mercoledì 25 gennaio 2017
27 GENNAIO 2017, "GIORNO DELLA MEMORIA" - VERDERIO RICORDA LA FAMIGLIA MILLA
In questo blog potete trovare articoli inerenti ad argomenti legati al "Giorno della Memoria", sotto l'omonima etichetta. Gli articoli relativi alla vicenda della famiglia Milla li potete trovare anche cliccando direttamente sul seguente indirizzo:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/search?q=FAMIGLIA+MILLA
“GUARDÉ, GUARDÉ! I BRUSA I EBREI!” Lettera testimonianza di Anerio Villani ai nipoti.
Anerio Villani è un signore di Merate, classe 1938, originario di Trieste. È nonno di sette nipoti, non più bambini. Anerio,quando raggiungono “l'età per capire”, scrive loro delle lettere,in cui racconta episodi di storia di cui ha avuto conoscenza diretta. Non si aspetta riscontri, ma pensa che la sua testimonianza possa essere utile e sia da loro apprezzata.
Le lettere che mi ha messo a disposizione, per le quali lo ringrazio, riguardano un ricordo della sua infanzia a Trieste, quando, giocando per strada con altri bambini, vedeva il fumo uscire dal camino della Risiera di San Sabba, il campo di stermino nazista della sua città. M.B.
23 gennaio 2014
Caro Marco, caro Lorenzo,
In occasione del Giorno della Memoria, vi spedisco la mail qui allegata, che ho scritto nove anni fa, per la stessa ricorrenza, a vostro padre e allo zio Alberto, oltre che ai vostri fratelli maggiori che avevano già l’età per capire.
Allora avevo scritto questo anche perché volevo contribuire a fare chiarezza su due punti che ogni tanto, negli anni riemergevano.
Il primo punto era la pretesa, serpeggiante in Germania, che, della Shoah, loro, i cittadini, non ne sapevano nulla : nessuno s’era accorto dei treni e treni che arrivavano in prossimità dei campi di concentramento carichi di umanità e ne ritornavano vuoti.
A Trieste, invece, quello che succedeva a San Sabba (alla fine cinquemila morti almeno) lo sapevano anche i bambini in età di scuola elementare.
Il secondo punto era il vezzo, di quelli che “io la verità la guardo in faccia”, di dire che anche l’Italia aveva avuto il suo campo di sterminio: poi non fa niente se i rastrellamenti erano eseguiti da soldati tedeschi, il campo era condotto dai tedeschi e gli ordini arrivavano da Berlino.
Vi spedisco questa mail perché tengo molto a che sappiate tutto questo e poi perché, se mai un insegnante vi chiedesse di portare a scuola una testimonianza su quel periodo, voi siate in grado di farlo.
Vi mando il saluto ebraico: Shalom (che vuol dire Pace)
nonno Anerio
“Trieste, nel 1944, era occupata dai tedeschi. Anzi, era più che occupata: dopo l’Armistizio era stata ufficialmente annessa la Terzo Reich. Facevamo parte della Grande Germania, così come l’Austria e la Cecoslovacchia. Formalmente la nostra capitale non era più Roma, ma Berlino.
Nel rione di San Sabba esisteva ancora, anche se in disuso, un vecchio stabilimento per la pilatura del riso, la cosiddetta Risiera, costruita e funzionante ai tempi dell’Austria, quando i miei nonni materni, Pepi e Maria, possedevano un trattoria in quei paraggi, frequentata specialmente dalle maestranze dello stabilimento.
Nel ’44 la trattoria, con annessa abitazione, era stata venduta già da tempo, e noi abitavamo in quel gruppo di case che danno inizio alla via Flavia, cioè un poco più distante ma pur sempre in vista della Risiera.
In particolare se ne vedeva l’alta ciminiera.
Credo che durante la guerra la Risiera sia stata utilizzata come caserma dai nostri soldati; sicuramente, dopo l’8 settembre, fu caserma per i soldati tedeschi, ma per poco, perché questi la trasformarono subito in carcere. Dapprima per i partigiani di Tito, cioè l’esercito jugoslavo; successivamente anche per i civili, avversari politici e semplici ebrei, soprattutto triestini.
