La prima parte del diario di Aldo Colombo è stata pubblicata su questo blog il 27 gennaio 2012. M.B.
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Aldo Colombo in una foto del periodo di "premilitare" |
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Retro dell'immagine precedente |
-Seconda parte-
E così, a malincuore, lasciammo la nostra nave al grido di EVVIVA BADOGLIO e con la compagnia dei nostri ex alleati con i mitra in mano. L'indomani ci fecero salire su di un piroscafo stracarico, issando la bandiera della CR e ci alloggiare in un collegio.
Appena giunti il comandante della nostra nave, malgrado che aveva perso la sua autorità, si comportò come un padre di famiglia, ci consiglio in bene, cioè ci disse di stare uniti e di seguire la massa, perché forse solo lui sapeva la verità. Le voci che erano di rimpatriare attraverso la Jugoslavia erano poco credibili perché i partigiani greci ci dissero che ci inviavano in campo di concentramento in Germania.
Chi aveva il coraggio di nascondersi tra di loro forse avevano molte probabilità di evitare il peggio. Io personalmente, data la mia poca esperienza, non ho osato tanto perché anzitutto seguivo il consiglio del comandante e poi vedevo che anche gli anziani accettavano la sorte. Avevo saputo che solo il comandante in seconda era fuggito su di un veliero verso la Turchia. Il comandante in prima penso che restò fra ufficiali, in attesa di trasferimento. Si era verso il 15 settembre del '43 quando ci fecero sapere con le belle maniere, di essere pronti per il rimpatrio, che però si doveva prolungare perché tanti ponti erano stati fatti saltare dai partigiani slavi. Così composero la colonna di camion fra gli equipaggi del "Solferino", del "Castelfidardo" e una ventina di soldati di fanteria. Ci portarono per un centinaio di chilometri verso Salonicco. Quindi ci fecero salire su una tradotta che non era che un treno merci con i vagoni tutti scoperti, assieme ad altri militari ... e così iniziammo il cammino della speranza verso nord. Si era al tramonto quando partimmo, a mezzanotte arrivammo in una località appena passato il confine con la Bulgaria, ci dettero della minestrina e poi restammo 6 o sette ore in attesa senza avvisarci, così girammo un po' il paese, ricordo che incontrammo un contadino che aveva presso le sue figlie le quali erano molto impaurite. Ci disse che ci portavano in Germania e che se volessimo ci teneva nascosti, tanto i soldati tedeschi non si vedevano in giro. È stato un momento drammatico, alcuni fuggirono quando il treno rallentava, si vedeva qualcuno che si buttava giù con lo zaino e quindi si nascondeva negli arbusti, certamente di notte. Passarono i giorni, perché era più il tempo che si era fermi, si passava poi in Romania, ricordo che un giorno che eravamo fermi in una località vidi passare una tradotta sul cui tetto di un vagone vidi un mio amico Enrico che proveniva anche lui dalla Grecia e che seppi che fu malato e rimpatriato. Ricordo che passai cinque capitali di altrettante nazioni quali: Grecia (Atene) 2° Sofia (Bulgaria) 3° Bucarest (Romania) Budapest (Hungheria) Vienna (Austria).
Dopo tante peripezie (il viaggio durò ventidue giorni) giungemmo, come erano le previsioni al Lager di Bad di Sulsa, una località al centro della Germania, che era anche campo di concentramento.
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Aldo Colombo, in centro, con due commilitini |
Ci lasciarono così la prima notte all'addiaccio, io non avevo ne la coperta ne il cappotto e così dovetti camminare intorno a un falò fino al mattino come se avessi fatto [...] Km a piedi, stanco morto ma speranzoso di una giornata migliore.
