giovedì 4 febbraio 2021

"CLOP, CLOP, CLOP ..." E "REQUIEM" di Giovanni Paolo Oggioni


 




È bello il libro in cui Giovanni Paolo Oggioni ... si racconta.


È bello perché ha un titolo accattivante, che incuriosisce: “MA TU CREDI ANCORA NELLE FAVOLE? … mi racconto”.


Bello per le sue dimensioni e l'impostazione grafica, che lo rendono leggibile senza fatica; per la copertina, con un Pinocchio Disney su un collage di immagini di fiabe; per i disegni a pastello e le fotografie al suo interno.


Bello, ma soprattutto ricco: di racconti di vita vissuta, di poesie, di favole.
È scritto in italiano, ma anche in dialetto.

 

 

 

 

Giovanni Paolo (non lo conosco di persona e quindi non so se, abitualmente, viene chiamato Giovanni o Paolo, perciò non scelgo e continuo ad usare entrambi i nomi) è nato il 21 ottobre 1947 a Verderio, allora Inferiore, in Curt di Scarsitt. Finite le scuole medie ha cominciato a lavorare come fotolitografo. Dopo il matrimonio si è trasferito a Ronco Briantino dove ancora vive. Ha avuto tre figlie e, al momento della scrittura del libro, aveva tre nipoti, ora non so.
Dire che “è stato” un alpino mi sembra improprio, perché mi sembra di capire dalle sue storie che alpini lo si rimanga per sempre.
Molti dei racconti del libro riguardano la sua adesione all'ANA (Associazione Nazionale Alpini), sia come semplice socio che come presidente, dal 2009 al 2011, della sezione di Monza.
Sono ricordi di esperienze di volontariato, come quelle fra i terremotati  de L'Aquila e di Mantova, e ricordi di incontri con i vari gruppi locali che compongono la sezione di Monza.
Altri racconti riguardano il volontariato presso la “Rosa d'Argento” una struttura di Ronco Briantino dedicata agli anziani
Un'attenzione verso gli altri che traspare anche dalla favola intitolata “Come in una favola”, in gran parte in dialetto. Parla dell'incontro con una volpe che arriva da Verderio per rubargli l'uva. Dopo aver ascoltato e compreso le ragioni dell'animale, il nostro autore trova con lui un accordo di buona convivenza.

In alcuni racconti Giovanni Paolo parla di episodi della sua infanzia trascorsa a Verderio. Uno di questi  s'intitola “Clop, clop, clop” e, con il suo consenso, ve lo presento.

Di seguito pubblico  un altro suo scritto, non compreso nel libro, composto nell'aprile del 2020,  dopo aver visto le tristissime immagini della colonna di camion in uscita dall'ospedale di Bergamo e cariche delle bare dei morti di covid.

M. B.


 Clop, clop, clop ...

Clop, clop, clop …

I tempi sono quelli della mia fanciullezza, tempi in cui si riusciva ancora a sentire, con un orecchio particolare, il grande e profondo respiro della terra, la miriade di suoni, rumori, fruscii che il vento si divertiva a inventare tra un ostacolo e l'altro del suo continuo girovagare per la brughiera. Si riuscivano a sentire i tanti bisbiglii e gorgheggi degli uccelli, il frinire delle cicale, i ragli o i nitriti degli animali che accompagnavano il lavoro dei contadini, il battito delle ore, scandite dagli orologi dei campanili che apparivano all'orizzonte dei paesi confinanti. Si riuscivano a percepire, a volte forti, i tanti profumi e gli odori, secondo il giusto ritmo in cui si susseguivano le stagioni.

Clop, clop, clop …

Il calpestio degli zoccoli è sempre più vicino, un leggero rallentamento sulla prima curva, poi il lungo rettilineo prima dell'ultima svolta che porta, oltre le terre coltivate, all'inizio del centro abitato. L'animale sa oramai, senza che il conducente usi redini o incitamenti, il percorso che bisogna fare. Sono anni che, una volta alla settimana, quasi sempre allo stesso giorno e alla medesima ora, percorre quel tragitto. Accompagna il signor Gianfranco Gnecchi, sindaco del paese, in Comune, per il disbrigo di incombenze amministrative. Personaggio che, oltre alla mansione di sindaco, è proprietario anche di quasi tutte le terre che dalla sua residenza portano, su quel percorso, in paese.

Clop. Clop, clop …

Mi posiziono come sempre su un tronchetto, dietro la siepe di salice che delimita e nasconde alla vista il posto dove solitamente viene ammucchiato il letame (con quanta accortezza e fantasia questi nostri vecchi, che chiamavano ignoranti, nascondevano le “brutture” che sarebbero servite alla concimazione annuale delle terre) per rivivere ancora una volta quello che per me è spettacolo. Da quel punto, infatti, quasi sul ciglio della strada, posso di nascosto vedere, senza essere visto. Il podere di mio nonno è l'ultimo sul rettilineo prima della svolta finale e da qui riesco a distinguere tutto quello che accade.

 


 Clop, clop, clop …

Il cavallo svolta la prima curva. Appollaiato sul mio rifugio vedo qualcosa di fantastico, inimmaginabile. Chiamati da non so quale segnale, quale tromba, come tanti “soldatini ubbidienti”, tutti i contadini smettono improvvisamente il lavoro che stanno svolgendo. Chi abbandona la zappa, chi la vanga, chi il rastrello e cominciando dal primo, quello più lontano dalla mia vista, si dirigono tutti verso il ciglio della strada. Il cavallo avanza tranquillamente con il suo trotto, rallentando però all'altezza del primo contadino. Con deferenza l'uomo abbassa la testa per un leggero inchino, poi si toglie il cappello. Il conducente con la mano e un cenno benevolo della testa risponde al saluto.

