venerdì 24 gennaio 2014
27 GENNAIO - GIORNO DELLA MEMORIA
Sulla famiglia Milla puoi leggere su questo blog l'articolo:
L'ARRESTO E LA DEPORTAZIONE DI UNA FAMIGLIA DI EBREI A VERDERIO SUPERIORE (1943)
pubblicato il 22 marzo 2009
QUALE MEMORIA? di Federico Bario
“Ricordare perché questo non accada mai più”.
Frase obsoleta, fiacca.
Guardatevi attorno, ascoltate le voci che chiamano la violenza.
Sono molte.
E, nella fattispecie, gonfie di ipocrisie.
Sono quelle di coloro che per giustificare il fastidio che provano nei confronti dell' “estraneo” (l'ebreo) lo nascondono dietro pelosi distinguo, del tipo: “Sono antisionista, non antisemita... una volta all'anno anch'io celebro la Giornata della Memoria per ricordare l'Olocausto (termine inappropriato: consultare il dizionario, per favore) degli ebrei. Mai più...”
Il giorno dopo, con la coscienza immacolata, essi possono tornare ad essere quello che in realtà sovente sono: e cioè quegli antichi razzisti che si sganasciano dalle risate al monologare delirante del comico che conta venti milioni di contatti in rete: quel Dieudonné che incita alla violenza nei confronti degli ebrei, applaudito a destra e a manca.
Ospite d'onore ad uno dei suoi spettacoli, il negazionista Robert Faurisson.
“La memoria è scomoda”, ammoniva padre Camillo de Piaz quando lo incontrai a Madonna di Tirano nel 2001, dunque “stiamo assistendo a un tentativo di cancellazione totale (...) Lo sterminio è l'esempio più terrificante di un fenomeno generale che si ripropone nel tempo sotto forme e latitudini diverse: l'uomo senza memoria è uno schiavo, una sorta di oggetto manipolabile, senza identità”.
Certo: come si può evocare la Memoria il 27 gennaio ed essere poi nel corso dell'anno che resta dei volonterosi e ipocriti smemorati?"
Federico Bario
Frase obsoleta, fiacca.
Guardatevi attorno, ascoltate le voci che chiamano la violenza.
Sono molte.
E, nella fattispecie, gonfie di ipocrisie.
Sono quelle di coloro che per giustificare il fastidio che provano nei confronti dell' “estraneo” (l'ebreo) lo nascondono dietro pelosi distinguo, del tipo: “Sono antisionista, non antisemita... una volta all'anno anch'io celebro la Giornata della Memoria per ricordare l'Olocausto (termine inappropriato: consultare il dizionario, per favore) degli ebrei. Mai più...”
Il giorno dopo, con la coscienza immacolata, essi possono tornare ad essere quello che in realtà sovente sono: e cioè quegli antichi razzisti che si sganasciano dalle risate al monologare delirante del comico che conta venti milioni di contatti in rete: quel Dieudonné che incita alla violenza nei confronti degli ebrei, applaudito a destra e a manca.
Ospite d'onore ad uno dei suoi spettacoli, il negazionista Robert Faurisson.
“La memoria è scomoda”, ammoniva padre Camillo de Piaz quando lo incontrai a Madonna di Tirano nel 2001, dunque “stiamo assistendo a un tentativo di cancellazione totale (...) Lo sterminio è l'esempio più terrificante di un fenomeno generale che si ripropone nel tempo sotto forme e latitudini diverse: l'uomo senza memoria è uno schiavo, una sorta di oggetto manipolabile, senza identità”.
Certo: come si può evocare la Memoria il 27 gennaio ed essere poi nel corso dell'anno che resta dei volonterosi e ipocriti smemorati?"
Federico Bario
giovedì 23 gennaio 2014
QUALCHE MESE DI GUERRA. Diario di Renato Di Segni. Prefazione di Fabio Di Segni
Qualche mese fa il signor Fabio Di Segni mi scrisse per chiedermi ulteriori notizie rispetto a un argomento affrontato dal blog, richiesta che, come purtroppo spesso mi capita, non fui in grado di esaudire.
La mail che ricevetti era corredata da un prezioso allegato: un testo, scritto da suo padre, intitolato QUALCHE MESE DI GUERRA Diario di Renato Di Segni (1943 – 1944), racconto delle vicende vissute da una famiglia di ebrei -Renato, il padre, Fabio, il figlio di un anno, e Nora Lombroso, la madre – in fuga dalla persecuzione nazifascista.
Il 19 luglio 1943, data del primo bombardamento di Roma, e il 4 giugno 1944, data della sua Liberazione, sono gli estremi temporali della storia.
