sabato 30 gennaio 2021

VERDERIO NELL'ARCHIVIO STORICO DE "LA STAMPA" di Marco Bartesaghi

Il 9 febbraio del 1867 nasce il quotidiano torinese “Gazzetta piemontese”, che mantiene questo nome fino al 1895, quando assume quello nuovo, ancor oggi in uso, de “La Stampa”.


Fino al 1908, però, i due nomi rimarranno affiancati.


Il 31 dicembre 1930 esce il primo numero di “La Stampa della Sera”, che in seguito diventerà “Stampa Sera”, edizione pomeridiana e del lunedì de “La Stampa”.

 

Dopo la Liberazione la pubblicazione de "La Stampa", come quella di altri quotidiani, venne sospesa su richiesta del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per le connivenze con la Repubblica Sociale. Riprese la sua attività il 21 luglio 1945 con il nime di "La Nuova Stampa".


Dal 2010 tutto l'archivio del quotidiano, compresi gli anni della “Gazzetta piemontese” e le edizioni pomeridiane di “Stampa Sera”, è stato digitalizzato e può essere consultato gratuitamente all'indirizzo www.archiviolastampa.it   (1).
Io l'ho fatto, non recentemente, inserendo come parola chiave  “Verderio”. Quello che segue è il risultato di questa ricerca. Alcuni di questi articoli erano già stati pubblicati su questo blog. Ora ho cercato, quando sono riuscito, di corredare ogni articolo con qualche notizia in più, tratta da documenti di diverso tipo.

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Il più antico articolo che ho trovato risale  al marzo del 1872. Lo presento insieme ad un altro uscito qualche mese dopo, in ottobre, perché riguardano lo stesso argomento, la fusione di Verderio Superiore e Verderio Inferiore in un unico comune:

ATTI UFFICIALI
La Gazzetta Ufficiale del 29 febbraio reca un regio decreto (n. 678) del 1° febbraio, con cui a partire  dal 1° aprile 1872, i comuni di Verderio superiore e Verderio inferiore sono soppressi e riuniti in un solo colla denominazione di Verderio Superiore, tenendo separate le rispettive rendite patrimoniali, le passività e le spese.
 

“Gazzetta Piemontese”, Torino, domenica 3 marzo 1872


ATTI UFFICIALI
La Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre reca un regio decreto (n.1001) del 1° settembre, che autorizza il comune di Verderio Superiore, nella provincia di Como, ad assumere la denominazione di Verderio.

 “Gazzetta Piemontese”, Torino, Sabato 5 ottobre 1872

Una bella gaffe aver chiamato il comune unico con il nome di uno di quelli soppressi, Verderio Superiore. Chissà che polemiche e che malumori aveva scatenato, tanto che solo qualche mese dopo si decise di porre rimedio, chiamandolo Verderio.

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FATTI DIVERSI
Notizie delle campagne – L'agenzia per gli agricoltori ci notifica un fatto che segnaliamo all'attenzione dei nostri benemeriti naturalisti.
In un fondo di Romello (di circa 70 pertiche) i gelsi non mettono foglia; le gemme sono fuori, ma non si aprono. Lo stesso si verifica in altre località, come, per esempio, in Terrazzano, provincia di Milano, e in Verderio, provincia di Como. È da notarsi che i terreni nei quali si verifica lo strano e deplorevole caso sono di non vecchio dissodamento.


Da “Gazzetta Piemontese”, 25 aprile 1872

Su questa notizia non sono riuscito a trovare alcuna ulteriore documentazione. Mi sono rivolto anche  al signor Flavio Crippa, esperto di produzione della seta e autore, molti anni fa, di un libricino sul museo della seta di Garlate, per chiedergli se ne sapesse qualcosa. Mi ha risposto di no, fornendomi però alcune informazioni sulle malattie dei gelsi nella seconda metà dell'ottocento, che mi sembrano molto interessanti. Ecco la sua risposta:

