mercoledì 25 dicembre 2024

LETTERA DALL'ALDILÀ di Alberto Motta (1969-2024)


Alberto Motta su questo BLOG:

ALBERTO MOTTA (ALBI): DIPINTI E POESIE 

14 gennaio 2012

https://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2012/01/alberto-motta-albi-dipinti-e-poesie.html

LE POESIE DI ALBERTO MOTTA

22 aprile 2022

https://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2022/04/le-poesie-di-alberto-motta-di-alberto-e.html

 ALBERTO SU YOUTUBE

Su youtube potete trovare alcuni filmati su Alberto al seguente indirizzo:



martedì 24 dicembre 2024

UN AUGURIO AGLI "OGGIONI" SPARSI IN TUTTO IL MONDO di Giulio Oggioni

 


Giulio Oggioni con il suo
libro sulle famiglie Oggioni di Verderio
                                                                                                                                            

Nel 2015 mi è venuta l’ispirazione di scrivere un libro dal titolo “La dinastia degli Oggioni, storia di una grande famiglia di Verderio”. Avevo stampato circa 200 copie pensando che comunque sarebbero state troppe per il nostro piccolo paese e le famiglie interessate. Mi sbagliavo: nel giro di pochi mesi, fosse per il “passa parola” ho dovuto ristampare il libro ben tre volte.
Non so come ma “gli eredi Oggioni” spuntavano ovunque, non sono nei paesi vicini, pur con altri cognomi per via di matrimoni, ma che, secondo loro, avevano comunque origini Oggioni. Per me, è stata un’impresa ricostruire le loro richieste storiche.
Ma la cosa più sorprendente è che mi sono giunte richieste del libro anche dall’estero: Francia, Brasile, Canada e Stati Uniti. Complice Merateonline che, attraverso il loro blog, mi hanno potuto contattare. Come? Solo il buon Dio lo sa!

La storia nasce dal lontano 7 dicembre 1892, quando Gesuina Colombo e Graziano Oggioni e i loro sette figli piccoli di Verderio Superiore lasciano la Cortenuova in centro paese per salire su una nave diretta in Brasile e sbarcano il 13 gennaio 1893 nel porto di Espirito Santo in Brasile e si assestano in una “fazenda” di Alegre.
Gli Oggioni arrivarono a Verderio forse alla fine del 1700 e poi si divisero in ben otto rami, tra cui i “Pulét” con diverse famiglie tra cui un Graziano Oggioni. Là nacque un altro figlio e la famiglia, nel nuovo secolo, si ampliò e a loro volta, i figli adulti si trasferirono anche a Rio de Janeiro, Minas Gerais, San Paolo e altre città del sud Brasile. Attualmente sono centinaia di famiglie, pur con cognomi diversi per l’unione con gente brasiliana, ma orgogliose di appartenere originariamente agli Oggioni di Verderio Superiore.


 Mary degli USA, la seconda in alto da sinistra,
con la famiglia e il libro

Tre anni fa hanno iniziato i contatti con me e proprio in questi giorni, José Oggioni di Espirito Santo mi ha mandato un messaggio dicendo che ha organizzato un ritrovo di tutte le famiglie che hanno origini Oggioni e mi ha inviato alcune foto. Mi ha chiesto poi di mandare a tutti gli interessati di Verderio e altrove i loro auguri di Buon Natale e Felice 2025, nella speranza di incontraci… non si sa mai! A loro si unisce anche Mary che ha sposato un americano degli USA e ora vive nel Massachusset.

 José Oggioni, con il libro, al raduno


Quindi, da tutti i nativi Oggioni dell’Italia e del Mondo, attraverso Merateonline, attraverso queste foto, tantissimi auguri a tutti coloro che hanno radici Oggioni e sono sparsi in tutto il mondo.


Raduno "Oggioni" a Espirito Santo





 Giulio Oggioni



mercoledì 18 dicembre 2024

LETTERA AL FAI PER SALVARE UNA VILLA STORICA DI VERDERIO

È veramente triste vedere una villa con una storia di almeno cinquecento anni giacere, insieme al suo parco, in stato di abbandono. È quello che sta succedendo oggi a una delle due ville storiche di Verderio, la villa che fu dei marchesi Arrigoni  prima e poi della famiglia Gnecchi Rusconi.

Per questo alcuni cittadini hanno pensato di richiamare l'attenzione del FAI,  Fondo Ambiente Italiano, con una lettera e di farla  sottoscrivere da un buon numero di persone.

Sono già state raccolte più di 400 firme.

Chi volesse ancora aderire lo può fare direttamente presso il negozio di alimentari RIva , in via Principale, o presso l'edicola-cartoleria in via Tre Re; oppure può inviare una mail a questo indirizzo: marco.bartesaghi@libero.it                                                                                                       

Villa ex Arrigoni di Verderio


LETTERA  AL FAI
Con questa lettera vogliamo sottoporre all'attenzione del FAI lo stato di degrado in cui si trova una delle due ville storiche di Verderio, ex-Verderio Superiore, quella più orientale, che chiameremo ex-Arrigoni.
Alcune notizie sull’edificio.
Nel 1512 Rainaldo Airoldi, della nobile famiglia di Robbiate, acquistò dalle monache di S.Agostino di Milano i beni che possedevano a Verderio. Alla morte di Rainaldo la proprietà passò al figlio Giovanni Battista e, in seguito, alle nipoti, Lucrezia e Caterina. Gli eredi di Caterina, il 22 marzo 1651, cedettero la loro parte, che comprendeva la villa conosciuta oggi come Villa Gnecchi, a Pietro Paolo e Giuseppe Confalonieri. A loro volta i discendenti di Lucrezia, sposata Porro, l’1 febbraio 1661, vendettero la loro parte al Marchese Emilio Arrigoni, che divenne così proprietario della villa oggetto di questa lettera. Nel 1824 questa villa, insieme agli altri possedimenti Arrigoni in territorio di Verderio, fu acquistata da Giacomo Ruscone e nel 1842, alla sua morte, fu ereditata dai suoi nipoti, i fratelli Carlo e Giuseppe Gnecchi (da allora Gnecchi Ruscone) ed è rimasta proprietà della famiglia fino agli anni sessanta del Novecento, per subire in seguito vari passaggi di proprietà.

