giovedì 1 ottobre 2020


 

INNATO CORAGGIO, una poesia di Cristina Carlotti

 

INNATO CORAGGIO


“…. A un certo punto

Non ce la fai più con la paura e

non si può far altro che

attraversarla e

arrivare così al Coraggio :

una forma che come

scultura

rimane dentro di noi

insieme ai nostri angeli…”

cri 12/III/2020



 

UN MONDO TRA REALTÀ E FANTASIA di Ivano Riva

Da Ivano Riva, un amico conosciuto da poco, ho ricevuto questo testo di ricordi e di fantasia che molto volentieri pubblico. M.B.

 

UN MONDO ... E FANTASIA

 ACQUA CORRENTE

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia…”
(Tratto da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni)  

 

Scorre l’Adda, scorre verso sud mantenendo fede alla direzione di quel ramo del lago. Dopo il lungo abbraccio materno e ristoratore lacustre, ora il fiume scorre placido e languido.
I Celti, popolo molto intelligente, quando per la prima volta intravvidero tra la folta vegetazione questo maestoso fiume, lo chiamarono da subito “Abdua”; da lì Adda cioè “acqua corrente”. Peccato non ci fosse uno nei paraggi che avesse fatto notar loro che ogni fiume è “acqua corrente”. Alcuni storici affermano che il termine “corrente” non è riferito allo scorrere delle acque, ma alla capacità di produrre energia elettrica che il fiume ha regalato e regala ancora alla comunità. Quindi, possiamo dire, se questa tesi è valida, che i Celti oltre che intelligenti possedevano anche il dono della preveggenza.
Lasciata Lecco, come dicevamo, il fiume non ha fretta nel suo viaggiare in pianura. È un susseguirsi di placide anse che bagnano i piedi ai monti; ogni tanto rallenta a formare lanche dormienti, infilandosi tra i canneti o lasciandosi accarezzare dalle fronde degli alberi.  

Poi, improvvisamente, a Paderno d’Adda, come se solo allora si fosse accorto di essere in ritardo all’appuntamento con il Po, il fiume si mette a correre a spron battuto lanciandosi in una lunga gola dalle sponde ripide e rocciose; monta su enormi massi lasciandoli  dietro immersi in una schiuma biancastra. È un susseguirsi di curve, controcurve e in questo frenetico andare, ansimante e caotico, non misura le forze, per ritrovarsi alla fine di questo inferno senza più energia. Ora il fiume è sfinito e chiede aiuto a gran voce.
L’Adda è fortunata, la sua richiesta di aiuto è raccolta da una comunità di persone di animo buono che qui vive da secoli. Discendenti dei Celti, queste persone hanno sviluppato un’economia e una cultura che li ha resi ancora più intelligenti dei padri. Infatti si chiamano “portensi”. Sembra un gerundio ma non lo è. Il significato di questo termine è “portatore di luce”, cioè di saggezza. Siamo a Porto d’Adda e qui il fiume si rigenera e si ristora tra sponde accoglienti. Vorrebbe fermarsi per sempre, godere di questa pace bucolica, assaporare le delizie del luogo e dimenticare il motivo del suo viaggio. Ma poi la ragione prevale sul cuore e il fiume riprende il percorso verso il Po.

 

BENVENUTI IN PARADISO

C’è una strada bianca che correndo tra campi fertili, giunge là, dove la pianura lascia il posto a una dolce valle che il fiume Adda ha scavato milioni di anni fa. La strada è affiancata da una roggia brulicante di vita palustre, e attorno sono campi di mais e grano. Qua e là si vedono i “casotti”, depositi per gli attrezzi agricoli. Si arriva da Cornate d’Adda e, dopo la cascina Brugherio, il viandante ha modo di scorgere le prime case del paese. Si giunge in paradiso passando per l’inferno.

Ebbene sì, com’è giusto che sia, il paradiso non è un diritto acquisito, lo si deve guadagnare senza cadere in tentazione. Cascina Brugherio è posta sul cammino per mettere alla prova la purezza d’animo del viandante. Tale cascina è la cartina di tornasole che misura la moralità di chi vuole arrivare alla santa soglia.

