domenica 22 febbraio 2009

PADERNO D'ADDA E VERDERIO: DOCUMENTI D'ARCHIVIO IN RETE

A partire dal prossimo mese di marzo, il sito del comune di Paderno d’Adda pubblicherà un documento del proprio Archivio Comunale, accompagnato da una breve nota didattico – educativa.

Lo stesso farà il comune di Verderio Superiore dal mese di aprile e quello di Verderio Inferiore da maggio. Così, ogni mese, un documento dei tre archivi sarà a disposizione del pubblico . Questo servizio sarà curato dal dottor Fabio Luini della società ArchimediA S.C.R.L. Bergamo.

UNA PRIMA COMUNIONE SPECIALE A VERDERIO SUPERIORE


Il 21 aprile 1935 il parroco di Verderio Superiore, Don Carlo Greppi, annotava sul “Liber Cronicus”:

“….fanno la Prima Comunione tre zingarelli della carovana De Bianchi (Bruna di 12 anni, Bruna di 10½ e Isotta di 11). Al corredo completo provvide il Parroco aiutato dal popolo. Il Resegone di Lecco parlò molto simpaticamente dell’insolito fatto”




VICENDE INTORNO AL LAGO DI SARTIRANA di Anselmo Brambilla



Questo piacevole laghetto morenico incastonato come una perla in mezzo al verde della zona, giace a Sud – Est dell’omonimo paesello brianteo, circondato da terreni paludosi, “liscate” e canneti, non ha immissari, è alimentato dalle sorgenti e dagli scoli delle limitrofe colline che lo attorniano.

Unico emissario , una roggia conosciuta un tempo con il nome di roggia Verderio, per il fatto che in base al primo accordo di concessione con i proprietari del lago di Sartirana del 1476, la sua acqua veniva utilizzata principalmente per irrigare i campi di un signorotto che aveva possedimenti in quel paese.

La roggia assumerà successivamente la denominazione Annoni dalla famiglia milanese che, nel 1727 diventando proprietaria della cascina Bergamina e di terreni nel comune di Verderio Inferiore ne acquisterà anche i diritti per l’uso delle acque.

Degli antichi proprietari del lago ( se c’è ne furono) non si hanno notizie. Le prime indicazioni, relative alla proprietà del lago, si trovano in un atto, redatto dal notaio Giorgio Rusca il 27/4/1476, di concessione per l’uso dell’acqua della roggia.

Concessione fatta in congiunto dai signori: Lancelloto di Bastiano de Capitani di Vicomercato e Bartolomeo di Cristoforo sempre de Capitani di Vicomercato, ambedue abitanti alle cascine della Cassina, al signorotto milanese Donato Ciociario proprietario di vasti “tenimenti” in Verderio.

Anche se la concessione delle acque viene fatta in congiunto dai due Vicomercato, è il solo Lancellotto ad essere indicato nell’atto come proprietario del lago, infatti concede al Ciociario l’utilizzo dell’acqua della roggia, ma mantiene per sé il diritto di pesca nonché quello di utilizzarne una certa quantità per irrigare un prato di sua proprietà situato fra il palazzotto abitato dai Calchi e il lago , chiamato prato grasso prima , di “fenile” poi.

Sembrerebbe quindi che i primi proprietari del laghetto siano stati i Vimercati, se non fosse per un altro atto , del 14/6/1476 redatto in Sartirana dal notaio Gio Pietro de Benalis di Merate.

Dove si certifica che: su istanza del signor Francesco de Giocarlo figlio di Donato abitante in Milano, i signori Pietro e Gio Antonio Calchi figli di Galdino anche a nome del loro fratello Giovanni, abitanti in Sartirana, concedono allo stesso il diritto all’estrazione dell’acqua pero mantengono per se i diritti di pesca sul lago.

Praticamente a distanza di due mesi i Calchi danno in concessione l’uso delle stesse acque a Giocario figlio, certificando di avere e mantenere per se il diritto alla pesca sul lago di Sartirana , concessione e diritto già ribadito anche dai Vimercati.

