lunedì 4 febbraio 2013

16 OTTOBRE 1939: UNA NAVE PER L'ARGENTINA di Carla Deambrogi Carta, Emanuela Carta, Roberto Muzio, Marco Bartesaghi

Sono ospite della signora Fiorella Segre, nella sua casa in provincia di Varese. Intorno al tavolo della cucina, vicino alla stufa economica a legna, oltre a me e a lei ci sono suo marito Renzo Vercelli e la signora Carla Deambrogi Carta, con la figlia Emanuela e il genero Roberto Muzio.
L'incontro è stato possibile grazie alla signora Carla, amica di Renzo fin dall'infanzia: sono entrambi del 1928, hanno abitato, dalla nascita, a Milano nello stesso caseggiato, provengono da famiglie originarie della Lomellina e i loro padri erano uno tranviere e l'altro ferroviere. Una solida amicizia che in seguito ha coinvolto anche la moglie di Renzo, Fiorella., Perché la visita? Perché in questi giorni si è celebrato il "Giorno della Memoria"e ricordata la persecuzione degli ebrei, iniziata in Italia con le leggi razziali del 1938 e continuata, dopo l'8 settembre 1943, con gli arresti, la deportazione e la morte, nei campi di sterminio nazisti, di più di 8000 ebrei italiani.
Fiorella (che penso mi perdonerà, insieme a Carla, se d'ora in avanti tralascio il "signora") appartiene a una famiglia ebraica milanese. Da lei vogliamo farci raccontare come la sua famiglia reagì alla persecuzione.
Abbiamo preparato una serie di domande, per cercare di seguire un filo logico, ma fuori nevica, sul tavolo c'è la crostata, il caffè caldo e il moscato; il clima è molto amichevole e spesso si divaga. Quanto segue è ciò che sono riuscito a ricucire della lunga chiacchierata.

L'IMPATTO CON LE LEGGI RAZZIALI

Carla (C) - Dove abitavi nel 1938, al momento dell'entrata in vigore delle "leggi"?
Fiorella (F) - Abitavo a Milano, in via Cassiodoro, zona fiera. Avevo due sorelle: una maggiore e un'altra minore, nata dal secondo matrimonio di mio papà. Mia mamma è morta quando io avevo tre anni.

C - Quali furono le conseguenze delle "leggi" nella vostra famiglia?
F - Nel 1938 mia sorella maggiore, che aveva già fatto la prima e la seconda elementare in viale Monterosa, alla scuola Giulio Cesare (mi pare si chiamasse così), si doveva iscrivere alla terza; io dovevo andare in prima. Al momento dell'iscrizione, a causa delle leggi razziali, non siamo state accettate. Papà allora non ha avuto scelta, e si è dovuto rivolgere alla scuola ebraica di via Eupili.

Marco (M) - Non lo fece volentieri?
F - No. Dovette andare contro i suoi principi. Lui non è mai stato per imporre niente a nessuno, voleva che fossimo un'unica comunità, tutti. Infatti la sua seconda moglie era cattolica e il rispetto, dal punto di vista religioso, in casa nostra è stato massimo, sia da parte sua per noi, che da parte nostra per lei. C'era uno zio che ci prendeva in giro: secondo lui eravamo "la Repubblica dei soffietti" perché ognuno faceva quel che
voleva.

M - Cosa ricorda della scuola ebraica?
F - Mi ricordo solo della mia maestra, che era una bruttina con lo chignon, che mi mandava sempre a lavarle la tazza del caffè. Poi tornavo a casa con il fazzoletto sporco, perché lo avevo usato per pulire la tazza, e la mia seconda mamma mi sgridava e diceva: "Non me ne importa per la macchia di caffè, ma tu le metti il nariccio nella tazza"

Anche Carla e Renzo erano giovani studenti nel 1938. Chiediamo anche a loro, non ebrei, se e come si accorsero delle leggi razziali.

C - Mi ricordo benissimo quando hanno consegnato alle famiglie un modulo in cui bisognava scrivere le generalità e specificare anche la religione che si professava. In quella occasione mio papà aveva detto: "questo è un brutto segno". Nient'altro. Perché noi non conoscevamo famiglie ebree, non ne frequentavamo.

M - Non ricordate se i vostri genitori avevano percepito che agli ebrei stava succedendo qualcosa di grave?