 

Sempione

Tra le floride attività commerciali di cascina Brugherio c’è il bar di Maria, luogo di sosta che regala tepore nelle fredde giornate invernali, e frescura nei lunghi e afosi pomeriggi estivi. La pulizia a dire il vero lascia molto a desiderare. La varietà delle bevande è limitata e la lingua madre della locanda non è l’italiano. Deficit, però, che vengono ampiamente compensati da una malcelata attività ludica che si svolge al piano superiore. Attività che si avvale di una lingua internazionale molto comprensibile a qualsiasi viandante. Da qui deriva la nomea della Maria alias “Maria ciapa bigul”. Capite quanto è difficile resistere alla tentazione di salire le scale che conducono al piano “nobile”? Bollenti pensieri nascono quando, sgolandosi una birra, si posano gli occhi sulle grazie della… ehm… timorata di Dio, mentre traffica dietro il bancone. Così, come un diavolo alimenta la fucina buttando sempre più carbone, la signora monta l’altrui produzione ormonale liberando dalle asole sempre più bottoni.
Punto di forza del bar sono i servizi igienici, di prima qualità e in numero tale da soddisfare ogni esigenza corporale degli avventori e, aggiungiamo, pure del circondario. Infatti nel cortile si trovano ben 7 gabinetti, uno di fianco all’altro come soldati al presentatarm. Le turche che ivi si possono trovare sono lavate non già da un’impresa delle pulizie, ma dallo scorrere dell’acqua piovana che filtra dai fori sul tetto. Infatti precario è lo svuotamento dei visceri in giornate di pioggia. Data questa peculiarità la padrona è detta anche “Maria set cess”.
Capita a persone di Porto, in gita di piacere o di lavoro che si trovino nella bassa bergamasca o magari nel varesotto, di sentirsi chiedere da dove vengano. Inutili sono i tentativi di collocare il paesello nelle vicinanze altisonanti come Trezzo, Vimercate, ecc. La gente a queste spiegazioni rimane con un’ipotetica bandierina in mano senza sapere dove collocarla sulla cartina geografica della Brianza. Ma, prima o poi, si alza dal capannello di curiosi una voce maschile che esclama perentoria “Ho capito, è dove c’è “Maria ciapabigul”.
Vasta è la popolarità di questa donna tra le fila dei maschi nostrani. Solo apprensione e stress regala invece all’altra “metà del cielo”, dove si aspetta con trepidazione il sospirato trapasso della nobildonna dandole modo di regalare i suoi diabolici servigi là, dove più sono consoni, cioè all’inferno.

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mercoledì 30 settembre 2020

MIA MAMMA HA 100 ANNI. VE LA PRESENTO di Marco Bartesaghi

 


 

 

Questa splendida ragazza è mia mamma. Il 25 settembre ha compiuto 100 anni. Permettetemi di presentarvela.

Si chiama Wanda, Wanda Simone. È nata a Saltrio, provincia di Varese, il 25 settembre 1920, dove suo papà, mio nonno, faceva la Guardia di Pubblica Sicurezza. Si chiamava Pasquale, era nato nel 1891 a Conca di Campania, in provincia di Caserta. Quando ero bambino ricordo che, a Lecco, faceva il custode di un deposito di biciclette sotto il cinema “Impero”, che poi divenne “Europa” ed ora non c’è più.  


Non ne sono sicuro ma la bambina di questa foto potrebbe essere Wanda con mamma e papà.

A Saltrio conobbe e sposò la nonna, Maria Pinardi. Dal loro matrimonio sono nati cinque figli: Wanda , la primogenita; Velledo, che da grande sarà un “grande pasticcere”; Orlando, che, negli anni dell’A. C. Lecco in serie A, aveva un qualche ruolo di dirigenza nella società; Ivo, odontotecnico; Rosangela, per tanti anni proprietaria, con il marito, del bar “Milano”, a Lecco in piazza Diaz.

La famiglia da Saltrio si trasferì a Milano e poi, come già avrete capito, a Lecco. Qui arrivarono per primi Wanda e Velledo che, poco più che bambini, avevano cominciato a lavorare nella panetteria in via Cavour che Domenico Canziani, marito della loro zia Teresa,  aveva rilevato nel 1932 dal precedente proprietario, Giuseppe Ermoli, un altro varesotto, e dove Velledo diventerà il “grande pasticcere” che vi ho preannunciato.

Il laboratorio del panificio Canziani negli anni trenta del secolo scorso: in centro, in abito scuro, Domenico Canziani; in fondo, a destra, lo si vede appena, il "garzone" Velledo Simone.