La villa, sottoposta a vincolo monumentale (decreto legislativo 42/04 int. 10), fino a una ventina di anni fa era in buone condizioni, da allora in poi è andata via via degradandosi fino allo stato attuale di abbandono. Non avendo la possibilità di accedervi, poche sono le notizie che abbiamo sulla situazione degli interni dell’edificio. Ci risulta solo che uno dei locali più antichi, affrescato su tutte le pareti, abbia il soffitto pericolante e quindi sia sostenuto da una fitta puntellatura.
Visibile è invece il cattivo stato delle parti esterne e, soprattutto, del parco. Sono pericolanti, ad esempio, i cornicioni dell’ala orientale dello stabile, quella che si affaccia su una strada pubblica, la Stretta di Sant’Ambrogio, che per questo motivo è da anni chiusa al passaggio delle persone.
Completamente abbandonato e ridotto a una selva quasi impenetrabile è il parco, che ha un’ampiezza di circa 7700 mq ed è ricco di alberi di alto fusto.
Dopo il fallimento dell’ultimo proprietario, la villa è sottoposta ad asta giudiziaria. 
Al FAI chiediamo di valutare la possibilità di intervenire, direttamente o indirettamente, per porre rimedio a questa situazione di degrado e svilimento di un patrimonio storico a nostro avviso da tutelare e valorizzare. 

Per un intero secolo, a partire dalla metà dell’Ottocento, la famiglia Gnecchi Ruscone è stata presente sul territorio di Verderio, in particolare di Verderio Superiore, e ha avuto un ruolo fondamentale, avendo dotato il paese dei principali edifici pubblici o ad uso pubblico che ne caratterizzano ancora oggi la fisionomia: l’Asilo Giuseppina, oggi scuola materna, il cimitero, l’acquedotto Fonte Regina, la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano, la casa parrocchiale, il municipio, che comprendeva anche le aule scolastiche, l’ambulatorio e la maternità.
Essa è stata artefice di importanti interventi anche sugli edifici di sua proprietà. Alla famiglia si deve l’aspetto attuale della villa che oggi porta il suo nome, Villa Gnecchi, acquistata nel 1888 insieme a tutti gli altri beni Confalonieri. Negli anni venti del Novecento fu installata la Fontana di Nettuno, nel terreno di fronte alla villa, e realizzato, sul retro, dal limite dei giardini fino al confine con Paderno d’Adda, il parco che oggi chiamiamo “di Meleagro”.
La prima casa di Verderio di proprietà della famiglia Gnecchi, fu proprio la villa ex-Arrigoni su cui, con questa lettera, vogliamo attirare la Vostra attenzione.
L’interesse del FAI per la sorte di questo edificio potrebbe essere l’unica carta disponibile per la sua salvezza.
Confidando in una Vostra positiva risposta, ringraziamo per l’attenzione e porgiamo i nostri più distinti saluti.

Il parco della villa come si presentava nel 2007


LE EMOZIONI DI UN CHIRURGO TRAPIANTISTA, PAOLO ASENI di Marco Bartesaghi

Paolo Aseni è un medico chirurgo che ha dedicato la sua carriera professionale ai trapianti di fegato. Con lui voglio parlare delle emozioni legate al suo lavoro: la gioia, il dolore, la paura, …

Nato nel 1950 a Palo del Colle, in provincia di Bari, si è trasferito a Milano quando aveva 5 anni …


Paolo (P) – Il Papà era già qui da un anno quando noi, io la mamma e mia sorella, l’abbiamo raggiunto, nel 1955. Quando siamo arrivati a Milano lui era un ambulante, si alzava alle quattro ogni mattina ed era sul mercato alle cinque e mezza. Qualche volta l’ho accompagnato per vedere quanta fatica facesse. Dopo cinque anni era riuscito a mettere da parte un gruzzoletto e aveva aperto un negozio di maglieria intima, camice e calze. La mamma gli dava una mano.

Papà era una bellissima persona, positiva, ottimista; molto severo, autoritario, ma anche molto gioviale. Vedevo ed ero colpito dai sacrifici drammatici che i miei genitori dovevano fare, per permettere a me e a mia sorella di studiare. Questa è stata una delle molle che mi hanno fatto pensare: “Bisogna che io restituisca qualche cosa al buon Dio, che mi ha dato tutta questa fortuna”.

Marco (M) – Si è laureato a Milano?

P – Sì, all’Università Statale, nel 1975, dopo 6 anni di medicina. Prima mi sono diplomato al liceo scientifico Alessandro Volta, dove ho avuto un professore di lettere straordinario, che sicuramente, anche se involontariamente, mi ha portato verso la scelta di iscrivermi alla facoltà di medicina. Questo professore, che è stato il miglior allievo di Giovanni Gentile, il grandissimo filosofo Giovanni Gentile, ha condotto me e i miei compagni, lungo un percorso di riflessione, fatto di studi e di racconti. Perché le sue lezioni non erano solo Seneca, piuttosto che Pascoli, che a lui piaceva tantissimo, erano anche il racconto della sua vita: dalla sua storia di partigiano che non aveva mai sparato un colpo, perché l’aveva detto subito “io non sparo”, ad altre situazioni in cui si era trovato che ci avevano commosso. Ci aveva fatto capire che qualcosa bisogna fare per le persone che vivono dove c’è ingiustizia, dove c’è sofferenza. Io e un gruppo di compagni della mia classe ci trovammo nei bagni della scuola chiedendoci “Se vogliamo combattere la sofferenza, cosa dobbiamo fare?”. La conclusione fu “Facciamo medicina”.

M - Come si chiamava il professore?

P - Carlo Salani, una persona straordinaria; eravamo un po’ intimoriti, ma nello stesso tempo innamorati di lui; una personalità estremamente variegata, di un’umanità che colpiva con i suoi gesti. Ci aveva fatto prendere coscienza che noi eravamo molto fortunati e tanti altri, invece, non lo erano e bisognava un po’ pareggiare i conti: era etico che chi aveva di più mettesse a disposizione qualcosa in termini di buona volontà: alcuni miei compagni andarono in Burundi, a fare un po’ di servizio civile; c’era chi andava a dare una mano, tramite la chiesa, nella periferia di Milano, o nella Bassa Milanese; c’era Mani Tese che portava i ragazzi in varie parti del mondo a fare volontariato.

M - E dopo la laurea?

P - Dopo la laurea sono entrato in un pronto soccorso, come avevo visto fare da un collega.

Mi serviva come esperienza, perché eravamo stati molto mal seguiti durante gli anni di medicina. Avevamo avuto professori forse validi professionalmente, ma certamente non validi dal punto di vista didattico e come tutor; non voglio neanche esprimere giudizi, perché non sarebbero molto eleganti, sulle persone. Sei anni di medicina trascorsi tra il panico e la noia di materie meravigliose, rese noiosissime; sei anni un po’ così, comunque importanti per sviluppare la mole di conoscenze necessarie.