C e Renzo -Ci si era accorti che avevano perso il lavoro nelle scuole e negli uffici. Ma quello che è successo dopo, la deportazione, lo sterminio, di quelle cose non s'era capito niente.

Fiorella Segre con il marito Renzo Vercelli


Renzo - Le leggi razziali di Mussolini erano stupide, ma alla fine erano state fatte cose pesantissime contro gli ebrei.
Io mi ricordo, che alle scuole elementari, un giorno sono entrati in aula il preside e altre persone. Hanno fatto alzare un bambino e l'hanno fatto uscire. Dopo non lo abbiamo più visto.

C - Invece nella mia scuola era ebrea la segretaria, e due maestre, la sorella della segretaria e un'altra che si chiamava Lombroso. Io avevo una compagna, Milla, che era nipote della segretaria: mi ricordo che in quinta lei non era più con noi perché, ci dissero, la sua famiglia si era trasferita in Inghilterra. Io e la mia maestra facevamo insieme la strada verso casa e un giorno le ho chiesto: "Signora, la Milla non c'è più perché
è ebrea?"
Lei non mi ha risposto subito, mi ha dato una carezza e con la testa ha fatto sì, ma senza commenti. Questa maestra non era iscritta al partito fascista e non l'ho mai vista con la divisa: mi ricordo che nei primi giorni di scuola, quando si andava a messa, le sue colleghe erano ..vicine ai bambini. Lei stava in fondo alla chiesa con quelli che non avevano la divisa: penso sia stata un'umiliazione.
Ho incontrato la mia compagna tanti anni dopo, nel 1994, a Verderio, quando è stata scoperta una lapide in memoria di tre sorelle e due fratelli Milla deportati e assassinati ad Auschwitz: erano i suoi zii.

ARGENTINA E SVIZZERA: TERRE D'ASILO ... MA NON PER TUTTI
Emanuela (E) - Torniamo a Fiorella. Altre conseguenze delle "leggi" per la tua famiglia?
F - Papà non poté più lavorare alla RAS, la società di assicurazioni. Faceva in parte questo lavoro, e in parte lavorava con il nonno che, se non sbaglio, era agente di cambio e aveva un proprio ufficio. Con lui collaborava anche il fratello di papà, lo zio Mario.

C - Per questo decideste di partire?
F - Sì, il 16 ottobre del 1939 siamo partiti per l'Argentina. Papà aveva un altro fratello, Marco, che abitava già là. Ci ha chiamato e siamo andati. Abbiamo preso l'ultima nave dall'Italia. Dopo non ne sono più partite: hanno fatto giri strani, sono dovute partire da altri posti, ma non dall'Italia.

Roberto - Dove vi siete imbarcati?
F - A Trieste, non ho ben capito perché: il 16 ottobre abbiamo preso il treno a Milano e siamo andati a Trieste.

C - Quel giorno cominciavano le scuole...
F - Sì, cominciavano le scuole, te lo avevo raccontato, vero? Eravamo emozionate: "noi andiamo in America e voi andate a scuola, ah ah ah". Mi ricordo, come fosse oggi, sia il tragitto dall'albergo al porto che il viaggio, soprattutto la tappa a Recife, in Brasile, dove la zia Miranda, la sorella di papà, era venuta al porto a salutarci. Non ricordo invece l'arrivo a Buenos Aires, cancellato totalmente.

E - Solo voi siete partiti?
F -Lo zio Mario deve essere partito una quindicina di giorni prima. La zia Miranda nel 1938...

M - Anche lei per le "leggi"?
F - Sì. Suo marito era stato licenziato dall'Eternit, la ditta dove lavorava come ingegnere capo di non so cosa.

E - -Sono stati previdenti, lungimiranti...
F - Nel 1937 papà era stato in galera, a San Vittore, perché antifascista. Anche zio Mario era politicamente molto impegnato, forse ancora di più di papà.