I genitori e gli altri fratelli giunsero a Lecco da sfollati, quando Milano cominciò ad essere bombardata.

Queste sono alcune fotografie di Wanda da giovane.


In centro con Velledo, in divisa, e la zia Teresa






Al mare













 

 

Finge di sciare, non è mai stata capace


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lunedì 28 settembre 2020

MONSIGNOR BENVENUTO SALA (1862 - 1931) di Marco Bartesaghi


 

 

Monsignor Benvenuto Sala nasce a Verderio  Superiore alle 8 di mattina del 4 dicembre 1862. I suoi genitori sono Giuseppe, classe 1825, camparo,  e Giuseppa Stucchi, nata a Busnago nel 1829. È il quinto di sei figli: prima di lui erano nati Carola Maria (1851), Rachele Angela (1853), Giovanna Luigia (1858), Enrico Emanuele (1860); dopo di lui, nel 1865, nasce Gesuina Maria.
 

Battezzato lo stesso giorno della nascita, Benvenuto porta il nome del suo padrino, il contadino Benvenuto Colombo.

 

 

 

 

 

 

Frequentato il liceo presso l’Istituto San Giuseppe di Monza e studiato teologia nel Seminario Maggiore, nel 1889 Benvenuto viene ordinato sacerdote ed è nominato coadiutore a Canzo. 

Immaginetta in ricordo dell'ordinazione sacerdotale di Benvenuto Sala (APSSGF) (1)

Nel 1891 diventa assistente dell’ospedale S. Maria di Loreto, in via San Vittore a Milano, incarico che conserverà per il resto della sua vita.
Con  un decreto, emanato il 14 aprile 1920 dal Cardinale Andrea Carlo Ferrari, Arcivescovo di Milano, Monsignor Benvenuto, che dal 1894 era membro del capitolo minore, è nominato canonico della Perinsigne Basilica di S. Ambrogio in Milano e  il 18 aprile, dopo aver prestato giuramento, entra a far parte del Capitolo della Basilica. 

Decreto di nomina a canonico di Sant'Ambrogio (ABSA) (2)

Benvenuto Sala è stato autore di numerosi opuscoli di argomento teologico e di una serie di studi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto e dei rapporti fra la Casa e la Santa Sede.
Per i suoi studi ha ricevuto alcune onorificenze che ora sono conservate nell’archivio della parrocchia dei santi Giuseppe e Floriano, ex – Verderio Superiore.
 

Il 16 agosto 1921 è insignito del Gran Cordone dell'Ordine Accademico al Merito Letterario e Scientifico dell'Accademia Internazionale di Lettere e Scienze di Napoli.

Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala dall'accademia napoletana (APSSGF)

Nello stesso anno riceve i diplomi di “Membre d'Honneur” di due accademie parigine: la “Société Académique d'Histoire Internazionale”


Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala “Société Académique d'Histoire Internazionale” di Parigi (APSSGF)

e la “Académie Latine des Sciences, Arts et Belle-Lettres”.



Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala “Académie Latine des Sciences, Arts et Belle-Lettres” di Parigi (APSSGF)


Monsignor Benvenuto  non ha mai interrotto i suoi rapporti con Verderio. Nella cascina San Giuseppe, in via dei Maggioli, dove abitavano ancora alcuni suoi parenti, aveva a disposizione una stanza per soggiornare nei brevi periodi di riposo dai suoi impegni, un piccolo oratorio ove pregare e, sul tetto, un abbaino da cui osservare le stelle.
In occasione della costruzione della nuova chiesa, consacrata il 26 ottobre 1902, Monsignor Sala contribuì, con un’offerta di 100 lire all’acquisto delle campane. Una sua “generosa offerta” è ricordata anche in occasione della costruzione dell'oratorio.




Benvenuto Sala muore  alla clinica San Giuseppe di Milano, il 5 settembre 1931.
Il suo corpo fu tumulato a Verderio Superiore la domenica successiva al funerale. La partecipazione degli abitanti di Verderio fu molto numerosa. La sua tomba si trova sul lato sinistro del viale centrale del cimitero di Verderio (ex Superiore).     







NOTE

(1)  La sigla APSSGF indica l'Archivio Parrocchiale SS Giuseppe e Floriano di Verderio, ex Superiore.