Ricordo che nel parlare che ne sentivo fare , a voce molto bassa, fra le pareti domestiche, gli ebrei erano i più nominati, perché erano concittadini, gente come noi; si parlava lo stesso dialetto; qualcuno era conosciuto in famiglia.
Un giorno di quella estate, avevo sei anni, ero in cortile e giocare con un gruppo di bambini che potevano avere dai sei ai dodici anni. Ad un tratto ricordo perfettamente uno dei più grandicelli dire, con voce concitata ma trattenuta dal timore: “Guardé, guardé! I brusa i ebrei!”. E indicava il camino della Risiera. Tutti noi restammo impietriti guardando nella stessa direzione, a quel fumo denso che saliva in cielo.
Ricordo quel gruppo di bambini imbambolati per un lungo istante, probabilmente intenti a dare una collocazione logica nella loro mente a un fatto così irreale. Io ero atterrito, l’esclamazione del ragazzino più grande mi aveva acceso l’immagine di persone vive gettate nel fuoco, come in certe raffigurazioni sacre fatte per spiegare l’inferno. Ero schiacciato dalla crudeltà della tortura e, insieme, dall’enormità del fatto che una rappresentazione fiabesca fosse diventata reale.
Ce ne furono molto altre, di fumate, in quel tempo. noi bambini continuammo a giocare in cortile guardando ogni tanto da quella parte, ma ognuno per conto proprio. Io ero sempre tristi per quei fatti, ma senza patire il contraccolpo drammatico della prima volta. Qualcuno mi aveva spiegato che gli ebrei non li buttavano nel fuoco vivi, ma dopo averli uccisi col gas, che dà una morte indolore.”
27 gennaio 2014
Cari ragazzi,
a proposito di Shoah, proprio in questi giorni sono avvenuti a Roma fatti che mostrano come la mala pianta dell’antisemitismo sia ancora lungi dall’essere appassita (1).
Anzi era già rinata da tempo, in varie nazioni, con le false (o forse vere, ma immeritate) vesti accademiche di sedicenti studiosi di storia che tentano di dimostrare che la Shoah è tutta un’invenzione, che non è vero che sei milioni di ebrei sono stati sterminati dai nazisti in Europa durante la seconda guerra mondiale.
Sono i cosiddetti negazionisti, per i quali si può solo sperare che non abbiano séguito perché “il sonno della ragione genera mostri”, come ha scritto il grande pittore spagnolo Francisco Goya in un suo famoso quadro.
Una precisazione sulla mia nail dell’altro giorno. Quando sostengo che non è lecito affermare che l’Italia ha avuto il suo campo di sterminio nella Risiera di San Sabba, perché in realtà si trattava di un campo tedesco, non voglio tacere le colpe dell’Italia nella persecuzione degli ebrei. Perché ne ha avute eccome. Basta pensare alle leggi razziali promulgate nel 1938, in forza delle quali gli alunni ebrei furono espulsi da tutte le scuole del Regno, dall’oggi al domani.
Non ne ho accennato perché ritengo che questo capitolo meriti una trattazione a sé, e infatti ne riparleremo in seguito.
Vi abbraccio
Nonno Anerio
NOTA
(1) A Roma, il 25 gennaio 2014, furono provocatoriamente inviate teste di maiale alla Sinagoga, a una mostra sulla cultura ebraica e all'ambasciata di Israele. Molto probabilmente Anerio fa riferimento a questo episodio.
Le lettere che mi ha messo a disposizione, per le quali lo ringrazio, riguardano un ricordo della sua infanzia a Trieste, quando, giocando per strada con altri bambini, vedeva il fumo uscire dal camino della Risiera di San Sabba, il campo di stermino nazista della sua città. M.B.