8 settembre 1943, armistizio; 25 settembre 1943, ordine dei nazisti alla Comunità Ebraica di Roma di consegnare 50 kg d’oro entro 48 ore; 16 ottobre 1943 , cattura e deportazione degli ebrei romani; 24 marzo 1944, eccidio delle Fosse Ardeatine: le altre date salienti
In mezzo la vita di tutti i giorni, la ricerca di cibo, di un rifugio sicuro, di documenti falsi, di notizie su amici e parenti anch’essi in fuga e le previsioni e le speranze sull’arrivo degli alleati e quindi della libertà.
Un diario mai fatto leggere a nessuno e ritrovato dal figlio molti anni dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1974.
Fabio Di Segni mi ha consentito di presentare sul blog il testo di suo padre, finora uscito solo in una edizione privata e pubblicato parzialmente su un numero di “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, dell’ottobre scorso. Lo ringrazio infinitamente per avermi concesso questo privilegio.
Fabio mi ha fornito anche alcune notizie supplementari su suo padre e su alcuni personaggi che appaiono nel testo.
Renato Di Segni (1908 – 1974), perse il padre quando aveva 10 anni; nel 1926 trovò impiego come rappresentante e, lavorando, riuscì a conseguire la laurea; dopo la guerra divenne uno dei più stimati agenti di commercio del ramo tessile.
La moglie Nora Lombroso, oggi ha 93 anni ed è in buona salute.
Emilia e Giorgio Cabrusà sono stati dichiarati Giusti d’Italia; Giorgio Modigliani era fratello di Franco, premio Nobel per l’economia nel 1985.
LE IMMAGINI
Il testo che ho ricevuto non era accompagnato da immagini. Avrei potuto utilizzare quelle sull’argomento rintracciabili sul web, che ne è ricchissimo. Ho invece pensato che quella che Renato Di Segni racconta è una storia d’amore fra un marito e una moglie; fra loro e il loro bambino e fra loro e tante famiglie che ne condividevano l’amara sorte. Ho perciò deciso di utilizzare i dipinti di Chagall, che dell’amore sono un inno, alcuni particolari che ho fotografato al Museo nazionale del messaggio biblico di Nizza.
AVVERTENZA
Il testo è piuttosto lungo. Per leggerlo dovete cliccare sulla frase “Continua a leggere l’articolo” che trovate subito dopo la prefazione di Fabio Di Segni.
La mail che ricevetti era corredata da un prezioso allegato: un testo, scritto da suo padre, intitolato QUALCHE MESE DI GUERRA Diario di Renato Di Segni (1943 – 1944), racconto delle vicende vissute da una famiglia di ebrei -Renato, il padre, Fabio, il figlio di un anno, e Nora Lombroso, la madre – in fuga dalla persecuzione nazifascista.
Il 19 luglio 1943, data del primo bombardamento di Roma, e il 4 giugno 1944, data della sua Liberazione, sono gli estremi temporali della storia.
8 settembre 1943, armistizio; 25 settembre 1943, ordine dei nazisti alla Comunità Ebraica di Roma di consegnare 50 kg d’oro entro 48 ore; 16 ottobre 1943 , cattura e deportazione degli ebrei romani; 24 marzo 1944, eccidio delle Fosse Ardeatine: le altre date salienti
In mezzo la vita di tutti i giorni, la ricerca di cibo, di un rifugio sicuro, di documenti falsi, di notizie su amici e parenti anch’essi in fuga e le previsioni e le speranze sull’arrivo degli alleati e quindi della libertà.
Un diario mai fatto leggere a nessuno e ritrovato dal figlio molti anni dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1974.
Fabio Di Segni mi ha consentito di presentare sul blog il testo di suo padre, finora uscito solo in una edizione privata e pubblicato parzialmente su un numero di “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, dell’ottobre scorso. Lo ringrazio infinitamente per avermi concesso questo privilegio.
Fabio mi ha fornito anche alcune notizie supplementari su suo padre e su alcuni personaggi che appaiono nel testo.
Renato Di Segni (1908 – 1974), perse il padre quando aveva 10 anni; nel 1926 trovò impiego come rappresentante e, lavorando, riuscì a conseguire la laurea; dopo la guerra divenne uno dei più stimati agenti di commercio del ramo tessile.
La moglie Nora Lombroso, oggi ha 93 anni ed è in buona salute.
Emilia e Giorgio Cabrusà sono stati dichiarati Giusti d’Italia; Giorgio Modigliani era fratello di Franco, premio Nobel per l’economia nel 1985.
