mercoledì 31 maggio 2017

DAL FRIULI A VERDERIO: UNA STORIA D'IMMIGRAZIONE di Marco Bartesaghi

Canciani, d’Anzul, Scubla, Del Fabbro; poi Pelizzo, Virgilio, Miscoria, Molinaro. Sono cognomi presenti a Verderio da decenni, che hanno in comune il luogo di provenienza: la regione Friuli e la provincia di Udine.
Famiglie che si conoscono ancor prima di trasferirsi a Verderio e che innescano una catena d’immigrazione nella prima metà degli anni cinquanta, che si protrae fino ai primi anni settanta del novecento.
Alcuni degli arrivati non provengono direttamente dal Friuli, ma da paesi dell’Europa dove erano emigrati in precedenza.


I CANCIANI
 

Il primo a trasferirsi a Verderio, nel 1953, è Bruno Canciani, classe 1922, che lavora a Milano presso una fornace di mattoni. Nel capoluogo lombardo era giunto dopo aver vissuto per cinque anni in Francia. Prima di scegliere Verderio aveva tentato, con Pietro Scubla, di acquistare un albergo sul lago di Varese, ma la trattativa non era andata in porto.
 

Viene a Verderio perché un amico lo informa che la famiglia Nava, che si è trasferita a Osnago, vende alcuni locali del lato sud della cascina Brugarola.
 

 
Cascina Brugarola a Verderio


Nel 1954 raggiungono Bruno, dal Friuli, i suoi famigliari: il papà Giuseppe (1895 - 1963), la mamma Massimina Cotterli (1904 – 1994), il fratello Onorino, tredicenne. Li convince a lasciare il Friuli la difficoltà di trovare lavoro in quella regione.
 

A Natale del 1955 si unisce a loro anche il fratello Dante (1935). Anch’egli, come Bruno, proviene dalla Francia, dov'era emigrato all'età di 15 anni.
 

Della famiglia facevano parte anche due sorelle Edda e Ida  che, sposate, vivevano a Torino. 

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I Canciani sono originari di Campeglio, una frazione del comune di Faedis, in provincia di Udine.
 

 
Un'immagine di Campeglio di Faedis


In paese sono proprietari della casa dove abitano, costruita con la pietra cavata da loro stessi in una cava della zona. Il proprietario gliel’aveva concessa gratuitamente a patto che loro gli preparassero anche quella necessaria per costruire il suo mulino.
 

Giuseppe Canciani è sensale nella vendita di animali e, con carri trainati da cavalli, svolge anche attività di trasporto.
 

Per un certo periodo, prima della seconda guerra mondiale, la famiglia risiede a Plezzo, un paese dell'alta valle dell'Isonzo, ora in Slovenia, dove la signora Massimina ha aperto un negozio di frutta e verdura.
 

Un grave incidente subito da Giuseppe, che, alla guida del suo carro, viene travolto da un camion sulla strada per Cividale, li costringe a tornare a Campeglio.

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Il Friuli è stata per secoli terra di emigrazione [1]. Giuseppe in Germania ci va all'età di 12 anni. Torna in Italia, ventenne, allo scoppio della prima guerra mondiale, perché se fosse rimasto là avrebbe dovuto combatterla contro gli italiani.
 

Non si sottraggono all'emigrazione all'estero i suoi due figli maggiori, Bruno e Dante. Il primo parte, intorno al 1947, per la Francia. Dante lo raggiunge nel 1951. Restano insieme però per poco tempo, poiché nel '52, Bruno trova la fidanzata e torna in Italia, a Milano, per esserle più vicino.
 

Bruno Canciani con la moglie, Maria D'Anzul, in piedi, e la cognata Gesuina
 
Dante in Francia ci va ufficialmente come turista, perché ha solo 15 anni e cinque mesi, età non sufficiente per un contratto di lavoro regolare. Ricorda di aver trovato impiego prima in una cava e poi in un cantiere per la costruzione di una diga: “lavoravo con quei trapani che una volta erano collegati con grossi tubi per l’aria compressa e tremavano tutti. La sera, anche dopo aver finito il lavoro, andavi avanti a tremare. Si figuri poi io, che allora ero alto un metro e cinquanta ...”.
In Italia viene per un mese all'anno, nel periodo di Natale.