Clop, clop, clop …

I gesti e i saluti si ripetono per tutto il percorso, fino all'ultima svolta. Questa strana cerimonia termina. Non si odono più né il calpestio del cavallo né lo stridere delle ruote sulla terra battuta. Tutto torna come prima, come se nulla fosse successo. Ognuno torna al suo lavoro, io scendo dalla mia “poltrona in galleria”, mi avvicino al nonno e con aria solenne ripeto lo stesso gesto visto prima. Un sorriso e un leggero buffetto sulla testa mi riportano alla realtà.

Clop, clop, clop …

È Passata qualche ora, il cavallo e il suo conducente, facendo il percorso a ritroso, tornano alle loro consuetudini. I tanti “soldatini”, sparsi per la campagna, noncuranti del fatto, continuano imperterriti il loro lavoro.

Tanto tempo è ormai passato da questo ricordo, il fatto però è rimasto impresso nella mia memoria, forse perché di questi episodi, oggigiorno, non se ne vedono sicuramente più. Quel gesto non era e non voleva essere di sottomissione, di sudditanza verso quel personaggio di famiglia altolocata, proprietario di quasi tutte quelle terre. Era solo un gesto di gratitudine, di gentilezza nei confronti di un'autorità costituita: il sindaco. Mi viene pero spontaneo fare un confronto con la realtà odierna, con quello che oggi ci circonda. Quante cose abbiamo perso, quante “sfumature” della vita abbiamo sorvolato, scordato. Siamo nel futuro, sì! Siamo diventati grandi, più istruiti, più autonomi, ma penso che l'educazione e il rispetto non possano essere dimenticati, cancellati con un colpo di spugna. È solo un mio pensiero, sicuramente discutibile, ma come sempre, solo per gratitudine  e riconoscenza ai nostri “vecchi”, me lo tengo stretto.

 ***

 Requiem aeternam

 L’eterno riposo dona loro Signore………


Incomincia così, con una preghiera, una supplica questo pensiero, questa mia riflessione sull’attuale momento che stiamo vivendo:covid 19, la pandemia. Quel virus che sta tenendo tutto il mondo sotto assedio. Un nemico a prima vista invisibile, ma che sta causando vittime come se fossimo in  guerra, una guerra mondiale. Le nazioni sono in allarme, gli scienziati, i virologi, tutta la medicina è allarmata alla ricerca di un antidoto, di un’arma per sconfiggerlo. Tutto il resto è fermo, chiuso, come in un coprifuoco generale, barricati in casa, sperando che il buon Dio ci dia una mano, un aiuto da tanti anelato. Città deserte, strade vuote, saracinesche abbassate, solo lunghe file fuori dai supermercati, mascherati come in un allegro carnevale, ma che purtroppo carnevale non è. Le immagini che tutti i telegiornali ci mostrano sono spettrali, apocalittiche. Le cifre dei tanti morti, dei contagiati, degli asintomatici che si vedono e si odono nei vari servizi in un susseguirsi continuo, sono indescrivibili. Il mondo è in subbuglio, come dentro ad un grande ospedale, su un campo di battaglia la cui guerra non è mai stata ne dichiarata, ne vista e immaginata.

 

……e splenda ad essi la luce perpetua…..

 

Improvvisamente alcune immagini televisive mi sconvolgono. La mia mente torna  “ad una lunga fila di fantasmi in grigioverde”, a quella strofa di una famosa “canta” alpina che ricorda un’altra grande tragedia. Non sono però uomini, sono camion, mezzi militari in fila, pieni di bare in attesa che una macchina della Polizia Stradale li accompagni all’ingresso dell’autostrada per prendere poi ognuno destinazioni diverse. Morti soli, senza un familiare, un amico, qualcuno accanto per piangerne la scomparsa: tragedia nella tragedia. Solo un prete a benedire prima della partenza le salme. Ritorneranno in una urnetta, ancora soli senza un degno funerale. La mia mente però è piena di pensieri, di immagini, di fotogrammi, di realtà già viste nei vari telegiornali, reminescenze giovanili rivissute in tanti di quegli spezzoni in bianco e nero trasmessi “dall’Istituto Luce”, tragedie che ora tornano alla memoria prepotentemente. Rivedo anche un treno, un treno che porta in giro per tutta l’Italia la salma del Milite Ignoto, come fosse un funerale collettivo, prima di essere collocata definitivamente all’altare della Patria a Roma. L’accostamento non è casuale, è realtà, è qualche cosa che non riesco a scordare e dimenticare, non riesco a passarci sopra senza essere là dove il dramma è purtroppo, una cruda realtà con tanti Militi Noti.  In questa tragedia abbiamo perso tanti “ultra”, settantenni, ottantenni, ma la cosa peggiore è l’aver perso la loro sapienza, la loro saggezza, la loro memoria. Siamo diventati più poveri e indifesi. Chi riuscirà a coprire tutta questa mancanza, come faremo a sopperire a quello che il loro vissuto ci ha dato?


….. riposino in pace.  Amen



 Giovanni Paolo Oggioni

 

1 commento:

  1. Leggere, questo pensiero mi sono commosso......lo dedico ad Orazio, un mio cugino che è mancato a causa del COVID 19.

    Riposa e riposate in pace AMEN

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