E’ probabile, ma è solo una ipotesi, che ogni famiglia tentasse di appropriarsi di diritti che non erano reali ma frutto di consuetudini o abitudini consolidate nel tempo, per il momento non è possibile chiarire la stranezza, la mancanza di adeguata documentazione non ci consente di dare una risposta al quesito.

Unica cosa certa è che il lago il 18/8/1500 diventa proprietà dei Calchi, i quali acquistano o meglio vengono investiti formalmente della proprietà del lago con il diritto alla pesca e alla navigazione, per se e per i propri discendenti, con atto notarile rogato da Gio Pietro de Benalis di Merate.


“Actum in domo habitationis del notaris …Burgo Merati plebis Brippi Ducaty Milano , presentibus procuratoris Don Jacobo de Perego, figlii Don Georgy et de Pietro de Pirovano figlio Uberti habitantes in suprascrito Burgo Merati notarius Testes Petrus de Benalis di Pauli abitante in suprascrito Burgo Merati , Bartolomeo Airoldi del quondam Airoldo hab. In loco Robiati, Antonio Riboli de Villa abitante in loco Ronco Plebis Vicomercati”

Il gruppo Calchi acquirente o meglio gli “investiti”, sono dello stesso ceppo ma di due rami diversi, una parte risiede in Calco, nel castellaccio della Vescogna , altri risiedono nel palazzotto Calchi vicino alla sponda occidentale del laghetto, o meglio nella casa da Nobile come viene spesso specificato nei documenti.

Giovanni, Genesio e Cristoforo figli di Galdino , con Bernardo figlio di Pietro risiedono in Sartirana , Hector e Hieronimo padre e figlio abitano in Calco, come pure di Calco sono Bartolomeo , Genesio e Gabriele .

Da chi acquistassero o chi è il soggetto che investe i Calchi della proprietà non è specificato nel documento, anche se solitamente era la Ducale Camera di Milano che stabiliva cosa si doveva o poteva vendere.

L’investitura della proprietà del lago ai Calchi non risolve completamente la controversia con i Vimercati , infatti il 23/7/1520 , Francesco, Lodovico, Vincenzo e Agostino, i quattro figli del defunto Lancellotto, rinnovano la concessione dell’uso delle acque a Benedetto Giocarlo figlio del defunto Donato.

Ma malgrado queste azioni, di fatto il documento sancisce il diritto di proprietà e di pesca sul lago di Sartirana ai Calchi.

Diritto che manterranno per circa tre secoli, con frequenti liti, contestazioni e confrontazioni con altri signorotti locali primi fra tutti i Vimercati, i quali sempre tentarono di rivendicare il loro antico perduto diritto sul lago anche con azioni di disturbo violente.

Nel 1568 le due famiglie sono protagoniste di un episodio finito poi davanti al Vicario della Martesana. Il 23 marzo di quell’anno era una domenica di sole , Giobatta e Antimaco Calchi accompagnati da Pompeo nipote del primo si portano sul lago a pescare.

I tre calano la rete e pescano e raccolgono circa 25 libbre di pesce, quando dalla sponda orientale arriva una “nave” con a bordo Giobatta e Ottaviano Vicomercati e un loro famiglio armati di tutto punto, con “zanchi”, maniche di maglia, archibugi e stocco, decisi a sloggiare i , secondo loro, pescatori abusivi .

Dopo un intenso scambio di invettive e accuse sul diritto o meno vantato dagli uni contro gli altri, si passa rapidamente alle mani, Giobatta Vimercati vibra un colpo di stocco al suo omonimo Calchi centrandolo sulla parte laterale della faccia e causandogli varie ferite , anche se in modo abbastanza superficiale.

Solo l’intervento tempestivo di Felice Micheloni , il famiglio dei Vimercati, che trattenne con forza Giobatta, impedì che la rissa degenerasse con ulteriori gravi conseguenze.

