.
Se aspettasse ancora un poco a scomparire!... Quando anche il suo pallore sarà spento, che cosa mi resterà?... Perderò il senso delle mirabili parole che da essa mi furono dette: perderò l'unico bene della mia solitudine.
Ma perché ho voluto la solitudine, se quando scende la notte ho paura?...
Se aspettasse ancora un poco a scomparire!... Quando anche il suo pallore sarà spento, che cosa mi resterà?... Perderò il senso delle mirabili parole che da essa mi furono dette: perderò l'unico bene della mia solitudine.
Ma perché ho voluto la solitudine, se quando scende la notte ho paura?...
La poetessa e scrittrice Ada Negri è nata a Lodi nel 1870 e morta a Milano nel 1945.
Questo racconto, scritto durante un soggiorno a Cadenabbia, sul lago di Como, fa parte della raccolta "Le strade" pubblicato nel 1926.
Le fotografie che lo accompagnano non sono certo all'altezza. Sarò molto grato a chi me ne volesse inviare di migliori. Grazie.
Salve -- sono una traduttrice americana e sto lavorondo sul "Le strade". Ti ringrazio per aver mostrato queste foto! Se per caso ti interesserebbe leggere/vedere questa storia in inglese, tela mandero' volontiere! eiwalch@verizon.net
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