Avevo il papà malato di fegato e quindi, facendo di necessità virtù, le mie attenzioni erano rivolte particolarmente a questo organo. Al terzo anno scelsi di fare la tesi di laurea in un reparto specialistico di malattie del fegato e in seguito decisi di coltivare questo interesse anche dal punto di vista chirurgico.

Non fu facile all’inizio, perché non conoscevo l’ambiente, e così andai al Fatebenefratelli. Anche lì, purtroppo, l’insegnamento e la capacità di fare da tutor, anche su una base puramente psicologica, non c’era.

La svolta avvenne durante il servizio militare, dove incontrai un bravo collega che mi mise al corrente di tante situazioni molto interessanti. Lui, anestesista intensivista, mi parlò della terapia intensiva a livelli molto alti e dell’ospedale Niguarda. Facendo servizio in aeronautica, a Milano in piazza Novelli, avevo un certo numero di notti libere. Le trascorrevo in rianimazione presso il reparto Bozza, della terapia intensiva di Niguarda, dove imparai moltissimo. Stavo in piedi fino alle due, dalle due alle sei dormivo su una poltrona o su un divano e poi tornavo in caserma presso il Comando dell’Aeronautica Militare, dove mi firmavo il permesso per poter rientrare. Me lo consentiva il Maggiore che, anche lui medico, mi dava una mano.

In questo periodo ho avuto la fortuna di vedere operare due tra i migliori chirurghi con competenze specifiche sul fegato: il professor Lino Belli, che poi è diventato mio primario e mio maestro, e il professor Piero Belinazzo. Pensai così di lasciare la terapia intensiva e l’anestesia per un percorso di chirurgo interessato, in particolare, alla chirurgia del fegato. Parlai con gli assistenti del professor Belli, perché era molto difficile parlare con lui direttamente, metteva molta paura, aveva occhi grigi che perforavano il buio.

M - Era molto anziano?

P - No, non era una persona anziana, in quegli anni, 1975, aveva meno di 50 anni, era diventato primario giovanissimo; veniva dalla grande scuola chirurgica di Padova, poi era stato al Policlinico.

Alla fine i suoi assistenti mi accolsero e capii, con molto timore, che era una squadra davvero speciale, dove si giocava ad altissimo livello. Sono stato volontario per quattro anni prima di essere assunto. Per la mia professione ho imparato non tantissimo: di più!

Facevamo di tutto: chirurgia polmonare, epatobiliare, esofagea, vascolare.

E trapianti. Era già iniziata l’epoca in cui i trapianti di rene andavano bene.

Tutto, come dicevo. In particolare la chirurgia dell’ipertensione portale, che è attinente alle gravi malattie del fegato e che nessuno faceva perché estremamente complessa. Il mio primario è stato il primo in Italia a praticare un intervento imparato a New York da un famoso chirurgo che aveva messo a punto questa tecnica. Eravamo un riferimento per tutta l’Italia.

Un episodio mi aveva convinto che quella sarebbe stata la mia strada: si presentò da noi un giovane affetto da una gravissima malattia epatica, che occludeva le vene di sbocco del fegato. L’intervento necessario non era stato provato che in pochissimi posti e in questo caso c’era una complessità superiore, che rendeva impossibile l’intervento consueto. Dovemmo confrontarci con un caso analogo, operato da un cardiochirurgo a Zurigo, che si era riproposto di ideare un intervento possibile in questi casi. Lo studiammo per parecchio tempo e alla fine ci decidemmo, con grande paura da parte del primario, perché non lo aveva ancora tentato nessuno: l’intervento consisteva nel collegare la vena del fegato al cuore, quindi senza un’esperienza diretta di cardiochirurgia. Andò molto bene e, se il ragazzo avesse superato i primi giorni, poi sarebbe stato definitivamente guarito.

Quando il primario uscì dalla sala operatoria confortò subito il papà e la mamma del ragazzo. La suora che aveva ascoltato queste parole, chiamò tutti gli infermieri che fecero un applauso. Mi commossi, anche se c’entravo molto poco dato che avevo tirato solo le valve, perché mi sentivo parte di una squadra particolare, che mi avrebbe permesso di dedicarmi a quella parte di chirurgia un po’ particolare, per la quale non è facile trovare un’equipe così specializzata.

M - In che anni siamo?

P - Stiamo parlando della fine degli anni settanta, inizio anni ottanta, quando cominciammo ad affrontare anche il problema del trapianto di fegato. Nel 1984 eseguimmo il primo trapianto in un povero ragazzo che venne trasferito, già morente, in elicottero dalla Sardegna. Andò male. Sapevamo che sarebbe stato molto difficile, ma piangemmo tutti, perché ci sentimmo impotenti di fronte a una malattia devastante, di fronte a questo giovane che non ce l’aveva fatta.

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STRANE BUSTE SULL'ASFALTO DELL'AUTOSTRADA di Paolo Aseni

 

Dis aliter visum: agli dei piacque diversamente, Virgilio, Eneide

23 giugno 2009 ore 12 circa 

Sto attraversando di fretta uno dei tanti viali alberati del nostro grande Ospedale. Un’infermiera in camice azzurro sembra seguirmi e con voce sonora mi apostrofa: "Dottore, dottore cosa è successo 10 anni fa?” 

Sento una voce chiara e squillante di un’infermiera che non mi pare di conoscere. “Dico a lei dottore, si ricorda o no cosa è successo dieci anni fa?”.

“Mi scusi, dice a me?” guardo stupito l’infermiera che mi sorride e che proprio non mi riesce di riconoscere. 

Non saprei, non ricordo, che cosa è successo 10 anni fa? Forse l’Inter, la mia squadra del cuore ha vinto la “Champions League?" Sparo a caso la prima stupidaggine che mi viene in mente e la guardo incuriosito. 

“Ma allora proprio non se lo ricorda, dieci anni fa cosa è successo?” con un sorriso più aperto. 

“Mah! Non saprei, veramente ne sono successe tante di cose” aggiungo prudentemente. 

Glielo ricordo io cosa è successo dieci anni fa: la mia mamma ha ricevuto un bel fegato e lei ha rischiato la vita in un brutto incidente!”. 

In una frazione di secondo capisco e rivedo tutto: è la ricorrenza del mio incidente il 23 giugno, esattamente dieci anni dopo. 

Le chiedo subito: “Ma come sta la sua mamma adesso?” 

“Molto bene, molto bene, meglio di me che ho sempre un sacco di acciacchi. Le farebbe piacere rivederla?” 