Dal Friuli, la famiglia di Bruno arriva a Verderio con un camion a rimorchio che, troppo pesante per la strada ancora sterrata, si adagia nel fossato e vi rimane per tutta la notte.
Hanno portato con sé i mobili e due vacche di razza Simmental, bianche e rosse, molto grandi (tra i 5 e i 7 quintali). Bestie insolite, per la loro mole, agli occhi dei verderiesi, che si stupiscono ancor più vedendole mungere da un ragazzino, Onorino. Lui ricorda una vicina, Irene Oliveira, che chiama a raccolta gli altri contadini: “Gènt, vegni chi a vedè ch’el bagaij chi ch’al munc ul vacun”.
 

Il primo impatto con la nuova casa a Verderio non è buono: è disabitata da tempo, il tetto fa acqua da tutte le parti, i serramenti sono cadenti, le porte basse, i camini completamente anneriti. Prima rifanno il tetto, poi, lavorando ogni giorno fino a mezzanotte, dopo le dieci ore passate in cantiere,  recuperano a una a una le stanze. Il risultato è più che dignitoso.
 

Anche alcune abitudini dei verderiesi li lasciano perplessi: per paura dei ladri chiudevano a chiave la porta di casa– cosa che in Friuli, a loro dire si fa solo da dopo il terremoto del 1976, quando sono cominciati ad arrivare parecchi forestieri -; portavano al piano di sopra, dove dormivano, la radio e la bicicletta; ritiravano e mettevano sotto il tavolo anche la gabbia con le galline.
 

Rimangono invece meravigliati dalle capacità e dalla precisione dei contadini locali nel loro lavoro, - “non un grano fuori posto, i covoni di frumento perfetti, il granoturco che cresceva con solo il melgasc, senza una foglia intorno” - livelli irraggiungibili, pensano, per loro che iniziano a fare lo stesso mestiere.
 

La convivenza con le famiglie che già abitavano in cascina non è mai stata difficile, le abitudini diverse non creavano problemi. Una certa diffidenza nei loro confronti, in quanto forestieri, si notava quando si recavano in paese, ma anche questo atteggiamento fu presto superato, grazie alla conoscenza reciproca.
 

Insieme alla casa Bruno aveva acquistato alcuni terreni. Questi erano ancora ingombrati dai gelsi, eredità della passata epoca dell’allevamento dei bachi da seta. Lasciato il lavoro alla fornace, si dedica a sradicarli e a venderne il legname. Quando un anno dopo la famiglia lo raggiunge, acquistano altri appezzamenti di terra  - dal signor Brivio, barbiere di Verderio Superiore, e da un certo Camillo – e iniziano a lavorarla.
 

Non ci mettono tanto però a capire che con l’agricoltura non sarebbero riusciti a tirare avanti e tutti e tre i figli maschi trovano lavoro come muratori nell’impresa edile Leoni di Sulbiate, una ditta che esiste ancora oggi e che allora aveva una settantina di dipendenti.
 

Il lavoro dei campi rimane ancora, nelle ore libere, il sabato e la domenica, come anche, al mattino appena alzati, la mungitura e il rifornimento dell’acqua, che ancora non arrivava fino a casa. Bell’impegno, se sommato alle dieci ore su e giù dai ponteggi e all’altra oretta in bicicletta per andare e tornare dal cantiere.

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 Bruno Canciani, nel 1955, sposa Maria D’Anzul (1926 – 1992). Avranno due figlie, Daniela nel 1956 e Bruna nel 1957.
 

 
Maria D'Anzul e Bruno Canciani


Il 22 maggio 1959, una giornata piovosa, mentre si reca al lavoro in motorino, in centro ad Arcore Bruno viene investito da un camion della ditta Cademartori. Nella caduta batte la nuca e muore sul colpo.
 

Dante rimane celibe e ancora oggi abita i locali di cascina Brugarola dove si era insediata la famiglia arrivando a Verderio.
 

Dante Canciani
 
Onorino sposa Flora e ora è pensionato.

Onorino Canciani
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Da Torino si trasferisce a Verderio anche Lidia Cosatto, figlia di Ida Canciani, nata nel 1946, che nel 1970  sposa Rinaldo Corno. Lidia lavorerà nell'ufficio postale di Verderio Inferiore, fino a diventarne direttrice.

I D'ANZUL

Quando Maria d’Anzul si trasferisce a Verderio, dopo aver sposato Bruno Canciani, porta con sé la famiglia: il papà Giovanni (1887 - 1980), nato a Borgo Cancellier, frazione di Attimis (UD), la mamma Matilde Cerneaz (1901 - 1989), di Faedis, e la sorella Gesuina. La famiglia comprende anche il fratello Rinaldo (1922 – 1954), reduce dalla campagna di Russia, che muore in Belgio, dove era emigrato per lavorare nel bar di uno zio. Nel 1987 la sua salma è stata rimpatriata e ora è sepolta a Verderio.


