Ernesto Galizioli |
Carolina Inverardi |
Quella di Ernesto, il maggiore, classe 1896 è composta, oltre che da lui, dalla moglie Carolina Inverardi, 1899, e da sette figli, sei femmine e un maschio: Angela, 1924; Luigia e Maria, gemelle, 1925; Angelo, 1927; Barbara, detta Rina, 1930; Giuseppina, 1933; Agnese, 1935. Le tre sorelle più giovani vivono ancora: Barbara e Agnese abitano a Verderio, Giuseppina a Robbiate. Ernesto e Carolina avevano avuto un’altra figlia, la prima, nata nel 1922 e morta a due anni per il “mal del gróp”, “un nodo alla gola che non lasciava più respirare e contro il quale, allora non si poteva far niente”: la malattia, che così mi è stata descritta, dovrebbe corrispondere alla difterite.
La famiglia di Pietro, che era nato nel 1899, comprendeva la moglie, Natalina Medici, 1904, e sette figli: Santina, 1926; Carmelita, 1928; Giovanni, 1930; Giuseppe, 1934; Elisa, 1936; Pierino, 1938; Aronne, 1940. A Verderio, nel 1947, nasce Luigi, l’ottavo figlio, e un’altra bambina che però muore appena dopo la nascita, non prima però di essere stata battezzata. Degli otto fratelli vivono ancora Giovanni, Elisa e Luigi. Aronne, che faceva il prestinaio a Cornate, è morto nel 1960 a Brivio, in un incidente in moto. La famiglia comprendeva anche la nonna materna e il suo secondo marito, Fausto Medici, il cognato che aveva sposato quando era rimasta vedova.
Pietro Galizioli |
Natalina Medici |
Allevavano un buon numero di animali, fra vacche, buoi e cavalli, che alla loro partenza rimasero al fratello che non li aveva seguiti.
A Verderio vengono per lavorare, con contratto a mezzadria, i terreni a nord ovest del paese (ex Superiore), di proprietà di Alessandro Gnecchi Ruscone. A lui, un fratello che aveva possedimenti in provincia di Brescia, aveva segnalato le loro famiglie come “brave ed affidabili”. Si trattava probabilmente di Giuseppe Gnecchi Ruscone, che gestiva l’azienda agricola ereditata dal padre Antonio, a Cologne Bresciano.
I Galizioli vanno ad abitare nella cascina S. Antonio ai Boschi. Costruita nel 1942, è dedicata a sant’Antonio, in memoria di Gian Antonio Gnecchi Ruscone, figlio di Alessandro, imbarcato sull’incrociatore Zara e scomparso durante la battaglia di Matapan del 28/29 marzo 1941.
Lapide murata sul muro esterno della Cascina Sant'antonio a Verderio |
Pietro, la moglie, la cognata, i figli e i nipoti giungono fino a Paderno d’Adda in treno e da qui si dirigono verso casa sfilando a piedi per Verderio, sotto lo sguardo incuriosito degli abitanti, già informati del loro arrivo. Qualcuno è scettico e mormora che “ai Boschi” andranno a patire la fame.
Ernesto e la figlia Angelina, li avevano preceduti in bicicletta, per far trovare la polenta pronta. La consumeranno tutti insieme sotto il portico della cascina.
Per le prime notti si devono adattare a dormire nella stalla e in due piccoli edifici adibiti a roccoli di caccia, poiché la costruzione della casa non è ancora completata.
Un'immagine recente della Cascina Sant'Antonio a Verderio |
Per alcuni anni devono affrontare anche il problema dell’approvvigionamento dell’acqua. Quella potabile la prendono alla vicina cascina Airolda, fino a quando non si collegano con una conduttura alla Fonte Regina, presso la cascina Alba, sulla strada per Cornate.
Realizzano essi stessi lo scavo, scendendo i primi 40 cm con l’aratro, trainato da una pariglia di buoi alternata a una di cavalli, e proseguendo poi con piccone e badile fino alla profondità stabilita.
Anche per l’acqua necessaria agli animali non sono autosufficienti e d’estate, quando la loro riserva non basta, devono rifornirsi in paese con il carro cisterna.
Solo due o tre anni dopo il loro insediamento, arriva l’energia elettrica a sostituire l’acetilene per l’illuminazione.
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I primi anni non sono facili neanche per il lavoro. Una parte dei terreni era in precedenza occupata da bosco, perciò i primi raccolti non sono buoni. Poi le cose migliorano, anche perché la proprietà introduce l’uso di macchine fino allora pressoché sconosciute nella zona.
Così come era stato quando vivevano a Rodengo Saiano, l’allevamento del bestiame, , assume importanza rilevante nella loro attività anche a Verderio.
Hanno in media una trentina di capi (le famiglie di Verderio ne avevano solitamente non più di due) fra vacche, buoi, cavalli e vitelli. Comprano questi ultimi nella bergamasca, dalle parti di Solza e Medolago, ma li vanno a prendere a Porto d’Adda, in riva al fiume dove vengono trasportati con la barca. Li fanno crescere nella loro stalla e poi li vendono.
Quando avranno anche il toro, i contadini della zona, che per la monta portavano le loro vacche a Paderno d’Adda da un certo “Paulin”, cominciarono a servirsi da loro per questo servizio.