“Eccome! la porti in ambulatorio quando vuole, mi farà molto piacere rivederla. Ma mi scusi, in questi dieci anni perché non l’ho più rivista?” 

“Dottore abbiamo avuto un po’ vergogna per la mia gaffe e ci siamo sempre fatti seguire in ambulatorio da un altro suo collega cercando di non capitare mai con lei; ma la mamma chiede sempre di lei”

”La cosa importante è che la mamma stia bene e che il fegato funzioni bene” aggiungo sorridendole. 

“Il fegato funziona benissimo” risponde l’infermiera e con chiaro accento milanese fa un cenno con la mano per abbozzare una carezza e aggiunge “grazie doctor, siete tutti meravigliosi”.

Rivedo molte immagini del mio incidente e mi sforzo di ricordare i dettagli della gaffe a cui sta alludendo l’infermiera. 


Il dottor Aseni, seduto, con una parte della sua equipe. Fra le mani un testo del professor Thomas Starzl, pioniere dei trapianti

23 giugno 1999 ore 5 

Far finta di sonnecchiare poteva essere un buon sistema per tentare di recuperare un po' di energia necessaria per lavorare ancora alcune ore in sala operatoria al nostro rientro previsto per le sei del mattino a Milano. 
Erano le 5 e 15 circa ed avevamo da poco imboccato l'autostrada Brescia-Milano. Il fegato e il pancreas prelevati dalla povera donna donatrice deceduta per emorragia cerebrale erano stati riposti separatamente negli appositi sacchetti. La Mercedes silenziosa e fiera filava veloce lungo la corsia di sorpasso per riportarci il più velocemente possibile in Ospedale.
Il mio giovane e bravo collaboratore di origine persiana che avevo soprannominato Avicenna, specializzando del 1° anno della Chirurgia d’Urgenza, mi aveva appena ricordato che eravamo digiuni da ormai 24 ore. L'intervento chirurgico di prelievo multiorgano era iniziato, come spesso accade, con molte ore di ritardo sull'orario previsto. Pensavo al nostro rientro in sala operatoria alla probabilità di recuperare al volo un croissant e di poter sorseggiare un caffè prima di immergermi nel successivo e delicato lavoro di preparazione degli organi al banco. Il 23 giugno del 1999 si prospettava una giornata serena e il cielo terso consentiva di scorgere in lontananza, oltre le colline del bresciano, le prime luci dell'alba.

All’improvviso un’esplosione secca ed intensa come un colpo di cannone precedette un balenio di scintille cui seguì un terrificante fragore di ferraglia e lamiere. Un improvviso dolore lacerante mi aveva trafitto contemporaneamente il torace, poi il collo sino ad esplodere nel cervello. Ricordo l'ultimo pensiero prima di perdere conoscenza: “Signore che hai creato questo bellissimo cielo azzurro abbi pietà di me”. 
Non so per quanto tempo rimasi privo di conoscenza. Avevo tentato di uscire dall'abitacolo della Mercedes ridotta a una scatola deforme, ma il dolore lancinante al torace non mi consentiva di spostarmi neppure di un centimetro. Intravedevo accasciato sull'erba lungo la corsia d'emergenza il nostro conducente, che con un filo di voce invocava aiuto. Capivo di essere in condizioni gravi e cominciavo a temere di non poter ricevere soccorso in tempo utile. Poi, alla comparsa della figura del mio giovane collaboratore “Avicenna” un po’ zoppicante, ma in posizione eretta, avevo riacquistato un po' di fiducia. 
“Ehi doc come va?” - mi disse con voce sicura - “stai tranquillo! Sono riuscito a telefonare in sala operatoria ed ho bloccato l'intervento sulla paziente ricevente. Il fegato e il pancreas sono là sull’asfalto: sono stati sbalzati fuori dal vano bagagli, ma sono ancora nelle loro buste sull’asfalto dell’autostrada. Purtroppo il mio cellulare si è scaricato mentre chiamavo la sala operatoria. Sono riuscito a trovare quello dell'autista che sta cercando di chiamare i soccorsi. Tu non devi muoverti!".

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lunedì 16 dicembre 2024

LE EMOZIONI DI UN FOTOGRAFO NATURALISTA, FABIO OGGIONI di Marco Bartesaghi

Fabio Oggioni, che a Verderio quasi tutti conoscono, per tutta la sua vita lavorativa ha fatto il
Fabio Oggioni in versione musicista

meccanico d'auto. Delle emozioni legate a questa professione non oso chiedergli, per paura di prendermi degli insulti, se non dei calci nel sedere. 
Da quando è in pensione però, la passione per la fotografia naturalistica, rivolta soprattutto, ma non solo, agli uccelli, che già prima coltivava nel tempo libero, ha preso il sopravvento e ora le si dedica quotidianamente. Per questo, chiedergli delle emozioni che prova inseguendo con il teleobbiettivo un volatile o un altro animale selvatico, equivale a parlargli del suo attuale lavoro. Gli ho chiesto quindi di scegliere fra i suoi scatti alcuni che l'hanno maggiormente emozionato e di parlarmene.



IL LUPO

 


L'AQUILA





IL FALCO PESCATORE




Sull'attività di fotografo naturalista di Fabio ho già pubblicato su questo blog due articoli:

A CACCIA DI UCCELLI CON LA MACCHINA FOTOGRAFICA


UCCELLI E ALTRA FAUNA DI MONTAGNA, NELLE FOTOGRAFIE DI FABIO OGGIONI

Marco Bartesaghi

martedì 10 dicembre 2024

UN BUON LIBRO SUI DIECI SOLDATI FUCILATI A CURTATONE IN UNA DELLE PRIME STRAGI NAZIFASCISTE di Claudio Consonni





Guanzate (Co) 18 settembre 1943: "altro dei miei cugini, Francesco Rimoldi, fu catturato durante un rastrellamento. Fu portato a Curtatone, vicino a Mantova. Qui fu disgraziatamente trovato il cadavere di un tedesco e fu perciò decisa la fucilazione di nove militari rastrellati e del loro cappellano. Fra questi ci fu anche Francesco. Prima di eseguire la condanna i ragazzi vennero malmenati e seviziati. Il padre di uno di loro, salito su un'altura, riuscì ad assistere alla drammatica scena. Lo strazio lo fece uscire di testa ma a distanza di qualche anno, dopo essersi curato, fu in grado di indicare il luogo esatto dell'esecuzione. Nel 1945 i corpi furono disseppelliti ed ebbero degna sepoltura. Quello di mio cugino è tuttora nel cimitero di Guanzate". 