 

Anche i D’Anzul si insediano in cascina Brugarola, in alcuni locali del lato ovest, a destra, entrando, del portone d’ingresso.
 

Come quando abitava in Friuli, Giovanni continuerà a fare il contadino anche a Verderio.

Giovanni D'Anzul in cima al covone a cui sta lavorando con le figlie Gesuina, in centro, e Maria, a sinistra

Maria, dopo la morte del marito avvenuta nel 1959, sarà assunta come bidella alle scuole medie del paese, che allora avevano sede nel municipio di Verderio Superiore.
 

 Giovanni D'Anzul con la moglie Matilde Cerneaz; a destra le nipoti Daniela, seduta e Bruna Canciani; a sinistra una sorella di Matilde con una figlia.
Gesuina, classe 1930, è fidanzata con un altro friulano, Pietro Scubla, che fin dall'inizio era coinvolto con Bruno Canciani nell'idea di acquistare casa a cascina Brugarola

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GLI SCUBLA E I DEL FABBRO

Dopo il loro matrimonio, avvenuto nel 1955, Pietro Scubla (1925 – 2011) e Gesuina D’Anzul vanno ad abitare in alcuni locali, sopra i genitori di lei.
 

Pietro, figlio di Ottavio e di Luigia Pelizzo, è originario di Forame, una frazione del comune di Attimis.
 

 
Ottavio Scubla e Luigia Pelizzo

Durante la Resistenza, è partigiano della divisione Picelli che opera nell'alto Friuli. Partecipa alle azioni di Nimis, Povoletto e Savorgnano e, infine, all'insurezione.
 

Il libretto personale del "partigiano" Pietro Scubla

 Dopo la guerra lavora per un periodo in Slovenia, come addetto all'uso delle mine in una cava, mansione che svolge anche in Francia, dove emigra successivamente, forse nella zona di Besancon. Proprio lo scoppio di una mina gli provocherà la perdita di un occhio.
 

Il documento che permetteva a Pietro Scubla di lavorare in Jugoslavia
Tornato dalla Francia si stabilisce a Milano, dove abita il fratello Angelo (che, una volta in pensione, verrà ad abitare a Verderio), e lavora come cameriere in un bar della galleria Vittorio Emanuele. Quando si sposa svolge ancora questo mestiere, ma in seguito lo lascia e trova impiego a Villasanta presso la “Lombarda Petroli”.
 

Dal suo matrimonio con Gesuina nascono due figli, Dino (1956) e Mariano (1961).

Pietro e Gesuina con il flglio Dino
 
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Nel 1958 si trasferiscono  a Verderio, provenendo dal Belgio, Attilio Scubla (1917 – 1999) fratello di Pietro, con la moglie Noemi Del Fabbro (1922 – 2014) e due figli, Severino (Rino) del 1947 e Marina del 1950.
 

 
Attilio Scubla

 
Noemi Del Fabbro


Attilio lavora prima come muratore e poi come custode presso la ditta “Portoni Perego”, a Verderio, sulla via per Cornate.

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Con Attilio giungono a Verderio anche i suoi genitori, Ottavio e Luigia Pelizzo, che abiteranno con lui e la sua famiglia.


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Attilio e Pietro Scubla affittano, da Gianfranco Gnecchi Ruscone, alcuni terreni, che coltivano la sera, dopo il lavoro, e il sabato e la domenica

Libretto colonico di Pietro Scubla


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Abitavano già a Verderio, dal 1957, provenienti anche loro dal Belgio, due fratelli di Noemi Del Fabbro: Giuseppe, che arriva per primo e si sistema in cascina, sopra i Canciani, ed Egidio.
 

 
Giuseppe Del Fabbro


Giuseppe è marito di Giuseppina Pelizzo (1931). Dal loro matrimonio nascono sette figli.
 

 
Giuseppina Pelizzo con la sorella Giannina e due figlie


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Egidio si sposa con Bambina Cassago, una verderiese conosciuta al matrimonio di Bruno Canciani. Avranno tre figli.
Con i fratelli Del Fabbro, originari di Forame di Attimis, vengono a Verderio anche i genitori, Pietro e Caterina Filippic, e, nel 1961, la sorella Vilma, moglie di Renato Pelizzo.