M - Erano impegnati in che modo?
F - Si occupavano di politica, erano antifascisti e di sinistra. Come non lo so, io avevo solo sei, sette anni. So che in casa nostra di fascista non c'era stato proprio nessuno. Comunque si erano resi conto che la situazione era grave e, dati i loro precedenti, temevano che sarebbero stati fra i primi ad essere colpiti. Quando poi io e mia sorella non siamo state accettate a scuola, non hanno più esitato.
Essere riusciti ad andar via è stata una fortuna immensa. Per ciascuno di noi la partenza ha rappresentato un cambio radicale di ogni progetto di vita. Poi l'Argentina è stata meravigliosa ci siamo trovati benissimo ...

Renzo - Non c'era ancora Peron ...
F - Non c'era ancora Peron, chiaro ...Le difficoltà sono sorte dopo: quando torni in Europa, con i titoli di studio argentini, con la tua prima esperienza di lavoro in Argentina ... te guarden insci...

Fiorella Segre con l'amica Carla Deambrogi Carta


M - I vostri parenti rimasti in Italia come se la cavarono?
F -Il nonno Michele, il papà di papà, aveva una casa ad Albavilla, tra Como e Lecco. Era un "sacramento di uno" che non sarebbe mai stato zitto davanti a niente e a nessuno e quindi era in pericolo. Allora il Franceschin, il suo giardiniere, l'ha preso in spalla, perché il nonno aveva la lussazione dell'anca ed era claudicante, e lo ha portato in Svizzera, dove si è salvato Mentre il nonno era in Svizzera il Franceschin gli ha anche salvato la casa, con tutto quello che c'era dentro.
Le altre due sorelle di papà abitavano a Roma e si salvarono restando nascoste in un convento. Una di loro era sposata con l'avvocato Battaglia, non ebreo, che non so per quanto tempo era stato in galera in quanto antifascista.

C - Tu sei parente di Liliana Segre, reduce di Auschwitz e autrice di diverse memorie sulla sua esperienza. In Argentina eravate informati sulla sua sorte e su quella dei suoi famigliari?
F - Liliana è figlia di un primo cugino di papà, ma noi a quel tempo non ci conoscevamo. L'ho conosciuta solo dopo che ha reso la sua testimonianza. Lei, come tanti altri, non ha raccontato subito la sua esperienza: sono dovuti trascorrere circa quarant'anni prima che, spronata dall'insistenza di alcune amiche della comunità ebraica, si decidesse a farlo.
Le sue prime testimonianze erano un po' ripetitive, anche un po' noiose, poi è diventata bravissima.
Da Milano dove viveva con suo papà - anche la sua mamma è morta quando lei era bambina - si erano trasferiti a Stresa (o ad Arona, non ricordo) ospiti in casa di qualcuno. Da lì suo padre è riuscito a mettersi d'accordo con un contrabbandiere che li ha accompagnati fino al confine con la Svizzera dove, però, i doganieri svizzeri li hanno fermati e riconsegnati alla polizia italiana. Sono finiti prima in galera a Como, poi a Varese e poi a San Vittore. Da San Vittore sono partiti per Auschwitz, dove il padre è stato subito mandato alla camera a gas. Lei si è salvata perché, già piuttosto alta, non fu considerata una bambina quale in effetti era, ma mandata al lavoro in una fabbrica di munizioni. Ha preso parte all'evacuazione del campo ed è tornata a piedi in Italia, unica superstite della sua famiglia.

Renzo - Io a Liliana contesto una sola cosa. Lei afferma che quando li trasferirono da San Vittore al binario 21della Stazione Centrale, dove partivano i treni, gli ebrei transitarono fra l'indifferenza dei milanesi. Quale indifferenza? Io questo glielo contesto: io giravo per Milano, andavo a scuola ma non si sapeva mica niente, non mettevano mica fuori i manifesti. Anche mio papà che lavorava in ferrovia, alla Stazione Centrale non si è accorto di niente. Sapevano che c'erano quelli che andavano in Germania per lavorare. Ecco: li hanno fatti passare per persone che dovevano andare a lavorare in Germania.
Carla - Anche un mio zio che lavorava in stazione alla spedizione dei bagagli, quindi nel sotterraneo, non ha mai capito niente.

IN ARGENTINA UNA NUOVA VITA

F - Siamo arrivati a Buenos Aires il 6 novembre del 1939. La scuola cominciava a marzo. Per i primi mesi abbiamo avuto lezioni di spagnolo a casa, da una signorina che doveva farci arrivare al punto dove erano arrivati gli altri bambini. Devo dire che non ho mai avuto problemi a scuola, Ho avuto insegnanti bravissime che non hanno mai fatto beh, né perché fossimo straniere né perché di un'altra religione. No, niente non ce ne siamo neanche accorte.