Questa risposta alla domanda: "quale impatto ha avuto la guerra sulla sua vita di ragazza e di Suora?" fu proposta la sera del 18 dicembre del 2008 a Suor Emerenziana Molteni (nel secolo Angela) nata a Guanzate nel 1924, delle "Operaie della Santa Casa di Nazareth" e fa parte delle numerose "testimonianze orali" raccolte nella tesi di laurea di Paola Galuppini sulle "Religiose bresciane tra guerra e Resistenza" col Professor Giorgio Vecchio all'Università di Parma (aa 2008-2009).

La vivida testimonianza di suor Emerenziana potrà offrire qualche ulteriore spunto alle ricerche, come pure a livello della storia locale di Rogeno (Lc), con le sue due vittime, il lavoro significativo di Roberta Frigerio "Rogeno e il suo territorio 1943-1945" voluto dall'Amministrazione comunale e pubblicato da Cattaneo, Lecco 2006.

Domenica 19 settembre del '43 quando l'armistizio era appena conosciuto dagli italiani, dieci militari caddero per la ferocia nazifascista nella valletta dell’Aldriga in riva al Lago Superiore nel comune di Curtatone (Mn).


1. Arisi Giuseppe, 10/10/1912, 31 anni, n. Brignano Gera d’Adda (Bg)


2. Bianchi Giuseppe, 21/01/1916, 27 anni, n. Caravaggio (Bg)


3. Binda Luigi, 28/10/1923, 20 anni, n. Rogeno (Lc)


4. Colombi Mario, 29/09/1916, 27 anni, n. Salerano sul Lambro (Lo)


5. Colombo Bruno, 24/01/1916, 27 anni, n. Lurago d’Erba (Co)


6. Corradini Mario, 17/03/192, 19 anni, n. Canneto sull’Oglio (Mn)


7. Corti Angelo, 19/06/1908, 35 anni, n. Rogeno (Lc)


8. Passoni Attilio, 21/02/1924, 19 anni, n. Monza (M B)


9. Pecchenini Luigi, 22/02/1924, 19 anni, n. Pagazzano (Bg)


10. Rimoldi Francesco, 27/01/1924, 19 anni, n. Guanzate (Co).

Come si può vedere, anche se le province attuali sono più numerose di quelle dell’epoca, questi dieci giovani rappresentano quasi mezza Lombardia: storie ed età diverse e purtroppo, stando alle commemorazioni dell'80°, poco ricordate.


Qui la sintesi che nella bibliografia non poteva comprendere il nuovo libro che di seguito andiamo a presentare

https://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/Episodio_di_Curtatone.pdf



Una feroce rappresaglia, tra le prime delle tante che insanguinarono l’Italia fino all’aprile del 1945, si svolse di nascosto in un terreno quasi paludoso anche se pochi terrorizzati, richiamati dagli spari, riuscirono a vedere qualcosa.

Carlo Benfatti ha ripercorso gli eventi e il contesto di quei drammatici giorni, grazie a una lunga ricerca di documenti disponibili soprattutto d'archivi militari, e alle voci dei testimoni. Nel volume, che offre una ricca documentazione fotografica, troviamo anche la memoria popolare del tragico evento, con le celebrazioni che negli anni hanno accompagnato la ricorrenza ma non solo: anche poesie, canzoni, e addirittura un docufilm contribuiscono a tenere vivo un ricordo doloroso ma fondamentale del Novecento.

La pubblicazione è stata meritoriamente patrocinata dagli Enti Locali Provincia e Comune di Mantova oltre che città di Curtatone, assieme ad ANPI, Associazione Mutilati e invalidi e Istituto di storia contemporanea sempre mantovani. Notando il fatto che la sola vittima di Canneto sull’Oglio fosse mantovana, dovremmo concludere che la memoria dei più sia stata persa? Speriamo di no e per questo ci permettiamo di guardare alle prossime agende.

Per la collocazione del cippo di Memoria di questi dieci martiri conviene guardare ai prossimi 19 settembre di sabato del 2026 e della domenica del 2027 in quanto il Comune dove si svolse la strage non ebbe caduti per cui si attiene alla doverosa cerimonia fissa sulla data del 19 settembre.

Per comodità indichiamo il punto esatto del monumento che non corrisponde al luogo delle fucilazioni

https://g.co/kgs/bXgurmi

facendo presente che non è possibile fermarsi al bordo della trafficatissima SS10 e, nemmeno, attraversare a piedi se non  a 200 e passa metri di distanza. Complesso molto noto che si raggiunge da quella strada è l'Antichissimo Santuario della Beata Vergine delle Grazie, divenuto meta internazionale da 50 anni dei "madonnari", comunemente quanto erroneamente associato al capoluogo. Altro e ben più grande monumento nelle vicinanze, degno di considerazione, è quello nazionale ai caduti delle guerre d'Indipendenza con le indicazioni delle diverse università italiane dalle cui aule erano partiti i giovani volontari.

Importante sarebbe fare le commemorazioni nei singoli paesi e città. IL sito web del comune di Cinisello Balsamo contiene la storia di Luigi Pecchenini che vi si era trasferito. A Monza solo lo scorso anno colsi l'occasione per presentare il libro in biblioteca e fummo confortati dalla presenza di un pronipote di Attilio Passoni.

Il professor Benfatti accoglie gentilmente e volentieri fa da guida fino alla riva paludosa della valletta dell'eccidio

Carlo Benfatti,  "I Martiri dell'Aldriga - Storia e memorie di un eccidio nazista"

Sometti, Mantova 2023, pp. 208 | cm 15x21 illustrato

euro 15,00

978-88-7495-897-9


Claudio Consonni - claudio@consonni.info


mercoledì 24 aprile 2024

"SCENDEVA DALLA SOGLIA DI UNO DI QUEGLI USCI ..." di Alessandro Manzoni

 


Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori.
Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così». Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina.
La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXIV.



Dedicato alle madri di Palestina e di Israele, di Ucraina e di Russia; ad ogni madre rimasta “orfana”, per una guerra, dei propri figli e delle proprie figlie. M.B.


Litografia di Sara Bartesaghi





martedì 9 aprile 2024

"ERANO GLI ANNI BUI DEL FASCISMO ..." di Angela Oggioni

Erano gli anni bui del fascismo. La famiglia di mia madre viveva a Verderio Superiore in via S.Ambrogio.

Come quasi tutti in paese, anche i miei nonni erano contadini e, come quasi tutti, conducevano una vita di miseria e di stenti, biecamente sfruttati dai feudatari locali.