Egidio Del Fabbro
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Nel gennaio del 1958 gli Scubla e i Del Fabbro, acquistano da Alessandro Sala, una striscia di terreno in via Verdi, dove negli anni successivi costruiscono le rispettive case, ancora oggi abitate dai loro discendenti.


PELIZZO, VIRGILIO, MISCORIA, MOLINARO E BRUNO DEL NEGRO

Renato Pelizzo (1925 – 2014), anch’egli originario di Forame di Attimis, lavora come operaio alla ditta "Aceroid" di Ronco Briantino.
 

 
Renato Pelizzo


Nel 1963 vengono a Verderio, per fare i custodi della cascina Bergamina, Giulia Pelizzo (1916 - ?), sorella di Renato, con il marito Giuseppe Virgilio da Remanzacco (UD), giardiniere.

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Sappiamo, a questo punto, che in momenti diversi sono giunti a  Verderio i fratelli Renato e Giulia Pelizzo, Luigia Pelizzo, moglie di Ottavio Scubla, e Giuseppina Pelizzo, moglie di Giuseppe Del Fabbro. Provengono tutti da Forame ma fra loro, stranamente, non c'è un legame di parentela.

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Giuseppina Pelizzo è la terza di quattro sorelle. Le due maggiori, Teresa e Noemi, vivono ancora ad Attimis.
 

 
Giannina, a sinistra e Giuseppina Pelizzo in una fotografia recente


La minore, Giannina, classe 1943, durante una delle sue visite estive alla sorella Giuseppina, conosce Emilio Villa (1935 – 1999), il lattaio di Verderio Superiore. Nel 1966 si sposano e avranno tre figlie, Romina, Manuela e Viviana. 

Giannina a Verderio - presso abitazione della sorella Giuseppina - qualche giorno prima del matrimonio
 
Giannina racconta che per lei fu  più facile che per le altre friulane inserirsi in paese, sia perché aveva sposato un verderiese, sia perché lavorando nella latteria del marito aveva più occasioni di incontro con gli altri abitanti.


Giannina ed Emilio, la coppia in mezzo, con amici di Verderio
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Nel 1973, dopo aver trascorso quasi quarant’anni all’estero, in Germania e in Inghilterra, quando è già in pensione viene a Verderio Enzo Miscoria, cugino dei Del Fabbro, con la moglie Fiorina e le figlie Violetta e Annamaria. Onorino e Dante Canciani gli costruiscono la casa, in via in via 25 Aprile.

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Nel 1967, da Forame di Attimis, si trasferisce a Verderio Giovanni Molinaro con la moglie Ada Del Fabbro e due figlie. Ada lavorerà per alcuni anni come bidella delle scuole elementari.

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Abita a Verderio per un certo periodo, proveniente da Varese, anche Bruno Del Negro,   amico di Pietro Scubla. Bruno è celibe. Dopo la sua morte, viene riportato al paese di origine, Attimis, e lì sepolto.


CON IL FRIULI UN LEGAME MAI INTERROTTO

Per alcune delle famiglie, i rapporti con i parenti rimasti nel paese di origine non si sono mai interrotti.
 

I Canciani mantengono rapporti con alcuni parenti, soprattutto del ramo materno, rimasti in Friuli. Le occasioni d’incontro sono le vacanze e gli eventi famigliari come i matrimoni. Non hanno mai potuto conoscere, invece, alcune famiglie con cui il legame di parentela è abbastanza stretto, ma che sono emigrate all’estero da molti anni.
 

Anche gli Scubla, ormai tutti di seconda generazione, possiedono ancora una casa in Friuli, dove si recano per soggiorni di vacanza.
 

Festa di anniversario dei nonni di Giannina (la bambina in prima fila a sinistra) e Giuseppina Pelizzo
 
Giannina e Giuseppina Pelizzo hanno sempre mantenuto i rapporti con le sorelle rimaste ad Attimis, con visite annuali. Questo ha permesso loro di tener vivo l'amore per quella terra, e di trasmetterlo ai propri figli [2].
 

Un amore che accomuna gran parte dei friulani sparsi per il mondo, che si è manifestato in particolare dopo il  terremoto del 1976, quando grazie alle associazioni di emigrati, come ad esempio Fogolar Furlan, sono state raccolte ingenti somme che hanno notevolmente contribuito alla rapida ricostruzione.

