domenica 4 gennaio 2009

FESTA A VERDERIO IL 7 OTTOBRE 1896: LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’OPERA DI VITTORIO GNECCHI


FESTA A VERDERIO IL 7 OTTOBRE 1896: LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’OPERA DI VITTORIO GNECCHI1.

Il 7 ottobre 1896 venne rappresentata, in forma privata, in un teatro appositamente allestito nella villa Gnecchi di Verderio, l’opera in due atti “Virtù d’amore”. L’autore era il compositore, allora diciannovenne, Vittorio Gnecchi, per il quale questo lavoro rappresentò l’esordio.

In un quaderno manoscritto, conservato nell’archivio parrocchiale di Verderio Superiore, è registrata la cronaca dell’avvenimento che ebbe una notevole risonanza sia sotto l’aspetto artistico, per le critiche ricevute, sia sotto l’aspetto mondano, per il carattere di festa di società che la famiglia ospite diede alla serata.

La cronaca, probabilmente redatta dal comm. Francesco Gnecchi2, padre di Vittorio e noto numismatico (o comunque da un membro della famiglia), è suddivisa in tre parti.

La prima è dedicata ai preparativi, dall’idea iniziale alla stesura del libretto e delle musiche, dalla preparazione dei costumi e delle scene all’allestimento del teatro, quindi la stampa del libretto e degli inviti, l’impianto di illuminazione, il reperimento degli alloggi per i musicisti e per gli invitati, il rifugio delle carrozze e così via,

Segue un elenco degli invitati. Il cronista, consapevole delle possibili lacune ha lasciato uno spazio bianco per le eventuali successive aggiunte.

Infine la descrizione della rappresentazione, con la sottolineatura degli applausi e delle espressioni di approvazione da parte del pubblico.

L’idea di un’operetta da rappresentare in campagna durante il periodo di villeggiatura, fu della signora Maria Rossi Bozzotti, zia dell’autore. A lei si deve anche la stesura del libretto: un azione pastorale in due atti, in cui si narra dell’amore di Aminta, giovane pastore, per Lida figlia del cieco Agasto. Aminta, dopo la vittoriosa caccia ad un feroce lupo, dichiara il suo amore. La ragazza lo respinge ma si lascia strappare una promessa: sposerà il pastore se questi le porterà la magica acqua del Monte Nero, capace di ridare la vista ad Agosto. Aminta parte implorando gli dei, il cui intervento è indispensabile alla riuscita dell’impresa, In suo soccorso interverrà “Virtù d’Amore” incutendogli fiducia nella vittoria. Sulla strada del ritorno ritrova Lida che, ormai innamorata, gli si è fatta incontro.

All’allestimento dell’opera, che pure era stata pensata come gioco per il periodo delle vacanze, furono chiamati a collaborare alcuni importanti personaggi del mondo della lirica.

I disegni delle scene e dei costumi furono affidati ad Adolfo Hohenstein, dal 1889 a Milano per lavorare al Teatro alla Scala e direttore artistico delle Officine Grafiche Ricordi.

Le scenografie furono realizzate da Antonio Rovescalli, dal cui studio, tra la fine del secolo e il 1926/27, uscirono gran parte delle scene per le opere di repertorio e le novità rappresentate a Milano e Roma.

Quando il giovane Gnecchi si accinse a scrivere “Virtù d’Amore” era ancora studente con i maestri Saladino, Coronaro, Serafin e Gatti.

I musicisti che componevano l’orchestra erano suoi compagni di studi; fra loro il futuro direttore Tullio Serafin, i maestri Tannini, Galeazzi e Russolo.

La critica mise in evidenza soprattutto come, con un’orchestra di pochi elementi, il compositore fosse riuscito ad ottenere una notevole ricchezza musicale.

“L’istrumentazione è fatta per orchestra d’archi con pochi altri strumenti a legno aggiunti: era facile peccare di monotonia; il Gnecchi ha saputo abilmente evitare questo scoglio, usando con opportunità dei varitimbri”. Così Giulio Ricordi sulla “Gazzetta Musicale” del 15 ottobre 1896. Dello stesso tenore furono i giudizi di Giannino Antona Traversi sulla “Vita Italiana” del 10 novembre 1896 e di “Lelio” sulla “Sera” del 13/14 ottobre dello stesso anno.