Momentaneamente calmata la tenzone, mentre i Calchi assistono il ferito, i Vimercati si allontanano verso l’altra sponda, qui giunti ricominciano con le invettive e gli insulti contro i tre che si stavano ritirando, fino ad esplodere contro di loro numerosi colpi di archibugio, fortunatamente andati a vuoto.

Alla fine la questione finisce davanti alla giustizia nella persona del Vicario della Martesana, il quale, dopo avere aperta un’inchiesta con la convocazione e l’ascolto delle persone coinvolte e aver valutato la questione in base alle risultanze legali, emette circa cinque mesi dopo il suo verdetto.



Stabilendo che il lago di Sartirana “Calchi fuit in poseseione ab antiguo” e quindi dando torto ai Vimercati, i quali con ordinanza del 14/8/1568 sono condannati a pagare 200 scudi d’oro di indennizzo ai Calchi entro il 4/8/1569, ma con decisione incomprensibilmente salomonica li abilita a portare armi e nei casi estremi ad usarle per difendersi.

Innumerevoli furono le liti e controversie che opposero i Calchi agli altri nobili della zona che non volevano riconoscere loro il diritto esclusivo sul lago, e che in un modo o nell’altro tentarono, inutilmente, di violare, quasi sempre la giustizia riconosce valida l’investitura del 1500.

Il 25/2/1747 un precetto emanato dal Marchese Reggente Senatore Don Alberto De Regibus, su istanza del esimio Don Paolo Calchi, proibiva al conte Don Melchiorre Riva Andreotti che aveva tentato di fare il furbo, di pescare e far pescare nel lago.

Come pure di tenere alcuna nave nel luogo di Sartirana “financo che il lago era di esclusiva proprietà dei Calchi”, sotto pena in caso di contravvenzione al precetto di una multa di scudi 1000 d’oro, da versarsi alla Reale Ducale camera di Milano.

Cause e contro cause con il conte Andreotti e altri notabili, continuarono per vari anni a tenere impegnato il Vicario della Martesana o i vari reggenti, ma sostanzialmente il lago rimase proprietà esclusiva dei Calchi.

Per circa due secoli la famiglia utilizza il lago come riserva privata di pesca, per procurarsi il pesce da mangiare nei giorni di magro, fintanto almeno che qualche membro della stessa continuava a risiedere nella zona.

Verso il 1720 – 1750 i Calchi, in questo caso quelli di Sartirana, perché quelli residenti in Calco se ne erano già andati molto tempo prima, decidono di trasferirsi definitivamente in Milano dove avevano intrapreso altre carriere e attività.

Lasciano quindi tutto nelle mani dei loro agenti nel paese e al massimo tornano qualche volta nei mesi estivi, il lago non più utilizzato come riserva di pesca della famiglia viene affittato, come si affitta un terreno o una casa, o meglio vengono affittati i diritti di pesca e quelli di uso dell’acqua .

Il primo documento di affittanza dei diritti di pesca risale al 1752 precisamente il 2 febbraio del 1752.

Giobatta Macchi, pescatore di professione residente in Brivio, acquista il diritto di pesca per nove anni al canone annuo di lire 250 imperiali, dilazionate in due rate 125 al primo marzo, il restante 125 il mese di ottobre .

Con un apposito contratto stabiliscono vari obblighi da osservarsi scrupolosamente per l’affittuario, come quello di immettere annualmente nel lago una certa quantità di pesce per rifarne la fauna, “ affinché venga sempre più migliorata la condizione dell’accennato laghetto”.

Si indicano le qualità da immettere: tinche, carpanine e pesce persico della migliore qualità, che non costi meno di lire 20 alla libbra e che la quantità da immettere non sia inferiore a complessivi pesi quattro.

Inoltre nel periodo quaresimale , quando i ricchi devono mangiare di magro l’affittuario , come appendizie era obbligato a fornire loro una certa quantità di pesce , in questo contratto si indicano circa trenta libbre.

Concedevano infine all’affittuario, un locale dove fermarsi a dormire con i suoi lavoranti nelle notti di brutto tempo.

