Ciao Marco,
oggi interrompo un po' prima i miei doveri lavorativi, ottima scusa la tua mail per fermarmi un attimo e, rispondendo alle tue domande, riassaporare le emozioni delle giornate vissute la scorsa settimana sulle Alte Vie della Val d'Aosta, impegnata nel Giro dei Giganti , il Tor de Gèants, alla sua prima edizione assoluta, prima che entrerà nella storia del trail, nella storia della regione Val d'Aosta, nella storia di tutti gli atleti che hanno partecipato, di chi ha mollato all'inizio o dopo la metà, di chi ha tagliato il traguardo per primo o per ultimo, dei mille
volontari che erano impegnati giorno e notte a prestare assistenza e soccorso, dei tanti amici e famigliari che in live da casa seguivano tappa per tappa i loro concorrenti, di chi è riuscito a vederli passare all'alba, al tramonto , sotto il sole, in fondo alla valle o in cima ad uno dei 25 colli, innamorandosi così un po' anche loro della corsa in montagna. L'hanno descritta come la corsa più dura mai organizzata in Italia, il giro della Val d'Aosta lungo 332,538 chilometri, 24.000 metri di dislivello positivo e altrettanti in negativo, che per molte ragioni sono ben più difficili delle salite. 150 h il tempo massimo per portare a termine la prova, vince chi impiega meno tempo gestendosi i riposi e le fermate ai ristori. Per me era il primo endurance trail a cui con riverenza e tanti timori mi avvicinavo. Il tracciato è splendito, concatena le Alte Vie 2 e 1 della Valle d'Aosta: si parte da Coumayer e con l'Alta Via 2 si raggiunge Donnas, il punto più basso a 300 m, poi è l'Alta Via 1 che ti riporta a Coumayer. Detto così sembra facile. In realtà per farlo si scavalcano 25 colli sopra i duemila metri, il più alto è il Col Loson, a 3298 metri, il mio preferito l'Entrelor , o il Malatrà ,difficile scegliere. Si passa vicino ai quattro
giganti delle Alpi, i nostri 4000: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Paradiso ed il Cervino. Ma non posso dimenticare la vista sul Mon Velan o il ghiacciaio del Rutor,ricordi di trascorse vette scialpinistiche. Si attraversano i Parchi Naturali del Gran Paradiso e del Del Mont Avic, 30 laghi alpini, 34 sono i comuni coinvolti, 7 le basi vita (Valgrisanche, Cogne, Donnas, Gressoney, Valtournanche, Ollomont e Coumayer), 43 i punti ristoro. Centinaia i volontari, molte guide alpine, gestiori di rifugi ed alpeggi, soccorso alpino e primo soccorso, persone speciali di cui ho ammirato la preparazione e la disponibilità. Erano lì per noi, in cambio solo la nostra infinita riconoscenza, e un po' anche per l'Alta Via e per la rivalutazione delle loro montagne. Questo trail è stato oltre che una manifestazione sportiva agonistica unica , anche un potente mezzo di promozione turistica per il territorio valdostano e per tutti i comuni coinvolti. La regione ci ha creduto molto, ha stanziato fondi decisamente straordinari rispetto a quelli che normalmente destina alle associazioni che organizzano trail o gare sportive anche di una certa rilevanza, cogliendol'occasione per impegnare tutte le valli nella manutenzione dei sentieri e nel rinnovo e completamento della segnaletica. Sino ad ora le Alte Vie valdostane si perdevano, la 2 terminava a Chardonney, sotto la Finestra di
Champorcher, la 1 partiva da Gressoney. Adesso sono state unite in un unico titanico anello, utilizzando sentieri percorsi solo per aggiungere villaggi isolati e ruderi dimenticati. Hanno aggiunto tutto il tracciato che da Donnas porta a Gressoney, lambendo il territorio biellese. E se è vero che le nostre strade asfaltate si distruggono più passano macchine, e adesso ne passano veramente troppe, per i sentieri vale il contrario, più sono percorsi più diventano visibili, semplici, percorribili da tutti. E così ciascuno dei 310 atleti partiti da Courmayer certamente voleva compierel'impresa della sua vita, vivere l'emozione di fare il giro delle Alte Vie con le proprie forze, una grande prova agonistica e personale; ma insieme ha contribuito a ridisegnare con tracce indelebili un percorso nella storia e nelle montagne della Valle d'Aosta. Io ero con loro, quella Domenica mattina 12 Settembre alle h.10 nella piazza Abbé Henry di Coumayer. Ero con loro a tagliare il mio traguardo il Sabato successivoall'una di notte.