LE IMMAGINI
Il testo che ho ricevuto non era accompagnato da immagini. Avrei potuto utilizzare quelle sull’argomento rintracciabili sul web, che ne è ricchissimo. Ho invece pensato che quella che Renato Di Segni racconta è una storia d’amore fra un marito e una moglie; fra loro e il loro bambino e fra loro e tante famiglie che ne condividevano l’amara sorte. Ho perciò deciso di utilizzare i dipinti di Chagall, che dell’amore sono un inno, alcuni particolari che ho fotografato al Museo nazionale del messaggio biblico di Nizza.
AVVERTENZA
Il testo è piuttosto lungo. Per leggerlo dovete cliccare sulla frase “Continua a leggere l’articolo” che trovate subito dopo la prefazione di Fabio Di Segni.
Prefazione
di Fabio Di Segni
Caro Papà,
intitoli il tuo diario come fosse un piccolo episodio durato pochi mesi. Forse neanche tu hai immaginato quanto le tue scelte sempre lungimiranti hanno salvato tutti noi e le future generazioni. Dall' 8 settembre a Malcesine, al 27 giorno dell'oro, a Velletri, a Poggidoro.
La fuga per i campi il 16 ottobre ricorda, più di 1000 libri, l'ineluttabile destino degli ebrei purtroppo sempre perseguitati. Ma traspare sempre la tua tranquillità, la tua saggezza, il tuo sorriso anche in quei terribili momenti.
Un'altra cosa da te insegnata è la "fratelcuginanza": l'avere per i tuoi cugini di tutte le parti un sentimento di fratellanza profonda. Per te Dario, Giorgio, Marcella, Aldo, Arturo, Gabriella sono fratelli, come per me lo sono una generazione dopo: Alberto, Paola, Enrico, Serena, Gigliola.
Quest'anno con i tuoi 100 anni, insieme al tuo "fratelcugino" Giorgio, sei con noi.
tuo figlio FABIO
intitoli il tuo diario come fosse un piccolo episodio durato pochi mesi. Forse neanche tu hai immaginato quanto le tue scelte sempre lungimiranti hanno salvato tutti noi e le future generazioni. Dall' 8 settembre a Malcesine, al 27 giorno dell'oro, a Velletri, a Poggidoro.
La fuga per i campi il 16 ottobre ricorda, più di 1000 libri, l'ineluttabile destino degli ebrei purtroppo sempre perseguitati. Ma traspare sempre la tua tranquillità, la tua saggezza, il tuo sorriso anche in quei terribili momenti.
Un'altra cosa da te insegnata è la "fratelcuginanza": l'avere per i tuoi cugini di tutte le parti un sentimento di fratellanza profonda. Per te Dario, Giorgio, Marcella, Aldo, Arturo, Gabriella sono fratelli, come per me lo sono una generazione dopo: Alberto, Paola, Enrico, Serena, Gigliola.
Quest'anno con i tuoi 100 anni, insieme al tuo "fratelcugino" Giorgio, sei con noi.
tuo figlio FABIO
mercoledì 22 gennaio 2014
L'OLOCAUSTO DEL POPOLO ROM di Angelo Arlati
1. Un olocausto ignorato
Nelle celebrazioni del Giorno della Memoria si commemora lo sterminio durante il nazismo di centinaia di migliaia di Rom e Sinti, i due gruppi fondamentali del popolo rom. Fu il loro olocausto, che essi chiamano Porrajmós o ‘divoramento’ (nei dialetti rom) e Samudarípe o ‘genocidio’ (nei dialetti sinti).
RAstrellamenti di Rom |
E’ un olocausto che è stato a lungo ignorato e persino negato; anche oggi è poco conosciuto e sottovalutato, solo e proprio perché ne furono vittime individui che appartengono a una popolazione marginale, disprezzata, discriminata, che non ha solidarietà nemmeno nelle atrocità subite.
2. Un olocausto mutilato
Lo sterminio nazista del popolo rom, ancorché riconosciuto come una terribile realtà, viene minimizzato e svuotato del suo valore storico in quanto spesso viene messa in dubbio la sua natura razziale, come è accaduto per gli ebrei. Viene considerato un atto atroce fin che si vuole, ma conseguenza di misure contro loro presunta asocialità e criminalità.
In realtà si trattò di una vera persecuzione razziale come quella degli ebrei. I Rom furono perseguitati e uccisi in quanto tali, in quanto “razza inferiore”, che andava eliminata dalla faccia della terra. Molti sinti tedeschi erano cittadini esemplari, avevano raggiunto una rilevante posizione socio-economica ed erano, come si dice oggi, integrati nella società. Molti erano sedentari. Molti svolgevano attività oneste e utili, come musicisti professionisti, commercianti o artisti viaggianti dediti allo spettacolo e al circo. Molti servivano nell’esercito tedesco come soldati o perfino come ufficiali, ma vennero disconosciuti e degradati.
