martedì 15 luglio 2014

LA PESTE MANZONIANA (1630) NEI REGISTRI PARROCCHIALI DI ROBBIATE a cura di Maria Fresoli

Nei primi anni del seicento divenne parroco di Robbiate don Giorgio Spada. Egli succedeva nella guida della parrocchia a don Giacomo Spada, di cui era nipote.
Don Giorgio, oltre al ministero sacerdotale, svolgeva la funzione di “Notaio Apostolico”.
Molti sono gli scritti che egli ci ha lasciato, ed è grazie ai suoi appunti che si sono potute ricostruire, seppur sommariamente, le vicende iniziali della parrocchia di Robbiate.
Don Giorgio fu parroco per 46anni. Il suo ministero si svolse nella prima metà del seicento, nel pieno della dominazione spagnola, uno dei più travagliati e difficili periodi della storia della nostra parrocchia.
Infatti, oltre al prorompere della malvivenza e al dilagare della gran miseria tra la popolazione, sappiamo - grazie alle sue annotazioni - che il 18 settembre del 1629, il passaggio da Robbiate dei Lanzichenecchi e le conseguenti razzie delle case e delle campagne, lasciarono tra la gente una gran desolazione.
A dar manforte a queste disgrazie, nel luglio del 1630 da Milano arrivò la peste, che fece undici vittime, col conseguente panico tra gli abitanti. In quelle circostanze dolorose, il buon parroco, come possiamo leggere nel registro dei morti di quegli anni, somministrò con animo pietoso e caritatevole, i religiosi conforti ai poveri contagiati, che erano isolati in un capanno sul Monterobbio e che dopo la morte venivano sepolti nel cimitero del “Cavetto”, probabilmente una piccola cava di calce, materiale assai adatto per deporre i morti del contagio. La calce è un materiale che si trova in abbondanza sul Monterobbio, tant'è che, fino a pochi decenni fa, era in attività la cementeria Mazzoleni, proprio sopra la chiesa parrocchiale.
Il pietoso impegno di don Giorgio nei confronti dei malati non fu ben visto dai parrocchiani, i quali, sospettando che pure lui avesse contratto il morbo, lo evitarono disertando per parecchi mesi la chiesa.
La cronaca che don Giorgio Spada fece di quegli avvenimenti luttuosi è, dal punto di vista storico un'importante fonte di notizie dettagliate ed interessanti.
Evidenti sono le assonanze fra quanto lui scrive – gli untori, le crocette, ecc. - e le descrizioni di quegli eventi contenute nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

Maria Fresoli
 
LA PESTE MANZONIANA (1630) NEI REGISTRI PARROCCHIALI DI ROBBIATE

 Dal LIBER MISSARUM

18 settembre 1629.
Hoggi sono calate le genti dell’Iperatore da Val Chiavena, et aloggiati in Robià 1500 cavalli, in Paderno 600, in Merà 3500 fanti: Robbiate 84
una ruina incredibile delle uve alla campagna, nelle case robbarie, capparramento de grani ai cavalli, formento. Segale, avena, orzo, fieno et paglia senza fine, et altre ruine che persona capace può immaginare.

21 settembre 1629 – giorno di S. Matteo.
Sono passati di qua 4500 fanti con più de 200 donne et figlioli. Li passaggi di questo esercito imperiale per Mantova et per Casale sono molti e molti, et ruine et danni più che più, et hanno durato per tutto il mese di ottobre.

11 novembre 1629.
A S. Martino cominciò a seguire la peste in Merate.
Gennaio e febbraio 1630.
Segue la peste in Merate, Paderno, Novate et Arlate et Imbersago.

Marzo 1630.
Segue la peste nei medesimi luoghi, fuorchè Arlate che è purgato.
 

Aprile 1630.
La peste anche a Brivio.

16 maggio 1630.
Furono unte la notte seguente, la prima volta, tutte le porte di Milano con quell’onto di peste, veleno et maleficio.


Traspare da quest’annotazione che anche nel nostro buon parroco don Giorgio Spada, s’insinuava la superstiziosa credenza del malefico veleno della peste sparso dagli “untori”:

"...s’era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d’edifizi pubblici, usci di case, martelli.
Le nuove e tali scoperte volavano di bocca in bocca; e, come accadde più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l’effetto del vedere.
Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire..." Promessi Sposi, cap. XXXII


30 maggio 1630.
Nel giorno solenne del Corpus Domini, si è fatto la solenne processione, ha cantato la messa il curato di Verde’, ha predicato su la piazza del sig. Conte il prevosto di S. Bartholomeo; hanno accompagnata questa attione altri sacerdoti et vi sono accorsi molti dalle terre libere dalla peste.