(2) La sigla ABSA indica l'Archivio della Basilica di Sant'Ambrogio di Milano


Marco Bartesaghi




MONSIGNOR BENVENUTO SALA: LE OPERE di Marco Bartesaghi

Monsignor Benvenuto Sala è stato autore di numerosi testi di teologia e di alcuni studi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto e sui rapporti fra questa e la Santa Sede.

Esplorando i cataloghi di diverse biblioteche  - Università Cattolica di Milano, Braidense, Nazionale di Firenze - sono riuscito a rintracciare 24 suoi libri, scritti fra il 1909 e il 1924

Hanno piccole dimensioni; alcuni si compongono di poche pagine, meno o poco più di dieci, altri di qualche decina, altri ancora superano il centinaio. Il più voluminoso, dedicato ad Adamo ed Eva e al peccato originale, raggiunge le 190 pagine.

Tutti i testi avevano ottenuto l'imprimatur dell'autorità ecclesiastica, stampato all'inizio o alla fine del volume. 

Li ho letti e cercato di fare di ognuno un breve e spero fedele riassunto, che qui vi presento seguendo l'ordine cronologico della loro pubblicazione, criterio che ho trasgredito per i due volumi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto che ho posto alla fine dell'elenco.

Avendo riprodotto fotograficamente tutti i testi, è mia intenzione salvarli su DVD e consegnare una copia alla biblioteca comunale e una all'archivio della parrocchia dei Santi Giuseppe e Floriano di Verderio.

 

 

I miracoli, D. Benvenuto Sala,
Milano, 1911, Tipografia di Carlo Fontana, 14 pagine.
 

Il libro si apre con il racconto di due episodi del Vangelo secondo Giovanni: le guarigioni di un infermo alla piscina Betzaetà (Gv, 5, 1-18) e di un nato cieco (Gv, 9, 1-41).
I miracoli, dice l’autore, sono eventi che oltrepassano le leggi e le forze della natura e vengono compiuti da Dio, in prima persona o tramite Maria e i Santi, per far risplendere la propria onnipotenza. I miracoli di Gesù servivano a provare la propria divinità e l’autenticità della chiesa cattolica.
La realtà dei miracoli , si lamenta Sala, è l’aspetto più contestato da parte dei nemici della chiesa, che mettono in dubbio la possibilità pratica che l’evento miracoloso sia avvenuto, e anche di persone che, pur essendo “Deiste”, li ritengono inutili ai fini dell’affermazione della fede. Contesta anche, con veemenza, il pensiero di quello che definisce “l’empio Spinoza”, secondo cui i miracoli non sarebbero altro che fenomeni naturali.
Proprio per distinguere con chiarezza quelli che sono i miracoli ad opera di Dio, della Madonna  e dei Santi, da effetti pur straordinari della natura è necessario secondo Sala studiare approfonditamente i caratteri dei primi, per poterne confermare l’autenticità, compito che spetta esclusivamente alla Santa Sede.
Molto spazio, nella seconda parte del libro è dedicato alla Madonna di Lourdes e ai miracoli a lei attribuiti.

 

 

 

La Chiesa di Gesù Cristo, Don  Benvenuto Sala
Milano, 1912, Scuola Tipografica Istituto San Gaetano, 14 pagine.
 

Definita come  “società dei fedeli uniti per la professione della medesima fede …”, elencati i nomi con cui appare nelle Sacre Scritture, spiegata la sua suddivisione in trionfante, purgante e militante, l’autore  specifica che si può far parte della chiesa solo mediante il Battesimo. Esclusi sarebbero quindi gli “ infedeli ed i giudei” , ma anche  “gli eretici, gli scismatici e gli apostati”, nonché gli scomunicati.
Quattro i caratteri che garantirebbero di riconoscere la “vera chiesa” dalle sette  scismatiche o ereticali:
l’unità, poggiante su tre fondamenti -la fede, i Sacramenti e i Pastori – e presieduta dall’autorità del Papa;   
la Santità, poiché essa  “offre a Dio il Sacrificio più santo che mai possa essere offerto, Gesù Cristo stesso”;
la cattolicità, ovvero la sua universalità; l’apostolicità, poiché trae la sua origine dagli apostoli che la fondarono.
Il seguito dell’opuscolo assume la caratteristica del pamphlet. La polemica dell’autore è rivolta ai massoni, al “giornalismo modernizzante” e, soprattutto,   alle chiese protestanti. Il fervore del testo, sottolineato dai punti esclamativi (anche ripetuti) che chiudono quasi tutte le frasi e i periodi, non è riscontrabile, mi risulta, nelle altre opere di Benvenuto Sala. 