I pezzi più apprezzati furono il Preludio, la Pastorale del secondo atto, l’Intermezzo e il Valzer della “Virtù d’Amore”.

A quella di Verderio non seguirono altre rappresentazioni complete dell’opera; solo alcuni brani, in particolare la Pastorale e il Valzer, vennero eseguiti successivamente in diversi concerti.

Dopo questo primo lavoro Vittorio Gnecchi alternò il suo impegno fra la musica da camera e l’opera. Scrisse fra l’altro: Cassandra, 1905, la Rosiera, 1927, Missa Salisburgensi, 1933, Giuditta, 1953 (le date si riferiscono alle prime rappresentazioni.

La vicenda artistica di Vittorio Gnecchi è segnata dalle polemiche che seguirono ad un articolo del critico musicale Giovanni Tebaldini, apparso nel marzo del 1909 sulla “Rivista musicale italiana”. Il Tebaldini, confrontando la “Cassandra” di Gnecchi e l’”Elettra” di Richard Strauss rilevò parecchie analogie tematiche parlando di “telepatia musicale”.

Nacque tuttavia in tal modo il caso “Gnecchi – Strauss” che ebbe eco in tutto l’ambiente musicale europeo.

A fugare ogni sospetto di plagio da parte del meno famoso Gnecchi, concorrevano però le date, Cassandra era stata rappresentata nel 1905 ed Elettra nel 1908, e la testimonianza del critico Ludwig Hartman che si dichiarò a conoscenza che Gnecchi, nel 1906, donò una copia dello spartito della sua musica a Strauss.

Di plagio si parlò ancora nel 1913, dopo la rappresentazione di Cassandra a Filadelfia. La critica americana che mosse l’accusa era evidentemente all’oscuro di come la questione fosse già stata sollevata e risolta in Europa.

Più opportunamente, in seguito, la vicenda venne letta come una singolare forma di affinità artistica e di comune sensibilità, tornando così all’originale ipotesi di Tebaldini.

La carriera di Vittorio Gnecchi fu segnata, come abbiamo detto, da questa polemica. “Cassandra”, che era stata diretta per la prima volta da Arturo Toscanini, ebbe grandi difficoltà ad essere di nuovo eseguita (venne ad esempio rifiutata dal Teatro all Scala, nel timore che Strauss potesse infastidirsi). Anche la produzione successiva trovò ascolto quasi esclusivamente all’estero, in particolare in Austria.

In una raccolta di scritti tratti da varie pubblicazioni dell’epoca, laconicamente intitolata “Per un musicista italiano ignorato in Italia”3 e curato da F. Balilla Pratella , è documentata la situazione di emarginazione in cui il maestro si trovò nel suo paese.

Anche “Virtù d’Amore” ebbe un ruolo nella vicenda Gnecchi Strauss; nel 1932 un altro critico, Mario Barbieri, aiutandosi con tavole comparative, come già aveva fatto Tebaldini, documentò sulla “Rivista musicale italiana” una serie di analogie anche fra “Virtù d’Amore” (1896) ed Elettra (1908).

Le musiche di Vittorio Gnecchi, che morì a Milano nel 1954 all’età di 77 anni, sono in fase di riordino4 e catalogazione presso la biblioteca del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, alla quale sono state donate dai parenti del musicista.



1 Questo articolo è stato pubblicato in ARCHIVI DI LECCO, N.3, anno 13, luglio – settembre1990

2 In seguito alla pubblicazione dell’articolo ho avuto modo di confrontare le calligrafie di diversi componenti della famiglia Gnecchi. Ora sono abbastanza sicuro che non fu Francesco Gnecchi a scrivere la cronaca.

3 F. Balilla Pratella Luci e ombre. Per un Musicista Italiano ignorato in Italia, Roma, 1933

4 Ricordo che questo articolo risale al 1989. Il 2 ottobre 1998 si è costituita l’ “Associazione Musicale Vittorio Gnecchi Ruscone” di promuovere e diffondere la conoscenza dell’attività artistica del maestro e di conservare le sue musiche e i suoi scritti.

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