Il pugile Johann Trollman |
Campioni sportivi, gloria della nazione, vennero sconfessati e deportati nei campi di concentramento. Per tutti valga il caso di Johann Trollmann detto “Rukelie”, pugile sinto campione dei pesi medio-massimi, al quale venne illegittimamente revocato il titolo e fu deportato nel 1942 al campo di Neuengamme, vicino ad Amburgo, dove morì l’anno dopo per un colpo di pistola (v. l’interessante libro: Roger Repplinger, Buttati giù, Zingaro. La storia di Johann Trollmann e Tull Harder, Edizioni Upre Roma, Milano, 2013).
3. Un olocausto annunciato
La “soluzione finale” del problema zingaro, come veniva eufemisticamente chiamato dai nazisti lo sterminio totale dei Rom, fu la fase conclusiva di una ideologia razzista che si era sviluppata in Germania a partire dalla fine del secolo XVIII proprio per iniziativa dei più importanti ziganologi. Essi hanno avuto una grande responsabilità nella creazione di una teoria razzista degli zingari, conferendo carattere di scientificità alla loro analisi strumentalizzata, prevenuta, aberrante e in molti casi errata.
Heinrich Grellmann, che dimostrò l’origine indiana dei Rom in un libro pubblicato a Lipsia nel 1783, pose le basi di questa deriva razzista che influenzò tutti gli studi a seguire. Per Grellmann gli zingari erano paria indiani e quindi inferiori, criminali e difficili da educare. Un decennio dopo, nel 1893, il pastore luterano Martin Zippel, che si occupò della lingua di un gruppo sinto, paragonava gli zingari in una nazione ben ordinata ai parassiti sul corpo di un animale. Uno dei primi vocabolari della lingua zingara, compilato nel 1827 da Ferdinand Bischoff, fu raccolto tra i carcerati ad uso della polizia e dei criminalisti più che per un interesse antropologico. Richard Liebich, autore di un importante libro sugli usi e costumi degli zingari del 1863, sosteneva che il crimine era una parte della “natura” zingara e che le loro erano “vite indegne di vita”, un assioma diventato famoso e ripreso dai nazisti. Karl Andree, geografo tedesco e fondatore di una rivista etnografica, aveva una visione apertamente razzista dell’antropologia, sostenendo lo sterminio dei popoli di natura, come aborigeni americani, australiani e zingari.
Schedatura di una sinta |
La schedatura e la registrazione dei Rom e Sinti, che hanno giocato un ruolo fondamentale nel genocidio nazista, hanno una tradizione lunga in Germania. Già nel 1787 (l’anno della seconda edizione del libro di Grellmann) il giurista e criminalista Georg Jacob Schäffer compilava la cosiddetta "Sulzer Zigeunerlist” (Lista degli zingari di Sulz), un elenco con i nomi e le descrizioni di presunti delinquenti zingari, come strumento di controllo e di repressione di una etnia percepita come una minaccia. A questa seguì nel 1905 lo “Zigeunerbuch“ di Alfred Dillmann, capo della polizia della Baviera, una schedatura sistematica di 3350 rom e sinti, con dati anagrafici, misure e impronte digitali, indipendentemente dal fatto che avessero fatto qualcosa di illegale. Durante il nazismo si
Frontespizio dello "Zigeuner Buch di Dillmann (1905) |
perfezionò questa meticolosa indagine o, meglio, questa caccia allo zingaro con la compilazione di elenchi, stati di famiglia, alberi genealogici, misure antropometriche e analisi ematiche, sulla base dei quali ben pochi riuscirono a sfuggire all’internamento nei campi di sterminio e alla morte nelle camere a gas.
4. Un olocausto paradossale
Il paradosso è che i Rom, appartenenti al gruppo ariano, furono sterminati come non ariani.
Gli studi etnografici e linguistici, a cui avevano contribuito soprattutto gli ziganologi tedeschi, erano arrivati alla conclusione che i rom erano di origine indiana. Come, dunque, ritenere gli zingari di un’altra razza, se la loro origine indiana e l’appartenenza al ceppo linguistico indoeuropeo portavano a concludere che erano ariani? Il prof Robert Ritter, direttore del “Centro di ricerca sull’igiene della razza”, aggirò l'ostacolo e sentenziò che non esistevano più zingari puri, poiché a causa del loro nomadismo si erano mescolati con le più svariate popolazioni e quindi erano una razza ibrida, degenerata e socialmente pericolosa. Giungendo quindi alla paradossale conclusione che gli zingari erano ariani non più ariani.