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Il dialetto friulano ormai è parlato quasi esclusivamente dalle persone più anziane, quelle nate in Friuli. I nati a Verderio, quasi tutti, lo comprendono ma non lo parlano.
Le sorelle Pelizzo parlano fra loro anche un dialetto slavo, conosciuto a Forame ma non ad Attimis, di cui Forame è frazione distante solo di pochi chilometri [3].


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In alcune famiglie resiste ancora qualche piatto tradizionale.
 

Dante e Onorino raccontano della brovada, una specie di casöla, fatta però con rape bianche, messe a macero nella vinaccia per qualche mese poi fatte a strisce e cotte con il cotechino  vaniglia. Ora è più difficile che venga cucinata in casa, così Onorino va a mangiarla sopra Bellagio, da una famiglia di friulani, che la cucina nella propria trattoria.
 

 
La brovada (immagine presa dal web)


Il frico, un'altra pietanza tipica, facile da trovare in ogni ristorante del Friuli, viene ancora preparato anche in casa. È un tortino, a base di patate e formaggio - Montasio o latteria - cotti per circa un'ora, a fuoco lentissimo, in un soffritto di cipolle. Le opinioni dei miei interlocutori divergono sulle quantità dei due ingredienti base. Inoltre Dante dice che si può fare anche di solo formaggio e Onorino che gli si possono aggiungere i funghi. Severino ribatte però che così il frico diventa più duro. Interviene sull’argomento anche Giannina Pelizzo, che il frico lo cucina ancora: “La versione di frico con solo formaggio è la ricetta originale. Non veniva cucinata sul fuoco ma sul ripiano di ghisa del famoso "spolert" friulano, una “cucina economica”, fatta di mattoni, coperta da un ripiano di ghisa in cerchi concentrici. Le patate rendono più morbido il frico, ma la scelta di includerle era dettata più che altro da ragioni economiche: così facendo, il formaggio utilizzato era molto meno e quindi si risparmiava”.
 

 
Il frico (immagine presa dal web)


Onorino ricorda che per Natale sua mamma cucinava anche un piatto imparato nel periodo trascorso a Plezzo, il gnocco, di patate e farina, con all’interno, la susina, che viene condito con burro fuso, pane grattuggiato e noce moscata.
 

La gubana
 
Veniva un tempo preparata in casa, mentre ora viene acquistata già pronta, la gubana, il dolce tipico natalizio, equivalente al panettone. Contiene pinoli, fichi, uvette e noci e viene gustata cosparsa di grappa, possibilmente della valle del Natisone, luogo d’origine di questo dolce.

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Per coloro che in Friuli sono nati e hanno trascorso infanzia e giovinezza prima di emigrare, rimane anche il ricordo di un mondo intriso di credenze magiche, verso le quali anche chi rimaneva scettico doveva fare i conti.
 

Si credeva alla presenza degli spiriti e per allontanarli si chiamava il prete a benedire.
 

Si ascoltava il rumore del fuoco che, ad esempio, poteva annunciare la morte di una persona.
 

Si danzava e pregava perché venisse la pioggia.
 

Si rendevano innocui i temporali, andando sul terrazzo a tagliarli con una roncola.
 

“Una volta il parroco - racconta Onorino - non trovava più il breviario. Allora ha chiesto in chiesa chi l’aveva visto e ha detto «chi lo troverà e non lo porterà morirà». Lui l’aveva appoggiato sopra un gelso e il gelso è morto”.

Carnevale a Forame - Interpretazione dei Promessi Sposi - Giannina Pelizzo è la prima a destra e interpreta Don Rodrigo - lei dice che c'era già la Lombardia nel suo futuro

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Fino a qualche anno fa si è mantenuta, fra i friulani di Verderio, l’abitudine di trovarsi una sera alla settimana in casa di Dante Canciani per giocare “al due” (briscola chiamata), un momento di incontro per la piccola comunità.Poi però la tradizione si è interrotta.


UNA VISITA AL CIMITERO

Pressoché tutte le persone scomparse delle famiglie di cui abbiamo parlato, sono sepolte nel cimitero della località Inferiore di Verderio. Penso che questa storia non possa che finire con una visita a questo luogo
 

La famiglia Canciani ha una cappella al centro del lato meridionale, dove sono sepolti Giuseppe con la moglie Massimina Cotterli e la figlia Ida Maria. Il figlio Bruno, morto prima dei genitori, e la moglie Maria D’Anzul sono invece sepolti in un altro punto. .
 

La cappella della famiglia Canciani
 
Quelle che seguono sono alcune immagini delle altre tombe che ho rintracciato.


