giovedì 3 novembre 2022

FRANCESCO GNECCHI RUSCONE (1924-2022)

 

Il 20 settembre scorso, è morto a Milano l'architetto Francesco Gnecchi Ruscone. Aveva 98 anni, era figlio di Gianfranco e di Antonia Caccia Dominioni. Suo padre fu sindaco di Verderio Inferiore dall'aprile 1945 al 1960, nominato dal CLN, subito dopo la Liberazione, e in seguito a elezioni comunali dal 1946 in poi.

Francesco, nel settembre del 1943, dopo l'occupazione tedesca e la fondazione della Repubblica Sociale, aderì al movimento di Resistenza e nel 1944 entrò a far parte di "Nemo", una missione del SIM, il servizio informazioni militare del Regio Esercito. Venne arrestato, torturato e condannato a morte. Si salvò e partecipò alla liberazione di Milano.

Dopo la guerra, conseguita la laurea presso il Politecnico di Milano, iniziò la sua lunga storia di architetto, come professionista - suoi progetti sono realizzati in Italia e nel mondo - e come insegnante - al Politecnico di Milano, alla Architectural Association di Londra e a Yale, negli Stati Uniti. Il suo archivio professionale è conservato al CASVA , presso il Castello Sforzesco (una copia dell'inventario è consultabile alla biblioteca di Verderio).

Francesco Gnecchi Ruscone era legato a Verderio da un profondo legame, soprattutto con la  Bergamina, la casa che i suoi genitori avevano acquistato negli anni trenta del novecento.È stata certamente una  dimostrazione di questo legame la sua decisione di mettere a disposizione della nostra comunità la parte di documenti della sua famiglia riguardanti Verderio, che erano in suo possesso. Riconoscenza vorrebbe che l'Archivio Storico di Verderio, che queste carte conserva e che da queste carte ha acquisito gran parte del suo interesse documentale, venisse adeguatamente valorizzato.

Negli anni scorsi Francesco Gnecchi, in due occasioni, è venuto a Verderio a presentare due suoi libri. Il primo riguarda la sua esperienza partigiana e si intitola Missione "Nemo", un'operazione segreta della Resistenza militare italiana 1944-1945. 

Nell'altro, Storie di architettura, conversando con Adine Gavazzi, architetto e antropologa, Francesco, ricostruisce la  sua esperienza professionale e riflette sul mestiere di architetto.

Francesco Gnecchi Ruscone è stato un amico di questo blog.  Lo chiamava Verderio Time: un'esagerazione che però mi faceva piacere e mi incoraggiava a continuare. Chissà, forse non è troppo tardi per ringraziarlo ancora una volta.

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Marco Bartesaghi

RACCONTO DI RESISTENZA video intervista a Francesco Gnecchi Ruscone realizzata dal CASVA di Milano

Il CASVA è un istituto di documentazione di Milano che si occupa di architettura, di design e di grafica. Nel 2002  Francesco Gnecchi Ruscone, quando ha chiuso il suo studio di architettura, ha depositato al CASVA il suo archivio professionale.

In questa intervista, realizzata per "la notte degli archivi" 2020/21, Francesco Gnecchi parla della sua partecipazione alla lotta partigiana.

Potete ascoltarla al seguente indirizzo:

https://www.archivissima.it/2021/video/966-intervista-a-francesco-gnecchi-ruscone




UN CONVIVIO PER CHI AMA L'ARCHITETTURA prefazione di Giancarlo Consonni a "Storie di architettura" di Francesco Gnecchi Ruscone

Con le autorizzazioni dell'editore, Francesco Brioschi, e dell'autore, Giancarlo Consonni, che ringrazio, vi presento la prefazione al libro "Storie di architettura"  che, nel 2014, l'architetto Francesco Gnecchi Ruscone  ha scritto, in forma di conversazione, con Adine Gavazzi.



UN CONVIVIO PER CHI AMA L'ARCHITETTURA

di Giancarlo Consonni

Introduzione a Francesco Gnecchi Ruscone, Storie di architettura, 2014

Storie di architettura è un libro inusuale e per certi versi controcorrente. Lo percorre una felicità aurorale, mattutina, che è tutt’uno con un modo di disporsi nel mondo. A cominciare dal fare bene il proprio mestiere, cogliendo ogni occasione per portare a miglior espressione le potenzialità ricevute in dono. E, se in fatto di architettura Francesco Gnecchi Ruscone ha dimostrato tutto il suo valore di progettista, allo stesso tempo ha saputo muoversi su un orizzonte assai ampio dando forma e sostanza, con determinazione e fiuto sicuro, al progetto di una vita. Un modo di essere della ευδαιμονία (eudaimonìa). Non a caso la parola compare a un certo punto in queste conversazioni, a suggello di ciò che il libro lascia prima intravedere e alla fine esplicita a tutto tondo. 

