Di viaggi Antonella Brivio, di Verderio Inferiore, ne ha fatti tanti, sono la sua passione. Ha toccato ogni parte del mondo, le mancano l'Australia e l'Oceania, ma predilige l'Asia, l'estremo oriente. Ogni viaggio è diverso dall'altro e lascia ricordi particolari e indelebili. Quello che Antonella ha programmato con quattro amiche nell'agosto del 1990 però è stato "più diverso" degli altri e il suo ricordo sarà ancor più indelebile. Le ho chiesto di raccontarcelo.
Il piano di volo. Come si nota non era previsto alcuno scalo a Kuwait City |
UNO SCALO A SORPRESA
Nell'agosto 1990: avevo programmato una vacanza in India del sud con quattro amiche. Partendo da Linate avremmo raggiunto Londra e da qui Madras, la nostra meta. Alle ore 4 del due agosto, invece, siamo atterrate all'aeroporto di Kuwait City.
Una fermata non prevista?
Sì, ci siamo accorte solo a Londra che l'aereo avrebbe fatto quello scalo. A Kuwait City si sentivano rumori strani, rumori che non riuscivamo a comprendere anche perché dall'oblò, col buio, non si vedeva niente. Un gruppo di persone è sceso dall'aereo.
Voi non dovevate scendere?
No, per noi e per molti altri doveva essere solo una breve sosta, saremmo dovuti ripartire subito. A un certo punto però la hostess, sorridendo, ci ha detto "dovete scendere", poi con un fervore che andava aumentando ce lo ha ripetuto e ci ha spinto giù dall'aereo. Io ho cominciato a brontolare, dicevo: " non arriviamo più in India, già siamo partiti in ritardo da Londra..." L'aeroporto era deserto, c'eravamo solo noi. Dalle grandi vetrate che davano sulla pista vedevamo, in lontananza, dei bagliori.
Bagliori di spari ?
Sì, di spari, di esplosioni Abbiamo cominciato a chiederci che cosa stesse succedendo. Il capitano dell'aereo, dopo aver parlato con un militare, ci ha detto: "dobbiamo fermarci qui perché ci sono problemi tra l'Iraq e il Kuwait. Ci sono degli scontri a venti chilometri da qui" Al che abbiamo guardato fuori dall'aeroporto, verso dove si vedevano i bagliori e ci siamo detti: "quelli lì sono meno di venti chilometri".
No, per noi e per molti altri doveva essere solo una breve sosta, saremmo dovuti ripartire subito. A un certo punto però la hostess, sorridendo, ci ha detto "dovete scendere", poi con un fervore che andava aumentando ce lo ha ripetuto e ci ha spinto giù dall'aereo. Io ho cominciato a brontolare, dicevo: " non arriviamo più in India, già siamo partiti in ritardo da Londra..." L'aeroporto era deserto, c'eravamo solo noi. Dalle grandi vetrate che davano sulla pista vedevamo, in lontananza, dei bagliori.
Bagliori di spari ?
Sì, di spari, di esplosioni Abbiamo cominciato a chiederci che cosa stesse succedendo. Il capitano dell'aereo, dopo aver parlato con un militare, ci ha detto: "dobbiamo fermarci qui perché ci sono problemi tra l'Iraq e il Kuwait. Ci sono degli scontri a venti chilometri da qui" Al che abbiamo guardato fuori dall'aeroporto, verso dove si vedevano i bagliori e ci siamo detti: "quelli lì sono meno di venti chilometri".
Cosa stava succedendo quel giorno, da quelle parti? Il 2 agosto 1990 l'Iraq di Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait, una decisione destinata a segnare la storia di questi ultimi vent'anni, con la Prima Guerra del Golfo (17 gennaio - 28 febbraio 1991) ,che indusse l'esercito iracheno ad abbandonare i territori occupati, e la Seconda Guerra del Golfo, iniziata il 20 marzo 2003, che ha portato alla caduta del regime di Saddam Hussein.
Una volta scese dall'aereo ci hanno caricato su un pulmino e portato all'hotel dell'aeroporto, dove siamo state per quindici giorni. Qualche ora dopo il nostro arrivo gli iracheni hanno occupato l'aeroporto. Veramente noi non capivamo se fossero iracheni o kuwaitiani, perché, naturalmente, parlavano in arabo ... non sapevamo niente ... non sapevamo chi fossero tutti quei militari in aeroporto.
L'albergo era all'interno dell'aeroporto?
Si, dava direttamente sulle piste ..un grande albergo
Nessuno vi spiegava cosa stesse succedendo?
Nessuno ... nessuno a parte l'equipaggio della British Airways, che è sempre stato con noi.....
L'albergo era all'interno dell'aeroporto?
Si, dava direttamente sulle piste ..un grande albergo
Nessuno vi spiegava cosa stesse succedendo?
Nessuno ... nessuno a parte l'equipaggio della British Airways, che è sempre stato con noi.....
Foto di gruppo all'Hotel dell'aeroporto. Antonella è in basso a sinistra |
E i dipendenti dell'albergo?
Erano spariti tutti. Quando siamo arrivati c'era solo un militare kuwaitiano che, vista la "malparata", si era cambiato e vestito da facchino. Gli altri erano scappati. Erano rimasti solo i lavoratori filippini, che facevano gli inservienti, e altre due o tre persone, forse i responsabili dell'albergo.
E quindi voi come facevate, vi autogestivate? Per mangiare e per tutto il resto ...?
I filippini ci preparavano da mangiare con quel poco che c'era (l' albergo di un aeroporto ha scorte minime, perché la gente in genere si ferma una notte, giusto per aspettare l'aereo successivo): la mattina ci davano il tè, alle due ci davano il tè e alla sera ci davano un po' di riso. I filippini erano veramente disperati, dei bravissimi ragazzi; non avevano voglia di andare a casa perché nessuno li attendeva; la loro ambasciata si guardava bene di contattarli .Dopo un po' di giorni abbiamo deciso che ogni nazione presente avrebbe cucinato qualcosa per tutti alla sera.
Quali nazionalità erano rappresentate?
Malesiani, italiani, indiani, neozelandesi ... gli altri europei non c'erano già più, perché li avevano portati via.
Con che cosa cucinavate, se non c'era niente?
Allora ti dico: il quindici d'agosto, festa nazionale d'indipendenza dell'India, gli indiani hanno preparato un dolce con il riso e l'uvetta: questa è stata la nostra cena. Il giorno dopo sarebbe toccato a noi italiani: a grande richiesta avremmo dovuto preparare gli spaghetti. Invece proprio quel giorno, il 16, ci hanno trasferito.
Come mai?
Tutti i giorni gli iracheni venivano e dicevano: " domani vi spostiamo ... domani vi spostiamo perché qui è troppo pericoloso" In effetti, un aeroporto, in caso di guerra è una delle prime cose su cui si spara. "Qui è molto pericoloso, domani vi spostiamo". Abbiamo provato a stare dalle sette di mattina fino alle nove di sera sedute nella hall, trecento persone, ad aspettare che arrivassero a spostarci,
Avevate capito che l'Iraq aveva invaso il Kuwait?
No i primi giorni niente, non sapevamo neanche come muoverci, quando guardavamo fuori dalla finestra vedevamo un sacco di carri armati, un sacco di militari e non avevamo nessuno a cui chiedere. Poi ci ha cercato l'ambasciata...
Erano spariti tutti. Quando siamo arrivati c'era solo un militare kuwaitiano che, vista la "malparata", si era cambiato e vestito da facchino. Gli altri erano scappati. Erano rimasti solo i lavoratori filippini, che facevano gli inservienti, e altre due o tre persone, forse i responsabili dell'albergo.
E quindi voi come facevate, vi autogestivate? Per mangiare e per tutto il resto ...?
I filippini ci preparavano da mangiare con quel poco che c'era (l' albergo di un aeroporto ha scorte minime, perché la gente in genere si ferma una notte, giusto per aspettare l'aereo successivo): la mattina ci davano il tè, alle due ci davano il tè e alla sera ci davano un po' di riso. I filippini erano veramente disperati, dei bravissimi ragazzi; non avevano voglia di andare a casa perché nessuno li attendeva; la loro ambasciata si guardava bene di contattarli .Dopo un po' di giorni abbiamo deciso che ogni nazione presente avrebbe cucinato qualcosa per tutti alla sera.
Quali nazionalità erano rappresentate?
Malesiani, italiani, indiani, neozelandesi ... gli altri europei non c'erano già più, perché li avevano portati via.
Con che cosa cucinavate, se non c'era niente?
Allora ti dico: il quindici d'agosto, festa nazionale d'indipendenza dell'India, gli indiani hanno preparato un dolce con il riso e l'uvetta: questa è stata la nostra cena. Il giorno dopo sarebbe toccato a noi italiani: a grande richiesta avremmo dovuto preparare gli spaghetti. Invece proprio quel giorno, il 16, ci hanno trasferito.
Come mai?
Tutti i giorni gli iracheni venivano e dicevano: " domani vi spostiamo ... domani vi spostiamo perché qui è troppo pericoloso" In effetti, un aeroporto, in caso di guerra è una delle prime cose su cui si spara. "Qui è molto pericoloso, domani vi spostiamo". Abbiamo provato a stare dalle sette di mattina fino alle nove di sera sedute nella hall, trecento persone, ad aspettare che arrivassero a spostarci,
Avevate capito che l'Iraq aveva invaso il Kuwait?