I maomettani, D. Benvenuto Sala
Milano, 1912, Prem. Scuola Tip. Salesiana, 8 pagine.


In questo breve testo, l’autore presenta la religione islamica con parole molto severe, al limite dell’insulto. Nei primi paragrafi il  suo fondatore, Maometto, è definito falso profeta;  i suoi seguaci settatori fanatici, appartenenti a una “setta esiziale”; i principi su cui si fonda “composto mostruoso” di giudaismo e pseudo cristianesimo  e “impasto” di antiche eresie, favole stravaganti e paganesimo.
L’opuscolo presenta poi  i principi fondamentali della religione islamica ( l’esistenza di un solo Dio, il ruolo dei profeti, la figura di Gesù - il più importante dei profeti -, la santità degli apostoli , l’importanza della legge mosaica e dei vangeli, il ruolo di Maometto, inviato da Dio perché giudei e cristiani avrebbero alterato la verità e corrotto le sacre scritture) e i modi in cui i fedeli devono esprimere la loro appartenenza ( la preghiera, il digiuno,il pellegrinaggio, l’astensione dal vino e dalla carne di maiale, ecc.).
Confrontando la religione cattolica con islamica, l’autore afferma che mentre la prima si diffuse attraverso la predicazione pacifica, l’altra lo fece con la violenza e la guerra; l’una ha sempre predicato la lontananza dal mondo, l’altra la voluttà.
Il Corano (chiamato Alcorano), che prometterebbe  ai buoni un paradiso dove si godranno in eterno tutti i piaceri sensuali, viene accusato di propagare un pensiero “tutto lusinghiero, tutto umano, tutto carnale” e di avere solo per questo avuto tanto successo nella sua diffusione.
Infine Sala definisce Maometto “maledettissimo figlio di Satana”, paragonandolo  in ciò a Martin Lutero, per poi, con un legame poco chiaro, passare  all’ attualità dell'inizio del novecento e prendersela  con “L’Asino”, rivista satirica romana audacemente anticlericale, chiedendo, contro di essa, l’intervento delle autorità
.


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venerdì 25 settembre 2020

L'OPERA DI MONSIGNOR BENVENUTO SALA: POCA LA FARINA DEL SUO SACCO di Marco Bartesaghi

Ho iniziato un paio di anni fa la ricerca su monsignor Benvenuto  Sala che vi sto ora presentando. Un tempo piuttosto lungo, perché ho prima dovuto rintracciare i suoi libri in diverse biblioteche, leggerli e comprenderli abbastanza da poter fare dei riassunti che possano essere utili per un primo approccio alla sua opera.
Non è stato un lavoro facile, perché ho pochissima confidenza con i temi da lui trattati, e non so quindi se il risultato raggiunto possa essere considerato esauriente.
Devo però dire che, un po' inaspettatamente, alcuni suoi testi mi sono sembrati interessanti.  Mi sono accorto infatti che molti degli argomenti affrontati non mi sono così estranei, poiché hanno fatto parte, direttamente o indirettamente, della mia educazione, del mondo in cui sono cresciuto.
Per questo è stata ancor più sgradevole la scoperta in cui, ad un certo punto, mi sono imbattuto.

Il libro di Sala intitolato “La Grazia”  inizia con un brano virgolettato di cui non è indicata la provenienza. Per individuarla ho trascritto il brano in internet e ho trovato che era stato tratto da questo libro:
" Dizionario portatile della teologia , tradotto dal Francese nell'Italiano e accresciuto di note e di articoli dal P. D. Prospero Dell'Aquila, della Congregazione di Monte Vergine regio professore. Dedicato a Sua Eccellenza D. Giambattista De Marini, principe di San Gervasio” (1).

 


 

Incuriosito ho continuato a confrontare i due testi ed ho scoperto che sono quasi identici, come potete verificare confrontando anche voi i due testi:  





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho ripetuto l'esperimento confrontando altri libretti di Sala (2) con le omonime voci del dizionario di Dell'Aquila: il risultato è stato lo stesso, come potete verificare voi stessi comparando i brani dei due autori in coda a questo articolo, dopo le note.  