“La notizia di gelsi senza foglia a Verderio nel 1872 non l'ho mai sentita. Ma nella seconda metà dell'Ottocento a causa della forte diffusione e densità degli allevamenti di bachi da seta quindi di grandi quantità di piante di gelso bianco (Morus alba) molto produttivo di foglia, vi furono almeno due malattie responsabili di gravi danni che furono indagate e combattute soprattutto in Lombardia e nella Pianura Padana, zona di Milano. Sono:  
 

- La "Fersa" del Gelso bianco (Morus alba) che si manifesta con macchioline color ruggine
sulla superficie della foglia che via via aumentano fino a farla arricciare e morire.
La causa della "Fersa" è un fungo il "Mycosphaerella morifolia". Se non viene combattuto in certe stagioni in 10-20  giorni attacca tutte le foglie di un gelso bianco alto 2 - 4 metri.
Questo fungo attacca altrettanto bene anche il Gelso nero (Morus nigra) che però nel Nord  Italia dal Seicento  non è quasi più coltivato per i bachi.
Per combattere la Fersa nell' 800 si spruzzava tronco e foglie con la poltiglia bordolese, soluzione acquosa di rame solfato e calce (come per le viti), quattro o cinque volte l'anno.
Le foglie trattate non dovevano essere date ai bachi. Con un trattamente efficiente e ben fatto l'anno successivo il gelso dava foglia sana. Questa malattia, In tono minore, si può vedere ancora oggi sui gelsi.
 
-La "Cocciniglia bianca"  (Diaspis pentagona) è un insetto biancastro grande meno di un cm che in grandi quantità incrosta la corteccia e le parti legnose dei rami del gelso bianco (e altre piante), inietta liquidi nel ramo facendolo morire. A partire da metà Ottocento ha creato gravi problemi.
Viene combattuto spruzzando tutte le parti dove è presente con una soluzione acquosa di "polifosfuro di calce". Il contenimento maggiore fu ottenuto a fine Ottocento con l'introduzione il Italia dall'Oriente di un insetto antagonista, una sorta di vespa, che deponeva uova nel guscio della Cocciniglia.  Quest'ultimo metodo per il gelso fu molto efficace”

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Vimercate, 17 – Da qualche tempo i terrazzani nel limite tra Vimercate, Trezzo, Tresciano e i due Verderio sono in allarme per l'apparizione in quei luoghi di una banda di ladri, e i loro timori sono giustificati dalle molte rapine verificatesi anche in questi ultimi quattro giorni.
A capo della masnada pare si trovi un tale da poco tempo evaso dalle nostre carceri.
Fra gli ultimi fatti citasi quello di due carrettieri di Verderio Inferiore, derubati pel valore di oltre 150 lire; due donne furono poi derubate, ed una di esse, inoltre, deturpata, versa in pericolo della vita, mentre l'altra ha quasi perso la ragione per lo spavento sofferto.
Un fattore di Aicurzio venne poi derubato di somma rilevante. L'ardire di questa banda di malfattori, che si tiene al sicuro della giustizia, non è poco, ed è provato dalla seguente impresa contro il curato di Verderio Superiore:
Nella scorsa domenica mentre il vice-curato faceva la spiegazione del Vangelo e i terrazzani stavano radunati nella chiesa, tre individui si portarono alla parrocchiale e con molte scuse poterono ottenere l'accesso nell'interno della casa. Presentatosi al curato lo richiesero di elemosina, ma mentre il prete metteva mano al portamonete e l'apriva, i malandrini, scortovi un biglietto di Banca di L. 100, l'agguantarono subito, obbligando il curato a ceder loro quella somma, e poi quatti quatti, lasciando il reverendo impaurito, se la svignarono.
L'autorità di pubblica sicurezza ha diramato ordini rigorosissimi per l'arresto di questi malviventi ed all'uopo venne spedito in Vimercate buon nerbo di bersaglieri e di carabinieri. (Lombardia).