No i primi giorni niente, non sapevamo neanche come muoverci, quando guardavamo fuori dalla finestra vedevamo un sacco di carri armati, un sacco di militari e non avevamo nessuno a cui chiedere. Poi ci ha cercato l'ambasciata...
Carri armati iracheni occupano l'aeroporto di Kuwait City |
Dopo quanti giorni?
Bo, dopo tre o quattro giorni..
L'avete interpellata voi o...?
Hanno chiamato in aeroporto chiedendo di parlare con qualche italiano. Ci hanno detto che stavano organizzando un trasporto via mare per il rimpatrio, di prepararci... Cosa dovevamo preparare? Non avevamo niente, non avevamo il bagaglio, rimasto sull'aereo e mai più recuperato. Avevamo solo ciò che avevamo addosso
Quanti italiani eravate?
Sull'aereo eravamo in dieci: noi cinque, due amici che erano partiti insieme e altri tre. Poi in aeroporto abbiamo incontrato due coppie: una di Torino e una di Bologna, che stavano tornando dalle ferie, si sono svegliate con i carri armati e non sono più ripartite. Erano in viaggio dall'inizio di luglio, le donne sono tornate con noi, i primi di settembre, i mariti sono stati rilasciati il 7 di dicembre, per cui sono stati in giro sei mesi
Altre notizie? Vedevate la televisione?
Sì, si vedeva la CNN.
UN GIORNO DI PAURA
La giornata sicuramente peggiore è stata il 6 agosto: la data della mia prima morte, io lo dico sempre...
Perché?
Perché sono arrivati gli ufficiali iracheni, tra l'altro sempre molto gentili con noi ... sono arrivati e hanno chiamato gli inglesi, i francesi i tedeschi ... li hanno portati nella sala da pranzo (noi li vedevamo dalla vetrata)
Tutti gli europei, tranne voi?
Tranne gli italiani sì ... Vedevamo gli ufficiali di spalle che stavano parlando e i nostri compagni che ascoltavano tranquillamente. Noi abbiamo cominciato a brontolare: "ecco i nostri deputati dormono, in agosto sono in vacanza eccetera. Questi se ne vanno a casa, chissà noi quando andiamo". Insomma, ci stava montando un certo nervoso. Una signora indiana mi si è avvicinata e mi ha chiesto:"di che nazionalità sei?" "sono italiana" "allora stai tranquilla" "come stai tranquilla?" "no,no, sta tranquilla va bene così".
Poi cosa è successo?
A un certo punto li hanno fatti uscire dalla sala: erano ancora molto tranquilli. Però, una volta fuori, gli hanno ritirato il passaporto e li hanno caricati su pulmini militari. Da dentro li vedevamo: erano terrorizzati, perché senza il passaporto chi sei? Sei il signor nessuno. Si è creato un gran casino di agitazione. Allora i militari ci hanno fatto scendere nello scantinato.
Per non vedere?
Per non farci vedere, perché stavamo cominciando a spaventarci veramente: noi vedevamo loro ma non potevamo uscire; loro guardavano noi dai finestrini. Non si riusciva a capire cosa stesse succedendo. Li hanno portati via ma hanno lasciato lì l'equipaggio dell'aereo, che pure era inglese.. Noi intanto eravamo in cantina Io ero sicura che sarebbero entrati e ci avrebbero sparato. Sai quando sei convinta di una cosa? Ero sicura che quello sarebbe stato l'ultimo giorno e buona notte.
Invece?
Dopo un po' di ore ci hanno fatto risalire e ci hanno spiegato che gli altri erano stati portati a fare gli scudi umani. In Italia la notizia è arrivata più tardi, in realtà erano stati presi quel giorno, il 6 agosto 1990, proprio una giornata di merda.
E come mai gli italiani no? L'avete capito?
Bisogna chiederlo ad Andreotti, era lui il ministro degli esteri.
Miracolo di Sant'Andreotti?
Sì, Sant' Andreotti, San Giulio: comunque gli italiani no. Infatti noi siamo state anche le prime ad essere rilasciate, le prime occidentali.
E la signora indiana come faceva a sapere di Sant' Andreotti?
Non lo so, non ho capito. C'è da dire che le ambasciate degli altri paesi arrivavano a portare le medicine, i rasoi per gli uomini, i pannolini per i bambini piccoli... solo la nostra non è mai venuta. C'era un funzionario, un certo R. che ci telefonava e, piangendo, diceva : "Oh, qui sparano". Poi ci diceva "se per caso bombardano dovete tapparvi le orecchie e mettervi sul naso un panno bagnato, e le braccia sopra la testa".
Ma piangeva davvero?
Sì, piangeva. Allora un ragazzo di Lecco lo prendeva in giro e gli diceva:"R., dove dobbiamo metterle le braccia se bombardano?",
Quindi da un certo punto di vista voi eravate abbandonati dall'ambasciata, ma protetti da San Giulio?
Si, da San Giulio. L'abbiamo capito in quel momento lì. O dio, in quel momento lì eravamo arrabbiati e pensavamo di essere l'ultima ruota del carro e che non interessavamo neanche come scudi umani. Però abbiamo pensato che probabilmente i buoni rapporti di Andreotti con i paesi arabi davano qualche frutto. Forse anche perché l'Italia era considerato l'anello debole dell'occidente e cercavano di tenersela buona.
Comunque siamo stati quindici giorni nell'hotel, senza mai uscire. Un' amica un giorno, guardando dalla finestra ha detto: "chissà se in questo posto fa freddo d'inverno?" L'ho guardata e le ho detto"se è per quello non sappiamo neanche se fa caldo d'estate, non siamo mai uscite". Aria condizionata per quindici giorni!
E fuori cosa succedeva?
Hanno fatto di tutto: gli iracheni caricavano gli aerei, e poi li portavano via,.Tutti li hanno portati via. Noi li vedevamo, era il nostro unico spettacolo
Bo, dopo tre o quattro giorni..
L'avete interpellata voi o...?
Hanno chiamato in aeroporto chiedendo di parlare con qualche italiano. Ci hanno detto che stavano organizzando un trasporto via mare per il rimpatrio, di prepararci... Cosa dovevamo preparare? Non avevamo niente, non avevamo il bagaglio, rimasto sull'aereo e mai più recuperato. Avevamo solo ciò che avevamo addosso
Quanti italiani eravate?
Sull'aereo eravamo in dieci: noi cinque, due amici che erano partiti insieme e altri tre. Poi in aeroporto abbiamo incontrato due coppie: una di Torino e una di Bologna, che stavano tornando dalle ferie, si sono svegliate con i carri armati e non sono più ripartite. Erano in viaggio dall'inizio di luglio, le donne sono tornate con noi, i primi di settembre, i mariti sono stati rilasciati il 7 di dicembre, per cui sono stati in giro sei mesi
Altre notizie? Vedevate la televisione?
Sì, si vedeva la CNN.
UN GIORNO DI PAURA
La giornata sicuramente peggiore è stata il 6 agosto: la data della mia prima morte, io lo dico sempre...
Perché?
Perché sono arrivati gli ufficiali iracheni, tra l'altro sempre molto gentili con noi ... sono arrivati e hanno chiamato gli inglesi, i francesi i tedeschi ... li hanno portati nella sala da pranzo (noi li vedevamo dalla vetrata)
Tutti gli europei, tranne voi?
Tranne gli italiani sì ... Vedevamo gli ufficiali di spalle che stavano parlando e i nostri compagni che ascoltavano tranquillamente. Noi abbiamo cominciato a brontolare: "ecco i nostri deputati dormono, in agosto sono in vacanza eccetera. Questi se ne vanno a casa, chissà noi quando andiamo". Insomma, ci stava montando un certo nervoso. Una signora indiana mi si è avvicinata e mi ha chiesto:"di che nazionalità sei?" "sono italiana" "allora stai tranquilla" "come stai tranquilla?" "no,no, sta tranquilla va bene così".
Poi cosa è successo?
A un certo punto li hanno fatti uscire dalla sala: erano ancora molto tranquilli. Però, una volta fuori, gli hanno ritirato il passaporto e li hanno caricati su pulmini militari. Da dentro li vedevamo: erano terrorizzati, perché senza il passaporto chi sei? Sei il signor nessuno. Si è creato un gran casino di agitazione. Allora i militari ci hanno fatto scendere nello scantinato.
Per non vedere?
Per non farci vedere, perché stavamo cominciando a spaventarci veramente: noi vedevamo loro ma non potevamo uscire; loro guardavano noi dai finestrini. Non si riusciva a capire cosa stesse succedendo. Li hanno portati via ma hanno lasciato lì l'equipaggio dell'aereo, che pure era inglese.. Noi intanto eravamo in cantina Io ero sicura che sarebbero entrati e ci avrebbero sparato. Sai quando sei convinta di una cosa? Ero sicura che quello sarebbe stato l'ultimo giorno e buona notte.
Invece?
Dopo un po' di ore ci hanno fatto risalire e ci hanno spiegato che gli altri erano stati portati a fare gli scudi umani. In Italia la notizia è arrivata più tardi, in realtà erano stati presi quel giorno, il 6 agosto 1990, proprio una giornata di merda.
E come mai gli italiani no? L'avete capito?
Bisogna chiederlo ad Andreotti, era lui il ministro degli esteri.