In conclusione, penso che Sala abbia in gran parte trascritto  l'opera di Dell'Aquila, travasandola nei suoi libri. 

Confesso che ci sono rimasto un po' male. Ho cercato, inutilmente, di trovare una giustificazione plausibile e mi sono fatto un paio di domande, che ho girato anche ad alcune persone più competenti di me:

- il dizionario tradotto da Dell'Aquila, per quel che sono riuscito a capire, non era un testo sconosciuto o dimenticato. La versione che ho trovato in internet,  su cui ho fatto il confronto, era stata stampata verso la metà dell'ottocento.  Sala era lodato nel suo ambiente per i suoi studi; un'Accademia di Napoli e un'altra di Parigi l'avevano premiato e decorato; il Cardinal Ferrari l'aveva nominato Canonico di S. Ambrogio anche per la sua opera. Possibile che nessuno si sia accorto di qualcosa di anomalo?
 

- oggi il comportamento di Sala sarebbe certamente censurato: è possibile invece che allora - siamo nei primi vent'anni del XX secolo - un fatto simile fosse in qualche modo accettabile e magari consueto?
 

Non so rispondere e non mi piace sparare giudizi. Penso però di poter dire che dell'opera di Benvenuto Sala, poca sia la farina del suo sacco.

NOTE

(1) - Prospero dell'Aquila era un monaco benedettino, nato a Sant'Andrea di Conza, in provincia di Avellino, nel 1715. Dedito agli studi di retorica e di teologia, aveva insegnato quest'ultima materia all'Università di Napoli per 15 anni. Nel  1763 smise di insegnare poiché fu nominato abate dell'abazia di Goleno, incarico che mantenne fino alla morte avvenuta nel 1764. Il “Dizionario portatile di teologia” da lui tradotto e arricchito, è un opera in tre volumi. In “books.google.it" ho trovato il secondo volume al seguente indirizzo: 

https://books.google.it/books.id=7KBdO6YC_bYC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false.

(2) -  Ho confrontato, oltre a “La Grazia”,  “Il Decalogo”, “Dio”, “L'episcopato”, Gesù Cristo”.

CONFRONTO FRA ALCUNI BRANI TRATTI DAI TESTI "GESÙ  CRISTO" E "DIO",  DI MONS. BENVENUTO SALA, E LE VOCI   "
GESÙ" E "DIO" DEL "DIZIONARIO DI TEOLOGIA" DI PADRE DELL'AQUILA.

Confronto fra brani della voce "Gesù" di Prospero Dell'Aquila, a sinistra, e brani tratti da  "Gesù Cristo" di Benvenuto Sala, a destra.

 


 

 

 


 

 

 

 

 






 

 

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giovedì 24 settembre 2020

COLLAGE, DISEGNI E SCRITTE SUI MURI DI NAPOLI di Marco Bartesaghi

Le fotografie di questo filmato sono state scattate  nell'agosto del 2019. Non sono il risultato di una ricerca organizzata sull'arte di strada a Napoli. Sono solo il frutto del mio girovagare da turista fra le vie della città.

La musica del filmato è stata scelta e inserita da Doriano Riva, che ringrazio.

 

 

                            


https://www.youtube.com/watch?v=MuxdGApc66A

 

domenica 10 maggio 2020

SU MERATEONLINE, UN MESSAGGIO DI DON RINO ALLA COMUNITÀ PARROCCHIALE

Don Rino Valente, vicario della parrocchia dei Santi Giuseppe e Floriano, da tempo convalescente per un operazione a cui si è dovuto sottoporre all'inizio dell'anno, ha postato su youtube un messaggio  di augurio e incoraggiamento alla comunità parrocchiale.

Ne consiglio l'ascolto, perché è un bel messaggio che penso possa essere apprezzato anche da coloro che non frequentano la parrocchia.