***
23 gennaio 2014
Caro Marco, caro Lorenzo,
In occasione del Giorno della Memoria, vi spedisco la mail qui allegata, che ho scritto nove anni fa, per la stessa ricorrenza, a vostro padre e allo zio Alberto, oltre che ai vostri fratelli maggiori che avevano già l’età per capire.
Allora avevo scritto questo anche perché volevo contribuire a fare chiarezza su due punti che ogni tanto, negli anni riemergevano.
Il primo punto era la pretesa, serpeggiante in Germania, che, della Shoah, loro, i cittadini, non ne sapevano nulla : nessuno s’era accorto dei treni e treni che arrivavano in prossimità dei campi di concentramento carichi di umanità e ne ritornavano vuoti.
A Trieste, invece, quello che succedeva a San Sabba (alla fine cinquemila morti almeno) lo sapevano anche i bambini in età di scuola elementare.
Il secondo punto era il vezzo, di quelli che “io la verità la guardo in faccia”, di dire che anche l’Italia aveva avuto il suo campo di sterminio: poi non fa niente se i rastrellamenti erano eseguiti da soldati tedeschi, il campo era condotto dai tedeschi e gli ordini arrivavano da Berlino.
Vi spedisco questa mail perché tengo molto a che sappiate tutto questo e poi perché, se mai un insegnante vi chiedesse di portare a scuola una testimonianza su quel periodo, voi siate in grado di farlo.
Vi mando il saluto ebraico: Shalom (che vuol dire Pace)
nonno Anerio
“Trieste, nel 1944, era occupata dai tedeschi. Anzi, era più che occupata: dopo l’Armistizio era stata ufficialmente annessa la Terzo Reich. Facevamo parte della Grande Germania, così come l’Austria e la Cecoslovacchia. Formalmente la nostra capitale non era più Roma, ma Berlino.
Nel rione di San Sabba esisteva ancora, anche se in disuso, un vecchio stabilimento per la pilatura del riso, la cosiddetta Risiera, costruita e funzionante ai tempi dell’Austria, quando i miei nonni materni, Pepi e Maria, possedevano un trattoria in quei paraggi, frequentata specialmente dalle maestranze dello stabilimento.
Nel ’44 la trattoria, con annessa abitazione, era stata venduta già da tempo, e noi abitavamo in quel gruppo di case che danno inizio alla via Flavia, cioè un poco più distante ma pur sempre in vista della Risiera.
In particolare se ne vedeva l’alta ciminiera.
Credo che durante la guerra la Risiera sia stata utilizzata come caserma dai nostri soldati; sicuramente, dopo l’8 settembre, fu caserma per i soldati tedeschi, ma per poco, perché questi la trasformarono subito in carcere. Dapprima per i partigiani di Tito, cioè l’esercito jugoslavo; successivamente anche per i civili, avversari politici e semplici ebrei, soprattutto triestini.
Immagine della Risiera di San Sabba, oggi monumento nazionale, tratta da un opuscolo edito dal comune di Trieste |
Ricordo che nel parlare che ne sentivo fare , a voce molto bassa, fra le pareti domestiche, gli ebrei erano i più nominati, perché erano concittadini, gente come noi; si parlava lo stesso dialetto; qualcuno era conosciuto in famiglia.
Un giorno di quella estate, avevo sei anni, ero in cortile e giocare con un gruppo di bambini che potevano avere dai sei ai dodici anni. Ad un tratto ricordo perfettamente uno dei più grandicelli dire, con voce concitata ma trattenuta dal timore: “Guardé, guardé! I brusa i ebrei!”. E indicava il camino della Risiera. Tutti noi restammo impietriti guardando nella stessa direzione, a quel fumo denso che saliva in cielo.
Ricordo quel gruppo di bambini imbambolati per un lungo istante, probabilmente intenti a dare una collocazione logica nella loro mente a un fatto così irreale. Io ero atterrito, l’esclamazione del ragazzino più grande mi aveva acceso l’immagine di persone vive gettate nel fuoco, come in certe raffigurazioni sacre fatte per spiegare l’inferno. Ero schiacciato dalla crudeltà della tortura e, insieme, dall’enormità del fatto che una rappresentazione fiabesca fosse diventata reale.