Miracolo di Sant'Andreotti?
Sì, Sant' Andreotti, San Giulio: comunque gli italiani no. Infatti noi siamo state anche le prime ad essere rilasciate, le prime occidentali.
E la signora indiana come faceva a sapere di Sant' Andreotti?
Non lo so, non ho capito. C'è da dire che le ambasciate degli altri paesi arrivavano a portare le medicine, i rasoi per gli uomini, i pannolini per i bambini piccoli... solo la nostra non è mai venuta. C'era un funzionario, un certo R. che ci telefonava e, piangendo, diceva : "Oh, qui sparano". Poi ci diceva "se per caso bombardano dovete tapparvi le orecchie e mettervi sul naso un panno bagnato, e le braccia sopra la testa".
Ma piangeva davvero?
Sì, piangeva. Allora un ragazzo di Lecco lo prendeva in giro e gli diceva:"R., dove dobbiamo metterle le braccia se bombardano?",
Quindi da un certo punto di vista voi eravate abbandonati dall'ambasciata, ma protetti da San Giulio?
Si, da San Giulio. L'abbiamo capito in quel momento lì. O dio, in quel momento lì eravamo arrabbiati e pensavamo di essere l'ultima ruota del carro e che non interessavamo neanche come scudi umani. Però abbiamo pensato che probabilmente i buoni rapporti di Andreotti con i paesi arabi davano qualche frutto. Forse anche perché l'Italia era considerato l'anello debole dell'occidente e cercavano di tenersela buona.
Comunque siamo stati quindici giorni nell'hotel, senza mai uscire. Un' amica un giorno, guardando dalla finestra ha detto: "chissà se in questo posto fa freddo d'inverno?" L'ho guardata e le ho detto"se è per quello non sappiamo neanche se fa caldo d'estate, non siamo mai uscite". Aria condizionata per quindici giorni!
E fuori cosa succedeva?
Hanno fatto di tutto: gli iracheni caricavano gli aerei, e poi li portavano via,.Tutti li hanno portati via. Noi li vedevamo, era il nostro unico spettacolo
GLI OCCIDENTALI DIVENTANO OSTAGGI
Repubblica — 10 agosto 1990 pagina 3 (1)
Repubblica — 10 agosto 1990 pagina 3 (1)
VITA DA OSTAGGI
Come trascorrevate le giornate?
Giocavamo a carte, dormivamo, ci lavavamo e giocavamo a carte. Facevamo il giro della hall, come i matti
E l'umore com'era?
Dipende. Fortunatamente non siamo mai "scoppiate" tutte insieme: un giorno era brutto per una, l'altro per l'altra e così via...
Ma socializzavate solo fra italiani o con tutti?
Con tutti, sì, sì con tutti
Gli italiani, a parte le tue amiche, li hai rivisti?
Ho rivisto quelli di Lecco, poi c'era uno di Lissone
Eravate tutti della zona?
Uno di Usmate, Mario. Dopo quindici giorni, finalmente ci hanno portato in un albergo in città. Li c'era da mangiare si poteva uscire.
Si poteva uscire per la città?
No, si poteva respirare all'aperto. No in città no, c'erano i carri armati, era tutta devastata e quasi disabitata. Nel tratto che abbiamo fatto durante il trasferimento non c'era nessuno: a parte i militari che facevano i blocchi stradali non c'era nessuno...
Dov'era la gente?
Le zone residenziali erano ancora un po' abitate. In quelle del commercio dell'industria, delle banche invece non c'era nessuno.
Nel nuovo albergo siamo stati un paio di notti. Poi si era saputo che gli iracheni rastrellavano gli alberghi in cerca di stranieri e allora ci hanno trasferito all'ambasciata, dove abbiamo trovato tanti altri italiani, quelli che lavoravano in Kuwait.
Come trascorrevate le giornate?
Giocavamo a carte, dormivamo, ci lavavamo e giocavamo a carte. Facevamo il giro della hall, come i matti
E l'umore com'era?
Dipende. Fortunatamente non siamo mai "scoppiate" tutte insieme: un giorno era brutto per una, l'altro per l'altra e così via...
Ma socializzavate solo fra italiani o con tutti?
Con tutti, sì, sì con tutti
Gli italiani, a parte le tue amiche, li hai rivisti?
Ho rivisto quelli di Lecco, poi c'era uno di Lissone
Eravate tutti della zona?
Uno di Usmate, Mario. Dopo quindici giorni, finalmente ci hanno portato in un albergo in città. Li c'era da mangiare si poteva uscire.
Si poteva uscire per la città?
No, si poteva respirare all'aperto. No in città no, c'erano i carri armati, era tutta devastata e quasi disabitata. Nel tratto che abbiamo fatto durante il trasferimento non c'era nessuno: a parte i militari che facevano i blocchi stradali non c'era nessuno...
Dov'era la gente?
Le zone residenziali erano ancora un po' abitate. In quelle del commercio dell'industria, delle banche invece non c'era nessuno.
Nel nuovo albergo siamo stati un paio di notti. Poi si era saputo che gli iracheni rastrellavano gli alberghi in cerca di stranieri e allora ci hanno trasferito all'ambasciata, dove abbiamo trovato tanti altri italiani, quelli che lavoravano in Kuwait.
L' AMERICA VIVE LA SINDROME DEGLI OSTAGGI
Repubblica — 11 agosto 1990 pagina 6
Repubblica — 11 agosto 1990 pagina 6
OSPITI DI ITALIANI
Quindi due giorni in albergo e poi in ambasciata...
Sì, però per noi cinque non andava ancora bene. Secondo l'ambasciata eravamo donne sole e quindi dovevamo essere ancor più protette. Noi obiettavamo che eravamo si cinque donne sole, ma non isolate, eravamo nel gruppo. Niente da fare: ci hanno portato a casa di una signora napoletana che aveva sposato un giornalista Kuwaitiano. Ci ha ospitato ma era terrorizzata perché gli iracheni facevano rappresaglie, e se avessero scoperto che nascondeva stranieri, per lei sarebbero stati guai grossi. In più la signora aveva due figli di 19 e 20 anni, per proteggerli aveva chiesto per loro il passaporto italiano ma glielo avevano rilasciato con la data 10 agosto, così si capiva che l'avevano fatto apposta. Abbiamo chiamato l'ambasciatore e gli abbiamo detto che lì non potevamo stare, perché stavamo creando problemi alla famiglia, che fra l'altro non aveva quasi più niente da mangiare.
Allora all'ambasciata hanno pensato di metterci in casa di un italiano che vendeva armi ai kuwaitiani: sembra una barzelletta ma è così. Vendeva armi ai kuwaitiani, e viveva nel quartiere della resistenza kuwaitiana; un posto proprio sicuro Ci hanno messo tutti lì, eravamo una ventina.
Quindi due giorni in albergo e poi in ambasciata...
Sì, però per noi cinque non andava ancora bene. Secondo l'ambasciata eravamo donne sole e quindi dovevamo essere ancor più protette. Noi obiettavamo che eravamo si cinque donne sole, ma non isolate, eravamo nel gruppo. Niente da fare: ci hanno portato a casa di una signora napoletana che aveva sposato un giornalista Kuwaitiano. Ci ha ospitato ma era terrorizzata perché gli iracheni facevano rappresaglie, e se avessero scoperto che nascondeva stranieri, per lei sarebbero stati guai grossi. In più la signora aveva due figli di 19 e 20 anni, per proteggerli aveva chiesto per loro il passaporto italiano ma glielo avevano rilasciato con la data 10 agosto, così si capiva che l'avevano fatto apposta. Abbiamo chiamato l'ambasciatore e gli abbiamo detto che lì non potevamo stare, perché stavamo creando problemi alla famiglia, che fra l'altro non aveva quasi più niente da mangiare.
Allora all'ambasciata hanno pensato di metterci in casa di un italiano che vendeva armi ai kuwaitiani: sembra una barzelletta ma è così. Vendeva armi ai kuwaitiani, e viveva nel quartiere della resistenza kuwaitiana; un posto proprio sicuro Ci hanno messo tutti lì, eravamo una ventina.
Documento dell'ambasciata italiana nel Kuwait rilasciato a Antonella Brivio per il trasferimento da Kuwait City a Bagdad |
DA KUWAIT CITY A BAGDAD
Ma del vostro rilascio non si diceva niente?
Un giorno ci arrivò la notizia che Andreotti aveva ufficialmente comunicato che il giorno dopo saremmo partiti per la Turchia. Non era vero, anche San Giulio aveva toppato. Poi, mi pare il giorno 20, ci hanno detto che ci avrebbero trasferiti a Bagdad con una scorta armata.
Era vero?
Quasi. Nel senso che siamo davvero partiti per Bagdad, ma da soli, senza nessuna scorta;con uno scuola - bus guidato da un ragazzo italiano che lavorava lì e si era offerto di accompagnarci.
Chi eravate?
Eravamo quasi tutti gli italiani. Non tutti perché alcuni non se l'erano sentita di rischiare. Anche nel nostro gruppo la decisione era stata sofferta: una di noi non era d'accordo di partire ma ci disse che comunque non si sarebbe staccata dalle altre. A favore della partenza giocava la decisione di Saddam Hussein di chiudere le ambasciate in Kuwait: quello stato non esisteva più perché annesso all'Iraq, non aveva più senso lasciarle aperte. Noi turisti saremmo stati abbandonati a noi stessi, non avremmo più avuto contatti con nessuno. Abbiamo deciso di partire. Al gruppo si aggregarono alcuni spagnoli.