Da  “Gazzetta Piemontese”, sabato 20 luglio 1872

Per attualizzare l'entità del danno subito dal parroco si deve sapere che 100 lire del 1872 corrispondono a un valore di circa 367 euro nel 2008 (la più recente tabella ISTAT che ho trovato).  Le 150 lire dei due carrettieri corrisponderebbero quindi a circa a 550 euro. Il sacerdote derubato era don Olimpio Tacconi, che fu parroco di Verderio Superiore dal 1843 al 1897.


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venerdì 29 gennaio 2021

NUVOLE di Marco Bartesaghi

Dopo alcuni giorni di pioggia, il 19 giugno 2020 grandi nuvole bianche si stagliavano su un cielo di un celeste particolarmente intenso.

Il 3 luglio, invece, nuvoloni neri si sono accumulati in poco tempo, oscurando il cielo e preparandolo a un temporale che, a dir la verità, non mi ricordo se poi ci sia stato oppure no.                  

                        

                            

 

 Se vuoi vederlo a schermo intero clicca su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=Ha3Sy-lpwHo


NUVOLE di Ferdinando Pessoa

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.

Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.

Nuvole… Corrono dall'imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all'avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l'ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.

Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso.

Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!

Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell'aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.

Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l'ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l'universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.

Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell'altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.

Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l'oscurità, finzioni dell'intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.

Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.

Fernando Pessoa

giovedì 1 ottobre 2020


 

INNATO CORAGGIO, una poesia di Cristina Carlotti

 

INNATO CORAGGIO


“…. A un certo punto

Non ce la fai più con la paura e

non si può far altro che

attraversarla e

arrivare così al Coraggio :

una forma che come

scultura

rimane dentro di noi

insieme ai nostri angeli…”

cri 12/III/2020



 

UN MONDO TRA REALTÀ E FANTASIA di Ivano Riva

Da Ivano Riva, un amico conosciuto da poco, ho ricevuto questo testo di ricordi e di fantasia che molto volentieri pubblico. M.B.

 

UN MONDO ... E FANTASIA

 ACQUA CORRENTE

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia…”
(Tratto da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni)  

 

Scorre l’Adda, scorre verso sud mantenendo fede alla direzione di quel ramo del lago. Dopo il lungo abbraccio materno e ristoratore lacustre, ora il fiume scorre placido e languido.
I Celti, popolo molto intelligente, quando per la prima volta intravvidero tra la folta vegetazione questo maestoso fiume, lo chiamarono da subito “Abdua”; da lì Adda cioè “acqua corrente”. Peccato non ci fosse uno nei paraggi che avesse fatto notar loro che ogni fiume è “acqua corrente”. Alcuni storici affermano che il termine “corrente” non è riferito allo scorrere delle acque, ma alla capacità di produrre energia elettrica che il fiume ha regalato e regala ancora alla comunità. Quindi, possiamo dire, se questa tesi è valida, che i Celti oltre che intelligenti possedevano anche il dono della preveggenza.
Lasciata Lecco, come dicevamo, il fiume non ha fretta nel suo viaggiare in pianura. È un susseguirsi di placide anse che bagnano i piedi ai monti; ogni tanto rallenta a formare lanche dormienti, infilandosi tra i canneti o lasciandosi accarezzare dalle fronde degli alberi.  

Poi, improvvisamente, a Paderno d’Adda, come se solo allora si fosse accorto di essere in ritardo all’appuntamento con il Po, il fiume si mette a correre a spron battuto lanciandosi in una lunga gola dalle sponde ripide e rocciose; monta su enormi massi lasciandoli  dietro immersi in una schiuma biancastra. È un susseguirsi di curve, controcurve e in questo frenetico andare, ansimante e caotico, non misura le forze, per ritrovarsi alla fine di questo inferno senza più energia. Ora il fiume è sfinito e chiede aiuto a gran voce.
L’Adda è fortunata, la sua richiesta di aiuto è raccolta da una comunità di persone di animo buono che qui vive da secoli. Discendenti dei Celti, queste persone hanno sviluppato un’economia e una cultura che li ha resi ancora più intelligenti dei padri. Infatti si chiamano “portensi”. Sembra un gerundio ma non lo è. Il significato di questo termine è “portatore di luce”, cioè di saggezza. Siamo a Porto d’Adda e qui il fiume si rigenera e si ristora tra sponde accoglienti. Vorrebbe fermarsi per sempre, godere di questa pace bucolica, assaporare le delizie del luogo e dimenticare il motivo del suo viaggio. Ma poi la ragione prevale sul cuore e il fiume riprende il percorso verso il Po.