Ce ne furono molto altre, di fumate, in quel tempo. noi bambini continuammo a giocare in cortile guardando ogni tanto da quella parte, ma ognuno per conto proprio. Io ero sempre tristi per quei fatti, ma senza patire il contraccolpo drammatico della prima volta. Qualcuno mi aveva spiegato che gli ebrei non li buttavano nel fuoco vivi, ma dopo averli uccisi col gas, che dà una morte indolore.”
***
27 gennaio 2014
Cari ragazzi,
a proposito di Shoah, proprio in questi giorni sono avvenuti a Roma fatti che mostrano come la mala pianta dell’antisemitismo sia ancora lungi dall’essere appassita (1).
Anzi era già rinata da tempo, in varie nazioni, con le false (o forse vere, ma immeritate) vesti accademiche di sedicenti studiosi di storia che tentano di dimostrare che la Shoah è tutta un’invenzione, che non è vero che sei milioni di ebrei sono stati sterminati dai nazisti in Europa durante la seconda guerra mondiale.
Sono i cosiddetti negazionisti, per i quali si può solo sperare che non abbiano séguito perché “il sonno della ragione genera mostri”, come ha scritto il grande pittore spagnolo Francisco Goya in un suo famoso quadro.
Una precisazione sulla mia nail dell’altro giorno. Quando sostengo che non è lecito affermare che l’Italia ha avuto il suo campo di sterminio nella Risiera di San Sabba, perché in realtà si trattava di un campo tedesco, non voglio tacere le colpe dell’Italia nella persecuzione degli ebrei. Perché ne ha avute eccome. Basta pensare alle leggi razziali promulgate nel 1938, in forza delle quali gli alunni ebrei furono espulsi da tutte le scuole del Regno, dall’oggi al domani.
Non ne ho accennato perché ritengo che questo capitolo meriti una trattazione a sé, e infatti ne riparleremo in seguito.
Vi abbraccio
Nonno Anerio
NOTA
(1) A Roma, il 25 gennaio 2014, furono provocatoriamente inviate teste di maiale alla Sinagoga, a una mostra sulla cultura ebraica e all'ambasciata di Israele. Molto probabilmente Anerio fa riferimento a questo episodio.
martedì 24 gennaio 2017
SULLA RIVA DEL LAGO. Il documentario di Jurij Razza su Fausta Finzi e le sue compagne di deportazione.
"Sulla riva del lago" è il documentario che Jurij Razza sta realizzando sull'esperienza di deportazione nel campo di concentramento di Ravensbrück, che la signora Fausta Finzi condivise strettamente con altre cinque compagne di prigionia
In occasione del Giorno della Memoria, ho chiesto a Jurij di fare per il blog il punto sulla realizzazione del documentario.
Venerdì 27 gennaio alle ore 18, Jurij presenterà il suo progetto a Vimercate, a Palazzo Trotti in piazza Unità d'Italia 1.
M.B.
SULLA RIVA DEL LAGO - avanzamento del lavoro di Jurij Razza
Quando ho iniziato ad immaginare la storia di questo progetto e poi ad occuparmi delle ricerche che ne sarebbero state le fondamenta, non avrei mai pensato che si sarebbe trasformato in un lavoro che avrebbe occupato così tanti anni della mia vita nonché così tante energie. Una ricerca che nel corso degli anni si sarebbe trasformata quasi in un’ossessione e nel desiderio di dar vita alla storia di sei donne coinvolte nell’esperienza della deportazione e che nessuno aveva mai raccontato.
Di Fausta Finzi e della sua storia conoscevo ormai quasi tutto; dopo il nostro primo incontro - avvenuto nel 2000, quando fui coinvolto nella realizzazione di un piccolo documentario commissionato dal Comune di Verderio e dedicato alla sua testimonianza - ce ne furono molti altri, che accrebbero la nostra amicizia, i suoi preziosi insegnamenti e il mio desiderio di realizzare un nuovo e più approfondito lavoro insieme.