Anche se i contratti di affitto del diritto di pesca, vengono stipulati di durata novennale non sempre i titolari riuscivano a completare il periodo, molte le rescissioni anticipate del contratto, causate da inadempienze da parte dei Calchi, dovute ad aggravi delle condizioni stabilite o per ulteriori richieste di soldi o quantitativi di pesce.

Il 2/6/1760 Investitura del diritto di pesca sul lago per i soliti nove anni ai signori Giuseppe e Francesco Gallavresi di Brivio, canone annuo 307 lire più una certa quantità di pesce e con gli obblighi di immettere pesce di buona razza.



La concessione , una delle poche giunte al termine verrà rinnovata al solo Giuseppe per 340 lire annuali di canone il 15/3/1769.

Nella nuova concessione a Giuseppe Gallavresi , si prevede anche la disponibilità di una barca per gli affittuari e una per i padroni, la possibilità di usare la ghiacciaia padronale per conservare il pescato, con il pagamento di meta delle spese .

La manutenzione della ramata, dell’incastro e il solito obbligo di immettere anguilotte e carpanine, questa volta con la raccomandazione di sottoporle prima dell’immissione all’approvazione del fattore dei Calchi.

Nel contratto si prevede la messa a disposizione di una stanza con letto per gli affittuari per fermarsi nelle notti di brutto tempo, ma viene specificato la biancheria sarà a loro carico.

Probabilmente il Gallavresi non termina il periodo concordato perché, il 30/9/1773 con contratto, redatto dal notaio Paolo Galeazzo Sala di Milano, il diritto di pesca viene affittato di nuovo, per 550 lire annue di canone più altre 24 di appendizi, ai signori Carlo e Francesco Antonio Balzarino padre e figlio, e Antonio Ripamonti pescatori abitanti in Brivio, con l’obbligo della immissione di pesci di qualità e pulizia dello sbocco del lago.

Il 1782 è un anno un po’ complicato per i pescatori titolari del diritto di pesca, contratti e rinunce si susseguono una dopo l’altra, causate quasi sempre dalla pretesa dei Calchi di imporre clausole aggiuntive alle già restrittive prescrizioni .

Il 7/5/1782 , malgrado sia ancora vigente il contratto con Balzarino e Ripamonti, la famiglia affitta il diritto di pesca ai signori Giobatta Zardone e fratelli Tommaso e Giovanni Crippa, con un canone annuo di lire 500 e con i soliti obblighi.

Il 13/5/1782, con lettera indirizzata a Don Severino Calchi, rescindono il contratto i già titolari Balzarino e Ripamonti, seguiti qualche mese dopo il 13/8/1782, anche da Giobatta Zardone per controversie con i suoi soci.

Queste continue rinunce inquietano la famiglia, il 13/8/1784 in un documento per un’ennesima rinuncia, si attesta che i Calchi non sono molto contenti delle persone alle quali affittano i diritti di pesca.

Ma malgrado le rinunce continuano con le clausole aggiuntive, come quelle che vengono poste nel contratto stipulato il 20/8/1790 con i signori Paolo Rossi e Tommaso Crippa.

I Calchi si riservano il diritto di continuare a pescare nel lago, di mantenere l’uso di uno spazio nel prato antistante alla loro casa, anche se questo prato è stato affittato ai succitati signori, inoltre si riservano il diritto ad utilizzare il ghiaccio del lago per mantenere la loro ghiacciaia, che però concedono in uso anche agli affittuari.

Canone annuo di lire 540, una certa quantità di pesce nella settimana Santa e l’obbligo di immettere nel lago annualmente, due pesi di anguillotte e due di carpanine.

Il 20/4/1791 viene sottoscritto, dalla Contessa Teresa Pallavicini vedova Calchi , in nome e per conto del figlio minore Sigismondo , ai signori Paolo Rossi e Gaetano Galimberti , un nuovo contratto di affitto per i soliti quasi mai compiuti nove anni e con l’aggiunta di clausole innovative .