 
Lo potete trovare su merateonline  oppure cliccando su questo indirizzo:

https://www.youtube.com/watch?v=zBkRTK76pA0&feature=youtu.be

25 APRILE 2020. BELLA CIAO DAL BALCONE DI FABIO E ROSI


  


Link video

 
Bella Ciao da tante finestre e tanti balconi d'Italia. Così è stato l'ultimo 25 aprile.
Fabio e Rosi l'hanno cantato e suonato dal loro balcone e mi hanno concesso di pubblicarne la registrazione. 
Nel filmatoho aggiunto qualche dipinto murale:

Parigi, 2015, fotografata da Sara

Località Moregallo, 2013

Milano, piazzale Cimitero Maggiore, 2019
Lecco, zona ospedale, 2004. Autore Afran
Lecco, via Ferriera, 2011


sabato 9 maggio 2020

LECCO, 14 NOVEMBRE 1943. L'ASSASSINIO DI MAURIZIO ROBBIANI di Marco Bartesaghi

Vi racconto quello che so di Maurizio Robbiani, che aveva  17 anni quando fu ucciso a freddo da un milite delle Brigate Nere, in servizio  di ronda in via Cavour, a Lecco, il 14 novembre 1943.

Lecco, largo Montenero,monumento ai caduti nella lotta di Liberazione



Il suo nome compare fra le vittime del fascismo ricordate sulle lapidi del monumento ai caduti della Resistenza, in Largo Montenero.

Questa è una storia di famiglia, perché Maurizio era cugino di mia mamma.
Era nato a Saltrio (Varese) il 5 febbraio 1926, da Carlo e Barbara Pinardi. A Lecco si era trasferito per lavorare nel panificio in via Cavour, all’angolo con via Cairoli, dove oggi c’è  una libreria; panificio che un suo zio, Domenico Canziani, aveva rilevato nel 1932, dal precedente proprietario. Con lui lavoravano il fratello Luigi e i cugini Velledo e Wanda  Simone, anch’essi originari di Saltrio. Wanda è mia mamma.
 


 
Permesso di circolare nelle ore del coprifuoco, rilasciato a Maurizio, in quanto panettiere, dal comando militare germanico di Lecco

***

So ben poco di chi fosse realmente Maurizio. Non avendo fatto domande, quando era ancora possibile, alle persone che l’avevano frequentato, posso solo dedurre qualcosa su di lui attraverso alcune vecchia fotografie e qualche documento ritrovato.

Carta d'identità di Maurizio Robbiani

















La tessera dell'Unione Ginnica A. Ghislanzoni , rilasciata a Maurizio Robbiani nel 1942

Era un bel ragazzo, piuttosto alto, superava il metro e settanta; aveva occhi cerulei, frequenti nel lato materno della sua famiglia, e tratti regolari.
I suoi genitori erano rimasti a Saltrio e lui abitava in via Cairoli,  vicino  al panificio e alla casa degli zii.
Nel tempo libero frequentava gli amici; d’estate andava al lago, a fare il bagno o a remare. Nel marzo 1942  si era iscritto alll’Un. Ginn. “A.Ghislanzoni, che faceva parte della Reale Federazione Ginnastica d’Italia.



 
Maurizio, a sinistra, con i cugini Orlando e Velledo Simone





















 
Maurizio, in primo piano, a un pranzo di famiglia. Dopo di lui, in senso antiorario, il fratello Marino, la cugina Wanda Simone, lo zio Domenico Canziani, la zia Teresa Pinardi, il papà Carlo Robbiani, il fratello Luigi, la mamma Barbara Pinardi.

 
Maurizio al lago.


Dalla sua scheda personale, compilata il 25 settembre 1945 dall' Amministrazione Militare Alleata (A.M.G.) e sottoscritta dalla mamma, conservata all’A.N.P.I di Lecco, non risulta abbia mai aderito al partito fascista. Non si sa però se abbia mai espresso una particolare contrarietà al regime; forse, al momento della morte, condivideva l’atteggiamento di disincanto e di stanchezza comune ormai a molti italiani. Bisogna però tener conto che aveva solo 17 anni. Di certo non fu un partigiano combattente.

