Tanti anni fa, nel 1987, sul giornalino di Sinistra per Verderio, "Verderio Oggi", apparve questo articolo, frutto di una ricerca che, insieme a Carola Sala e Carla Dosso, feci su quella che, in seguito, cominciammo a chiamare "Fontana di Meleagro". Ho un ricordo molto bello di quel lavoro: perché fu il primo; perché ci permise di scoprire cose di cui si era perso completamente il ricordo; perché avemmo la sensazione che molti abitanti di Verderio furono contenti di riscoprire, insieme a noi, questo angolino dimenticato del paese. Successivamente sono stati reperiti altri documenti che riguardano il parci e la fontana: ne parleremo i un'altra occasione.
Ci furono d'aiuto, nella nostra piccola impresa, tre persone: la compianta signora Vittoria Greppi, nipote di Vittorio Gnecchi Ruscone, che ci mostrò il progetto della fontana; il parroco, Don Giuseppe Brivio, che ci consentì di accedere all'Archivio Comunale, e Angelo Borghi, studioso di storia del territorio lecchese, che ci diede preziosi consigli.
Sono cambiate tante cose da allora. La fontana è ancora abbandonata, ma noi fummo troppo ottimisti a pensare che questo non sarebbe stato il peggiore dei mali: poche settimane fa è stato rubato il gruppo di statue rappresentante il cane che azzanna il cinghiale ed è stato distrutto uno dei due putti; qualche anno fa è sparita la statua di Venere. L'autostrada Pedemontana non incombe più sull'area, la quale però verrà probabilmente attraversata dalla circonvallazione necessaria per alleggerire il traffico che attraversa il centro del paese: speriamo che il suo progetto sia rispettoso, per quanto possibile di ciò che del parco potrà rimanere. M.B.
Ci furono d'aiuto, nella nostra piccola impresa, tre persone: la compianta signora Vittoria Greppi, nipote di Vittorio Gnecchi Ruscone, che ci mostrò il progetto della fontana; il parroco, Don Giuseppe Brivio, che ci consentì di accedere all'Archivio Comunale, e Angelo Borghi, studioso di storia del territorio lecchese, che ci diede preziosi consigli.
Sono cambiate tante cose da allora. La fontana è ancora abbandonata, ma noi fummo troppo ottimisti a pensare che questo non sarebbe stato il peggiore dei mali: poche settimane fa è stato rubato il gruppo di statue rappresentante il cane che azzanna il cinghiale ed è stato distrutto uno dei due putti; qualche anno fa è sparita la statua di Venere. L'autostrada Pedemontana non incombe più sull'area, la quale però verrà probabilmente attraversata dalla circonvallazione necessaria per alleggerire il traffico che attraversa il centro del paese: speriamo che il suo progetto sia rispettoso, per quanto possibile di ciò che del parco potrà rimanere. M.B.
Venendo a Verderio Superiore da Paderno d'Adda si nota, a sinistra, proprio sul confine fra i due comuni, una costruzione che stupisce per la sua forma di antico portale e per essere ricoperta, nella stagione estiva, da una folta vegetazione di rampicanti. Curiosi ci siamo avvicinati scoprendo (per noi è stata una vera scoperta) che si tratta di una fontana, arricchita, oltreché dall'elegante portale da un gruppo di statue. Essa sorge in perfetto allineamento con la villa Gnecchi e con la fontana di Nettuno.
Tre sculture di altezza quasi naturale, al centro del manufatto, rappresentano l'antica leggenda della caccia al cinghiale Calcedonio da parte di Meleagro, valoroso guerriero, e di Atalanta, vergine cacciatrice (1). Il primo impugna un'arma. Una lancia o forse un semplice bastone; l'altra trattiene un cane ch'è ritto sulle zampe posteriori. Lo sguardo di Meleagro è rivolto ad Atalanta, di cui è innamorato. Fra i due, in posizione leggermente avanzata, un altro cane azzanna il cinghiale. Dall'alto di una rupe, Diana osserva la scena: è riconoscibile dalla falce di luna in fronte che la caratterizza come dea lunare. Ai piedi delle statue la vasca, che solo si intravede, ricoperta com'è dai rovi.
Il portale, che con le due ali più basse forma un emiciclo, racchiude la scena. E' molto grande (più di otto metri di larghezza e circa sei di altezza) ed ha al centro un arco a bugnato. Di fianco, anch'esse a bugne, due lesene con capitelli decorati da ghirlande di frutta che sorreggono il frontone. Il timpano spezzato sorregge, a sua volta, due vasi di frutta ai lati e, al centro su un piedestallo, un'aquila che, per le sue dimensioni, turba in parte l'armonia dell'insieme.