 

BENVENUTI IN PARADISO

C’è una strada bianca che correndo tra campi fertili, giunge là, dove la pianura lascia il posto a una dolce valle che il fiume Adda ha scavato milioni di anni fa. La strada è affiancata da una roggia brulicante di vita palustre, e attorno sono campi di mais e grano. Qua e là si vedono i “casotti”, depositi per gli attrezzi agricoli. Si arriva da Cornate d’Adda e, dopo la cascina Brugherio, il viandante ha modo di scorgere le prime case del paese. Si giunge in paradiso passando per l’inferno.

Ebbene sì, com’è giusto che sia, il paradiso non è un diritto acquisito, lo si deve guadagnare senza cadere in tentazione. Cascina Brugherio è posta sul cammino per mettere alla prova la purezza d’animo del viandante. Tale cascina è la cartina di tornasole che misura la moralità di chi vuole arrivare alla santa soglia.

 

Sempione

Tra le floride attività commerciali di cascina Brugherio c’è il bar di Maria, luogo di sosta che regala tepore nelle fredde giornate invernali, e frescura nei lunghi e afosi pomeriggi estivi. La pulizia a dire il vero lascia molto a desiderare. La varietà delle bevande è limitata e la lingua madre della locanda non è l’italiano. Deficit, però, che vengono ampiamente compensati da una malcelata attività ludica che si svolge al piano superiore. Attività che si avvale di una lingua internazionale molto comprensibile a qualsiasi viandante. Da qui deriva la nomea della Maria alias “Maria ciapa bigul”. Capite quanto è difficile resistere alla tentazione di salire le scale che conducono al piano “nobile”? Bollenti pensieri nascono quando, sgolandosi una birra, si posano gli occhi sulle grazie della… ehm… timorata di Dio, mentre traffica dietro il bancone. Così, come un diavolo alimenta la fucina buttando sempre più carbone, la signora monta l’altrui produzione ormonale liberando dalle asole sempre più bottoni.
Punto di forza del bar sono i servizi igienici, di prima qualità e in numero tale da soddisfare ogni esigenza corporale degli avventori e, aggiungiamo, pure del circondario. Infatti nel cortile si trovano ben 7 gabinetti, uno di fianco all’altro come soldati al presentatarm. Le turche che ivi si possono trovare sono lavate non già da un’impresa delle pulizie, ma dallo scorrere dell’acqua piovana che filtra dai fori sul tetto. Infatti precario è lo svuotamento dei visceri in giornate di pioggia. Data questa peculiarità la padrona è detta anche “Maria set cess”.
Capita a persone di Porto, in gita di piacere o di lavoro che si trovino nella bassa bergamasca o magari nel varesotto, di sentirsi chiedere da dove vengano. Inutili sono i tentativi di collocare il paesello nelle vicinanze altisonanti come Trezzo, Vimercate, ecc. La gente a queste spiegazioni rimane con un’ipotetica bandierina in mano senza sapere dove collocarla sulla cartina geografica della Brianza. Ma, prima o poi, si alza dal capannello di curiosi una voce maschile che esclama perentoria “Ho capito, è dove c’è “Maria ciapabigul”.
Vasta è la popolarità di questa donna tra le fila dei maschi nostrani. Solo apprensione e stress regala invece all’altra “metà del cielo”, dove si aspetta con trepidazione il sospirato trapasso della nobildonna dandole modo di regalare i suoi diabolici servigi là, dove più sono consoni, cioè all’inferno.