Prelievo di sangue da parte del professor Ritter |
5. Un olocausto graduale
Fin dalla presa del potere nel 1933 Hitler affrontò quella che i nazisti chiamarono la “questione zingara”. Già dal settembre di quell’anno furono avviati i primi programmi di repressione contro nomadi e individui senza fissa dimora. Nel 1935 fu emanata una “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” e gli zingari furono subito inclusi nella categoria dei lebensunwertesleben, i cosiddetti “indegni di vivere”. Intanto si andava intensificando la propaganda denigratoria contro gli zingari dalle colonne dei giornali e delle riviste. Furono pubblicati numerosi articoli che li presentavano come “elementi criminali e asociali” o “impossibili da educare” e “lontani da noi [i tedeschi] per la loro origine ancestrale asiatica”.
Un'esecuzzione |
Per eliminare questi pseudo-ariani furono avanzate alcune ipotesi, come quella di un gruppo di studio delle SS che nel 1933 proponeva di portarli tutti in alto mare e di affondare poi le navi; o quella nel 1937 di deportarli in territori extraeuropei, come l’Africa o la Po¬linesia. Più concretamente il dottor Ritter e la sua assistente Eva Austin, che gli ingenui zingari chiamavano amabilmente Loli Ciai ‘ragazza rossa’ per via del colore dei suoi capelli, proponevano la sterilizzazione di massa. Nel dicembre 1938 Heinrich Himmler emanò un “Editto per la lotta contro la piaga degli zingari”, ordinando che fossero tutti schedati e registrati dalla polizia. Con l’“Editto di insediamento”, emanato nel 1939 da Reinhard Heidrich, si cercò di tenere gli zingari sotto stretto controllo proibendo qualsiasi movimento e obbligandoli a risiedere in apposite aree o campi di abitazione, simili ai ghetti ebraici, nelle periferie cittadine. Con lo scoppio della guerra e l’occupazione della Polonia nel 1939 venne messo in atto un piano di deportazione in quella nazione, per cui nell’aprile del 1940 migliaia di zingari tedeschi e austriaci furono trasferiti nei ghetti di Lodz e di Varsavia. Infine, come per gli ebrei, si fece strada il disegno dell’annientamento fisico. Nel dicembre 1942 Himmler dispose l’internamento nei campi di sterminio di tutti gli zingari del Reich, compresi quelli di sangue misto, a qualunque età e sesso appartenessero. Era la soluzione finale.
6. Un olocausto orrendo
A mano a mano che la politica antigitana si intensificava, le SS procedevano ad arresti, prelevamenti e rastrellamenti. A nuclei familiari interi e con ogni mezzo. Deportazioni dai campi di abitazione, serbatoi di comunità zingare imprigionate, schedate, studiate e pronte per il macello: Marzahn, Colonia, Francoforte sul Meno, Stoccarda, Magdeburgo. Ignari del destino che li attendeva, gli zingari spesso si facevano incontro ai loro carnefici con il saluto nazista.
Marzahn, Berlino |
Colonne di zingari in marcia con le loro poche cose, come gli ebrei, verso i luoghi di raccolta; convogli di carri trainati da cavalli scortati attraverso le città tedesche e austriache; lunghe file in marcia verso i treni con destinazione i lager tedeschi e polacchi. E poi gli arrivi dai paesi occupati: Belgio, Lussemburgo, Francia, Olanda, Cecoslovacchia, Ungheria, Italia. La macchina della morte si era ormai messa in moto e lavorava a pieno regime.
Bambini rom nel campo di Sobibor |
Gli zingari erano internati nei campi di concentramento in condizioni diverse rispetto agli altri prigionieri. A differenza degli ebrei, per esempio, non erano sottoposti a processi di selezione e vivevano in gruppi familiari uniti, continuavano a vestire i loro abiti tradizionali e potevano lasciarsi crescere i capelli. In molti campi, come ad Auschwitz, Buchenwald e Lackenbach, vi erano persino orchestrine composte da musicisti zingari. Portavano come segno distintivo il triangolo marrone, contrassegno della loro etnia, oppure il triangolo nero degli asociali, e in molti casi veniva loro tatuata sul braccio la lettera Z, iniziale di Zigeuner.