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Nel 1958 la proprietà della cascina e dei fondi ad essa legati passa da Alessandro Gnecchi a suo genero, Rodolfo Gavazzi, e nasce l’Azienda Agricola Boschi, dedita all’allevamento di bovini
I Galizioli devono scegliere se continuare a lavorare lì, con la nuova proprietà, o lasciare e trasferirsi. Angelo figlio di Ernesto, vorrebbe continuare. I suoi cugini invece, figli di Pietro, hanno già abbandonato il lavoro agricolo per la fabbrica.
La posizione di Gavazzi, il nuovo proprietario, è però decisa: o entrambe le famiglie restano, o entrambe se ne devono andare.
Bovini dell'attuale Azienda Agricola ai Boschi |
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I Galizioli lasciano e si trasferiscono in paese.
Pietro va ad abitare in Curt de la Palasína, a Verderio Inferiore.
Ernesto, con il figlio Angelo e la sua famiglia, sta per un paio d’anni nella casa dei Pirovano (i Scigùla), in via Sant'Ambrogio, per poi trasferirsi nella corte dei Pelot, in via ai Prati.
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LA VITA NELLA CASCINA SANT'ANTONIO NEGLI ANNI QUARANTA E CINQUANTA DEL NOVECENTO
I miei interlocutori, per questa piccola ricerca sono stati una figlia di Ernesto, che però non vuole essere nominata, e Giovanni, figlio di Pietro. Da loro ho avuto anche una serie di notizie sulla vita quotidiana nel periodo da loro trascorso ai “Boschi”.
La cascina comprendeva alcune strutture che oggi non sono più presenti: un piccolo edificio con il forno per la cottura del pane, un grande abbeveratoio per le bestie e un'aia dove veniva fatto asciugare il granoturco.
C'erano tanti alberi da frutta e castagni.
Le viti producevano l'uva che, schiacciata con i piedi sotto il portico della cascina, forniva il “pincianel” per il consumo famigliare.
Durante l'inverno parte della vita quotidiana si svolgeva nella stalla, che era il luogo più caldo. Qui i bambini facevano i compiti e le ragazze lavoravano con la macchina da cucire a preparare la dote per il matrimonio. Sempre in stalla, si faceva il bagno nel “segiun”.
I rapporti con la proprietà erano buoni. Alessandro Gnecchi visitava spesso la cascina e faceva contenti i bambini portando caramelle. Sua figlia Giovanna (Vanna), quando si sposò fu accompagnata in chiesa dalla carrozza guidata da Ernesto Galizioli.
Un'altra immagine attuale della cascina Sant'Antonio |
Per il lavoro l’interlocutore vero era Giulio Beretta, agente di campagna della famiglia Gnecchi. “Lui – racconta Giovanni – faceva il suo giro tutti i giorni e se trovava qualcosa che non andava, come un fossetto sporco, te lo faceva mettere a posto"
Buoni, fin dall'inizio, i rapporti con gli abitanti di Verderio. D’estate tanti giovani andavano ai Boschi e stavano lì fino a sera tardi per giocare e divertirsi, ma anche ad aiutare quando c’era da pelare il granoturco.
Durante la guerra, nei boschi che ancora occupavano parte dei terreni legati alla cascina Sant’Antonio, si riparavano gli abitanti di Verderio per sfuggire ai bombardamenti, che avevano come obiettivi il ponte di Paderno, mai colpito, e il vicino mulino, centrato una volta con anche alcune vittime.
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Le due famiglie Galizioli erano molto religiose. Naturalmente il parroco, don Carlo Greppi, l'aveva notato e ne era contento. Così scriveva nel Liber Cronicus, nel dicembre del 1942: “Quest'anno si estende [la benedizione] alla cascina S.Antonio ai Boschi, di nuova costruzione e di proprietà del Sig. Alessandro Gnecchi, Podestà di Verderio. La cascina è composta di 18 persone, buona gente, religiosa, di Rodengo bresciano”.
Alla domenica e alle “feste comandate” si recavano alla prima messa, quella delle sei, l'unica che permetteva di accostarsi alla Comunione. Ci andavano a piedi, con gli zoccoli fino dai “Sentirona”, la casa della famiglia Valtolina in via Campestre, dove calzavano le scarpe.
Qui potevano ritirare anche la posta, poiché fino “ai Boschi” il postino non arrivava.
Quando alcuni dei figli trovarono lavoro a Milano, ci fu il problema del viaggio. Giovanni, che aveva cominciato a fare il muratore, racconta che il treno da Paderno era ancora a vapore e ci metteva un sacco di tempo ad arrivare in città. “Allora prendevamo il treno che veniva da Lecco. Noi di Verderio Sup. lo prendevamo a Osnago; quelli di Verderio Inferiore a Usmate. Andavamo in stazione in bicicletta. Mai da soli, sempre in quattro o cinque, perché se uno bucava – era facile perché la strada era ancora a sassi - saltava sulla bici di un altro e tirava la sua a mano”
Con i parenti rimasti a Rodengo Saiano le famiglie venute a Verderio hanno mantenuto costanti rapporti, consistenti in reciproche visite, telefonate per le festività e partecipazione alle feste di famiglia e ai funerali.
“Nei primi anni – ricorda la figlia di Ernesto - a Rodengo ci andavamo con il calesse. Strada facendo ci fermavamo sempre, dopo un certo numero di chilometri, nella stessa osteria. Il cavallo ormai lo sapeva e senza bisogno di comando si fermava proprio a quell’osteria”.
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