Che giorno era?
Era il 20 agosto. Siamo partiti a mezzogiorno e arrivati alle 8 del giorno dopo.
Cosa ti ricordi di questo viaggio?
Deserto. Il Kuwait, a parte la capitale, è deserto. E' un posto orribile, orribile. Chiedevamo alla signora napoletana: " cosa fate voi qui?" "Mah, ci raduniamo in una casa facciamo feste". È un posto di uno squallore esagerato, con ville enormi piene di lustrini. Fa un caldo allucinante, per cui ci si può muovere solo con macchine con aria condizionata.
Arrivati al confine tra Iraq e Kuwait. ci hanno fatto scendere per controllare i documenti. Al tavolo c'erano quattro o cinque ufficiali con una brocca d'acqua e un bicchiere. Da come guardavamo la brocca hanno capito che eravamo a corto di acqua. Infatti quella poca che avevamo era bollente. Al primo che si è presentato per mostrare i documenti gli hanno detto" prego" e l'hanno invitato a bere. Poi hanno fatto di tutto per trovarci l'acqua fresca, mandando alcuni i soldati a cercarla. In seguito ho scoperto che gli sciiti non ti rifiuteranno mai un bicchiere d'acqua, perché un dei loro martiri è morto di sete nel deserto.
Quindi loro erano sciiti?
Probabilmente sì.
Siamo passati da Bassora: indimenticabile.. Una città che sembrava bombardata fino a dieci minuti prima, una roba allucinante. Erano i segni lasciati dalla guerra, durata otto anni, fra Iraq e Iran. C'erano i bambini con il kalasnikov che salutavano i turisti. Tra noi c'erano due bambini piccoli, avranno avuto 5 o 6 anni. Questi guardavano fuori dal finestrino, vedevano i loro quasi coetanei con i kalasnikov. e chiedevano "ma perché hanno il fucile?": che cazzo gli dici? Come gli spieghi perché i bambini poco più grandi di loro hanno il fucile in spalla? Così, pensi: noi nasciamo, possiamo fare i ladri, possiamo fare gli astronauti possiamo fare ogni cosa, o quasi. Qui nascono e devono fare questa vita, non conoscono un giorno di pace.Ti viene un'angoscia .
Poi siete arrivati a Bagdad ...
Sì, ma prima, verso le due di notte il pulmino si è bloccato in un villaggetto. Quelli dell'ambasciata avevano paura che ci succedesse qualcosa e ci dicevano di non scendere, ma figurati se qualcuno voleva salire sul pulmino riusciva comunque e noi avevamo bisogno di sgranchire le gambe.
È stato commovente: nel villaggio hanno cominciato ad accendersi le luci; vedevi la gente che sbignava dalle finestre. Poi il sindaco si è fatto forza ed è venuto a vedere, dopo di lui si sono fatti avanti gli altri abitanti. I bambini hanno iniziato a fare la spola per portarci acqua e frutta. Siccome il pulmino non partiva, un signore ha preso la moto e, con un altro, è andato a prendere il meccanico al paese vicino. Intanto che lui trafficava, tutto il paese era intorno a noi e ci faceva domande in arabo, a cui rispondevamo un po' in inglese e un po' in italiano. Probabilmente noi facevamo molta tenerezza, comunque in Iraq le persone normali, non le autorità che non abbiamo mai incontrato, le persone normali sono più gentili della media ... militari compresi. Alle 8 di mattina del 20 agosto siamo arrivati a Bagdad.
Ma del vostro rilascio non si diceva niente?
Un giorno ci arrivò la notizia che Andreotti aveva ufficialmente comunicato che il giorno dopo saremmo partiti per la Turchia. Non era vero, anche San Giulio aveva toppato. Poi, mi pare il giorno 20, ci hanno detto che ci avrebbero trasferiti a Bagdad con una scorta armata.
Era vero?
Quasi. Nel senso che siamo davvero partiti per Bagdad, ma da soli, senza nessuna scorta;con uno scuola - bus guidato da un ragazzo italiano che lavorava lì e si era offerto di accompagnarci.
Chi eravate?
Eravamo quasi tutti gli italiani. Non tutti perché alcuni non se l'erano sentita di rischiare. Anche nel nostro gruppo la decisione era stata sofferta: una di noi non era d'accordo di partire ma ci disse che comunque non si sarebbe staccata dalle altre. A favore della partenza giocava la decisione di Saddam Hussein di chiudere le ambasciate in Kuwait: quello stato non esisteva più perché annesso all'Iraq, non aveva più senso lasciarle aperte. Noi turisti saremmo stati abbandonati a noi stessi, non avremmo più avuto contatti con nessuno. Abbiamo deciso di partire. Al gruppo si aggregarono alcuni spagnoli.
Che giorno era?
Era il 20 agosto. Siamo partiti a mezzogiorno e arrivati alle 8 del giorno dopo.
Cosa ti ricordi di questo viaggio?
Deserto. Il Kuwait, a parte la capitale, è deserto. E' un posto orribile, orribile. Chiedevamo alla signora napoletana: " cosa fate voi qui?" "Mah, ci raduniamo in una casa facciamo feste". È un posto di uno squallore esagerato, con ville enormi piene di lustrini. Fa un caldo allucinante, per cui ci si può muovere solo con macchine con aria condizionata.
Arrivati al confine tra Iraq e Kuwait. ci hanno fatto scendere per controllare i documenti. Al tavolo c'erano quattro o cinque ufficiali con una brocca d'acqua e un bicchiere. Da come guardavamo la brocca hanno capito che eravamo a corto di acqua. Infatti quella poca che avevamo era bollente. Al primo che si è presentato per mostrare i documenti gli hanno detto" prego" e l'hanno invitato a bere. Poi hanno fatto di tutto per trovarci l'acqua fresca, mandando alcuni i soldati a cercarla. In seguito ho scoperto che gli sciiti non ti rifiuteranno mai un bicchiere d'acqua, perché un dei loro martiri è morto di sete nel deserto.
Quindi loro erano sciiti?
Probabilmente sì.
Siamo passati da Bassora: indimenticabile.. Una città che sembrava bombardata fino a dieci minuti prima, una roba allucinante. Erano i segni lasciati dalla guerra, durata otto anni, fra Iraq e Iran. C'erano i bambini con il kalasnikov che salutavano i turisti. Tra noi c'erano due bambini piccoli, avranno avuto 5 o 6 anni. Questi guardavano fuori dal finestrino, vedevano i loro quasi coetanei con i kalasnikov. e chiedevano "ma perché hanno il fucile?": che cazzo gli dici? Come gli spieghi perché i bambini poco più grandi di loro hanno il fucile in spalla? Così, pensi: noi nasciamo, possiamo fare i ladri, possiamo fare gli astronauti possiamo fare ogni cosa, o quasi. Qui nascono e devono fare questa vita, non conoscono un giorno di pace.Ti viene un'angoscia .
Poi siete arrivati a Bagdad ...
Sì, ma prima, verso le due di notte il pulmino si è bloccato in un villaggetto. Quelli dell'ambasciata avevano paura che ci succedesse qualcosa e ci dicevano di non scendere, ma figurati se qualcuno voleva salire sul pulmino riusciva comunque e noi avevamo bisogno di sgranchire le gambe.
È stato commovente: nel villaggio hanno cominciato ad accendersi le luci; vedevi la gente che sbignava dalle finestre. Poi il sindaco si è fatto forza ed è venuto a vedere, dopo di lui si sono fatti avanti gli altri abitanti. I bambini hanno iniziato a fare la spola per portarci acqua e frutta. Siccome il pulmino non partiva, un signore ha preso la moto e, con un altro, è andato a prendere il meccanico al paese vicino. Intanto che lui trafficava, tutto il paese era intorno a noi e ci faceva domande in arabo, a cui rispondevamo un po' in inglese e un po' in italiano. Probabilmente noi facevamo molta tenerezza, comunque in Iraq le persone normali, non le autorità che non abbiamo mai incontrato, le persone normali sono più gentili della media ... militari compresi. Alle 8 di mattina del 20 agosto siamo arrivati a Bagdad.
GLI OSTAGGI NEGLI OBIETTIVI MILITARI
Repubblica — 21 agosto 1990 pagina 3
A BAGDAD, "OSPITI GRADITI" DI SADDAM HUSSEIN
Ci eri già stata?
No, e non mi aspettavo una città così bella ... Ci hanno alloggiato all'Hotel Rashid, quello che oggi ospita il quartier generale degli USA. Da lì siamo finalmente riusciti a telefonare a casa...
Per la prima volta? Cosa sapevano di voi a casa??
Non hanno saputo niente fino al giorno 17, quando la Farnesina ,cioè il Ministero degli Esteri ,ha telefonato.
Come hanno vissuto senza notizie per due settimane?
Da pazzi ...da ... paz..zi... .Poi, una volta che la Farnesina si è messa in moto e ha fondato l'unità di crisi che prima non c'era, telefonavano spesso. Chiamavano in albergo e chiedevano "Come stai oggi?" " Male", e dopo telefonavano a casa.
In questo albergo non eravate solo italiani, c'era tanta gente?
Siamo sempre stati tante nazionalità.