Nelle ali, dentro nicchie aperte, appoggiate su mensole altre due statue più piccole : a sinistra Apollo che suona la lira; a destra Venere, dea dell'amore.Il tema dell'amore è richiamato anche dai putti con arco e faretra posti sui pilastri alle due estremità.
L'opera, costruita intorno al 1929 - '30, faceva probabilmente parte di un progetto teso a rendere compiuta la villa nel suo aspetto settecentesco, avendo come modello gli edifici simili sparsi per il territorio della Brianza.
Facevano parte di questo disegno la Fontana di Nettuno, le statue allineate sulla sommità dell'edificio, i giardini all'italiana sul retro e, nei pressi della fontana in questione, il viale di cipressi che ad essa conduce e una serie di statue, la cui passata presenza è testimoniata da alcuni robusti piedestalli rimasti in loco.
Committente fu il signor Vittorio Gnecchi Ruscone, noto compositore oltreché podestà di Verderio. Si rivolse alla ditta "Pietro Morseletto - di Vicenza", dedita alla "lavorazione della pietra di Vicenza" e "specializzata in lavori ad imitazione dell'antico".
In una lettera di presentazione viene ipotizzata come fulcro dell'opera una "scena di caccia di Diana", un tema ancora generico. Il disegno allegato differisce dalla successiva realizzazione: in esso un giovane cacciatore con l'arco puntato sulla preda (non si distingue il tipo di animale) è al posto della statua più massiccia di Meleagro (2). Alla proposta contenuta nel documento deve aver fatto seguito una precisazione della ditta, come noi pensiamo, una controproposta del signor Gnecchi. Ce lo fa supporre il fatto che, proprio nel 1929, il maestro abbia scritto un balletto sinfonico intitolato ad "Atalanta", nella cui parte centrale si svolge la caccia al cinghiale Calcedonio e compaiono, oltre alla protagonista, Meleagro e Ippomene (3). Ci sembra plausibile che il maestro abbia voluto, nella sua dimora, un segno esteriore che richiamasse la sua attività artistica e che questo segno sia rappresentato dalla fontana.
Questo è quanto siamo riusciti a sapere intorno ad un oggetto che abbiamo tante volte sfiorato con lo sguardo o distrattamente osservato, L'abbiamo creduta, in un primo tempo un'opera più antica. Conoscendo la sua età reale siamo rimasti, lo confessiamo, un tantino delusi. Poi però ci siamo convinti che ricostruirne la vicenda potesse essere ugualmente interessante. Per noi lo è stato effettivamente.
Quale sarà il suo futuro?
Azzardiamo tre ipotesi. La prima, non la peggiore, è che rimanga chissà per quanto tempo ancora nel suo stato attuale di abbandono: La seconda che venga travolta dall'autostrada Pedemontana che ha amici ben più potenti.
La terza che venga recuperata, insieme all'area che la ospita, e che diventi parte di un giardino in cui giocare e sedersi a leggere su una di quelle panche in pietra sparse tra i cipressi, e che ospiti, di tanto in tanto, delle serate musicali, e che ... ALT! ... Alt, fermiamoci qui. Però ci si potrebbe pensare, no?
NOTE:
(1) La leggenda di Meleagro e Atalanta è narrata da Omero nel capitolo IX dell'Iliade e dal poeta latino Ovidio nel VII capitolo delle Metamorfosi. Notizie su questi personaggi e su altri citati nell'articolo le abbiamo trovate in "Dizionario delle antichità classiche di Oxford" ed. Paoline, Roma 1981.
(2) Il progetto e la lettera sono di proprietà della signora Vittoria Greppi.
(3) Cfr. "Enciclopedia della Musica", ed. Ricordi, Milano 1964
Tre sculture di altezza quasi naturale, al centro del manufatto, rappresentano l'antica leggenda della caccia al cinghiale Calcedonio da parte di Meleagro, valoroso guerriero, e di Atalanta, vergine cacciatrice (1). Il primo impugna un'arma. Una lancia o forse un semplice bastone; l'altra trattiene un cane ch'è ritto sulle zampe posteriori. Lo sguardo di Meleagro è rivolto ad Atalanta, di cui è innamorato. Fra i due, in posizione leggermente avanzata, un altro cane azzanna il cinghiale. Dall'alto di una rupe, Diana osserva la scena: è riconoscibile dalla falce di luna in fronte che la caratterizza come dea lunare. Ai piedi delle statue la vasca, che solo si intravede, ricoperta com'è dai rovi.
Il portale, che con le due ali più basse forma un emiciclo, racchiude la scena. E' molto grande (più di otto metri di larghezza e circa sei di altezza) ed ha al centro un arco a bugnato. Di fianco, anch'esse a bugne, due lesene con capitelli decorati da ghirlande di frutta che sorreggono il frontone. Il timpano spezzato sorregge, a sua volta, due vasi di frutta ai lati e, al centro su un piedestallo, un'aquila che, per le sue dimensioni, turba in parte l'armonia dell'insieme.