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mercoledì 30 settembre 2020

MIA MAMMA HA 100 ANNI. VE LA PRESENTO di Marco Bartesaghi

 


 

 

Questa splendida ragazza è mia mamma. Il 25 settembre ha compiuto 100 anni. Permettetemi di presentarvela.

Si chiama Wanda, Wanda Simone. È nata a Saltrio, provincia di Varese, il 25 settembre 1920, dove suo papà, mio nonno, faceva la Guardia di Pubblica Sicurezza. Si chiamava Pasquale, era nato nel 1891 a Conca di Campania, in provincia di Caserta. Quando ero bambino ricordo che, a Lecco, faceva il custode di un deposito di biciclette sotto il cinema “Impero”, che poi divenne “Europa” ed ora non c’è più.  


Non ne sono sicuro ma la bambina di questa foto potrebbe essere Wanda con mamma e papà.

A Saltrio conobbe e sposò la nonna, Maria Pinardi. Dal loro matrimonio sono nati cinque figli: Wanda , la primogenita; Velledo, che da grande sarà un “grande pasticcere”; Orlando, che, negli anni dell’A. C. Lecco in serie A, aveva un qualche ruolo di dirigenza nella società; Ivo, odontotecnico; Rosangela, per tanti anni proprietaria, con il marito, del bar “Milano”, a Lecco in piazza Diaz.

La famiglia da Saltrio si trasferì a Milano e poi, come già avrete capito, a Lecco. Qui arrivarono per primi Wanda e Velledo che, poco più che bambini, avevano cominciato a lavorare nella panetteria in via Cavour che Domenico Canziani, marito della loro zia Teresa,  aveva rilevato nel 1932 dal precedente proprietario, Giuseppe Ermoli, un altro varesotto, e dove Velledo diventerà il “grande pasticcere” che vi ho preannunciato.

Il laboratorio del panificio Canziani negli anni trenta del secolo scorso: in centro, in abito scuro, Domenico Canziani; in fondo, a destra, lo si vede appena, il "garzone" Velledo Simone.

I genitori e gli altri fratelli giunsero a Lecco da sfollati, quando Milano cominciò ad essere bombardata.

Queste sono alcune fotografie di Wanda da giovane.


In centro con Velledo, in divisa, e la zia Teresa






Al mare













 

 

Finge di sciare, non è mai stata capace


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lunedì 28 settembre 2020

MONSIGNOR BENVENUTO SALA (1862 - 1931) di Marco Bartesaghi


 

 

Monsignor Benvenuto Sala nasce a Verderio  Superiore alle 8 di mattina del 4 dicembre 1862. I suoi genitori sono Giuseppe, classe 1825, camparo,  e Giuseppa Stucchi, nata a Busnago nel 1829. È il quinto di sei figli: prima di lui erano nati Carola Maria (1851), Rachele Angela (1853), Giovanna Luigia (1858), Enrico Emanuele (1860); dopo di lui, nel 1865, nasce Gesuina Maria.
 

Battezzato lo stesso giorno della nascita, Benvenuto porta il nome del suo padrino, il contadino Benvenuto Colombo.

 

 

 

 

 

 

Frequentato il liceo presso l’Istituto San Giuseppe di Monza e studiato teologia nel Seminario Maggiore, nel 1889 Benvenuto viene ordinato sacerdote ed è nominato coadiutore a Canzo. 

Immaginetta in ricordo dell'ordinazione sacerdotale di Benvenuto Sala (APSSGF) (1)

Nel 1891 diventa assistente dell’ospedale S. Maria di Loreto, in via San Vittore a Milano, incarico che conserverà per il resto della sua vita.
Con  un decreto, emanato il 14 aprile 1920 dal Cardinale Andrea Carlo Ferrari, Arcivescovo di Milano, Monsignor Benvenuto, che dal 1894 era membro del capitolo minore, è nominato canonico della Perinsigne Basilica di S. Ambrogio in Milano e  il 18 aprile, dopo aver prestato giuramento, entra a far parte del Capitolo della Basilica. 