Oggi finalmente questo progetto ha preso forma e si sta concretizzando in un documentario intitolato Sulla riva del lago. Nel mezzo ci sono stati anni di ricerche, di traversie produttive, inaspettate scoperte, snervanti rinunce, imprevisti e nuove conoscenze. E c’è stata anche la morte di Fausta, da cui tutto era scaturito e che non avrebbe potuto proseguire questa avventura con me.
Le vicende di queste sei donne, che condivisero l’esperienza della deportazione nel lager di Ravensbrück, ha iniziato ad essere svelata e per la prima volta, con questo documentario, le loro memorie si stanno intrecciando per raccontare una storia di solidarietà femminile.
Dal primo ciak battuto alle ultime interviste delle scorse settimane ho già accumulato più di 50 ore di riprese, divise tra interviste e immagini dei luoghi che furono teatro della persecuzione; materiale che è stato minuziosamente catalogato e trascritto, per poter lavorare con più precisione alla futura fase di montaggio.
L’ostacolo maggiore che ha accompagnato la lunga gestazione di questo lavoro è stato principalmente quello economico. Le ricerche si sono dilatate nel tempo per ammortizzare spese come quelle per gli spostamenti, i pernottamenti o il semplice acquisto dei libri e materiali informativi. Tutto questo dovendo incastrare tempi e disponibilità, nei ritagli di tempo e quando il lavoro mi permetteva di proseguire.
E poi ho dovuto affrontare la burocrazia, le difficoltà di reperimento dei materiali d’archivio, la ricerca dei parenti, il lavoro di conoscenza reciproca e il convincimento a partecipare al progetto.
Per contro però ci sono state anche numerose gratificazioni, che mi hanno portato a scoprire sempre più dettagli, a conoscere persone straordinarie che hanno contribuito ad aggiungere nuovi tasselli alla storia di queste donne, ad arricchire sempre di più il progetto.
Manca ormai poco al termine delle riprese: le prossime settimane saranno dedicate all’organizzazione delle ultime sei o sette interviste che completeranno il quadro di tutti i testimoni indiretti legati ad una delle sei storie e poi si inizierà a lavorare al montaggio.
Tutto questo lungo lavoro è durato più di sei anni e si è svolto senza finanziatori. Per questo motivo, ora più che mai, il contributo di tutti coloro che continueranno a partecipare alla raccolta fondi sarà determinante per rientrare nei costi sostenuti e per sopportarmi nella lunga ed meticolosa fase di montaggio che si svolgerà nel corso dei prossimi mesi.
Questa indipendenza produttiva non ha facilitato il cammino, ma mi ha permesso di rendere questo lavoro un progetto partecipato, dove amici, conoscenti o perfetti sconosciuti mi hanno supportato economicamente, ma soprattutto hanno condiviso il proprio entusiasmo, le proprie esperienze e i propri consigli in un progetto di memorialistica che rende omaggio alla storia dei deportati e in particolare a quella delle donne.
Per contribuire, con una donazione libera, è sufficiente cliccare su:
www.produzionidalbasso.com/project/sulla-riva-del-lago-2
Clicca su questo indirizzo per trovare tutto ciò che, su questo blog, riguarda fausta Finzi:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/search?q=FAUSTA+FINZI
In occasione del Giorno della Memoria, ho chiesto a Jurij di fare per il blog il punto sulla realizzazione del documentario.
Venerdì 27 gennaio alle ore 18, Jurij presenterà il suo progetto a Vimercate, a Palazzo Trotti in piazza Unità d'Italia 1.
M.B.
SULLA RIVA DEL LAGO - avanzamento del lavoro di Jurij Razza
Quando ho iniziato ad immaginare la storia di questo progetto e poi ad occuparmi delle ricerche che ne sarebbero state le fondamenta, non avrei mai pensato che si sarebbe trasformato in un lavoro che avrebbe occupato così tanti anni della mia vita nonché così tante energie. Una ricerca che nel corso degli anni si sarebbe trasformata quasi in un’ossessione e nel desiderio di dar vita alla storia di sei donne coinvolte nell’esperienza della deportazione e che nessuno aveva mai raccontato.