La tomba di Bruno canciani e Maria D'Anzul





















La tomba di Egidio Pelizzo

La tomba di Giovanni D'Anzul e Matilde Cerneaz
























 QUESTA RICERCA

Ospite in casa di Dante Canciani alla cascina Brugarola, ho appreso gran parte delle cose che ho  raccontato dalle parole di Dante stesso, di suo fratello Onorino, di Mariano e Severino Scubla. Una piacevole chiacchierata finita con una fetta di gubana, abbondantemente irrorata di grappa. Grazie.
 

Severino Scubla
 
La gubana che mi hanno offerto

 
Fondamentale è stata la collaborazione di Mariano Scubla, che ha trovato i contatti con le persone, ha procurato la gran parte delle fotografie e “tappato i buchi” del testo man mano che procedevo nella stesura. Grazie.
 

Mariano Scubla
Sul finire della ricerca, ho rivolto alcune domande, e chiesto di integrare quanto già avevo scritto, a Romina Villa e a sua mamma, Giannina Pelizzo. Mi hanno risposto inviandomi alcune fotografie e una lunga lettera che ho inserito in parte nel testo e in parte nelle note. Grazie.


Romina Villa


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Preziosa è stata la visita al cimitero, che mi ha permesso di trovare le fotografie e, soprattutto, le date di nascita e di morte che mi mancavano.
 

So di averlo già detto su questo blog, ma lo ripeto comunque. Sembra che il ricorso sempre più diffuso alla cremazione abbia fatto nascere la tendenza a conservare in modo privato le ceneri dei defunti (addirittura, mi dicono, a trasformarle in diamanti!). Si rischia così di far perdere ai cimiteri il ruolo, che sempre hanno ricoperto, di luoghi della memoria delle comunità locali, dove per molto tempo veniva conservato il ricordo delle persone che in paese avevano vissuto. Sarebbe un peccato, un vero peccato.


NOTE

Queste tre note sono brani della lettera che Romina Villa mi ha inviato e che ha scritto in collaborazione con sua mamma Giannina Pelizzo.
 

[1] “I friulani sono cittadini del mondo. Era una regione poverissima e l'emigrazione era l'unica via possibile per sopravvivere. Gigantesche comunità di friulani si trovano in Canada e in Argentina. Molti in Francia e in Belgio. L'emigrazione (anche temporanea) è stato un fenomeno presente fino ai tempi recenti. Giannina dice che oramai i friulani ce l'hanno nel sangue e lo trasmettono. Nella mia famiglia per esempio, mia sorella Manuela ha sposato un americano e vive negli Usa. Mio cugino Ivano, uno dei sette figli di mia zia Giuseppina, ha sposato Jolanda, che è messicana. Come vedi, la sensibilità tutta friulana per il mondo vive tuttora”.
 

[2] “Io, le mie sorelle e i miei cugini amiamo molto il Friuli. E' una splendida terra, troppo a lungo sacrificata per motivi politici. Fino all'esistenza dell'Ex Jugoslavia era la regione di guardia. Esistevano caserme in tutti i paesi. Solo quello. Cambiate in tempi recenti le cartine geopolitiche, il Friuli è una regione che ha potuto manifestare il suo potenziale economico, storico-artistico e gastronomico. Io ho ricordi vividi e bellissimi delle mie vacanze in Friuli da piccola, interrotte dopo il disastroso terremoto del 1976”.
 

[3] “Mia mamme e sua sorella Giuseppina, non solo parlano il dialetto friulano, ma anche un dialetto slavo. Devi sapere che Forame (frazione di Attimis) sorge in un punto più alto rispetto ad Attimis. Inoltre sono località molto vicine alla frontiera. Questo dialetto slavo veniva parlato a Forame, ma non ad Attimis, nonostante le due località distino tra loro pochissimi km. Questo te la dice lunga sull'isolamento delle frazioni a quel tempo. Giannina ha iniziato a parlare prima il dialetto slavo e poi il friulano. A scuola cominciò a parlare l'italiano. Fra loro sorelle parlano soprattutto friulano, ma spesso le ho sentite, tutte e quattro insieme, mischiare le due lingue. Molto divertente, perché una fa una domanda in friulano e l'altra risponde in slavo o viceversa.  Noi figlie di Giannina non lo parliamo, io - se mi impegno - lo capisco in parte”.

Marco Bartesaghi



1 commento:

  1. Grazie a te Marco, per il tuo approfondimento sui friulani a Verderio. E' sempre bello leggere queste storie.
    Romina Villa

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