La sudditanza e la povertà erano aggravate dalla spietata repressione fascista.

Fu inevitabile che i più coraggiosi si ribellassero. Mio nonno e i suoi figli cominciarono a prendere coscienza degli ideali del socialismo; in particolare lo zio Giuseppe rifiutò sempre la condizione di servo.

Le sue idee attirarono su di lui l’odio dei delatori del regime e più di una volta i familiari di mia madre furono costretti a cercare rifugio in chiesa. Ben presto le persecuzioni si fecero più pesanti, finché una sera, mentre mio zio, tornando dal lavoro in bicicletta, attraversava un ponte sull’Adda nel bergamasco, gli squadristi fascisti lo fermarono piegandolo sotto i colpi di manganello. Stavano per gettarlo dal ponte, quando una donna, che aveva assistito impotente al pestaggio, ebbe la forza di fermarli, implorandoli di risparmiarlo.

Lo abbandonarono così, tramortito dalle botte e quasi incapace di muoversi. Facendo appello alle sue ultime forze riuscì a trascinarsi verso casa, ma da quella batosta non si risollevò mai più: il suo spirito indomito si spense nel 1943, in piena guerra, dopo lunghe e strazianti sofferenze. Lucido, in punto di morte chiamò il nipote, Carlo Viganò e gli disse: “Muoio per mano dei fascisti, combatti con tutte le forze questo infame regime, in nome della democrazia”.

Anche mia madre corse non pochi rischi, in quanto fu la cuoca del nucleo partigiano della zona, che si radunava in uno dei locali oggi sede del Comune di Verderio Superiore.

Anche a loro dobbiamo la nostra libertà.

Carlo Viganò fu partigiano e fece parte di quel manipolo che arrestò la colonna di tedeschi all’incrocio per Paderno, dove oggi un cippo ricorda l’evento.


Testimonianza di Angela Oggioni, raccolta da Sandro Acquati e pubblicata sul n.7 di Cronaca Nostra, ottobre del 1995.



DON GIUSEPPE MARIANI. STORIA DI UN PRETE PARTIGIANO recensione di Claudio Consonni

 



E' stata opportuna la pubblicazione della tesi su Don Giuseppe Mariani nell’80 dell'inizio della Resistenza alla "Repubblica" di Mussolini e dominazione nazista.

Spiace naturalmente che la prematura scomparsa dell'autore, Professor Giuseppe Mariani laureatosi nel 1994, non gli abbia consentito di concludere e pubblicare ulteriori approfondimenti che, soprattutto in Seregno dove da alcuni anni si stanno rincorrendo nel racconto degli episodi della storia locale Pietro Arienti e Norberto Bergna, sarebbero stati certamente molto interessanti.

Il volume che presentiamo è stato voluto dal Professor Vittore Mariani (Pedagogista in UC) che in accordo col maggiore e terzo fratello, Pietro, ha scritto una breve prefazione nella quale racconta loro vicende familiari e i rapporti con lo zio sacerdote che "amava raccontare a noi nipoti gli episodi di quella fase storica con dovizia di particolari attraverso una particolare ars retorica ...". Sempre nella prefazione scrive: "Era la sua tesi di laurea, aveva cominciato a pensare di rielaborarla, sistemarla, rifinirla per essere un libro".

La tesi in Storia sotto la guida del Professor Alfredo Canavero dell'Università degli Studi di Milano (disponibile presso la Biblioteca di Carugate (Mi), mentre la numerazione delle pp di questo articolo si riferisce al libro) inquadra bene la situazione caotica dell'estate e autunno '43 precisando da un lato che il Concordato valeva per il Regno d'Italia e che la "Repubblica sociale italiana" era una dittatura di fatto col consenso popolare sempre più in calo rispetto a quella del decennio precedente.

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lunedì 8 aprile 2024

SPUNTI PER LA VALORIZZAZIONE DEL PLATANO DELLA ROTONDA A VERDERIO di Giorgio Buizza

La prima volta che ho scritto qualcosa sul platano di Verderio è stato nell’ottobre 1996; da allora le foglie sono cresciute e cadute 27 volte.

A quella data il platano era ancora ubicato sul lato destro della strada che da Robbiate arriva a Verderio; la rotonda non c’era, e neppure la svolta a destra continua, le strade erano strette e; l’incrocio era regolato da un semaforo. La circonferenza del fusto, misurata allora, era di 508 cm.

1996 - prima della rotonda

Sono passati quasi trent’anni: sono cambiate le strade; è stata realizzata la rotonda che hafluidificato il transito dei veicoli, sono stati installati i fari per l’illuminazione notturna, è stata eseguita la corrente manutenzione.

Qualcuno, passando sotto il platano, si è posto la domanda: ma come avranno fatto a spostare il platano per fare la rotonda?

Per fortuna il platano non è stato spostato, anzi, grazie alla collaborazione degli Enti (Comune, Provincia) la rotonda è stata realizzata utilizzando il platano come centro e gli è stato concesso uno spazio adeguato per non compromettere l’apparato radicale se non in minima parte. L’originario progetto della rotonda è stato modificato in funzione dell’albero, fatto non comune sulle nostre strade.

2004 - inaugurazione della rotonda

Oggi la circonferenza del fusto è di 579 cm. Fatti due conti, il fusto ha incrementato il diametro mediamente di 0,84 cm/anno, conferma, se ce ne fosse bisogno, di buona vitalità.

La Provincia di Lecco, con la collaborazione del WWF e del prof. Piccamiglio ha censito i grandi alberi della provincia (863 alberi) sull’onda di un rinnovato interesse per gli alberi, la loro origine, la loro storia. La pubblicazione è del 2005. Nel corposo e dettagliato censimento compaiono 8 grandi alberi di platano con caratteri di monumentalità secondo i parametri fissati dalla Regione e applicati dalla Provincia di Lecco; oltre al platano di Verderio sono stati registrati quelli ubicati a Molteno (Municipio - morto qualche anno fa per cancro colorato), Imbersago (Villa Castelbarco), Sirtori (Villa Besana), Bulciago (Villa Taverna), Casatenovo (Villa Facchi), Merate (villa Cornaggia), Olgiate Molgora (Villa Sommi Picenardi).

Non dispongo di dati aggiornatissimi ma, avendoli esaminati tutti, mi sono convinto che i tre esemplari più significavi per dimensione, età e portamento sono quelli di Verderio, di Olgiate Molgora e di Bulciago con la differenza sostanziale che il platano di Verderio è radicato in uno spazio pubblico, gli altri sono all’interno di giardini privati, osservabili da vicino solo previa autorizzazione o solo in occasione di aperture temporanee come sono state le giornate di Primavera del FAI, svolte in anni ormai lontani.