Decreto di nomina a canonico di Sant'Ambrogio (ABSA) (2)

Benvenuto Sala è stato autore di numerosi opuscoli di argomento teologico e di una serie di studi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto e dei rapporti fra la Casa e la Santa Sede.
Per i suoi studi ha ricevuto alcune onorificenze che ora sono conservate nell’archivio della parrocchia dei santi Giuseppe e Floriano, ex – Verderio Superiore.
 

Il 16 agosto 1921 è insignito del Gran Cordone dell'Ordine Accademico al Merito Letterario e Scientifico dell'Accademia Internazionale di Lettere e Scienze di Napoli.

Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala dall'accademia napoletana (APSSGF)

Nello stesso anno riceve i diplomi di “Membre d'Honneur” di due accademie parigine: la “Société Académique d'Histoire Internazionale”


Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala “Société Académique d'Histoire Internazionale” di Parigi (APSSGF)

e la “Académie Latine des Sciences, Arts et Belle-Lettres”.



Diploma e medaglia ricevute da Mons. Sala “Académie Latine des Sciences, Arts et Belle-Lettres” di Parigi (APSSGF)


Monsignor Benvenuto  non ha mai interrotto i suoi rapporti con Verderio. Nella cascina San Giuseppe, in via dei Maggioli, dove abitavano ancora alcuni suoi parenti, aveva a disposizione una stanza per soggiornare nei brevi periodi di riposo dai suoi impegni, un piccolo oratorio ove pregare e, sul tetto, un abbaino da cui osservare le stelle.
In occasione della costruzione della nuova chiesa, consacrata il 26 ottobre 1902, Monsignor Sala contribuì, con un’offerta di 100 lire all’acquisto delle campane. Una sua “generosa offerta” è ricordata anche in occasione della costruzione dell'oratorio.




Benvenuto Sala muore  alla clinica San Giuseppe di Milano, il 5 settembre 1931.
Il suo corpo fu tumulato a Verderio Superiore la domenica successiva al funerale. La partecipazione degli abitanti di Verderio fu molto numerosa. La sua tomba si trova sul lato sinistro del viale centrale del cimitero di Verderio (ex Superiore).     







NOTE

(1)  La sigla APSSGF indica l'Archivio Parrocchiale SS Giuseppe e Floriano di Verderio, ex Superiore.

(2) La sigla ABSA indica l'Archivio della Basilica di Sant'Ambrogio di Milano


Marco Bartesaghi




MONSIGNOR BENVENUTO SALA: LE OPERE di Marco Bartesaghi

Monsignor Benvenuto Sala è stato autore di numerosi testi di teologia e di alcuni studi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto e sui rapporti fra questa e la Santa Sede.

Esplorando i cataloghi di diverse biblioteche  - Università Cattolica di Milano, Braidense, Nazionale di Firenze - sono riuscito a rintracciare 24 suoi libri, scritti fra il 1909 e il 1924

Hanno piccole dimensioni; alcuni si compongono di poche pagine, meno o poco più di dieci, altri di qualche decina, altri ancora superano il centinaio. Il più voluminoso, dedicato ad Adamo ed Eva e al peccato originale, raggiunge le 190 pagine.

Tutti i testi avevano ottenuto l'imprimatur dell'autorità ecclesiastica, stampato all'inizio o alla fine del volume. 

Li ho letti e cercato di fare di ognuno un breve e spero fedele riassunto, che qui vi presento seguendo l'ordine cronologico della loro pubblicazione, criterio che ho trasgredito per i due volumi sui diritti dei canonici della Santa Casa di Loreto che ho posto alla fine dell'elenco.

Avendo riprodotto fotograficamente tutti i testi, è mia intenzione salvarli su DVD e consegnare una copia alla biblioteca comunale e una all'archivio della parrocchia dei Santi Giuseppe e Floriano di Verderio.

 

 

I miracoli, D. Benvenuto Sala,
Milano, 1911, Tipografia di Carlo Fontana, 14 pagine.
 