Eravate più libere che a Kuwait City?
Sì certo, anche se non potevamo andare in giro per i fatti nostri. Però ci hanno portato a comparare qualcosa al mercato, perché non avevamo niente, qualche capo di vestiario, niente di che, Potevamo uscire, potevamo andare in ambasciata, a casa del console, siamo andati a mangiare a casa di un italiano ...
Nella città di Bagdad non era ancora successo niente, nessun atto di guerra?
Assolutamente niente, lì non si sentiva più sparare, non si vedevano più i carri armati, si vedevano grandi foto si Saddam Hussein ogni dove
E i vostri compagni che erano restati a Kuwait City?
A un certo punto li hanno presi e portati a Bagdad: sono arrivati con i militari, dopo due giorni.
In casa del console si nascondeva un giornalista dell'Espresso che era stato in un campo di concentramento perché beccato a curiosare in giro per Kuwait City. Raccontava che nel campo aveva incontrato alcuni iraniani che non sapevano che la guerra fra Iran e Iraq fosse finita .Lui si nascondeva in casa del console perché aveva paura di essere riacciuffato
Ma lui dal campo di concentramento era stato rilasciato o era scappato?
Era stato rilasciato
Però sarebbe dovuto tornare in Italia e non era tornato?
No, nessuno poteva partire, da Bagdad non poteva partire nessuno straniero. Non potevamo prendere un aereo e tornare a casa, assolutamente
Eravate comunque ancora ostaggi?
Sì anche se il governo iracheno diceva che noi italiano eravamo "ospiti graditi"...!?!
Ma almeno vi trattavano da ospiti?
Non ci trattavano male. Il personale dell'albergo non era veramente personale dell'albergo, probabilmente erano militari. Lo capivi dalle cose più banali: chiedevi la chiave della camera e non la trovavano: "non c'è" " come non c'è, guardala è lì", cose di questo tipo. Però erano gentilissimi ogni tanto ci vedevano un po' pensierosi, allora si avvicinavano e, in arabo ci dicevano "insciallah, insciallah" "insciallah che cosa?" replicavamo e allora, in inglese,"non preoccuparti". Ci raccontavano alcuni tecnici dell'ENI che lavoravano lì che quando è stato occupato il Kuwait gli iracheni piangevano disperati. Non ne potevano più, avevano appena finito una guerra che li aveva messi alla fame... erano disperati.
Poi ogni tanto all'albergo arrivavano degli uomini politici: è arrivato un austriaco, come si chiamava, quello destroide che è morto?
Heider?
Sì, lui. È arrivato, ha stretto la mano al signor Saddam Hussein e si è portato via gli austriaci. È passato Jesse Jackson, l'americano. Gentilissimo, lui passava, salutava e diceva "come và? Non preoccupatevi".
Ci eri già stata?
No, e non mi aspettavo una città così bella ... Ci hanno alloggiato all'Hotel Rashid, quello che oggi ospita il quartier generale degli USA. Da lì siamo finalmente riusciti a telefonare a casa...
Per la prima volta? Cosa sapevano di voi a casa??
Non hanno saputo niente fino al giorno 17, quando la Farnesina ,cioè il Ministero degli Esteri ,ha telefonato.
Come hanno vissuto senza notizie per due settimane?
Da pazzi ...da ... paz..zi... .Poi, una volta che la Farnesina si è messa in moto e ha fondato l'unità di crisi che prima non c'era, telefonavano spesso. Chiamavano in albergo e chiedevano "Come stai oggi?" " Male", e dopo telefonavano a casa.
In questo albergo non eravate solo italiani, c'era tanta gente?
Siamo sempre stati tante nazionalità.
Eravate più libere che a Kuwait City?
Sì certo, anche se non potevamo andare in giro per i fatti nostri. Però ci hanno portato a comparare qualcosa al mercato, perché non avevamo niente, qualche capo di vestiario, niente di che, Potevamo uscire, potevamo andare in ambasciata, a casa del console, siamo andati a mangiare a casa di un italiano ...
Nella città di Bagdad non era ancora successo niente, nessun atto di guerra?
Assolutamente niente, lì non si sentiva più sparare, non si vedevano più i carri armati, si vedevano grandi foto si Saddam Hussein ogni dove
E i vostri compagni che erano restati a Kuwait City?
A un certo punto li hanno presi e portati a Bagdad: sono arrivati con i militari, dopo due giorni.
In casa del console si nascondeva un giornalista dell'Espresso che era stato in un campo di concentramento perché beccato a curiosare in giro per Kuwait City. Raccontava che nel campo aveva incontrato alcuni iraniani che non sapevano che la guerra fra Iran e Iraq fosse finita .Lui si nascondeva in casa del console perché aveva paura di essere riacciuffato
Ma lui dal campo di concentramento era stato rilasciato o era scappato?
Era stato rilasciato
Però sarebbe dovuto tornare in Italia e non era tornato?
No, nessuno poteva partire, da Bagdad non poteva partire nessuno straniero. Non potevamo prendere un aereo e tornare a casa, assolutamente
Eravate comunque ancora ostaggi?
Sì anche se il governo iracheno diceva che noi italiano eravamo "ospiti graditi"...!?!
Ma almeno vi trattavano da ospiti?
Non ci trattavano male. Il personale dell'albergo non era veramente personale dell'albergo, probabilmente erano militari. Lo capivi dalle cose più banali: chiedevi la chiave della camera e non la trovavano: "non c'è" " come non c'è, guardala è lì", cose di questo tipo. Però erano gentilissimi ogni tanto ci vedevano un po' pensierosi, allora si avvicinavano e, in arabo ci dicevano "insciallah, insciallah" "insciallah che cosa?" replicavamo e allora, in inglese,"non preoccuparti". Ci raccontavano alcuni tecnici dell'ENI che lavoravano lì che quando è stato occupato il Kuwait gli iracheni piangevano disperati. Non ne potevano più, avevano appena finito una guerra che li aveva messi alla fame... erano disperati.
Poi ogni tanto all'albergo arrivavano degli uomini politici: è arrivato un austriaco, come si chiamava, quello destroide che è morto?
Heider?
Sì, lui. È arrivato, ha stretto la mano al signor Saddam Hussein e si è portato via gli austriaci. È passato Jesse Jackson, l'americano. Gentilissimo, lui passava, salutava e diceva "come và? Non preoccupatevi".
LA CEE PREPARA LA RISPOSTA
Repubblica — 24 agosto 1990 pagina 3
Repubblica — 24 agosto 1990 pagina 3
VERSO CASA: PRIMA TAPPA AMMAN, IN GIORDANIA
Poi una sera siamo andati a mangiare a casa di un italiano che ci ha fatto la carbonara: ci tenevamo compagnia, saremo stati una trentina "Venite tutti da me, poi andiamo in discoteca".
Siete andati in discoteca a Bagdad?
Sì, sì, non ne potevamo più alla fine. Siamo stati lì a guardare quelli che ballavano, però almeno eravamo fuori. Siamo tornate alle tre di mattina e alla reception ci hanno detto: "C'è un messaggio per voi". Era il console: "Alle cinque partite. Avvisate le altre donne". Abbiamo avvisato le altre donne e alle cinque eravamo pronte..
A quel punto c'è stata una piccola battaglia verbale con il console: "Dovete salire sul pulmino" "Dove andiamo?" "Non possiamo dirvelo per la vostra sicurezza". Abbiamo insistito. "Diteci dove stiamo andando!" "Non possiamo dirvelo" "Io non salgo "Dovete salire" "Io non salgo". Ormai era una guerra: "Dove stiamo andando con il pulmino alle cinque di mattina. E gli uomini?" "gli uomini non possono venire " " e io non salgo"
Tutti vi opponevate?
Sai, noi eravamo cinque amiche. Ci dispiaceva lasciar lì persone che erano state con noi per più di tre settimane ed erano diventate il nostro punto di riferimento. Però c'erano donne che lasciavano lì i mariti. "Non possiamo dirlo neanche a loro" "E allora vai tu in gita col pulmino" Alla fine hanno detto che non potevamo decidere noi e che dovevamo approfittare dell'occasione. Morale, ci hanno caricate e siamo andate in Giordania, ad Amman, meta che abbiamo conosciuto solo quando siamo arrivate al confine. Subito dopo il confine, in Giordania, la situazione era disastrosa
Perché?
C'erano accampamenti di filippini, africani, indiani, gente che aveva perso il lavoro e cercava di andare a casa ma nessuno li andava a prendere. Una roba allucinante, una miseria che io mai mi dimenticherò. Vivevano ciascuno sotto un telo sorretto da quattro bastoni e loro stavano lì sotto ad aspettare : che cosa? Avevano perso tutto gli erano stati rubati i soldi, erano lì e non sapevano come tornare a casa. Non erano venti persone, erano migliaia, nel deserto
Erano campi spontanei o organizzati dell'Onu o da qualcun altro?
No, non erano campi organizzati, assolutamente. Qualche ora più tardi siamo arrivate ad Amman, dove c'era tutta la stampa del mondo.
AMMAN, ROMA, MILANO
Il giorno dopo siamo partite per Roma, viaggiando sull'aereo del presidente della Repubblica, che allora era Cossiga. Naturalmente non c'erano i sedili come sugli altri aerei: c'era il salotto con le poltrone. A un certo punto io e Nicoletta ci sediamo una davanti all'altra. Arriva uno dell'equipaggio e dice a Nicoletta: "Veramente quella è la poltrona di Cossiga" "Adesso ci sono io".Ha preso ed è andato via.