volontari che erano impegnati giorno e notte a prestare assistenza e soccorso, dei tanti amici e famigliari che in live da casa seguivano tappa per tappa i loro concorrenti, di chi è riuscito a vederli passare all'alba, al tramonto , sotto il sole, in fondo alla valle o in cima ad uno dei 25 colli, innamorandosi così un po' anche loro della corsa in montagna. L'hanno descritta come la corsa più dura mai organizzata in Italia, il giro della Val d'Aosta lungo 332,538 chilometri, 24.000 metri di dislivello positivo e altrettanti in negativo, che per molte ragioni sono ben più difficili delle salite. 150 h il tempo massimo per portare a termine la prova, vince chi impiega meno tempo gestendosi i riposi e le fermate ai ristori. Per me era il primo endurance trail a cui con riverenza e tanti timori mi avvicinavo. Il tracciato è splendito, concatena le Alte Vie 2 e 1 della Valle d'Aosta: si parte da Coumayer e con l'Alta Via 2 si raggiunge Donnas, il punto più basso a 300 m, poi è l'Alta Via 1 che ti riporta a Coumayer. Detto così sembra facile. In realtà per farlo si scavalcano 25 colli sopra i duemila metri, il più alto è il Col Loson, a 3298 metri, il mio preferito l'Entrelor , o il Malatrà ,difficile scegliere. Si passa vicino ai quattro
giganti delle Alpi, i nostri 4000: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Paradiso ed il Cervino. Ma non posso dimenticare la vista sul Mon Velan o il ghiacciaio del Rutor,ricordi di trascorse vette scialpinistiche. Si attraversano i Parchi Naturali del Gran Paradiso e del Del Mont Avic, 30 laghi alpini, 34 sono i comuni coinvolti, 7 le basi vita (Valgrisanche, Cogne, Donnas, Gressoney, Valtournanche, Ollomont e Coumayer), 43 i punti ristoro. Centinaia i volontari, molte guide alpine, gestiori di rifugi ed alpeggi, soccorso alpino e primo soccorso, persone speciali di cui ho ammirato la preparazione e la disponibilità. Erano lì per noi, in cambio solo la nostra infinita riconoscenza, e un po' anche per l'Alta Via e per la rivalutazione delle loro montagne. Questo trail è stato oltre che una manifestazione sportiva agonistica unica , anche un potente mezzo di promozione turistica per il territorio valdostano e per tutti i comuni coinvolti. La regione ci ha creduto molto, ha stanziato fondi decisamente straordinari rispetto a quelli che normalmente destina alle associazioni che organizzano trail o gare sportive anche di una certa rilevanza, cogliendol'occasione per impegnare tutte le valli nella manutenzione dei sentieri e nel rinnovo e completamento della segnaletica. Sino ad ora le Alte Vie valdostane si perdevano, la 2 terminava a Chardonney, sotto la Finestra di
Champorcher, la 1 partiva da Gressoney. Adesso sono state unite in un unico titanico anello, utilizzando sentieri percorsi solo per aggiungere villaggi isolati e ruderi dimenticati. Hanno aggiunto tutto il tracciato che da Donnas porta a Gressoney, lambendo il territorio biellese. E se è vero che le nostre strade asfaltate si distruggono più passano macchine, e adesso ne passano veramente troppe, per i sentieri vale il contrario, più sono percorsi più diventano visibili, semplici, percorribili da tutti. E così ciascuno dei 310 atleti partiti da Courmayer certamente voleva compierel'impresa della sua vita, vivere l'emozione di fare il giro delle Alte Vie con le proprie forze, una grande prova agonistica e personale; ma insieme ha contribuito a ridisegnare con tracce indelebili un percorso nella storia e nelle montagne della Valle d'Aosta. Io ero con loro, quella Domenica mattina 12 Settembre alle h.10 nella piazza Abbé Henry di Coumayer. Ero con loro a tagliare il mio traguardo il Sabato successivoall'una di notte.