Di fatto verso le dieci del mattino ci dettero da mangiare delle patate cotte e più tardi ci radunarono e ci chiesero, tramite un ufficiale che parlava italiano se volevamo restare in campo di concentramento oppure arruolarsi alla Wermach o viceversa lavorare nelle fabbriche. Io ho seguito la massa cioè a lavorare. Mi dettero dei vestiti e più tardi salimmo su due camion circa 50 uomini, metà dei quali eravamo gli equipaggi delle due navi che ci presero a Suda nell'isola di Creta. Facemmo circa 40 km in mezzo a delle basse colline e quando arrivammo a sera trovammo dei nuovi anziani che fecero segno al militare di scorta di metter al muro e poi giungemmo in una fabbrica che ci trovammo abbastanza bene e sistemati in una grande mansarda che aveva solo tre finestrini, composta di 26 letti a castello doppi, dei tavoli e sedie e inoltre una ventina di lavabo con acqua fredda e calda, i servizi erano al piano terreno quindi si doveva chiedere permesso al militare. E così cominciò la nuova vita di prigioniero.
Si cominciò dalle ore 7 alle 19, con mezzora di pausa a mezzogiorno. Alla sera terminato il lavoro si doveva lavarsi bene e poi il caporale ci faceva la rivista e poi si mangiava.
La sveglia al mattino era alle 6.30 si faceva il te o caffè, verso le 9 ci dettero un panino sempre a chi lavorava e gli altri solo un brodo. C'è voluto un po' di tempo ad ambientarsi e presto facemmo conoscenza con altri lavoratori stranieri, quali francesi, belgi e polacchi. Io conobbi una ragazza belga che si chiamava Nadj che lavorava vicino a me e subito c'è stata simpatia e qualcosa di più perché comprese la mia situazione mi aiutò in qualche modo, tutto quello che gli cercavo mi soddisfava ma dopo tre mesi sparì dalla circolazione. Non seppi più niente e dispiace tanto che gli avevo dato tante mie foto e le sue lettere che mi recava tutti i giorni e che non le tenevo per paura che me le trovasse il tedesco. Pochi giorni prima ci eravamo messi d'accordo di vederci di fuori al termine del lavoro, assieme ad una sua socia e un mio amico, ma fatalmente venne fuori anche un capo tedesco che mi riconobbe e che all'indomani riferì al caporale il quale venne giù in officina e che mi fece una predica , poi alla sera mi fece l'ispezione, [...] e con la lente per verificare penso se avevo avuto un rapporto, magari.
Feci una penitenza per circa 20 giorni, all'orario della mensa dovevo andare giù a pulire 20 gabinetti.
Il mio sogno era finito, più che la fame sentivo la nostalgia ... ma la vita continua se poi ci pensavo non sarei qui a scrivere ma pensavo anche di superare tutte le avversità pur di rivedere i miei cari.
Forse la mia [...] Odette non è più tornata a casa, se no mi avrebbe scritto perché aveva il mio indirizzo, io non ho più ricordato il suo anche perché è passato tanto tempo, di lei mi son rimaste solo tre foto. Volevo fare un annuncio tramite un giornale belga di CHALES ROIL, ma poi non feci più nulla. Di lei ho conservato un dolce ricordo, certamente se fosse rimasta mi sarei unito per sempre ma purtroppo il destino non è stato favorevole. Ricordo il Natale 1943 che è stato triste, quello precedente è stato abbastanza felice anche se lontano da casa.
Così la vita di prigioniero continuò. Fecero i turni undici ore di giorno e undici di notte. Chi lavorava di giorno lavorava anche il sabato fino alle 17. Tutti alla domenica mattina si faceva circa tre ore alla stazione a scaricare i vagoni merci, poi si faceva la doccia al pomeriggio ci portava in giardino e ci faceva fare un po' di corsa oppure qualche passeggiata in collina. Tutta questa vita sotto il soldato durò circa sette mesi poi ci chiesero se volevamo passare civili dal patto del Duce che al momento giusto ci salvò dagli stenti in tempo anche se molti sono morti. Anche da noi un bravo ragazzo di Torino morì senza essere curato da una brutta malattia altri due in seguito a ferite da bombardamento, proprio il giorno prima che arrivassero gli americani.
[...] da qualche mese che gli alleati intensificavano i bombardamenti e noi se eravamo in fabbrica andavamo sotto il tunnel sotto la collina che circonda quasi tutta la città e ci voleva circa dieci minuti di corsa.
Il 15 aprile fu un grande disastro, io feci in tempo appena ad entrare nel RICOVERO che una bomba che cadde vicino mi buttò a terra, ma dopo qualche minuto sono uscito a vedere se gli aerei erano andati e così sentii gridare e implorare aiuto e vidi quattro miei soci che si sorreggevano essendo feriti quindi gli sono andato incontro e li ho portati al rifugio, ma purtroppo uno ci rimase sulla collina, ferito a una gamba e che dovettero amputarla ma dopo quattro giorni ci lasciò ...