Aggiungi didascalia |
Gli zingari morirono a centinaia di migliaia, vittime della fame, del lavoro forzato, degli esperimenti scientifici, della sterilizzazione, delle malattie (come dissenteria, setticemia, tubercolosi e noma facciale, una specie di cancrena del viso che colpiva soprattutto i bambini) e in molti casi, come gli ebrei, nelle camere a gas. A Dachau venivano sottoposti ad esperimenti sull’acqua marina; a Ravensbrück si praticò la sterilizzazione in massa di donne e ragazze zingare mediante iniezioni e raggi X; a Lackenbach in Austria si dava latte avvelenato ai bambini zingari; ad Auschwitz il famigerato dottor Joseph Mengele compì
Vittime di esperimenti |
atroci esperimenti sui bambini zingari per studiare il parto gemellare, la bicromia oculare e malattie come il noma. Fu ad Auschwitz che si consumò l’olocausto più tremendo, nello Zigeunerlager di Birkenau, un settore riservato alle famiglie zingare ammassate in una trentina di baracche. Vi morirono oltre 23.000 uomini, donne e bambini. In una sola notte, tra il 2 e 3 agosto 1944 quasi 4.000 zingari furono assassinati nelle camere a gas. Quell’eccidio è diventato il simbolo del porrajmós romanó e il 2 agosto è stato proclamato Kalo Memorijano Dives “Giorno Nero della Memoria” del popolo rom.
7. Un olocausto infinito
L’espansione militare dei tedeschi portò l’intera Europa sotto il loro controllo. Per gli zingari non ci fu scampo, nemmeno nella fuga, che per secoli era stata la loro àncora di salvezza. Una straordinaria rappresentazione di questo dramma è costituita dal romanzo “E i violini cessarono di suonare” di Alexander Ramati (da cui è stato tratto l’omonimo film), che racconta la tragica odissea di un gruppo di Rom polacchi che cercano la salvezza in Ungheria, ma appena arrivati vi trovano i carri armati tedeschi.
Lo sterminio degli zingari fu messo in atto in tutti i paesi satelliti o occupati dai tedeschi. In Polonia intere famiglie furono annientate nei loro accampamenti o nei boschi dove cercavano inutilmente rifugio, specialmente nella Volinia, dove furono massacrati oltre 4.000 zingari. In Slovacchia venivano uccisi sul posto dai gruppi fascisti (le guardie hlinka), a volte con metodi orrendi: le famiglie venivano rinchiuse in capanne, che poi venivano date alle fiamme. Fucilazioni ed esecuzioni di massa furono compiute in Ucraina, Russia e Crimea, dove oltre 8.000 zingari furono uccisi la notte del 24 dicembre del 1941 a Sinferopoli. Nella ex-Jugoslavia gli ustasha croati operarono veri e propri massacri. Si dice che uccidessero i bambini sbattendoli selvaggiamente contro gli alberi per risparmiare le munizioni. Molti zingari fecero una fine atroce, letteralmente schiacciati dai carri nazisti che passavano sulle loro tende. In Romania il fascista Ion Antonescu nel 1942 ordinò la deportazione di circa 40.000 rom Transnistria, durante la quale la maggior parte morì per le violenze subite, il freddo e la fame.
In quasi tutti i paesi assoggettati sorsero campi di concentramento: Lety in Boemia, Hodonín in Moravia, Košice in Slovacchia, Mezekövesd in Ungheria, Kaiserwald in Lituania. Ma soprattutto il campo di Jasevovac - l'Auschwitz dei Balcani- in Croazia, fu la tomba di 28.000 zingari assassinati.
In Francia durante il Regime di Vichy sorsero una trentina di campi di concentramento, i più noti dei quali erano quelli di Natzweiler-Struthof sui Vosgi (con camera a gas e crematorio), Schirmeck in Alsazia, Montreuil-Bellay e Saliers presso Arles. In Italia numerose famiglie di sinti e rom vennero internate in una quarantina di campi di concentramento, come Fossoli, Bolzano-Gries, Risiera di San Sabba a Trieste (l’unico in Italia ad essere provvisto di un forno crematorio), Tossicía (Teramo), Agnone (Isernia), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Perdazdefogu in Sardegna. Si calcola che furono internate circa 6.000 persone, di cui un migliaio morirono per le pessime condizioni igieniche, la scarsità di cibo e le malattie.
8. Un olocausto devastante
Si calcola che furono uccisi 500.000 rom e sinti. In Boemia e Moravia furono sterminati quasi tutti, come pure in Lituania, Estonia e Lettonia. In Germania furono pochi gli zingari che sopravvissero. In Austria perirono oltre la metà. In Polonia perse la vita il 75%, come pure in Belgio e nei Paesi Bassi. Interi gruppi, come i sinti Lalleri della Boemia e i rom Lajuse dell’Estonia, scomparvero totalmente.