Come mai hai deciso di partecipare?
L'idea è nata in una piccola enoteca. Lo so, detta così suona quasi che ero un po' sbronza e quindi non potevo prendere decisioni sagge. In realtà sono completamente astemia e in enoteca sono gli altri che bevono anche il mio bicchiere. Ci ritroviamo spesso lì con alcuni amici frequentatori del parco di Monza, lì si allenano con costanza e vantano traguardi e risultati che per me sono e resteranno irraggiungibili. Lì si parla di allenamenti, ma anche di progetti piccoli e grandi. C'era Marco, mio compagno, Flaminio e Davide, credo fosse oramai più di sei mesi fa. Con loro l'estate 2009 avevamo organizzato in completa autonomia uno splendido viaggio in mountain bike in Ladakh, il Paese degli alti Valichi nell'India del Nord, abbiamo percorso la Spiti Valley, la Manali-Leh e poi lo Zanskar fino a Padum, scavalcando passi oltre i 5000 metri d'altezza. Proprio quei territori diventati quest'estate tristemente famosi perché devastati da tante alluvioni e dal passaggio di monsoni. C'era la voglia di darsi un nuovo obiettivo e Marco ha messo sul tavolo una paginetta stampata da internet, poche righe che riassumevano il Tor de Geant. Lasciandoci quella sera ci siamo detti: va bene pensiamoci e poi vediamo. La mattina successiva sono arrivata in ditta un po' prima e ho formalizzato, già emozionata, la mia iscrizione via internet. Marco e gli altri sono rimasti spiazzati, ma dopo poco anche loro figuravano tra i primi 50 iscritti nel sito del Tor. E trascinato a ruota un altro amico di Milano, Vittorio. Nessuno di noi aveva mai partecipato a nulla del genere, certo tutti sportivi, tutti amanti della corsa su strada e in montagna, alcuni da anni partecipano a skyrace, io la novellina che si lascia coinvolgere in un attimo, avrò alle spalle sì e no una decina di skyrace ma tanti, troppi bei ricordi e forti emozioni. Una gara del genere non poteva che aggiungerne tanti altri, ci è voluto veramente poco per convincermi.
Quale obiettivo ti eri prefissa?
Obiettivo dalla prima all'ultima tappa: arrivare al traguardo, rispettando tutti i cancelli stabiliti da regolamento, e arrivare in salute e in forma sia fisica che mentale. La gara più lunga che avevo affrontato a Luglioanche come preparazione , il Grand Trail Valdigne (87km, 5000 m di dislivello) mi aveva insegnato qualche cosa: dopo 50 km in cui mi era sembrato di volare, ho pagato le conseguenze di discese troppo veloci e salite su terreni bagnati dal forte temporale, e ho tagliato il traguardo su una gamba sola, sorretta da un bastoncino di un amico che mi ha trovato zoppicante nella notte mentre in più di tre ore cercavo di percorrere l'ultima infinita discesa, la discesa più dolorosa della mia vita. Per una settimana due piedi e due gambe che sembravano zamponi, poi la diagnosi: tenosinovite alla loggia tibiale anteriore e posteriore di entrambe le gambe. E così costretta al riposo per un mese, una sofferenza per chi è abituato ogni giorno a praticare sport, diventa una cosa di cui non puoi proprio fare a meno, come per molti la tazzina di caffé al bar o la sigaretta dopo mangiato. Dopo questo stop forzato mi sono promessa che non avrei mai più superato il limite, e che se il mio corpo mandava segnali avrei saputo ascoltarli e rispettarli. E così ho fatto, forse ho chiuso un occhio negli ultimi trenta km ignorando un po' di dolori e buttando giù un paio di antinfiammatori, ma oramai ero arrivata.
Come ti sei preparata?