Roberto - Ha dei ricordi ancora vivi di quel primo periodo?
F - Alcuni vivissimi. Ad esempio della nostra prima abitazione a Buenos Aires: una pensione in centro, con uno scalone enorme e un corrimano spettacoloso, su cui una pazza delle mie sorelle veniva giù scivolando dal terzo piano e io dicevo: "Quella s'ammazza". E mi ricordo che aspettavamo che arrivasse papà e lo vedevamo da su, dal terzo piano. Lì abbiamo abitato solo un mesetto, perché poi abbiamo avuto una casa, però me lo ricordo benissimo ... sono cose strane i ricordi. Di prima ancora della partenza non mi dimenticherò mai di quando papà è tornato da San Vittore: eravamo a giocare in piazzale Giulio Cesare quando è arrivata la donna di servizio gridando: "signora, signora è arrivato il signore". Ed è comparso papà, con i capelli - che erano ricci come i miei -lunghi, non aveva potuto tagliarli per quaranta giorni, o non so quanto sia stato via. Mi ricordo anche quando facevamo a piedi da via Berengario fino a via Eupili, alla scuola ebraica, al mattino presto...tabaccare eh

M - Come si chiamava di nome suo papà?
F - Manfredo, si chiamava Manfredo Segre.

C - Segre è il nome di un fiume vero?
F - Sì,un fiume in Spagna. Infatti i Segre sembra siano venuti dalla Spagna e una volta in Italia si siano divisi, un po' in Piemonte e un po' nel mantovano. Il generale Segre che ha partecipato alla breccia di Porta Pia era uno zio di papà.

E - Quando siete partiti per l'Argentina, pensavate di fermarvi là finché le cose si fossero sistemate e poi ritornare o eravate partiti già con l'idea di restare?
F - Con l'idea di restare: una famiglia di cinque figli (veramente eravamo ancora in quattro, perché l'ultima è nata là) se fa un trasferimento del genere lo fa per sempre.

E - Quindi avete dovuto rifarvi una vita ...
F - Certo, ed eravamo partiti senza una lira. Potevamo portare tante cose che c'erano in casa, ma soldi no. Allora, a noi bambine hanno fatto vestiti, cappotti e robe del genere "in crescenza", in modo cioè che durassero il più possibile. Io, che di statura ero la più piccola, me li sono portati per 5 anni. Sempre le stesse cose: non ne potevo più.

E - Che lavoro aveva trovato tuo papà?
F - Ha lavorato ancora nel campo assicurativo, prima come impiegato poi, quando si è fatto una certa clientela, ha aperto un suo ufficio di broker. Trovare lavoro non era difficile in quel periodo, ma neanche facile, facile. Mi ricordo ancora il giorno in cui è tornato a casa e ci ha detto che l'aveva trovato.

Roberto - A Buenos Aires conoscevate altre famiglie di ebrei fuggite dall'Italia?
F - Con noi c'erano i Morpurgo, i Pavia (dopo la guerra). Poi c'era Arrigo Levi, il giornalista. Lui ha qualche anno più di me; erano due fratelli e tre sorelle e abitavano a"Palermo", mentre noi a "Cavagita", due diversi quartieri della città. Una cosa che ci aveva impressionati moltissimo era stato sapere che lui aveva partecipato come volontario, nel 1948, alla prima guerra arabo - israeliana.

Roberto - quindi eravate ben inseriti nella vita della città ....
F - Sì, papà era diventato un punto di riferimento per quelli che arrivavano dall'Italia: era un gioioso, un cordiale. Tanti giovani erano spesso a casa nostra. Aveva anche cinque figlie, quindi è chiaro che ce n'era sempre di gente: fra cugini e amici e persone che venivano a parlare con Manfredo Segre.

M - A Buenos Aires c'era una comunità ebraica?
F - Sì, notevole

M - E voi la frequentavate?
F - Papà sì, era uno che cercava, personalmente, di essere un po' osservante. Ma non ci imponeva niente: chi voleva andare con lui andava, chi non voleva stava a casa. Poi le figlie della seconda moglie erano cattoliche, erano battezzate e avevano fatto la comunione. Ma neanche loro erano osservanti.