Il platano di Verderio - n° 301 nell’elenco della Provincia di Lecco - non è mai diventato albero monumentale ai sensi della L. 10/2013. Per risultare nell’elenco ufficiale degli alberi monumentali dovrebbe essere segnalato dal Comune al competente ufficio dei Carabinieri Forestali, essere sottoposto a verifiche e misure per ottenere, se rispondente ai requisiti prefissati, il riconoscimento della monumentalità e trovare collocazione nell’elenco nazionale.

29-12-2017 - a sinistra, prima della potatura; a destra, dopo la potatura

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UNA LETTERA DI CAMILLO MARINO SALA, DISPERSO SUL FRONTE RUSSO IL 25 GENNAIO 1943 a cura di Marco Bartesaghi

Recentemente Gabriella Sala ha ritrovato alcuni documenti riguardanti uno zio paterno, Camillo Marino Sala, disperso durante la campagna di Russia, nella seconda guerra mondiale. Fra i documenti una lettera, forse l’ultima, scritta da Camillo ai genitori. Ringrazio Gabriella per avermi dato il permesso di pubblicarla.

Camillo Marino Sala

Camillo, figlio di Angelo Sala e di Angela Oggioni, era nato a Verderio Superiore il 5 settembre 1922. Operaio, prestava servizio militare, come soldato di complemento, nel 53° reggimento fanteria di Biella. Risulta disperso sul fiume Don, a Nikitowka il 25 gennaio del 1943 (1).

La lettera è molto semplice. Camillo rassicura i genitori sul suo stato di salute, che definisce ottimo,  e sul suo umore – “sono sempre in allegria” – e li ringrazia per il pacco ricevuto. Si scusa per essere molto parco nello scrivere, a differenza del fratello che “scrive a tutti”.



Giovanni, il fratello a cui si riferisce nella lettera, era maggiore di Camillo di due anni. Durante la guerra aveva prestato servizio a Bardonecchia, nell’arma del Genio Militare.

La lettera è strappata o bucata in alcuni punti, per cui alcune parole mancano o sono incomplete.

 Nota
(1) Verderio 1940-1945. Ricordi immagini e testimonianze nel diario di cinque anni di guerra. Giulio Oggioni, Verderio Sup. e Inf. 2008.


UNA LETTERA DI CAMILLO MARINO SALA, DISPERSO SUL FRONTE RUSSO IL 25 GENNAIO 1943



Trascrizione:

[?] - 7-8
Cari genitori,
vi scrivo queste mie due righe per farvi sapere che la mia salute è ottima e come spero da voi tutti e parenti.
Oggi stesso ricevetti il pacco con la roba ò trovato 10p sigarette 2 sc. Cerini un vasetto di m. pancere calze penna inchiostro buste quando lo ricevuto ero molto contento di avere qualcosa da scrivere e poi per far sapere mie notizie a tutti che non ò ancora scritto a nessun altro che voi [parole cancellate] scritto qualche lettera che avevo ancora.
Mi ha scritto il fratello e mi dice che non [?] scrivo a nessuno e vorrebbe sapere il perché spero che avrà ricevuto la mia cartolina così verrà sapere il perché non ò scritto finora a nessuno poi sa bene che io per scrivere a tutti non sono abituato come lui che li scrive a tutti.
Appena ò ricevuto il pacco lo aperto e ò trovato la marmellata mi sono messo a mangiarla subito che avevo una fame da lupo. Sono gia due mesi che mi trovo qui al fronte ma me la fame p.troppo credo che quando verrà altro pacco ci metterete qualcosa da mangiare roba in scatola. calze. 
Non pensate male per me che sono sempre in allegria e spero di tornare per all [foglio strappato] [?] saluti Camillo scrivete presto

La festa dei coscritti del 1922. Camillo, in seconda fila, è il secondo da destra.


sabato 6 aprile 2024

SAN GERARDO DEI TINTORI A VALGREGHENTINO di Claudio Consonni

 


L’Anno Santo gerardiano, in corso fino alla festa del 6 giugno, ha offerto l’occasione per fare delle ricerche e degli approfondimenti sul fondatore dell’Ospedale di Monza.

In questo articolo sarà utile fare attenzione ai termini perché necessari mentre sui risultati delle ricerche non possiamo dire che siano finite, invitando i lettori a contribuire tramite questo blog e/o direttamente alla mail sottoriportata.


“Ospedale San Gerardo dei Tintori” questa è la nuova denominazione assunta dal 1 gennaio u.s. perchè è cambiata la natura giuridica ed è diventato IRCCS. La specifica “dei Tintori” si è resa necessaria non solo per l’esistenza di diversi, tra Santi e Beati, col nome Gerardo ma anche perché ad alcuni di loro sono legati ospedali o potranno nascerne in futuro.


E’ noto a tutti che Gerardo dei Tintori sia stato un laico monzese del Medio Evo e che la sua genialità sia consistita non solo nel fare l’ospedale, impegnando tutte le sue proprietà a valle del Lambro, nel centro di Monza, ma anche nella decisione di regalarlo alla città convocando e impegnando i maggiorenti del clero e coloro che oggi chiamiamo ‘autorità civili’. Fin qui possiamo considerare questo benefattore un lungimirante e, infatti, non solo l’ospedale si è più volte ampliato ma è anche sempre cresciuto sino a polo universitario (Bicocca) e, appunto IRCCS. Quante benefiche iniziative sono state fonte di contenziosi e, purtroppo, naufragate, perché basate solo su testamenti interpretabili? Gerardo dei Tintori rese sia l’opera che la donazione  pubblica “trasparente”,  con un termine che va di moda oggi: entrambe queste decisioni avrebbero consentito di sopravvivere.


Tale munificenza e genialità passò inosservata in città!

La devozione a San Gerardo nacque però pochi giorni dopo la morte, in terra comasca, e investe Monza con un pellegrinaggio annuale che anche quest’anno si svolgerà il 25 aprile, alla presenza dell'Arcivescovo Mario Delpini.

www.sangerardo.org/annosanto

Gli Olgiatesi (Olgiate Comasco) che vengono a Monza da secoli a piedi hanno ‘contagiato’ sul loro percorso (che potremmo oggi dire pedemontano) sia la brianza comasca che quella milanese, per invadere il centro di Monza tra le vie Gerardo dei Tintori e San Gerardo a valle del Lambro ma anche del cavo Lambretto.