Sull'aereo avete raccontato la vostra avventura?
Cercavano di capire come eravamo messe dal punto di vista psicologico. La sera prima in Giordania volevano riempirci di tranquillanti ma gli avevamo detto: "se avete bisogno di tranquillanti beveteveli voi, noi non abbiamo bisogno di niente". Sull'aereo ci chiedevano: "avete bisogno di qualcosa, ragazze com'è andata? l'esperienza?", cercavano di farci raccontare ma noi non ne avevamo proprio voglia. Li abbiamo presi anche un po' in giro: dicevamo: "noi abbiamo fame, non avete portato i panini? Siamo delle signore, almeno le rose ..." e scherzavamo con questi che erano un po' stupiti del nostro stato d'animo, perché sai magari si aspettavano delle crisi isteriche. Però erano gentili: ci hanno fatto visitare la cabina di pilotaggio, che a dir la verità faceva un po' impressione. Quando siamo stati sopra l'Italia ci hanno salutato gli addetti degli aeroporti: hanno iniziato quelli di Santa Maria di Leuca, e poi via, via fino a Roma. Sono stati carini, è stato bellissimo .Siamo atterrate all'aeroporto militare di Ciampino
Chi c'era ad accogliervi a Roma?
Il Senatore Vitalone, penso a nome del Governo: non ci ha detto quasi niente, era venuto a fare ombra. Sono venuti Anna e Ivano, due amici di Verderio che abitavano a Roma. E poi il papà di una noi che era dovuto venire a portarci i biglietti per il volo successivo.
Come mai?
Quando mia sorella ha saputo che saremmo tornate ha chiamato l'Alitalia e ha detto, "Tornano, dobbiamo prenotare il volo" Le hanno chiesto. "Ma sua sorella ce li ha i soldi per il biglietto?" "Guardi l'ultima cosa che mi è venuto in mente di chiederle è se aveva i soldi per il biglietto" Insomma le hanno fatto tanti di quei problemi che alla fine il padre di questa amica ha comprato i biglietti e ce li ha portati a Roma.
Ultima tappa Milano...
Si, abbiamo preso l'aereo a Fiumicino. Eravamo un po' conciatine, con un sacchettino della lavanderia Gli altri passeggeri ci hanno guardato un po' male. Ci siamo sedute in fondo, libere finalmente, tranquille: partiamo. Dopo un quarto d'ora il capitano dice: "Signore e signori sono felicissimo di annunciarvi che a bordo con noi ci sono le cinque ragazze appena liberate dall'Iraq". Allora tutti si sono alzati per venire a salutarci e a chiedere: "State bene? e come avete fatto? Non siete state male" e noi "neanche un mal di testa, signora, non si poteva neanche avere il mal di testa"Insomma, fa piacere...
Ci si emoziona?
Non è che ci si emozioni però ti sembra di essere tornata in una situazione normale. Poi ancora il capitano ha detto "Scusate vi chiedo un attimo di pazienza perché devo far scendere loro, scusate" e tutti "no, no andate, andate; brave , brave" . Ma brave per che cosa?
Fine del viaggio.
Poi una sera siamo andati a mangiare a casa di un italiano che ci ha fatto la carbonara: ci tenevamo compagnia, saremo stati una trentina "Venite tutti da me, poi andiamo in discoteca".
Siete andati in discoteca a Bagdad?
Sì, sì, non ne potevamo più alla fine. Siamo stati lì a guardare quelli che ballavano, però almeno eravamo fuori. Siamo tornate alle tre di mattina e alla reception ci hanno detto: "C'è un messaggio per voi". Era il console: "Alle cinque partite. Avvisate le altre donne". Abbiamo avvisato le altre donne e alle cinque eravamo pronte..
A quel punto c'è stata una piccola battaglia verbale con il console: "Dovete salire sul pulmino" "Dove andiamo?" "Non possiamo dirvelo per la vostra sicurezza". Abbiamo insistito. "Diteci dove stiamo andando!" "Non possiamo dirvelo" "Io non salgo "Dovete salire" "Io non salgo". Ormai era una guerra: "Dove stiamo andando con il pulmino alle cinque di mattina. E gli uomini?" "gli uomini non possono venire " " e io non salgo"
Tutti vi opponevate?
Sai, noi eravamo cinque amiche. Ci dispiaceva lasciar lì persone che erano state con noi per più di tre settimane ed erano diventate il nostro punto di riferimento. Però c'erano donne che lasciavano lì i mariti. "Non possiamo dirlo neanche a loro" "E allora vai tu in gita col pulmino" Alla fine hanno detto che non potevamo decidere noi e che dovevamo approfittare dell'occasione. Morale, ci hanno caricate e siamo andate in Giordania, ad Amman, meta che abbiamo conosciuto solo quando siamo arrivate al confine. Subito dopo il confine, in Giordania, la situazione era disastrosa
Perché?
C'erano accampamenti di filippini, africani, indiani, gente che aveva perso il lavoro e cercava di andare a casa ma nessuno li andava a prendere. Una roba allucinante, una miseria che io mai mi dimenticherò. Vivevano ciascuno sotto un telo sorretto da quattro bastoni e loro stavano lì sotto ad aspettare : che cosa? Avevano perso tutto gli erano stati rubati i soldi, erano lì e non sapevano come tornare a casa. Non erano venti persone, erano migliaia, nel deserto
Erano campi spontanei o organizzati dell'Onu o da qualcun altro?
No, non erano campi organizzati, assolutamente. Qualche ora più tardi siamo arrivate ad Amman, dove c'era tutta la stampa del mondo.
AMMAN, ROMA, MILANO
Il giorno dopo siamo partite per Roma, viaggiando sull'aereo del presidente della Repubblica, che allora era Cossiga. Naturalmente non c'erano i sedili come sugli altri aerei: c'era il salotto con le poltrone. A un certo punto io e Nicoletta ci sediamo una davanti all'altra. Arriva uno dell'equipaggio e dice a Nicoletta: "Veramente quella è la poltrona di Cossiga" "Adesso ci sono io".Ha preso ed è andato via.
Sull'aereo avete raccontato la vostra avventura?
Cercavano di capire come eravamo messe dal punto di vista psicologico. La sera prima in Giordania volevano riempirci di tranquillanti ma gli avevamo detto: "se avete bisogno di tranquillanti beveteveli voi, noi non abbiamo bisogno di niente". Sull'aereo ci chiedevano: "avete bisogno di qualcosa, ragazze com'è andata? l'esperienza?", cercavano di farci raccontare ma noi non ne avevamo proprio voglia. Li abbiamo presi anche un po' in giro: dicevamo: "noi abbiamo fame, non avete portato i panini? Siamo delle signore, almeno le rose ..." e scherzavamo con questi che erano un po' stupiti del nostro stato d'animo, perché sai magari si aspettavano delle crisi isteriche. Però erano gentili: ci hanno fatto visitare la cabina di pilotaggio, che a dir la verità faceva un po' impressione. Quando siamo stati sopra l'Italia ci hanno salutato gli addetti degli aeroporti: hanno iniziato quelli di Santa Maria di Leuca, e poi via, via fino a Roma. Sono stati carini, è stato bellissimo .Siamo atterrate all'aeroporto militare di Ciampino
Chi c'era ad accogliervi a Roma?
Il Senatore Vitalone, penso a nome del Governo: non ci ha detto quasi niente, era venuto a fare ombra. Sono venuti Anna e Ivano, due amici di Verderio che abitavano a Roma. E poi il papà di una noi che era dovuto venire a portarci i biglietti per il volo successivo.
Come mai?
Quando mia sorella ha saputo che saremmo tornate ha chiamato l'Alitalia e ha detto, "Tornano, dobbiamo prenotare il volo" Le hanno chiesto. "Ma sua sorella ce li ha i soldi per il biglietto?" "Guardi l'ultima cosa che mi è venuto in mente di chiederle è se aveva i soldi per il biglietto" Insomma le hanno fatto tanti di quei problemi che alla fine il padre di questa amica ha comprato i biglietti e ce li ha portati a Roma.
Ultima tappa Milano...
Si, abbiamo preso l'aereo a Fiumicino. Eravamo un po' conciatine, con un sacchettino della lavanderia Gli altri passeggeri ci hanno guardato un po' male. Ci siamo sedute in fondo, libere finalmente, tranquille: partiamo. Dopo un quarto d'ora il capitano dice: "Signore e signori sono felicissimo di annunciarvi che a bordo con noi ci sono le cinque ragazze appena liberate dall'Iraq". Allora tutti si sono alzati per venire a salutarci e a chiedere: "State bene? e come avete fatto? Non siete state male" e noi "neanche un mal di testa, signora, non si poteva neanche avere il mal di testa"Insomma, fa piacere...
Ci si emoziona?
Non è che ci si emozioni però ti sembra di essere tornata in una situazione normale. Poi ancora il capitano ha detto "Scusate vi chiedo un attimo di pazienza perché devo far scendere loro, scusate" e tutti "no, no andate, andate; brave , brave" . Ma brave per che cosa?
Fine del viaggio.