Mentre trascrivevo la registrazione della chiacchierata, arrivato a questo punto ho fatto una pausa, e collegatomi a internet ho inserito "Manfredo Segre" nella pagina di Google. Ho scoperto così due notizie che durante l'intervista non erano affiorate.
La prima bella: il rifugio "Italia", vicino al lago Laguna Negra, a Bariloche in Patagonia è dedicato a Manfredo Segre.




Il Rifugio Italia dedicato a Manfredo Segre. Ho scaricato questa fotografia dal seguente indirizzo: http://picasaweb.google.com/lh/photo/X93FNE__J6PqPBojKx06Sw


La seconda triste: la sua morte è avvenuta in un incidente aereo in Africa, nel 1967.
Chiedo a Fiorella qualche notizia in più:
F - Manfredo Segre e stato fondatore,  anzi "IL"fondatore della sezione argentina del CAI. Il rifugio al Cerro Negro a Bariloche, progettato dall'architetto Osvaldo Bidinos, é stato fatto da noi, la sua famiglia, col contributo di amici e conoscenti amanti della montagna, e in particolare del CAI (Club Alpino Italiano) e del CAB (Club Andino Bariloche). Papà era la persona di riferimento per molti alpinisti italiani impegnati in Argentina. Ricordo in particolare Carlo Mauri (Bigio), Walter Bonatti, Ardito Desio e Mario Fantin, fotografo di tante spedizioni.
Il papà è morto il 5 marzo 1967 per a Monrovia (Liberia), per un atterraggio fuori pista dell'aereo di linea che lo riportava a Buenos Aires
.


LA SCUOLA, IL LAVORO, IL RITORNO IN ITALIA

F - A Bueno Aires ho fatto le elementari, partendo dalla seconda, le medie, che là duravano cinque  anni, il liceo artistico e l'accademia di belle arti, con la specializzazione nel settore arredamento.

C - Poi hai cominciato a lavorare?
F - Sì, all'Editoriale Abril, che si può considerare, per importanza, la mondadori sudamericana. Il proprietario era Cesare Civita, amico e compagno di scuola di papà, come noi partito dall'Italia in seguito alle leggi del '38. Da giovane aveva lavorato in Mondadori e quindi aveva un' esperienza eccezionale. L'Editoriale Abril aveva sedi a Buenos Aires, San Paolo, Città del Messico, Caracas. Vi lavorava un grosso gruppo di disegnatori e artisti molto simpatici e bravi, fra cui Faustinelli, Hugo Pratt, Destuet, Casal e lo scrittore e giornalista A. Ongaro. Eravamo molto affiatati. Nel mio ufficio arrivavano i disegni originali dei vari autori, che il capo ufficio poi sceglieva per la pubblicazione . Mi piaceva così tanto tutto quello che aveva a che fare con l'arte che nel mio lavoro mi ci tuffavo letteralmente.

C - Poi però hai lasciato Buenos Aires ...
F -Sì, la zia Miranda si era trasferita da Pernambuco a San Paolo: sono andata a trovarla e sono rimasta ad abitare con lei. Ho lavorato per sette anni per la Knoll International, una ditta americana di arredamento d'interni, con sedi un po'ovunque, anche in Italia.

E -Che ruolo avevi nell'azienda?
F - Facevo parte dell'uficio progetti di arredamento. Il posto più bello dove, in quel periodo,  ero stata mandata per lavoro era Belo Horizonte, capitale dello stato brasiliano del Minas Gerais, nel mezzo della zona mineraria del Brasile.

M - Poi è tornata in Italia?
F - Sì, a un certo punto mi hanno chiesto se volevo venire a Milano a lavorare per loro: "sì, subito ho risposto, e sono venuta a Milano.

M - Quando?
F - Dunque, quando noi ci siamo sposati, nel settanta, saranno stati dieci anni che lavoravo in Italia ...quindi ..
M - Quindi nel 1960?
F - Intorno al sessanta, non mi faccia dire date perché non ce la faccio.

C - Hai già detto che ti sei sposata nel settanta ...
F - Sì e abbiamo avuto una figlia, Paola, che adesso è in attesa del primo figlio.