Fausta Finzi |
Di Fausta Finzi e della sua storia conoscevo ormai quasi tutto; dopo il nostro primo incontro - avvenuto nel 2000, quando fui coinvolto nella realizzazione di un piccolo documentario commissionato dal Comune di Verderio e dedicato alla sua testimonianza - ce ne furono molti altri, che accrebbero la nostra amicizia, i suoi preziosi insegnamenti e il mio desiderio di realizzare un nuovo e più approfondito lavoro insieme.
Oggi finalmente questo progetto ha preso forma e si sta concretizzando in un documentario intitolato Sulla riva del lago. Nel mezzo ci sono stati anni di ricerche, di traversie produttive, inaspettate scoperte, snervanti rinunce, imprevisti e nuove conoscenze. E c’è stata anche la morte di Fausta, da cui tutto era scaturito e che non avrebbe potuto proseguire questa avventura con me.
Le vicende di queste sei donne, che condivisero l’esperienza della deportazione nel lager di Ravensbrück, ha iniziato ad essere svelata e per la prima volta, con questo documentario, le loro memorie si stanno intrecciando per raccontare una storia di solidarietà femminile.
Il lago nelle vicinanze del campo di Ravensbrück |
Dal primo ciak battuto alle ultime interviste delle scorse settimane ho già accumulato più di 50 ore di riprese, divise tra interviste e immagini dei luoghi che furono teatro della persecuzione; materiale che è stato minuziosamente catalogato e trascritto, per poter lavorare con più precisione alla futura fase di montaggio.
L’ostacolo maggiore che ha accompagnato la lunga gestazione di questo lavoro è stato principalmente quello economico. Le ricerche si sono dilatate nel tempo per ammortizzare spese come quelle per gli spostamenti, i pernottamenti o il semplice acquisto dei libri e materiali informativi. Tutto questo dovendo incastrare tempi e disponibilità, nei ritagli di tempo e quando il lavoro mi permetteva di proseguire.
E poi ho dovuto affrontare la burocrazia, le difficoltà di reperimento dei materiali d’archivio, la ricerca dei parenti, il lavoro di conoscenza reciproca e il convincimento a partecipare al progetto.
Per contro però ci sono state anche numerose gratificazioni, che mi hanno portato a scoprire sempre più dettagli, a conoscere persone straordinarie che hanno contribuito ad aggiungere nuovi tasselli alla storia di queste donne, ad arricchire sempre di più il progetto.
Manca ormai poco al termine delle riprese: le prossime settimane saranno dedicate all’organizzazione delle ultime sei o sette interviste che completeranno il quadro di tutti i testimoni indiretti legati ad una delle sei storie e poi si inizierà a lavorare al montaggio.
Alcuni degli intervistati. Dall'alto: Dori Bonfiglioli, Franco Schönheit, Federico Bario |
Tutto questo lungo lavoro è durato più di sei anni e si è svolto senza finanziatori. Per questo motivo, ora più che mai, il contributo di tutti coloro che continueranno a partecipare alla raccolta fondi sarà determinante per rientrare nei costi sostenuti e per sopportarmi nella lunga ed meticolosa fase di montaggio che si svolgerà nel corso dei prossimi mesi.
Questa indipendenza produttiva non ha facilitato il cammino, ma mi ha permesso di rendere questo lavoro un progetto partecipato, dove amici, conoscenti o perfetti sconosciuti mi hanno supportato economicamente, ma soprattutto hanno condiviso il proprio entusiasmo, le proprie esperienze e i propri consigli in un progetto di memorialistica che rende omaggio alla storia dei deportati e in particolare a quella delle donne.
Per contribuire, con una donazione libera, è sufficiente cliccare su:
www.produzionidalbasso.com/project/sulla-riva-del-lago-2
Clicca su questo indirizzo per trovare tutto ciò che, su questo blog, riguarda fausta Finzi:
http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/search?q=FAUSTA+FINZI
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