Come quella di mantenere sempre pulita ed efficiente la ramata posta alla foce del laghetto in prossimità dell’incastro di derivazione della roggia Annoni già roggia Verderio, pescare con reti a maglia di mezza oncia milanese, e possibilità di costruirvi una “vasca peschiera”, per conservare il pesce in attesa di essere trasportato al mercato.

La vasca doveva essere costruita su un canale d’acqua che dalla casa arrivava fino al lago entrando nel prato “liscoso” proprietà della Comunità di Sartirana, vengono nel contratto stabiliti anche le modalità per la costruzione della vasca e le misure della stessa.

Diritto di pesca, utilizzo della ghiacciaia padronale, l’uso del prato “fenile” antistante il palazzotto e la possibilità di tenere due “barchetti” sul lago , uno ad uso dei Calchi, l’altro a spese e d’uso degli affittuari.

Oltre naturalmente all’obbligo di porre ogni anno a loro spese pesi due di anquillette e carpanine ed altre specie di buona razza “ affinché venga sempre più migliorata la condizione dell’accennato laghetto”.

Sempre dalla Pallavicini, il 30/5/1799 viene stipulato, con un canone annuale di lire 570, un nuovo contratto con Tommaso Crippa, per diritto di pesca, uso della peschiera e affitto del prato “fenile” situato fra il palazzo e il lago, con l’obbligo di immettere nel lago oltre agli anguillotte e alle carpanine, anche mezzo peso di pesce persico.

La bellezza del paesaggio e la presenza del lago fecero si che i terreni del territorio intorno a Sartirana, specialmente quelli situati sulle sponde, fossero molto ambiti per il diritto alle acque, e in parte al diritto alla navigazione, diritto sempre e comunque osteggiato dai Calchi. Terreni in prevalenza proprietà di ordini religiosi e nobili .

Con il passare degli anni la pesca nel lago di Sartirana perde di importanza almeno per i pescatori professionisti che preferiscono cercare laghi o fiumi più redditizi.

Inoltre la famiglia Calchi, ormai avviata come molte altre verso un periodo di decadenza, stabilmente impiantata in Milano non da più molta importanza alla questione della pesca nel laghetto, diventata ormai una questione di secondaria importanza nel contesto della loro posizione economica.

E così anche le questioni riguardanti i diritti di pesca e navigazione sul laghetto di Sartirana perdono di importanza ed entrano nella fase che potremmo definire del modernismo, nel quale il lago è visto, non più come fonte di risorsa primaria, ma come risorsa ambientale.

Alla fine, il lago di Sartirana ,identificato in una mappa del catasto di Maria Teresa con il n°1, attraverso vari trapassi arriva per petizione il 15/5/1838 alla casa del principe Don Alfonso Falcò Pio di Giovanni, come certificato da un atto del notaio Antonio Maderna del 12/4/1838.

Dal 26/1/1929, la proprietà del lago e il diritto esclusivo di pesca sono della famiglia Gnecchi Ruscone di Verderio.

Per concludere questa cronaca una curiosità, nella mappa di Maria Teresa l’ampiezza del lago e stabilita in 139 pertiche e sei tavole, mentre nel rogito del notaio Mandelli il lago è di ben 244 pertiche e 18 tavole.

La pertica Milanese usata come riferimento è pari a metri quadrati 654,52 quindi come risultato delle due misurazioni avremmo un lago molto più ampio nel 1951 che nel 1754.

159.702 metri quadrati nel 1951 a fronte di 90.988 metri quadrati del 1754, se le misurazioni sono esatte, il lago si è ingrandito in modo considerevole.



