Un viaggiatore vestito elegantemente entrò una domenica di sera in una bettola del villaggio, ove si fece dare un pollo arrostito e una bottiglia di buon vino. Appena ebbe messo in bocca il primo boccone, si mise a gemere in una maniera compassionevole, dicendosi tormentato da quindici giorni d'un gran mal di denti. Tutti i contadini che si trovavano nell’ [osteria] (1) gli testimoniarono una grande compassione.
Qualche istante dopo sopraggiunse un ciarlatano, che essendosi seduto in un angolo, domandò un bicchiere di acqua-vita (sic)
Quando egli fu informato dell’indisposizione dello straniero, assicurò che gli darebbe (sic) un buon rimedio. Levò dalla sua cassetta un pezzetto di carta dorato, artisticamente piegato, lo aprì e disse: Signore voi non avete che a intingere la punta del dito in questa polvere bianca e [applicarvela] (1) sul dente.
Lo straniero avendo fatto quello che gli era prescritto gridò subito: Dio che ben essere subitaneo ho provato! Tutti i dolori sono all’istante dissipati. Allora avendo fatto dono di uno scudo al ciarlatano, l’invitò a cenare con lui.
Tutta la gente che si trovavano (sic) all’osteria e tutti gli abitanti del villaggio si affrettarono per comperare di questa prodigiosa polvere, e il ciarlatano ne vendé ben cento piccoli pacchetti a dodici soldi ciascuno.
Quando qualche paesano si lamentava del mal di denti, si correva al rimedio prodigioso che, con gran meraviglia di tutti, non alleviava nessuno.
Finalmente venne in chiaro la frode. Capirono che i due viaggiatori si erano intesi per ingannarli. La polvere bianca non era che un po’ di creta in polvere. I due ladri furono arrestati e espiarono in una casa di correzione questo tiro e molti altri che avevano fatto.
Tutta la gente che si trovavano (sic) all’osteria e tutti gli abitanti del villaggio si affrettarono per comperare di questa prodigiosa polvere, e il ciarlatano ne vendé ben cento piccoli pacchetti a dodici soldi ciascuno.
Quando qualche paesano si lamentava del mal di denti, si correva al rimedio prodigioso che, con gran meraviglia di tutti, non alleviava nessuno.
Finalmente venne in chiaro la frode. Capirono che i due viaggiatori si erano intesi per ingannarli. La polvere bianca non era che un po’ di creta in polvere. I due ladri furono arrestati e espiarono in una casa di correzione questo tiro e molti altri che avevano fatto.
Erminia e Carolina Gnecchi
Carolina Gnecchi Ruscone |
Erminia e Carolina erano figlie di Giuseppe Gnecchi Ruscone (1817 – 1893) e di Giuseppina Turati (1826 – 1899).
Erminia, la più giovane, nata il 13 giugno 1859, moglie del Cav. Giuseppe Rossi di Schio, morì l’11 agosto 1918.
La sorella Carolina, nata il 12 aprile 1855, morì all’età di 31 anni, l’11 gennaio 1886. Aveva sposato il Cav. Francesco Dubini, con il quale aveva avuto quattro figli.
Erminia, la più giovane, nata il 13 giugno 1859, moglie del Cav. Giuseppe Rossi di Schio, morì l’11 agosto 1918.
La sorella Carolina, nata il 12 aprile 1855, morì all’età di 31 anni, l’11 gennaio 1886. Aveva sposato il Cav. Francesco Dubini, con il quale aveva avuto quattro figli.
Erminia Gnecchi Ruscone |
NOTA
(1) Parola incerta
Nessun commento:
Posta un commento