A.M.G. Ufficio patrioti - scheda personale di Maurizio Robbiani

***

Molti anni fa (1994) ho cercato, inutilmente, sul settimanale cattolico lecchese “Il Resegone” uscito nei giorni della sua morte notizie sul suo assassinio, perché di questo si trattò. Nella pagina della cronaca lecchese, la seconda delle due che componevano il giornale, nella rubrica “Stato civile di Lecco, riassunto dal  10 al 16 novembre”, tra i morti c’è la scarna frase: “Maurizio Robbiani, 17 anni , Panettiere”. C'è anche un necrologio firmato dalla famiglia, ma ne parlerò più avanti.
Ho anche cercato di sapere se, fra le carte d’archivio del giornale, fosse conservato un documento con cui le autorità “invitassero” a non dare la notizia dell’accaduto. Il signor Galli, che era responsabile amministrativo, mi spiegò che in quel periodo non era necessario un ordine specifico, i giornalisti sapevano di cosa si poteva parlare e di cosa era meglio tacere.
Una fonte possibile mi sembrò potesse essere il Liber  Cronicus del parroco, mons. G.B. Borsieri, ma dall’archivio della parrocchia di san Nicolò mi fecero sapere che quel documento era introvabile.
Infruttuosa è stata anche la ricerca più recente, 2019, fra le carte di prefettura e questura all’Archivio di Stato di Como.
La scheda personale di Maurizio, conservata all’A.N.P.I. di Lecco, in cui è definito “partigiano”, riporta  la notizia della morte e la attribuisce a una rappresaglia delle Brigate Nere locali.
Silvio Puccio, nel suo libro “Una Resistenza” (1), colloca Maurizio nell’elenco  dei caduti per rappresaglia durante il periodo clandestino e dice: “Civile ferito per rappresaglia e deceduto il 14.11.43 a Lecco”.


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Per ricostruire cosa sia successo quel 11 novembre del 1943, non mi restano che le parole di Teresa Pinardi, zia di Maurizio (mia prozia), moglie di Domenico Canziani.
Questo il sunto del suo racconto, che ho ascoltato il 17 giugno 1994.
 


È  sabato pomeriggio, intorno alle 17,30. Maurizio, Ivo e Orlando Simone, suoi cugini, e l’amico  B., nel’94 titolare di una merceria in via Roma, usciti dal cinema, sostano all’angolo fra via Mascari e via Cavour. Parlano e scherzano tra loro quando incrociano due giovani miliziani delle Brigate Nere in servizio di ronda. Uno dei militari, un certo "V". di Cantù, si sente preso in giro da un atteggiamento - una frase? un sorriso?  una smorfia? – di Maurizio. Gli si avvicina e lo colpisce con il calcio del fucile. Maurizio reagisce e gli dà dell’assassino. Il soldato spara e gli recide l’arteria femorale. È ancora vivo quando viene portato nella vicina casa della zio, ma muore prima che sopraggiunga il medico.
Il militare che ha sparato verrà in seguito trasferito in Piemonte, dove morirà prima della Liberazione. Per l’assassinio di Maurizio non c’è mai stato un processo.
Per permettere ai genitori di Maurizio di partecipare ai funerali serve la benzina. Canziani la chiede alle autorità locali. La ottiene, ma le autorità fanno pressione affinché la cerimonia mantenga un tono basso e non ci sia il corteo funebre. Ai fioristi viene intimato di non mandare fiori.
Si temono disordini, anche perché il giorno dopo la morte di Maurizio sembra che a Lecco ci sia stata un’altra sparatoria, perciò la milizia, il giorno del funerale, è tutta consegnata in caserma.

 Le limitazioni richieste non furono però ascoltate. I fiori arrivarono e la gente, incoraggiata dall'assenza delle guardie, si accodò al corteo che alla fine raggiunse una notevole consistenza e  fu accompagnato per tutto il suo percorso da tante persone ferme ai suoi lati.
 

Le fotografie scattate quel giorno, che la zia Teresa conservava in un album, e il necrologio pubblicato da “Il Resegone” rendono testimonianza di quella partecipazione.
 

Questo il testo del necrologio:
"Le famiglie Robbiani e Canziani, profondamente commosse per l'imponente attestazione di cordoglio e di stima tributate al loro adorato Maurizio ringraziano con devota gratitudine tutti coloro che hanno partecipato alle estreme onoranze del congiunto e che comunque hanno partecipato alla loro indicibile, grande sciagura. Lecco, 17 novembre 1943."



L'immagine in ricordo di Maurizio, distribuita dalla damiglia a parenti e conoscenti


Queste le immagini del funerale:

Il feretro lascia l'abitazione di via Cavour

Il corteo funebre percorre la via Cavour

All'angolo con via Roma. Teresa Pinardi, a capo scoperto, e, ditro di lei, il marito, Domenico canziani
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