Fonti
La documentazione dalla quale sono state tratte la maggiore parte delle notizie qui descritte si trova nell’archivio:

IIPAB di Milano ex ECA – Fondo famiglie

Cartella - 101 – Calchi - Fascicoli vari non numerati
451 e 452 - Vimercati – Fascicoli vari non numerati

Archivio di stato di Milano – Fondo famiglie Calchi

Archivio di stato di Como – Catasto Teresiano Carte e mappali

Documenti del costituendo Archivio Storico dei Comuni di Verderio Inferiore e Superiore
Fondo Gnecchi Ruscone

Un particolare ringraziamento al signor Andrea Bonanomi di Osnago che mi ha permesso di conoscere l’esistenza dell’archivio IIPAB, e al signor Marco Bartesaghi di Verderio per le notizie sulla roggia Annoni e altro

Calco 13/6/2001 Anselmo Brambilla


Questo articolo è stato pubblicato da Archivi di Lecco, anno XXIV, fascicolo 3, 2001

ANSELMO BRAMBILLA nota biografica

Anselmo Brambilla residente a Calco nato 26 settembre 1938
Ha lavorato come operaio alla Breda Fucine di Sesto San Giovanni e successivamente ha svolto per molti anni attività sindacale nel settore delle relazioni internazionali. Pensionato, si dedica da tempo alle ricerche storiche locali, con particolare attenzione alle problematiche sociali e dei lavoratori , collabora con diverse riviste storiche e ha collaborato anche con la rivista storica Archivi di Lecco.
Nel 2000 con altri ha collaborato al libro edito dal Decanato di Brivio “Fides per Millenium Il Decanato di Brivio erede dell’antica Pieve”.
Nel 2001 ha pubblicato , con altri, il libro per i 100 anni della Camera del lavoro di Lecco: “Per migliorare la vita dei lavoratori. La Camera del Lavoro di Lecco dalla sua fondazione al 1922”.
Nel 2004 con Claudio Ponzoni pubblica, per il circolo culturale Carlo Borghi, il libro “Calco un paese che si racconta”.
Nel 2005 con Alberto Magni pubblica per l’Istituto Lecchese per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea il libro “Partigiani fra Adda e Brianza” Storia della 104° Brigata Garibaldina “Citterio”.
Nel 2008 pubblica, per il comune di Rovagnate, il libro “Rovagnate ricordi d’altri tempi”
Collabora anche con diverse scuole con ricerche e incontri sulle tradizioni e sul dialetto.


Questa presentazione di Anselmo Brambilla è quella pubblicata sul libro “Rovagnate ricordi d’altri tempi”. Qui è stata aggiunta solo la riga riguardante appunto il libro su Rovagnate

CARTOLINE -2- PIAZZA ANNONI




LA PIAZZA ANNONI DI VERDERIO INFERIORE


Due cartoline di Verderio Inferiore che forniscono una visione completa di piazza Gaetano Annoni. Nella prima lo sguardo è rivolto a nord, nell’altra a sud.




In questa prima immagine, a destra si vede la villa Annoni, conosciuta come Palass. Apparteneva alla nobile famiglia discendente dai Conti di Gussola con Martignana, presente a Verderio dalla prima metà del settecento. Fu suddivisa in appartamenti a partire dagli anni quaranta del secolo scorso. Adiacente alla villa un edificio adibito al transito delle carrozze dei conti. Sulla sinistra, la facciata meridionale della “Curt Növa”. Su questa, dal basso verso l’alto, si notano: una bacheca, una nicchia con la statua della Madonna, una meridiana e, nel timpano, lo stemma degli Annoni. In centro l’imbocco di via dei Tre Re. Questa cartolina è stata spedita il 19 dicembre 1902 per Stra (VE).



Alla destra di questa seconda cartolina, anch’essa dedicata a Piazza Annoni, l’edificio che ha ospitato per molti anni il maglificio della famiglia Sala, ricordato come “Cuci”; al posto del grande albero in seguito è sorto il serbatoio dell’acquedotto, da poco abbattuto, e il Monumento ai Caduti. Il primo edificio a sinistra è la villa Annoni, seguita dalla torre della “Curt de la Palasina"



In quest’altra cartolina, sullo sfondo si vede ancora Piazza Annoni . In primo piano invece

via Larga, ora via Roma. A destra la “Curt de la Palasina”.