La persecuzione nazista ha avuto effetti devastanti anche sulla società e la psicologia dei Rom e Sinti. La società romaní fu messa a dura prova: nuclei familiari smembrati e dispersi (il ricongiungimento dei familiari sopravvissuti avvenne spesso a distanza di anni); tabù e valori tradizionali infranti per motivi di sopravvivenza (come la mutua solidarietà o il divieto di nutrirsi di carne di cavallo); pauroso vuoto generazionale con l’eliminazione degli anziani, depositari della tradizione e garanti del controllo sociale. La psicologia romaní, già scossa da secoli di persecuzioni, fu quasi irrimediabilmente compromessa. Molti zingari specialmente in Polonia e Romania, per trovare scampo alla deportazione, negavano la propria identità. Paura e diffidenza verso i gagé (non zingari) trovarono nuova linfa e ragione d’essere. Alla vista degli Alleati che venivano in loro aiuto, molti scappavano e finirono per essere presi a fucilate. Le famiglie detenute nel campo di Tossicía fuggirono disordinatamente e “senza scarpe” e si dispersero nella campagna circostante. Una romní harvata, internata a Ravensbrück, al momento della liberazione scappò a piedi, temendo che anch’essi non fossero altro che un benghesko niamtso, un tedesco del diavolo. I Rom Harvati, che dopo la guerra furono sistemati in un campo di Milano a ridosso della linea ferroviaria, faticarono non poco a superare il trauma che provavano a ogni passaggio del treno. Ancora oggi presso i sinti tedechi la parola Hitlari è un insulto.
La persecuzione nazista ha colpito al cuore il Romanipé, l’identità zingara, come ebbe ad esprimere Romani Rose, presidente del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom tedeschi: “Questo nostro sentimento è stato scoraggiato, calpestato e in parte annientato”.
9. Un olocausto da ricordare
Qual è il significato di questa rievocazione, oltre la retorica? Certamente per doveroso ricordo delle vittime e perché ciò non abbia più a ripetersi: E Romá te na bistará! (Che i Rom non dimentichino); e i Sinti aggiungono: Koi bari bibaxt t’avél puta gia! (Quella grande sventura non deve più avvenire).
Ci sono stati “gagé” che nei lager hanno espresso la loro solidarietà e il loro aiuto agli zingari internati. Ci sono stati “gagé” che fuori dai campi di sterminio hanno salvato rom e sinti, a rischio della propria vita. Sono i giusti del “Porrajmós”. Essi meritano di essere ricordati. In particolare un nome: il barone ungherese György Rohonczy, soprannominato l'Oskar Schindler del Burgenland. Egli riuscì ad ottenere dai tedeschi 130 Rom austriaci da utilizzare come manodopera nella sua tenuta vicino a Lackenbach nel Burgenland. Egli li aiutò a fuggire oltre il confine austriaco in Ungheria, pienamente consapevole di ciò che rischiava.
Memoriale dell'Olocausto Rom a Berlino |
Il governo tedesco ha finalmente, se pur tardivamente, riconosciuto ufficialmente l’olocausto in cui furono immolati i Rom e i Sinti, dedicando loro un memoriale nel centro di Berlino, inaugurato il 24 ottobre 2012 alla presenza della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente Joachim Gauck. Il monumento, disegnato da un artista israeliano, è costituito da uno specchio d’acqua circolare (simbolo dell’annientamento), circondato da pietre rotte. Al centro galleggia una piattaforma triangolare (che rimanda al triangolo cucito sugli indumenti degli internati), su cui ogni giorno viene collocato un fiore fresco. Sul monumento è incisa la poesia Auschwitz, scritta dal poeta rom Santino Spinelli.
Purtroppo oggi l’intolleranza, il pregiudizio, la discriminazione, i pogrom e le morti bianche dei bambini carbonizzati nelle loro roulottes sono uno schiaffo al Porrajmós romanó. I Rom settant’anni fa hanno appeso i violini al filo spinato dei campi di sterminio. Ancora oggi aspettano di riprendere in mano quei violini per suonare il canto della libertà e dell’uguaglianza.
Una targa posta dal comune di Roma |
10. Un olocausto cantato
I Rom, da sempre disarmati di fronte alla violenza e alla forza, si sono affidati al canto per dare sfogo alla propria disperazione. Sono i canti nati nei campi di sterminio, per lo più improvvisati, o composti da poeti zingari sull’onda dell’emozione.
AD AUSCHWITZ C’E’ UNA GRANDE CASA
Ad Auschwitz c'è una grande casa:
mio Dio concedimi
ch'io ne evada!
E con mia madre
m'incontri di nuovo
con la famiglia
che più non vedrò
con la famiglia voglio bere vodka.
Ad Auschwitz
ci percuotono,
ci procurano
sfortuna.
ANDR ODA TABORIS IN QUEL CAMPO DI LAVORO
Andr oda taboris, joj, In quel campo di lavoro
phares buti keren, ci fan lavorare
phares buti keren, joj, ci fan lavorare, ahi,
mek mariben chuden. e ci picchiano.