La preparazione è la parte più bella di qualsiasi gara. Te lo potranno confermare tanti runner che vedo correre per Verderio alle ore del giorno più svariate, c'è chi lo fa per svago, per salute, per dimagrire. Ma chi lo fa per preparare una gara, magari una maratona, e vuole migliorarsi o raggiungere un obiettivo, anche modesto, normalmente segue delle tabelle. E così ho seguito più o meno delle tabelle che prevedevano una preparazione di 4 mesi, con 3 "lavori" principali e 2-3 sedute opzionali. E poi alla domenica qualche gara di Skyrace: il Trofeo Gherardi in val Taleggio, la Resegup che da Lecco ci ha portato in un attimo in cima al Resegone, la Valmalenco-Valposchiavo che ripercorre le antiche tracce dei contrabbandieri, l'Ultramarathon del Ticino, il Trail sul Monte Soglio. Ma gli allenamenti che ricordo di più sono le ripetute sul San Genesio all'alba o le discese dal Cornizzolo dopo il tramonto, la "Direttissima" illuminata solo dalla luce della pila frontale , mentre cerco di imparare la giusta tecnica di impiego dei bastoncini, non senza devastanti cadute.
Lavorando di giorno e per tante ore lo spazio e il tempo per allenarmi durante la settimana sono sempre in orari un po' anomali, presto la mattina o tardi la sera, ma questo regala anche panorami, colori, silenzi ed emozioni che pochi conoscono . I week end poi sono ottimi per gli lunghi e i doppi lunghi e ho la fortuna che partendo da casa in un attimo mi ritrovo sull'Adda, ottimo terreno di allenamento. In agosto poi sono andata a provare il percorso in tappe, è stata la mia vacanza. Il tempo era pessimo, e così siamo stati costretti più volte a rinunciare ai colli più alti o a bivaccare per l'impossibilità di proseguire per troppa neve. Ma quasi tutto
il tracciato in un modo o nell'altro l'avevo provato, l'ultima tappa che mi rimaneva , quella da Valtournanche a Ollomont, l'ho provata la domenica prima della partenza, quando a Verderio correvate tutti o quasi per quella corsa che una volta era la Sgambada Verderiese e che certamente l'anno prossimo tornerà ad esserlo. L'ho corsa sin da quando ero piccina, questo era il primo anno che non c'ero, ma si trattava di una causa di forza maggiore.
Come si svolge la gara ( di corsa, camminando, come ci si riposa, come ci si nutre, come ci si orienta, quali sono i controlli)?
La gara la fanno tutta di corsa solo quelli che poi si piazzano nelle prime posizioni, , gli altri camminano veloci in salita e corrono chi più chi meno veloce in discesa. Bisogna gestirsi i riposi nelle basi vita, dove si può mangiare e dormire quanto si vuole, sempre rispettando però i limiti dei cancelli orari. Fuori dalle basi vita da regolamento si può dormire solo due ore, in realtà i rifugi, persino un bed and brakfast e una tenda dell'infermeria ci hanno accolto anche per più ore. Certamente nutrizione e riposo sono due punti critici di questa gara, quelli che fanno la differenza. Bisogna essere in grado di mandare giù tra le 6.000 e le 8.000 calorie al giorno, e lo devi fare con alimenti che digerisci velocemente pur ingurgitandoli tra un ristoro e l'altro, se non che addirittura in movimento. Non facile per una come me che a cena finisce sempre inevitabilmente per ultima. Il riposo poi è la carta che ti fa perdere o vincere: il primo, l'altoatesino Ulrich Gross, è arrivato mercoledì sera dopo 80 ore e mezza, dormendo 2 h e mezza in microsonni. Tanti più umani si sono ritirati convinti di poter arrivare al traguardo dormendo si e no un'ora e mezzo al giorno, salvo poi crollare congelati tra i licheni ed alzarsi la mattina dopo bagnati ed infreddoliti. Una gara insomma da gestire, sicuramente il fatto di aver percorso in agosto il tracciato mi ha aiutato a non compiere errori madornali, ero partita con un programma che definiva partenze ed arrivi, punti e durata delle soste. Più o meno sono riuscita a rispettarlo, per alcuni problemi abbiamo ritardato l'arrivo ad Ollomont e trascorso l'ultima notte quasi insonne. Il giorno successivo mi accorgevo io stessa di non avere lucidità mentale e dovevo cercare dappertutto le forze per proseguire. Il mio cellulare, acceso solo l'ultimo giorno giunti alla base vita di Ollomont, ha scaricato alcuni bellissimi messaggi di persone che mi seguivano da casa e tifavano per me, mia zia , mia cugina, sono arrivati al momento giusto e mi hanno dato una marcia in più per proseguire. Sicuramente la deprivazione di sonno è una delle difficoltà maggiori della gara, soprattutto considerando che più sport si pratica maggiore dovrebbe essere anche il riposo.