Un’immagine recente (2008) della facciata sud della “Curt Növa, restaurata alcuni anni fa da Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri

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La gran parte delle informazioni contenute in questo testo mi sono state fornite da Giorgio Oggioni. Lo ringrazio.




lunedì 9 febbraio 2009

25 APRILE E COSTITUZIONE REPUBBLICANA

ORDINE DEL GIORNO APPROVATO ALL’UNANIMITÀ DAL CONSIGLIO COMUNALE DI VERDERIO SUPERIORE DEL 22 APRILE 1994

Il Consiglio Comunale di Verderio Superiore, in occasione del 25 aprile, Festa della Liberazione dal fascismo e dall’occupazione tedesca, invita tutti i cittadini a ricordare i motivi di fondo che spinsero donne e uomini, appartenenti a diverse classi sociali, parti politiche e fedi religiose, ad unirsi per combattere contro il regime fascista. Tali motivi vanno ricercati nella natura stessa del regime, che soppresse le libertà democratiche, perseguitò gli oppositori politici, emanò le leggi di discriminazione razziale, aderì alle guerre di aggressione promosse dalla Germania nazista, avvallò l’occupazione tedesca dell’Italia con il carico di morte che ne seguì e si rese complice dello sterminio del popolo ebraico.
Il Consiglio Comunale invita altresì a vigilare affinché i valori che furono alla base della lotta di Resistenza continuino ad essere riconosciuti come principi fondamentali della Costituzione Repubblicana: il principio della sovranità popolare, il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, il diritto – dovere al lavoro, il principio dell’unità della Repubblica. Il riconoscimento delle autonomie locali, la tutela delle minoranze politiche e religiose, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come metodo di risoluzione delle controversie internazionali.
Il Consiglio Comunale di Verderio Superiore esprime infine la propria adesione alla manifestazione nazionale del 25 aprile, promossa dalle associazioni partigiane.


Pubblico oggi questo documento, che ricorda i valori della Resistenza e della Costituzione Repubblicana, insultati in questi giorni dal Presidente del Consiglio in carica.

CANOTTAGGIO -2-




LECCO E MALGRATE


"Siede Lecco a 45° 51’ 7” di latitudine, all’est del meridiano di Milano, ed alto sopra quella città metri 212,48. Benché non ci paja giusta l’opinione di chi volle por qui l’antico Licinoforo, pure Lecco è terra antica; nei bassi tempi fu per quattro secoli capo di un contado rurale, e cinto di valide mura, gravi battaglie ebbe a sostenere"


“Si entra per la città per un ponte fabbricato da Azzo Visconti nel 1336 con otto archi e due torri alle estremità. Francesco Sforza lo crebbe nel 1450 a diciotto arcate, Francesco II Sforza, dopo la pace con Gian Giacomo Medici, lo distrusse. Il conte di Fuentes nel 1609 lo ristaurò in undici archi, quanti oggi ne conta, tirando metri 130, ed ha di luce metri 104, di cui 27 occupati dalle pile”





“Rimpetto a Lecco sta sul lago Malgrate (abit.854), ben fabbricato e ricco di setifici di Agudio Giorgio, mossi da un canale per cui il lago di Annone si scarica attraverso la Valmadrera. Quando il Piano d’Erba era tutto un lago, detto l’Eupili, forse per di qui congiungevasi al massimo Lario”


I testi sono tratti da Como, il suo lago, le sue valli e le sue ville descritte e illustrate, Antonio Balbiani, 1877, ristampa a cura delle edizioni “la Provincia”, 1971



CASCINA S. CARLO A VERDERIO SUPERIORE





L’ultimo giorno del mese i quattro contadini del Parroco, che da tempo immemorabile abitavano le ristrette case di proprietà Gnecchi, si portavano nella cascina nuova del Parroco, bella, comoda, spaziosa”.

Così, aggiornando il suo diario, il “Liber Cronicus”, Don Luigi Galbiati, Parroco di Verderio Superiore, esprimeva la sua soddisfazione per un’opera intrapresa con passione e costata parecchio denaro.

Era il 30 aprile 1906 e si riferiva alla cascina da lui denominata “Cascina San Luigi” e che il suo successore, Don Carlo Greppi, ribattezzò con l’attuale nome : “Cascina San Carlo”.