I DODICI ALL' IRAQ 'GUAI SE TOCCATE I CITTADINI CEE'
Repubblica — 25 agosto 1990 pagina 3
Repubblica — 25 agosto 1990 pagina 3
I RETROSCENA
Tornate a casa avete messo una pietra sopra a quanto accaduto o avete cercato di capire meglio cosa vi era successo?
C'erano alcune domande a cui non sapevamo rispondere e sulle quali altri sfuggivano. Ad aspettarci a Roma c'era anche un dirigente della British Airways, una persona estremamente gentile: a pensarci bene, troppo gentile. Se gli avessimo detto: " vogliamo tornare a Milano con una carrozza trainata da cavalli bianchi" ce l'avrebbe procurata. Allora abbiamo cominciato ad avere qualche sospettuccio. Ci ha lasciato il suo recapito, ci ha invitato a mandare la richiesta di rimborso: "il biglietto aereo?, figuriamoci ve lo rimborsiamo! il bagaglio disperso? Ci pensiamo noi!"
Poi, una sera, hanno invitato a cena, in un bellissimo ristorante di Milano, noi dieci italiani che avevamo viaggiato sull'aereo della British .Durante la cena hanno chiesto un po' di cose. Noi abbiamo fatto altrettanto con loro: "come mai il nostro aereo, unico aereo civile, quel 2 agosto ha fatto scalo a Kuwait City?". Hanno girato intorno alla domanda alla grande. Insomma non siamo riuscite a capirci niente. Ci hanno rimborsato il biglietto, ne abbiamo avuto uno in omaggio per l'anno successivo ma non siamo riusciti a capire perché quel cacchio di aereo si fosse fermato a Kuwait City.
Cinque anni dopo i francesi che avevano viaggiato con noi sull'aereo, un centinaio di persone, hanno ottenuto dal governo inglese un sostanzioso rimborso, un centinaio di milioni di lire a testa..
Come mai?
Avevano scoperto che sul nostro aereo, per questo partito in ritardo da Londra, era salito un gruppo di teste di cuoio inglesi, diretto a Kuwait City per intervenire nella situazione creatasi con l'occupazione irachena.
Perché non avete fatto causa anche voi?
Loro erano in tanti ed erano riusciti a mettere in piedi una causa internazionale. Noi ci abbiamo pensato, ma tutti ce lo hanno sconsigliato: in Italia una causa così va avanti per vent'anni. O hai tanti soldi per pagarti gli avvocati o ti conviene rinunciare.
Come siete venuti a conoscenza del risultato ottenuto dai francesi?
In Francia la notizia aveva fatto clamore, in Italia era stata taciuta dalla stampa. Una di noi, Carole, ha la mamma francese e parenti in Francia.. Questi l'hanno chiamata e le hanno detto: "sai perché sei finita in Kuwait?" e le hanno raccontato tutto.
Tornate a casa avete messo una pietra sopra a quanto accaduto o avete cercato di capire meglio cosa vi era successo?
C'erano alcune domande a cui non sapevamo rispondere e sulle quali altri sfuggivano. Ad aspettarci a Roma c'era anche un dirigente della British Airways, una persona estremamente gentile: a pensarci bene, troppo gentile. Se gli avessimo detto: " vogliamo tornare a Milano con una carrozza trainata da cavalli bianchi" ce l'avrebbe procurata. Allora abbiamo cominciato ad avere qualche sospettuccio. Ci ha lasciato il suo recapito, ci ha invitato a mandare la richiesta di rimborso: "il biglietto aereo?, figuriamoci ve lo rimborsiamo! il bagaglio disperso? Ci pensiamo noi!"
Poi, una sera, hanno invitato a cena, in un bellissimo ristorante di Milano, noi dieci italiani che avevamo viaggiato sull'aereo della British .Durante la cena hanno chiesto un po' di cose. Noi abbiamo fatto altrettanto con loro: "come mai il nostro aereo, unico aereo civile, quel 2 agosto ha fatto scalo a Kuwait City?". Hanno girato intorno alla domanda alla grande. Insomma non siamo riuscite a capirci niente. Ci hanno rimborsato il biglietto, ne abbiamo avuto uno in omaggio per l'anno successivo ma non siamo riusciti a capire perché quel cacchio di aereo si fosse fermato a Kuwait City.
Cinque anni dopo i francesi che avevano viaggiato con noi sull'aereo, un centinaio di persone, hanno ottenuto dal governo inglese un sostanzioso rimborso, un centinaio di milioni di lire a testa..
Come mai?
Avevano scoperto che sul nostro aereo, per questo partito in ritardo da Londra, era salito un gruppo di teste di cuoio inglesi, diretto a Kuwait City per intervenire nella situazione creatasi con l'occupazione irachena.
Perché non avete fatto causa anche voi?
Loro erano in tanti ed erano riusciti a mettere in piedi una causa internazionale. Noi ci abbiamo pensato, ma tutti ce lo hanno sconsigliato: in Italia una causa così va avanti per vent'anni. O hai tanti soldi per pagarti gli avvocati o ti conviene rinunciare.
Come siete venuti a conoscenza del risultato ottenuto dai francesi?
In Francia la notizia aveva fatto clamore, in Italia era stata taciuta dalla stampa. Una di noi, Carole, ha la mamma francese e parenti in Francia.. Questi l'hanno chiamata e le hanno detto: "sai perché sei finita in Kuwait?" e le hanno raccontato tutto.
'ITALIA BELLA, FINALMENTE' TORNANO I PRIMI OSTAGGI
Repubblica — 02 settembre 1990 pagina 4
Repubblica — 02 settembre 1990 pagina 4
I SENTIMENTI
Oltre alla paura, che hai provato soprattutto il 6 agosto, quali altri sentimenti o stati d'animo , sono stati più presenti? L'angoscia?
Sì, l'angoscia c'era ogni tanto, ma era di più la rabbia.
Ma la rabbia era tua perché tu ti arrabbi facilmente o era di tutti?
No, no era proprio il sentimento che provi quando sai di subire un torto, una cosa ingiusta.
Allora pensavamo alle situazioni peggiori della nostra: ai sequestrati, soli al buio legati e bendati per mesi: e ci dicevamo "se siamo in questo stato noi chissà loro". .
A volte ci guardavamo e dicevamo: "certo che abbiamo una bella sfiga". Parlavamo tutto il giorno, quello sì, parlavamo di cose serie tutto il giorno, dei fatto della vita. Dicevamo: "Certo che abbiamo una bella sfiga, però perché doveva capitare a un altro?" Guarda che lo dici. Non è che dici " perché a me e non la mio vicino di casa". Dici: "Perché sarebbe dovuto capitare a un altro e non a me?" Poi vedevi i ragazzini, i bambini che erano con noi e allora pensavi "non può essere che ci lasciamo la pelle qua, cosa c'entrano i bambini".
C'era un altro sentimento che io non riuscivo a definire. Me lo ha svelato un'intervista a Cocciolone. Ti ricordi chi è?
Si il soldato italiano dell'aereo abbattuto nel primo o secondo giorno della guerra del golfo e fatto prigioniero dagli iracheni.
Si, Cocciolone. Intervistato dopo la sua liberazione raccontò di avere senz'altro provato paura ma che il sentimento che più l'aveva fatto soffrire era stata l'umiliazione. Bravo Cocciolone! Ecco cosa era che non capivo: ti senti umiliato perché non sei libero di fare niente: voglio andare a casa mia! No! fare un giro in bicicletta! No! Ancora più banale: voglio aprire quella cazzo di porta dell'hotel e uscire a far due passi! No!
Ma quest'ultima cosa non potevate farla perché c'erano delle guardie che ve lo impedivano?
Immaginati la situazione di questo albergo, e cosa c'era fuori. Una volta abbiamo contato 40 carri armati e non so quanti militari: dove andavi?
Un giorno i due di Lecco - per fortuna c'erano quei due lì: sono stati il toccasana per tutti -un giorno si sono rotti le scatole sono usciti e sono andati a chiacchierare e a portare acqua ad alcuni soldati che, per ripararsi dal sole, erano sotto un carro armato. L'ufficiale della British, uno alto due metri, era tesissimo -ma gli veniva anche da ridere - e quando sono rientrati gli ha fatto una predica. Lui si sentiva responsabile della nostra sicurezza..
I primi giorni poi non sai dove ti trovi, sei spaesato. Sai che brutta sensazione è questa? Ci chiedevamo: "ma dov'è 'sto Kuwait?" E giravamo in cerca di una cartina per capire dove diavolo fossimo capitate.
Un'altra difficoltà è nell'uso della parola: diventi quasi dislessica. Già sei spaventato però il pensiero fila liscio, logico. Le parole no, quelle ti escono a caso . Il primo giorno era una roba pazzesca. Prima di parlare dovevi stare un attimo fermo, concentrarti e poi dire "OK, posso parlare", perché il pensiero era lucido, la parola no.
I SOGNI E I SEGNI
Cosa è rimasto nei tuoi sogni di questa esperienza?
Io non ho incubi, però ho un "brutto sogno"abbastanza ricorrente: sono chiusa da qualche parte e fuori ci sono i militari. Quando lo faccio provo un senso, non di paura, ma di angoscia, perché non posso uscire. Questo per me è il "brutto sogno". L'ultima volta al posto dei militari c'erano degli extra terrestri. Mi sveglio con addosso angoscia e rabbia.
Riconosci qualche segno sul tuo corpo conseguenza dei quel avventura?