11 giugno 1630.
E’ stato portato in processione il sacro corpo del glorioso S. Carlo, per tutte le crocette delle porte di Milano, con appurati solennissimi, poi riposto sull’altare maggiore del Duomo per otto giorni. Acciò sia questo supplicato che con i suoi meriti ottenga dalla Divina Maestà la liberatione dalla peste, per tutto il popolo.


Ed ecco ancora precisa e sintetica la descrizione di don Spada che ritroviamo più ampia in un passo dei “Promessi Sposi” :
 

“Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli... Al replicar dell’istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov’eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull’altar maggiore del duomo... Tre giorni furono spesi in preparativi: l’undici di giugno, ch’era il giorno stabilito, la processione uscì, sull’alba, dal duomo..." Promessi Sposi, cap. XXXII


San Gerolamo soccorre gli appestati. Statue in una cappella della Via di san Gerolamo, Vercurago


Dal LIBER MORTUORUM

Luglio 1630.
Mentre godeva questa povera terra di Robiate, il favor Celeste della preservatione della peste, contagio, che serpendo havea infetto quasi tutto il Stato et la città di Milano, oltre la diaboloca inventione dell’unto composto di peste, veleno et maleficio, venne da Milano Jacomo Ajroldo, figlio del sig. Gio. Battista, che esserciva l’arte del barbiero, il quale portandovi la peste, interruppe la quiete della terra e cagionò alla sua propria casa la mortalità.
Seben da principio fece fronte d’esser sano, essendo sospetto, avenga invece che avesse duoi giorni prima rasato un suo compagno che la mattina seguente morì di peste. Tenne il fatto secreto, sinchè il malo si scoprì in lui.

Adì 2 luglio 1630.
Venne da Milano Jacomo, figlio di Gio. Battista Ajroldo del fu Antonio; giovedì alle 4 fu assalito da febbre, venerdì andò alla capanna fatta nel suo Monterobbio, et lunedì, adi 8 a hore 6 di notte, passò all’altra vita. Fu sepolto sul Cavetto, benedetto dal Rev. Maveri Cur. Di Merate Vic. For.
Era de età de anni 25, quali compiuti questo mese medesimo.

Adì 23 luglio 1630.
La sig. Claudia, figliola del sig. Giov. Battista Ajroldo, d’età de anni 18 in circa, è morta di peste, alla capanna del suo Monterobbio a hore 12 in circa, essendo stata assalita dalla febbre et doglia di capo. Sabato 20, fu confessata, nel tempo che stette alla capanna, dal M. R. Mauri Cur. Di Merà Vic. For. E puoi comunicata da me al rastello (cancello) della terra accompagnato da una guardia.
E’ stata sepolta al Cavetto, cimiterio benedetto per li appestati: posta in una cassa.

Adì 26 luglio 1630.
La sig. Camilla, moglie di Giov. Battista Ajroldo, d’età de anni 58 in circa, è morta di peste a hore 10, Fu confessata, comunicata et sepolta come sopra.

Adì 28 luglio 1630.
La sig. Cattarina, figlia del sig. Gio. Battista Ajroldo, d’età de anni 16, è morta di peste, fu confessata, comunicata et sepolta come sopra.

Adì 7 agosto 1630.
La sig. Eva Nogara Origoni, suocera del sig. Gerolamo Francesco Ajroldo, d’età de anni 75, è morta di peste. Fu confessata da me prete Girogio Spada Cur. Di Robiate, chiamato nel principio della sua agonia. Fu sepolta nel cimiterio della Cura, sotto terra sei brazza, ben chiusa in una cassa. Essendo già dodeci giorni venuta da Milano con il soddetto Gerolamo Francesco et con la peste, benchè havessero le lor bollette (lasciapassare).

Adi 11 agosto 1630.
Margarita, serva del sig. Gio. Battista Ajroldo, è morta di peste essendo stata a Milano dieci giorni fa. Fu confessata da me prete Giorgio Spada, cur. Di Robiate e sepolta al cimiterio degli appestati.

22 agosto 1630.
Joseffo, servitore de Gerolamo Francesco Ajroldo, de anni 20 è morto di peste e sepolto al Cavetto.

Adì 23 agosto 1630.
Joconda Nogara de anni 58 è morta di peste e sepellita al Cavetto.

Adì 26 agosto 1630.
Morta di peste Lucia, moglie di Battista Valtollina, detto il Guercio, d’età de anni 58.
Il sig. Gerolamo Francesco e suo figlio hebbero la peste anch’essi,
prima il figlio e poi il padre, ma guarirono.

18 dic. 1630.
Francesca e Anastasia, figlie di Battistino Ajroldo, molinaro, de
anni 3 e 6, sono morte di peste e sepolte al Cavetto.


Maria Fresoli

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