SAN GERARDO DEI TINTORI A VALGREGHENTINO

Cosa sia poi successo a Valgreghentino nel XIX secolo non è ancora chiaro anche se ben due cappelle su strada o viottolo, non all’interno di corti o giardini privati, sono state costruite e dedicate a quel San Gerardo come la tradizionale raffigurazione dell’attraversamento miracoloso sul Lambro in piena dimostra. Sappiamo anche con certezza che entrambe siano dovute alla famiglia dal cognome Gilardi (semplice assonanza del nome con nome Gerardo?) ma non è attestato, almeno sino ad oggi, un miracolo o un fatto.

La decisione di scegliere questo Santo, tra i pochissimi laici non solo dell’epoca, unico tra gli ambrosiani non ancora presente con una statua sul Duomo di Milano, resta un interrogativo aperto.

***

La cappella dedicata a San Gerardo dei Tintori in via San Gerardo a Valgreghentino

La Cappella più centrale, fatta costruire forse da Archelinto Gilardi, è divenuta patrimonio pubblico perché donata alla Comunità Montana Lario Orientale dall’ultimo discendente dei Gilardi, il signor Gianfelice Colombo, di cui Archelinto era bisnonno.

L'affresco della cappella dopo il restauro


Nell’affresco, come già accennato, è rappresentato San Gerardo che attraversa miracolosamente il Lambro, con l’aiuto di Maria, alla quale si rivolge in preghiera, che intercede presso il Padre, il cui volto appare nella parte alta del dipinto.

L'affresco con il rifacimento del volto di Maria, in seguito rimosso

Al momento della donazione la cappella era in cattive condizioni di conservazione e col concorso della Soprintendenza è stata restaurata. Nell’affresco mancava il volto di Maria. In un primo tempo la restauratrice, Silvia Baldis, lo aveva ridipinto, ma la soprintendenza l’ha fatto poi togliere.

Il Comune ha dedicato in anni recenti la via che dal centro porta a questa Cappella a “San Gerardo”.

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venerdì 5 aprile 2024

BREVE STORIA DI DUE GIORNALI DI VERDERIO: "CRONACA NOSTRA" E "L'INFORMATORE COMUNALE" di Marco Bartesaghi

Dagli anni settanta del secolo scorso si sono sviluppate a Verderio diverse iniziative di stampa locale, alcune durate diversi anni, altre meno, che segnalano una vivacità di partecipazione che non è mai, a mio avviso, del tutto venuta meno. 

Alcune di queste esperienze erano nate dai partiti e dai gruppi politici locali, altre da associazioni culturali presenti in paese. 

Anche le Amministrazioni Comunali, sia di Verderio Inferiore che Superiore, hanno prodotto e distribuito periodicamente opuscoli per informare i cittadini sulle attività svolte e sulle decisioni prese.

“Cronaca Nostra” e “L’Informatore Comunale”, fra queste esperienze di origine “pubblica”, sono senz’altro le più interessanti, perché hanno avuto, in particolare la prima, l’ambizione di andare oltre l’informazione amministrativa spicciola e affrontare temi di più ampio respiro, anche al di là dell’ambito locale.





CRONACA NOSTRA

Nasce nel 1986 come “periodico di informazione e dibattito curato dall’Amministrazione Comunale di Verderio Superiore”, quando a guidare il comune era la Democrazia Cristiana e il sindaco Armando Villa.

***

Una prima serie si compone di 7 numeri: il n.1 esce nel dicembre del 1986, il n. 7 nel gennaio del 1990. Il primo numero era stato preceduto, un paio d’anni prima, da un numero sperimentale, che non sono riuscito a rintracciare.

Il formato è A4, con una foliazione compresa fra le 15 e le 19 pagine (il n.2 ne aveva però solo 11); dal n.4 in poi viene stampato su carta riciclata.
La prima pagina si presenta con, in alto, il nome della testata: “CRONACA”, in caratteri maiuscoli alti 3 cm, fra due righe colorate; sotto, a destra, più in piccolo e in posizione obliqua, “nostra”, in corsivo minuscolo. Sotto il titolo, in un riquadro bordato di nero, il sommario.


Ferdinando Bosisio, assessore Cultura e Istruzione, ne è il responsabile.

Nel n.1 il sindaco spiega che il giornale ha lo scopo di “fornire in modo più completo possibile e a cadenza regolare informazioni sul nostro operato e per costituire un ponte fra noi e i lettori”, e per questo invita i cittadini alla collaborazione. 

Villa è fiducioso nella riuscita dell’iniziativa, perché la presenza nella redazione di rappresentanti delle opposizioni, Sinistra per Verderio e PSI, avrebbe garantito l’imparzialità dell’informazione.

La Commissione Istruzione e Cultura, presieduta da Ferdinando Bosisio, aveva approntato lo statuto e uno schema di giornale, che  avrebbe dovuto comprendere:
- rubriche fisse sulle attività dell’Amministrazione e delle Commissioni Comunali;
- cronache e iniziative riguardanti il paese;
- avvisi utili alla cittadinanza;
- lettere dei cittadini;
- un argomento di interesse comunale.

La Commissione non aveva accolto le proposte di Sinistra per Verderio di riservare uno spazio alle singole forze politiche e di realizzare il giornale in collaborazione con Verderio Inferiore.

Tra gli argomenti affrontati ricorrono più volte quello dell’autostrada Pedemonta, dell’unificazione dei comuni, del lavoro e si comincia a parlare di raccolta differenziata dei rifiuti.

Dal numero 2 viene introdotta una rubrica intitolata “La parola ai bambini”, nella quale scrivono gli alunni delle scuole elementari, su argomenti proposti dai maestri.

Non ci sono immagini, salvo alcune mappe riguardanti l'autostrada Pedemontana.

***

Una seconda serie si compone di 20 numeri (numerazione da 1 a 20; il 16 si ripete due volte - novembre 1998 e maggio 1999 – il 17 manca).

Il primo numero esce nel marzo del 1994; l’ultimo nell’aprile del 2001. Tre numeri ogni anno, tranne il 1995, quando ne vengono pubblicati quattro - poiché in aprile viene preparato uno speciale per le elezioni comunali - il 2000,  due numeri, e il 2001, uno solo, l’ultimo.

Responsabile e capo redattore è Enrico Scarpa, assessore Istruzione e Cultura nell’ultima amministrazione presieduta dal sindaco Armando Villa (1990-1995) e nella successiva presieduta da Ferdinando Bosisio (1995-1999). Scarpa manterrà il ruolo anche tra il 2000 e il 2001, quando sindaco è già Beniamino Colnaghi.

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