Nonostante siano ormai trascorsi più di novant’anni, la Cascina San Carlo gode di buona salute, soprattutto se la si confronta con le sue più nobili sorelle, la cascina Alba e la cascina La Salette, verso le quali sicuramente in gioventù avrà sofferto di qualche complesso di inferiorità. Essa è infatti di ben più modeste dimensioni ed è priva degli elementi decorativi che caratterizzano le altre: non ha le bifore con la colonnina centrale de “La Salette”, ne le lesene con i capitelli dell’Alba e la sua facciata non è snellita dalle torri laterali presenti nelle altre.

La Cascina San Carlo va apprezzata per la sua semplicità: il loggiato, composto fin dall’origine da un’unica campata aperta e da altre due solo delineate da archi ciechi; il pozzo, un’edicola cilindrica coperta da un tettuccio di lamiera, in posizione centrale rispetto alla facciata; le serie di comignoli disposti a scala.

Il più remoto accenno alla Cascina S.Carlo è forse un appunto, risalente al febbraio del 1905, contenuto ancora una volta nel “Liber Cronicus”. Don Luigi parla della necessità di un edificio di “24 locali, più stalle ripostigli, ecc...”, prevede l’entità della spesa -”20 mila lire e più”- e come farvi fronte: “ vi sono quattromila e cinquecento lire di capitale, un boschetto, che renderà un migliaio di lire, qualche altro migliaio di legati fiduciari.....Il rimanente” - conclude con una punta di polemica - “ ci pensi il Parroco, lo si stima ricco...(di peccati)” .

Tali previsioni poggiavano sui risultati di una perizia commissionata ad un professionista di Brivio, l’ingegner Valentino Gilardi. Da questo studio è possibile trarre alcune interessanti notizie circa il lavoro agricolo di quegli anni.

Partendo dalla constatazione che “un contadino di sana costituzione possa lavorare, in via ordinaria e annualmente, un Ettaro di terreno”, il tecnico stimava, in prima battuta, che per i poco più di 16 ettari del Beneficio Parrocchiale, fossero necessari 16 contadini giornalieri.

Tenendo però presente che al lavoro dei campi erano connessi altri impegni “ inerenti ed imperiosi “ come la cura del bestiame e la “coltivazione dei bachi”, il Gilardi osservava: “...il contadino non può fare da sé e deve per necessità di cose procurarsi comunque sia “ -( la sottolineatura è sua )- “ un aiuto od una compagna” - (questa volta la sottolineatura è mia).

Deduceva quindi che ogni contadino, che avesse optato per l’aiutante o avesse preferito prender moglie, dovesse disporre di due locali. Per 16 ettari coltivabili erano perciò necessari almeno 32 locali.

Tredici erano già disponibili ( sei presso la casa parrocchiale e sette - “tutti angusti” - alla Cascina Provvidenza ); ne sarebbero bastati altri 19, se non si fosse dovuto “tener conto della prole ecc. e delle altre necessità della vita”. In conclusione l’ingegnere stimò che la parrocchia avesse bisogno di una nuova casa colonica di 25 locali.

La costruzione dell’opera fu affidata al capo mastro Luigi Picciotti; il costo finale ammontò a £ 23440.

***

La Cascina S.Carlo, conosciuta anche come “Casina del Curaa”, è ancora viva e abitata anche da alcuni discendenti di quei quattro contadini che vi si stabilirono nel 1906. Nel 1975 i suoi abitanti l’hanno acquistata dalla Parrocchia e in seguito hanno adattato gli interni alle odierne esigenze . A loro va il merito di aver mantenuto pressoché inalterato l’aspetto esterno.



Le fonti

I documenti relativi alla consegna della cascina S.Carlo alla parrocchia si trovano in Archivio Parrocchiale, titolo V “Amministrazione beni parrocchiali”, Cl.I, Beneficio parrocchiale, cartella 1. fascicolo 1/1.

Altra fonte consultata è il Liber Cronicus, 1897/1913, redatto da Don Luigi Galbiati