F - Io non penso che la mia sia una storia interessante. Quando sono successe queste cose ero una bambina di sette anni, come facevo ad accorgermi della loro gravità? Ci avevano portato alla scuola ebraica: e allora? ..... Dovevamo partire per l'Argentina: vabbeh, un posto come un altro; poi eravamo una famiglia grande, c'era sempre tanta gente in casa. Molto più scioccante era stato il fatto di avere avuto una nuova mamma, questa sì era stato una cosa difficile da accettare. Io la campagna razziale, se devo dire la verità l'ho sentita dopo, con la scuola di mia figlia.

M - Con la scuola di sua figlia? Negli anni settanta? Si spieghi ...
F - Quando è nata Paola la mamma di Renzo mi ha detto : "per favore battezzala, non sia mai detto che succeda di nuovo qualcosa". Io sono stata d'accordo: "non c'è problema" - ho pensato - "quando sarà grande deciderà lei cosa vuol fare". Per questo stesso ragionamento, quando l'abbiamo iscritta a scuola abbiamo richiesto l'esenzione dalla religione.
Sennonché Paola aveva una maestra di CL, Comunione e Liberazione, che siccome aveva chiesto l'esenzione, invece di farle fare qualcosa di alternativo, la mandava fuori dalla classe . Inoltre le faceva delle scenate assurde perché non andava a messa. Una volta mi disse che, con una mamma, aveva organizzato una serata apposta per risolvere il mio problema. "Il mio problema? Avete sbagliato perché io di problemi non ne ho. Vi saluto" e me ne sono andata.

Roberto - Avete cambiato scuola?
F - Certo. E lei, per fortuna, l'ho incontrata in strada una sola volta, se no l'ammazzavo...
Renzo - State tranquilli: normalmente sono tre o quattro persone al giorno che ammazzerebbe
F - Ma sai cosa ci aveva costretto a fare? Abbiamo dovuto iscrivere Paola alla scuola steineriana, e quindi ogni mattina, da San Felice dove abitavamo, dovevamo portarla in via Visconti di Modrone, in centro Milano. Fino alla seconda liceo siamo dovuti uscire di casa alle sette ogni mattina per essere a scuola in tempo, e avevo la scuola davanti a casa. Una volta quella maestra mi aveva chiesto: "Perché la sua famiglia è andata in Argentina?" Così, per turismo: era una tipa molto preparata.

M - Qual è oggi il suo rapporto con l'ebraismo?
F - Sono socia della Comunità, che in un certo periodo mi ha appoggiato moltissimo per una pratica che avevamo in corso, ma non sono particolarmente attiva. Conosco un sacco di gente. Ero molto vicina a Paola Sereni Rosenzweig per un lungo periodo preside della scuola ebraica, che mi ha visto per una vita. Un'associazione ebraica che mi è molto simpatica è il Keren Kayemeth che si occupa , in Israele, della forestazione e dell'uso razionale delle risorse idriche, problemi vitali per quel paese. Questa associazione ha anche una sezione italiana con la quale mi piacerebbe collaborare più attivamente. L'anno scorso sono venuti e hanno piantato un ulivo vicino al cippo dei caduti di Vergiate.
Quest'anno, per il Giorno della Memoria, volevamo fare qualcosa di più significativo, però non siamo riusciti perché le insegnanti avevano già un programma tanto vasto che non c'è stato spazio per questa iniziativa. Lo faremo in un'altra giornata, non è necessario che tutto si faccia il 27 gennaio.

M - Un' ultima domanda: Israele?
F - Non ci sono mai stata. In compenso ci è andata Paola, in un Kibbutz, per un mese: è tornata entusiasta. È andata con un'amica: due ragazze di diciotto anni che partono per lavorare in un Kibbutz in Israele, con le racchette da tennis, un beautycase enorme e due valige mostruose: hanno ritardato l'aereo per controllare i loro bagagli. Le hanno lasciate andare solo quando Paola ha detto che sua mamma era ebrea. Si erano
fatte crescere le unghie, belle smaltate e sai cosa dovevano fare? Gli innesti, non ricordo se sui mango o sui pompelmi. Con le loro mani belle curate, dovevano avvolgere l'innesto nel letame e fare un bel pacchettino, ah, ah, ah. Comunque sono tornate entusiaste.

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