Momento (o momenti più belli)?
Tre i momenti più belli: il primo la discesa dal Col Fenetre su Rhemes Notre Dame, svalichiamo al buio, siamo in tre, io , Marco e Vittorio, tre piccole torce nella notte che scivolano a valle. Lì sotto a distanza intravedo due figure, sono lì che mi aspettano lo so, questa è sempre stata la nostra valle. Quando ero piccola e fino ai miei sedici anni mio padre insieme con sei colleghi avevano in affitto una piccola baita a 2300 metri di altezza, in località Tumel, si chiamava la Baita dei Sette Nani. Mancava tutto, il gas, la luce, l'acqua. Bisognava inventarseli. Portare le taniche e scaldare l'acqua di giorno, andare a dormire al calare delle tenebre. Qui ho i ricordi delle mie vacanze più belle. E mio papà e mia mamma sapevo che non potevano che aspettarmi lì, infreddoliti ed avvolti nelle loro giacche a vento perché erano solo le sei e mezza del mattino. Emozionati più di noi, li ritroveremo poi al traguardo, all'una di notte.
Il secondo il tramonto che ha riempito di rossi, poi di aranci e poi di rosa la Val d'Aosta mentre risalivo da Donnas verso il Rifugio Coda, lo avevo alle spalle ma non potevo non fermarmi in continuazione per guardarlo, toglieva il fiato. E arrivati poco prima del rifuglio, sul Col Carisey, le mille luci di Biella che riempivano l'altro lato della valle, un presepe aspettato a fine estate.
Il terzo la corsa per arrivare in cima al Col Malatrà prima del buio, attaccarsi alle corde, sporgere il muso dall'altra parte, verso la Val Ferret, e trovarsi all'improvviso davanti un Monte Bianco vestito di rosso, immenso. Non può non venirti una gran voglia di corregli incontro, anche seoramai hai già percorso più di 315 km.
Valeva la pena? Lo rifaresti?
Valeva la pena... certamente! sono contentissima di averlo fatto, di averlo portato a termine, di essere tra quel 40 % degli atleti che sono riusciti a prendere l'ultima medaglia, quella di Coumayer. Ne conservo una per ogni base vita conquistata. Lo rifarei? rifarei certamente il Tor se lo trasformassero in una gara a tappe. Fatto così, in un'unica tappa, non si può gustare interamente la bellezza del giro proposto. Io per fortuna l'avevo già percorso d'estate, salvo pochi tratti, e quindi quello che mi sono persa in piena notte lo conoscevo. Ma tanta gente, anche tanti atleti stranieri che magari non torneranno più in Val d'Aosta, non possono dire di aver visto ed assaporato la bellezza delle nostre Alte Vie. Secondo me avrebbe più senso organizzare 6 o 7 tappe e sommare i singoli tempi, lasciando la possibilità ad esempio di partire da una base vita alle quattro della mattina ed arrivare fino alle 22 di sera. In questo modo si eviterebbe che persone stanche si aggirino nella notte in posti che possono diventare pericolosi. Quest'anno è andata sicuramente bene, il meteo è stato splendido, ma se le condizioni fossero diventate quelle che io ho trovato a metà agosto con le scarpette da ginnastica a 3000 metri d'altezza e con tre notti insonni alle spalle è veramente troppo facile che qualcuno si faccia del male. La gara non la fermerebbero, perché questa è la gara dei "giganti", e gli atleti devono essere preparati ad affrontare qualsiasi condizione metereologica. Gara a tappe o severa selezione alla partenza, mi verrebbe quasi da richiedere un test psicologico-attitudinale. Ho visto persone deambulare troppo pericolosamente nella notte e non tutti sapevano quanto la montagna può diventare severa e seriamente pericolosa.