Una ruga sopra il naso, tra le sopracciglia. Probabilmente avevamo sempre l'espressione accigliata e questo segno mi è rimasto.
Sai di qualcuno che ha avuto problemi più grossi?
Un signore è morto di infarto, quasi subito. Era uno di quelli mandati a fare da scudo umano.
Poi, purtroppo, ci sono stati diversi stupri.
Commessi da soldati iracheni?
Sì. Non nei confronti delle occidentali:se avessero toccato le occidentali, sarebbero stati impiccati. Però diverse donne indiane e di altre nazionalità hanno subito violenza. Una hostess indiana della British - ce ne sono diverse sui voli per l'oriente - stava per essere aggredita da un soldato. Si salvò per l'intervento di un ufficiale che poi diede una pistola in mano a uno steward dell'aereo e gli disse: "fai quello che vuoi di questo uomo: sparagli". Lo steward tremava quando lo raccontava.
Oltre alla paura, che hai provato soprattutto il 6 agosto, quali altri sentimenti o stati d'animo , sono stati più presenti? L'angoscia?
Sì, l'angoscia c'era ogni tanto, ma era di più la rabbia.
Ma la rabbia era tua perché tu ti arrabbi facilmente o era di tutti?
No, no era proprio il sentimento che provi quando sai di subire un torto, una cosa ingiusta.
Allora pensavamo alle situazioni peggiori della nostra: ai sequestrati, soli al buio legati e bendati per mesi: e ci dicevamo "se siamo in questo stato noi chissà loro". .
A volte ci guardavamo e dicevamo: "certo che abbiamo una bella sfiga". Parlavamo tutto il giorno, quello sì, parlavamo di cose serie tutto il giorno, dei fatto della vita. Dicevamo: "Certo che abbiamo una bella sfiga, però perché doveva capitare a un altro?" Guarda che lo dici. Non è che dici " perché a me e non la mio vicino di casa". Dici: "Perché sarebbe dovuto capitare a un altro e non a me?" Poi vedevi i ragazzini, i bambini che erano con noi e allora pensavi "non può essere che ci lasciamo la pelle qua, cosa c'entrano i bambini".
C'era un altro sentimento che io non riuscivo a definire. Me lo ha svelato un'intervista a Cocciolone. Ti ricordi chi è?
Si il soldato italiano dell'aereo abbattuto nel primo o secondo giorno della guerra del golfo e fatto prigioniero dagli iracheni.
Si, Cocciolone. Intervistato dopo la sua liberazione raccontò di avere senz'altro provato paura ma che il sentimento che più l'aveva fatto soffrire era stata l'umiliazione. Bravo Cocciolone! Ecco cosa era che non capivo: ti senti umiliato perché non sei libero di fare niente: voglio andare a casa mia! No! fare un giro in bicicletta! No! Ancora più banale: voglio aprire quella cazzo di porta dell'hotel e uscire a far due passi! No!
Ma quest'ultima cosa non potevate farla perché c'erano delle guardie che ve lo impedivano?
Immaginati la situazione di questo albergo, e cosa c'era fuori. Una volta abbiamo contato 40 carri armati e non so quanti militari: dove andavi?
Un giorno i due di Lecco - per fortuna c'erano quei due lì: sono stati il toccasana per tutti -un giorno si sono rotti le scatole sono usciti e sono andati a chiacchierare e a portare acqua ad alcuni soldati che, per ripararsi dal sole, erano sotto un carro armato. L'ufficiale della British, uno alto due metri, era tesissimo -ma gli veniva anche da ridere - e quando sono rientrati gli ha fatto una predica. Lui si sentiva responsabile della nostra sicurezza..
I primi giorni poi non sai dove ti trovi, sei spaesato. Sai che brutta sensazione è questa? Ci chiedevamo: "ma dov'è 'sto Kuwait?" E giravamo in cerca di una cartina per capire dove diavolo fossimo capitate.
Un'altra difficoltà è nell'uso della parola: diventi quasi dislessica. Già sei spaventato però il pensiero fila liscio, logico. Le parole no, quelle ti escono a caso . Il primo giorno era una roba pazzesca. Prima di parlare dovevi stare un attimo fermo, concentrarti e poi dire "OK, posso parlare", perché il pensiero era lucido, la parola no.
I SOGNI E I SEGNI
Cosa è rimasto nei tuoi sogni di questa esperienza?
Io non ho incubi, però ho un "brutto sogno"abbastanza ricorrente: sono chiusa da qualche parte e fuori ci sono i militari. Quando lo faccio provo un senso, non di paura, ma di angoscia, perché non posso uscire. Questo per me è il "brutto sogno". L'ultima volta al posto dei militari c'erano degli extra terrestri. Mi sveglio con addosso angoscia e rabbia.
Riconosci qualche segno sul tuo corpo conseguenza dei quel avventura?
Una ruga sopra il naso, tra le sopracciglia. Probabilmente avevamo sempre l'espressione accigliata e questo segno mi è rimasto.
Sai di qualcuno che ha avuto problemi più grossi?
Un signore è morto di infarto, quasi subito. Era uno di quelli mandati a fare da scudo umano.
Poi, purtroppo, ci sono stati diversi stupri.
Commessi da soldati iracheni?
Sì. Non nei confronti delle occidentali:se avessero toccato le occidentali, sarebbero stati impiccati. Però diverse donne indiane e di altre nazionalità hanno subito violenza. Una hostess indiana della British - ce ne sono diverse sui voli per l'oriente - stava per essere aggredita da un soldato. Si salvò per l'intervento di un ufficiale che poi diede una pistola in mano a uno steward dell'aereo e gli disse: "fai quello che vuoi di questo uomo: sparagli". Lo steward tremava quando lo raccontava.
La prima pagina del diario di viaggio di Antonella |
DI FRONTE ALLA PRIMA GUERRA DEL GOLFO
Il 17 gennaio 1991, con il bombardamento di Bagdad, è iniziata la Prima Guerra del Golfo. Come l'hai vissuta?
Un'angoscia bestiale. Io mi ricordo - non so se vi ricordate, io ero molto attenta a queste cose. - mi ricordo Fraiese, giornalista RAI che nei quindici giorni prima dell'inizio della guerra diceva: "speriamo che non scoppi; le diplomazie si stanno muovendo;stanno facendo il possibile per evitare il conflitto che coinvolgerebbe tutto il mondo, eccetera." Dopo l'attacco ha cominciato a spiegare le schede tecniche degli aerei: a che velocità andavano, quante bombe potevano lanciare, a che distanza. Avrei tirato fuori lui e gli altri dal televisore.
L'essere stata in Kuwait e in Iraq ha influito sulla tua percezione dell'avvenimento?
Quando sei stata in un posto e sai che sta per succedere qualcosa di mostruoso, ti vengono in mente le persone che hai conosciuto: l'inserviente piuttosto di quello che ti ha fatto partire il pulmino... tu le hai viste, ci hai parlato, sono persone... Quelli di noi che sono tornati a dicembre, più di noi avevano avuto la possibilità di fare amicizia con iracheni, con quelli che lavoravano all'ambasciata, all'albergo ... avevano organizzato partite di calcio. Loro erano molto preoccupati per la guerra, avevano tentato anche di mettersi in contatto con le persone che avevano conosciuto
VIAGGIARE DOPO IL KUWAIT
Nei viaggi successivi hai tenuto conto di quello che ti era capitato in Kuwait?
Sì, ho detto: è successo una volta, statisticamente non può succedere un'altra volta ancora a me.
Scientifico!
Ho pensato: quel brutto maiale mi ha rubato un mese di vita, non mi ruberà di certo la voglia di andare in giro. L'anno dopo io e le mie amiche siamo andate in India del Sud: la British ci ha regalato il biglietto. Siamo partite il 2 agosto!
L'avete fatto apposta?
No, è capitato. E pensa il "caso", il destino. Eravamo su un aereo enorme, un Jumbo, in posti da signori. In India, dopo l'atterraggio, ci alziamo per scendere; qualche fila davanti a noi si alza una signora indiana si gira, la guardiamo, lei ci guarda ci mettiamo a ridere e le diciamo "l'anno scorso" Era stata con noi in Kuwait e easttamente un anno dopo l'abbiamo ritrovata qualche fila davanti a noi, una signora simpaticissima, indiana che viveva a Londra e tornava a casa per le vacanze. Ha detto "oooh, allora siete venute in India ...brave!".
Sempre il caso. L'anno dopo siamo andate in Turchia. Eravamo in tre delle cinque. Era il 21 agosto. Due anni prima, il 21 agosto, in casa dell' "armaiolo" italiano di Kuwait City, avevamo festeggiato il compleanno di Mario, di Lecco. Chi troviamo nel suk, l'immenso e caotico mercato di Istanbul?: Mario, naturalmente: "Auguri Mario" "No, anche qui vi devo trovare?".
Risarcimento concesso dal Ministero degli Affari Esteri |
NOTA
(1) Titoli di articoli apparsi su Repubblica dell'agosto 1990, relativi agli ostaggi in Kuwait
Bella questa intervista!! bravo a Marco e naturalmente un saluto ad antonella
RispondiEliminaBRAVO A MARCO MA CHE PENA......
RispondiEliminaL'intervista non é male, ma quante parolacce in così poche righe. E' ciò che si impara a viaggiare tanto? Meglio stare a casa!!!!
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