Questo brano è parte del capitolo intitolato La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano: la genesi architettonica e le sue opere, scritto da Elisabetta Parente per il libro La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano 1902 - 2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa, pubblicato dalla parrocchia di Verderio Superiore in occasione del centenario della costruzione della chiesa. Un altro brano dello stesso capitolo, relativo a L'adorazione dei pastori è stato pubblicato su questo blog il 18 dicembre 2009. Lo trovate cliccando sulle stesse etichette di questo.
m.b.Nel transetto sinistro della chiesa, sopra la porta che immette nel corridoio della sacrestia, è posta la Crocifissione.
E' un'opera di grandi dimensioni, dipinta ad olio su tela e databile intorno alla metà del XVII secolo.
Per il modo in cui viene impiegato il colore e per l'atteggiamento imposto alle figure, ritengo la si possa considerare opera di scuola lombarda, con forti influssi di area cremonese.
Il tema della Crocifissione è tra i più rappresentati nella storia dell'arte e, nel corso dei secoli, la sua iconografia si è andata modificando, a seconda che l'artista abbia tradotto il tema in maniera più o meno corale.
Dopo il riconoscimento ufficiale del culto cristiano, da parte di Costantino, è la semplice croce a venire raffigurata e per trovare l'iconografia della Crocifissione, così come noi la conosciamo, dobbiamo attendere il VI secolo.
L'origine è orientale e il Cristo vi appare con il busto eretto, vestito con una tunica e con gli occhi aperti. E' l'immagine del Cristo "triumphans et docens", trionfante sulla morte, che insegna agli uomini la sua passione.
Solo a partire dal secolo XI si viene affermando l'immagine del Cristo "patiens", cioè il Cristo sofferente, che con il capo reclinato da un lato mostra agli uomini la natura umana della sua sofferenza e del suo dolore.
Se dal XIII secolo, sul braccio verticale della croce, ai lati del corpo di Cristo, cominciano ad essere rappresentati episodi della Passione come la Cattura o la Flagellazione, è però solo con il finire del Medioevo che il tema si volge a diventare più corale e narrativo.
Infatti agli inizi del 1400 si afferma un genere di composizione in cui le immagini a figura intera della Vergine e di san Giovanni sono disposte ai piedi della Croce, alle quali si accompagna quella della Maddalena, in genere inginocchiata, nell'atto di abbracciare il piede della Croce o di sollevare le braccia in segno di disperazione.
Questo tipo di composizione può venire "allargata" e comprendere oltre ad una dettagliata visione del paesaggio di fondo, la presenza dei due ladroni crocefissi ai lati di Cristo, il drappello dei soldati, il gruppo delle pie donne che affiancava Maria.
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Nella Crocifissione di Verderio, il tema è trattato in maniera intima ed essenziale, essendo presenti nella composizione i protagonisti in senso stretto.Alla destra di Cristo appare la Vergine, gli occhi dolenti levati verso il figlio, le mani giunte, serrate al petto, in segno di dolore più che di preghiera. Spesso gli artisti hanno idealizzato la figura di Maria, raffigurandola sempre giovane, in qualsiasi episodio della Passione di Cristo; qui, invece, la Vergine appare invecchiata, il volto un po' gonfio, segnato da linee d' espressione che si fanno evidenti ai lati della bocca.
MARIA
Dall'altro lato della croce, è rappresentato Giovanni, "il discepolo caro a Gesù".
Giovane e biondo, l'apostolo Giovanni appare chiuso nel proprio dolore, la figura curva in avanti, gli occhi bassi rivolti al terreno.
Ai piedi della croce, posta di profilo, la lunga chioma di capelli chiari sciolta sulle spalle, Maria Maddalena avvolge con le braccia il piede della croce, tenendo in una mano un panno, presenza che sembra voler alludere a un altro episodio evangelico, che la vede protagonista: durante il banchetto a casa del Fariseo, Maddalena, nota per la sua vita dissoluta, si getta a terra ai piedi di Gesù e gli asciuga con i capelli i piedi che aveva bagnato con le sue lacrime per poi cospargerli d'unguento.
Perno visivo e cromatico della composizione sono la croce e il corpo di Cristo.
La croce è posta in diagonale, con il braccio destro che si perde nell'oscurità, in modo da suggerire il senso della profondità, quel senso della spazialità determinato anche dalla disposizione delle figure.
Dal punto di vista cromatico, la tavolozza impiegata è scurissima, rialzata da pochi e sapienti tocchi di luce: il cartiglio, posto in cima alla croce, con l'inscrizione INRI, cioè "Iesus Nazarenus Rex Iudeorum"; la corona di spine, che cinge la testa di Gesù, dalla quale si sprigionano piccole fiammelle luminose; il corpo livido e freddo, di un biancore quasi irreale, del Cristo.
C'è un particolare insolito in quest'opera: il Redentore appare crocifisso per mezzo di quattro chiodi, due per le mani e due per i piedi, mentre già a partire dalla fine del XIII secolo gli artisti, nel trattare questo tema, ricorrevano ad un solo chiodo per i due piedi, che venivano così dipinti sovrapposti, per rafforzare l'impressione di volume.
E' indubbio che l'artista che ha realizzato quest'opera ha voluto darle un taglio raccolto, ben lontano da qualsiasi tipo di rappresentazione corale; non solo non è presente la folla, ma la composizione è anche priva di una seppur minima ambientazione, in modo tale che la nostra attenzione sia tutta rivolta ai personaggi.
Nell'opera il dolore è rappresentato in forma trattenuta, vissuto con pudore dai singoli, chiusi nella propria sofferenza, senza che fra loro si instauri comunicazione o dialogo.
Questo patetismo controllato e di misura non impedisce all'artista di dare una forma piena alle figure, tratteggiate in maniera larga (si veda, per esempio, la Maddalena), né tanto meno di ricorrere a certi preziosismi cromatici.
Interessante è l'impiego del colore rosso, che l'artista mette in campo in tre note molto differenti: rosso caldo è il manto che ricopre la veste scura di Giovanni; rosso magenta , dalle sfumature quasi viola, è la veste della Maddalena; rosa carico, aranciato, è il colore della veste di Maria, avvolta in un manto blu.
Elisabetta Parente, 2002