Ma maren, ma maren, joj, Non picchiatemi, non picchiatemi, ahi,
bo man murdarena, così mi ammazzate,
hin man khere ciave, joj, ho bambini a casa, ahi,
ko len likerela? Chi li alleverà?
Canto dei Rom slovacchi
UN MATTINO
Un mattino alle sette battono i tedeschi alla porta
“Andiamo, zingaro, vieni sulla strada”.
Aspetta, tedesco, che io accenda la luce
Che abbracci la mia vecchia madre
Perché so che non la rivedrò più
Perche io me ne vado e perdo la mia vita”.
Prendi zingaro la vanga e la pala
E scavati una fossa”
Ballata dei Rom Lovara ungheresi
DEPORTAZIONE
Cielo rosso di sangue,
di tutto il sangue dei Sinti,
che a testa china e senza patria,
stracciati affamati scalzi
venivano deportati
perché amanti della pace e della libertà
nei famigerati campi di sterminio.
Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.
Vittorio Mayer Pasquale “Spatzo”
Sinto
AUSCHWITZ
Muj sukkó Faccia incavata
Kiá kalé occhi oscurati
Vust surdé labbra fredde
Kwit. silenzio.
Jiló cindó Cuore strappato
Bi dox, senza fiato,
Bi lav senza parole,
Nikt ruvebé. nessun pianto.
Santino Spinelli
Rom abruzzese
OPRE ROMA - GELEM GELEM
Alzatevi, o Rom - Ho camminato
Gelem gelem lungone dromentsa Ho camminato lungo tante strade
Maladilem baxtale Romentsa Ho incontrato Zingari felici
A Romale katar tumen aven E voi Rom da dove venite
E tsarentsa baxtale dromentsa? Con le tende su strade felici?
Ahi Romale, ahi Ciavale. Ahi Zingari, ahi Figli.
Vi man sas jek bari familíja Anch'io avevo una grande famiglia
Mudardasla e kalí legíja La nera legion l'ha massacrata.
Aven mantsa sa e lumnjake Roma Su venite con me o Rom del mondo
Kaj phutajle e romane droma. Perché le strade ci sono aperte.
Ake vrjama ushti Rom akana E' il momento: alzati ora zingaro
Men xudasa mishto kaj kerasa. Noi scatteremo e agiremo.
Ahi Romale, ahi Ciavale. Ahi Zingari, ahi Figli.
Inno nazionale dei Rom
TESTIMONIANZE
- Mi hanno preso i tedeschi e mi hanno portata via. Senza processo, senza niente. Mi hanno messa sul treno.
- Una sera mentre tornavo da Trento mi dissero che la mia famiglia era stata portata via dai tedeschi. Io non capivo cosa stava succedendo. L’indomani ritornai a Bolzano ma il campo non c’era più. Dopo un po’ ritrovai la mia famiglia, quasi tutti morti.
- Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdazdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento.
- A Pustków, nella Polonia sud-orientale, i nazisti presero 25 zingari, li condussero in una baracca e li costrinsero ad impiccarsi.
- Urlavano: ‘Visita medica, visita medica, è soltanto per guardarti le mani’.
- Un giorno il dottor Mengele mi ha preso per fare esperimenti. Per tre volte mi hanno preso il sangue per i soldati e allora ricevevo un poco di latte e un pezzetto di pane. Poi Mengele mi ha iniettato la malaria e mi è venuta anche un’infezione alla faccia. Per otto settimane sono stata tra la vita e la morte.
- Una volta è venuta una commissione da Berlino a visitare Auschwitz. Chiesero ai bambini a che cosa servissero i forni e i camini che si vedevano lì in fondo. I bambini risposero come i capibaracca avevano detto loro di fare: ‘Servono a cuocere il pane che poi ci danno da mangiare”. Mentirono, perché sapevano benissimo che se avessero detto la verità sarebbero stati uccisi.
- Udimmo urla. Il tutto durò parecchie ore. Ad un certo punto venne un ufficiale delle SS a dettarmi una lettera che diceva "Trattamento speciale eseguito". Quando si fece giorno nel campo non era rimasto un solo zingaro.
Angelo Arlati
Su questo blog, oltre a un'intervista intitolata:
ANGELO ARLATI E IL POPOLO ROM: UN INCONTRO CHE DURA DA QUARANT'ANNI
potete leggere i seguenti articoli sulla storia del popolo rom, scritti da Angelo Arlati:
- QUALCHE CONSIGLIO PER CONOSCERE MEGLIO IL POPOLO ROM
- LA LINGUA DEL VIAGGIO
- LA PIÙ ANTICA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DEGLI ZINGARI. Maestro del Medio Reno 1417 - 1419.
Sono stati pubblicati nel luglio del 2012 e li potete trovare sotto l'etichetta "Giorno della Memoria".
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