L'ultimo attacco aereo avvenne verso le dieci del mattino col preavviso, al pomeriggio, siccome temevamo il saccheggio nell'imminenza delle truppe alleate ci incamminammo verso sud, prima nelle grosse arterie e poi nelle campagne. Ci sorvolavano dei cacciabombardieri americani i quali capirono che eravamo gli sfollati. Facemmo una camminata di circa venti chilometri e di notte sostammo vicino ad un bosco ma io e altri soci pensammo di tornare in città..
Al mattino ci fermammo in una borgata (?) per poter mettere in bocca qualche cosa, prima trovammo un automezzo civile che si spartivano delle scatolette di pesce e che pure noi ne abbiamo avute. Poi mentre su una rupe un falso piano trovammo un campo di patate. Io e un socio eravamo andati giù nelle case a cercare qualche latta per far cuocere le patate ad un tratto sentimmo dei colpi di mitra e abbiamo visto una pattuglia di SS che sparavano verso a delle finestre perché avevano steso le lenzuola bianche in segno di resa e poi se ne erano andate e poi udimmo un forte scoppio che si trattava del ponte della ferrovia che dovevamo passare noi per ritornare a Gera. Da quel momento passarono una decina di minuti che sentimmo dei rumori dei cingoli dei carri armati, chissà pensammo che fossero tedeschi, ma quando apparvero con il simbolo della stella bianca capimmo che erano americani la nostra emozione fu tale che ci videro esultare, ma non convinti venne su un autoblindata che ci costrinsero ad esibire i nostri documenti d'identità e poi ci dettero degli alimenti.
A questo punto per noi cinque superstiti era finita la guerra tutto si risolve per il meglio. Noi non pensammo altro che ritornare alla base, cioè da dove eravamo partiti, quindi ci incamminammo per una decina di chilometri con le patate lessate nei recipienti trovati in quella borgata che non dimenticheremo facilmente per le emozioni provate.
Quindi giungemmo a Gera e poi nella nostra fabbrica, i dirigenti ci accolsero con cordialità poiché la guerra era finita anche per loro, però avevano paura delle nostre reazioni di quello che abbiamo provato durante il lavoro. Però hanno capito che noi italiani non siamo vendicativi perché il nostro pensiero era quello di ritornare presso le nostre famiglie e dimenticare tutto il passato.
Ci trattenemmo circa una settimana nella fabbrica, poi vennero gli americani e ci sistemarono in una caserma, dove scampai alla morte per miracolo. È successo che mentre mi recavo in un posto per fare certi comodi, qualche ex soldato slavo trovò un'arma potente e senza volere la fece azionare, di lì a qualche secondo si sentirono diversi scoppi potenti che fecero un macello, quando mi accorsi vidi [... ] una decina di morti, altrettanto di feriti che correvano e poi caddero per terra, poverini, dopo aver passato tanti brutti momenti, proprio adesso che la guerra è finita, hanno lasciato la pelle.
Il giorno dopo ci spostarono fuori città a circa sei chilometri, [...] in un vecchio stabilimento, però sistemato per cinquecento persone con letti e armadi, con la cucina. E così passammo circa tre mesi finché giunsero i soldati russi, che vennero a occupare quella zona e quindi dovemmo trasferirci in zona americana e cioè a Eisenach.
Aldo Colombo
In una delle ultime pagine del quaderno su cui Aldo Colombo ha scritto il suo diario militare, egli ha riassunto alcuni dati riguardanti la prigionia.
TRASCRIZIONE:
1943-45. Elenco di ex compagni prigionieri in Gera - Turingia (Germania Federale).
N.50 - 4 morti (1 in seguito ferite da bombard - aereo)
(N..25 marinai tra i quali 4 sott'u marescialli) facendo parte degli equipaggi cacciatori CASTELFIDARDO e SOLFERINO per un totale di 250 unità.
Altri 25 uomini erano dell'Esercito che dislocava all'isola di Creta (Grecia).