Nelle ali, dentro nicchie aperte, appoggiate su mensole altre due statue più piccole : a sinistra Apollo che suona la lira; a destra Venere, dea dell'amore.Il tema dell'amore è richiamato anche dai putti con arco e faretra posti sui pilastri alle due estremità.
L'opera, costruita intorno al 1929 - '30, faceva probabilmente parte di un progetto teso a rendere compiuta la villa nel suo aspetto settecentesco, avendo come modello gli edifici simili sparsi per il territorio della Brianza.
Facevano parte di questo disegno la Fontana di Nettuno, le statue allineate sulla sommità dell'edificio, i giardini all'italiana sul retro e, nei pressi della fontana in questione, il viale di cipressi che ad essa conduce e una serie di statue, la cui passata presenza è testimoniata da alcuni robusti piedestalli rimasti in loco.
Committente fu il signor Vittorio Gnecchi Ruscone, noto compositore oltreché podestà di Verderio. Si rivolse alla ditta "Pietro Morseletto - di Vicenza", dedita alla "lavorazione della pietra di Vicenza" e "specializzata in lavori ad imitazione dell'antico".
In una lettera di presentazione viene ipotizzata come fulcro dell'opera una "scena di caccia di Diana", un tema ancora generico. Il disegno allegato differisce dalla successiva realizzazione: in esso un giovane cacciatore con l'arco puntato sulla preda (non si distingue il tipo di animale) è al posto della statua più massiccia di Meleagro (2). Alla proposta contenuta nel documento deve aver fatto seguito una precisazione della ditta, come noi pensiamo, una controproposta del signor Gnecchi. Ce lo fa supporre il fatto che, proprio nel 1929, il maestro abbia scritto un balletto sinfonico intitolato ad "Atalanta", nella cui parte centrale si svolge la caccia al cinghiale Calcedonio e compaiono, oltre alla protagonista, Meleagro e Ippomene (3). Ci sembra plausibile che il maestro abbia voluto, nella sua dimora, un segno esteriore che richiamasse la sua attività artistica e che questo segno sia rappresentato dalla fontana.
Questo è quanto siamo riusciti a sapere intorno ad un oggetto che abbiamo tante volte sfiorato con lo sguardo o distrattamente osservato, L'abbiamo creduta, in un primo tempo un'opera più antica. Conoscendo la sua età reale siamo rimasti, lo confessiamo, un tantino delusi. Poi però ci siamo convinti che ricostruirne la vicenda potesse essere ugualmente interessante. Per noi lo è stato effettivamente.
Quale sarà il suo futuro?
Azzardiamo tre ipotesi. La prima, non la peggiore, è che rimanga chissà per quanto tempo ancora nel suo stato attuale di abbandono: La seconda che venga travolta dall'autostrada Pedemontana che ha amici ben più potenti.
La terza che venga recuperata, insieme all'area che la ospita, e che diventi parte di un giardino in cui giocare e sedersi a leggere su una di quelle panche in pietra sparse tra i cipressi, e che ospiti, di tanto in tanto, delle serate musicali, e che ... ALT! ... Alt, fermiamoci qui. Però ci si potrebbe pensare, no?
NOTE:
(1) La leggenda di Meleagro e Atalanta è narrata da Omero nel capitolo IX dell'Iliade e dal poeta latino Ovidio nel VII capitolo delle Metamorfosi. Notizie su questi personaggi e su altri citati nell'articolo le abbiamo trovate in "Dizionario delle antichità classiche di Oxford" ed. Paoline, Roma 1981.
(2) Il progetto e la lettera sono di proprietà della signora Vittoria Greppi.
(3) Cfr. "Enciclopedia della Musica", ed. Ricordi, Milano 1964
Le fotografie di questo articolo risalgono al 1987 e sono state fate in parte da me e in parte da Gianmaria Calvetti. MB
ciao marco, grazie per averci fatto scoprire questa fontana, e mi piacerebbe che una volta mi portassi a vederla dal vivo! mi ha colpito il volto di meleagro di sotto all'edera e anche la statua di venere...ma davvero non è stato fatto mai nulla per proteggerla, e anzi per valorizzarla? quando ho letto l'articolo, nn so perché, mi è venuta in mente una intervista a pasolini -di cui vorrei ritrovare gli estremi e recuperarla, perché l'avevo sentita per caso alla radio- in cui parlava di angoli modesti da proteggere, di piccoli spazi del mondo che hanno la loro poesia umile e raccolta e che lui voleva appunto decantare per non farli perdere nell'oblio. beh, ecco, questa fontana forse non è proprio una semplice stradina di campagna con il suo muretto, è di più, però ha un po' quel fascino di cosa dimenticata eppur così viva. ciao marco, a presto, susanna.
RispondiElimina