Il racconto ha un procedere rapsodico, ben sollecitato in forma conviviale da Adine Gavazzi, che qui combina le sue capacità di ricercatrice con quelle di maieuta. Di formazione architetto, la curatrice del volume ha alle spalle un percorso che l’ha portata a studiare in chiave antropologica le civiltà precolombiane con risultati di grande rilievo. Una passione per l’avventura intellettuale e umana che può spiegare come questa singolare figura di architetto antropologo sia stata attratta dalle esperienze e dagli incontri di cui è costellata la vita del suo interlocutore. 

Essere architetti è certamente un privilegio. Abbiamo completato cicli di studi appassionanti su temi che hanno a che vedere con la bellezza e godiamo del lusso di offrire i nostri servizi a gente che ce li richiede in un momento felice di speranza [...]. 

Questo passaggio, come diversi altri di Storie di architettura, rivela come tra Adine e Francesco si sia stabilito un patto tacito. Il loro conversare sulla terrazza di Largo Richini 4 a Milano non si è svolto solo di fronte a un capolavoro – l’Ospedale Maggiore di Filarete – ma idealmente anche al cospetto di due ampie compagini: quella degli appassionati di architettura e quella di coloro che si avvicinano all’architettura da neofiti. Rendendo palpabile il pubblico a cui si rivolge, il libro rivela così il suo intento. Non è solo una testimonianza sul lavoro sapiente e appassionato di un progettista di vaglia che ha operato per oltre mezzo secolo: è un tentativo di dar vita a un convivio, a uno spazio ideale nel quale ragionare insieme - soprattutto con i (potenziali) lettori più giovani - sulle buone pratiche. Un modo per chiamare a convegno chi è interessato al concreto operare per il bene comune, in particolare a rendere l’ambiente fisico abitabile, bello e fecondo per gli individui e la società. 

Francesco Gnecchi Ruscone ha sempre diffidato delle costruzioni teoriche poste aprioristicamente a guidare il fare. È cresciuto nutrendosi dell’esperienza diretta, cercando di trarre insegnamenti dai risultati, quelli conseguiti dai migliori architetti come quelli pazientemente conquistati in prima persona. Questa disponibilità a imparare in lui è tutt’uno con una spiccata propensione didattica. Ne ho avuto conferma quando da studente, nel 1964-65, ebbi modo di vederlo all’opera tra gli assistenti di Ernesto Nathan Rogers, nel corso di Elementi di composizione al Politecnico di Milano. 

Eppure, lui che di energie a insegnare ne ha spese, a conti fatti è stato un antiaccademico. Evidentemente non gli si confaceva l’aria di chiuso delle conventicole, le schiere adoranti e i tristi rituali delle accademie: quelle spiagge desolate in cui si arenano le migliori intenzioni, quando la fame di consenso prevale sul prendere rischi in campo aperto. E Francesco Gnecchi Ruscone di rischi ne ha presi, per curiosità e tensione etica; e anche per il gusto di mettersi continuamente alla prova nel perseguire «virtute e canoscenza» (in chiara continuità con il suo impegno nella Resistenza). Il suo tenersi alla larga dalle liturgie accademiche, non ha impedito che, anche lontano dall’università, egli continuasse a mettere a disposizione a chiunque fosse interessato le competenze accumulate nel suo lavoro in patria e in giro per il mondo. È questa stessa disponibilità del resto che lo ha portato a fornire un contributo prezioso nella difficile fase costitutiva della Scuola di Architettura di Algeri.

Francesco Gnecchi Ruscone e Adine Gavazzi presentano il libro a Verderio (27/2/2015)

Fare di un libro un ideale convivio passa inevitabilmente anche attraverso la ricerca di una sintonia. Sintomatico il modo in cui il lettore viene messo a contatto con l’emozione provata dal protagonista nell’intraprendere la sua prima esperienza progettuale: quell’esercizio di immaginazione, condiviso con il committente, che assume i caratteri di un sogno ad occhi aperti, a cui anche chi legge è invitato a partecipare. Ma l’emozione non si spegne: si rinnova nella restituzione di ogni momento importante: di pagina in pagina è tenuta viva come una fiammella. 

E non si tratta solo di un artificio retorico. Episodi, incontri, traiettorie, intersezioni, successi e fallimenti, scontri e sinergie possono essere riproposti in modo coinvolgente perché sono stati vissuti dal protagonista a tutto campo: hanno una portata culturale e umana, oltre che professionale. Così condividiamo i timori e l’ebbrezza per lo schiudersi di una prospettiva, per una sfida che sollecita a mobilitare tutte le energie di cui si dispone e a rinvenirne di nuove nel compiersi della prova. Il senso di felicità che da tutto questo traspare è tutt’altro che a buon mercato: ha il suo contrappeso nelle difficoltà che, in imprese piccole e grandi, si sono dovute superare e persino nello sgomento provato di fonte a prove di grande portata, come quella che ha visto il protagonista lavorare a fianco di Adriano Olivetti nella ricerca di un habitat civile per gli abitanti dei Sassi di Matera

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