Il libro si apre con il racconto di due episodi del Vangelo secondo Giovanni: le guarigioni di un infermo alla piscina Betzaetà (Gv, 5, 1-18) e di un nato cieco (Gv, 9, 1-41).
I miracoli, dice l’autore, sono eventi che oltrepassano le leggi e le forze della natura e vengono compiuti da Dio, in prima persona o tramite Maria e i Santi, per far risplendere la propria onnipotenza. I miracoli di Gesù servivano a provare la propria divinità e l’autenticità della chiesa cattolica.
La realtà dei miracoli , si lamenta Sala, è l’aspetto più contestato da parte dei nemici della chiesa, che mettono in dubbio la possibilità pratica che l’evento miracoloso sia avvenuto, e anche di persone che, pur essendo “Deiste”, li ritengono inutili ai fini dell’affermazione della fede. Contesta anche, con veemenza, il pensiero di quello che definisce “l’empio Spinoza”, secondo cui i miracoli non sarebbero altro che fenomeni naturali.
Proprio per distinguere con chiarezza quelli che sono i miracoli ad opera di Dio, della Madonna  e dei Santi, da effetti pur straordinari della natura è necessario secondo Sala studiare approfonditamente i caratteri dei primi, per poterne confermare l’autenticità, compito che spetta esclusivamente alla Santa Sede.
Molto spazio, nella seconda parte del libro è dedicato alla Madonna di Lourdes e ai miracoli a lei attribuiti.

 

 

 

La Chiesa di Gesù Cristo, Don  Benvenuto Sala
Milano, 1912, Scuola Tipografica Istituto San Gaetano, 14 pagine.
 

Definita come  “società dei fedeli uniti per la professione della medesima fede …”, elencati i nomi con cui appare nelle Sacre Scritture, spiegata la sua suddivisione in trionfante, purgante e militante, l’autore  specifica che si può far parte della chiesa solo mediante il Battesimo. Esclusi sarebbero quindi gli “ infedeli ed i giudei” , ma anche  “gli eretici, gli scismatici e gli apostati”, nonché gli scomunicati.
Quattro i caratteri che garantirebbero di riconoscere la “vera chiesa” dalle sette  scismatiche o ereticali:
l’unità, poggiante su tre fondamenti -la fede, i Sacramenti e i Pastori – e presieduta dall’autorità del Papa;   
la Santità, poiché essa  “offre a Dio il Sacrificio più santo che mai possa essere offerto, Gesù Cristo stesso”;
la cattolicità, ovvero la sua universalità; l’apostolicità, poiché trae la sua origine dagli apostoli che la fondarono.
Il seguito dell’opuscolo assume la caratteristica del pamphlet. La polemica dell’autore è rivolta ai massoni, al “giornalismo modernizzante” e, soprattutto,   alle chiese protestanti. Il fervore del testo, sottolineato dai punti esclamativi (anche ripetuti) che chiudono quasi tutte le frasi e i periodi, non è riscontrabile, mi risulta, nelle altre opere di Benvenuto Sala. 



I maomettani, D. Benvenuto Sala
Milano, 1912, Prem. Scuola Tip. Salesiana, 8 pagine.


In questo breve testo, l’autore presenta la religione islamica con parole molto severe, al limite dell’insulto. Nei primi paragrafi il  suo fondatore, Maometto, è definito falso profeta;  i suoi seguaci settatori fanatici, appartenenti a una “setta esiziale”; i principi su cui si fonda “composto mostruoso” di giudaismo e pseudo cristianesimo  e “impasto” di antiche eresie, favole stravaganti e paganesimo.
L’opuscolo presenta poi  i principi fondamentali della religione islamica ( l’esistenza di un solo Dio, il ruolo dei profeti, la figura di Gesù - il più importante dei profeti -, la santità degli apostoli , l’importanza della legge mosaica e dei vangeli, il ruolo di Maometto, inviato da Dio perché giudei e cristiani avrebbero alterato la verità e corrotto le sacre scritture) e i modi in cui i fedeli devono esprimere la loro appartenenza ( la preghiera, il digiuno,il pellegrinaggio, l’astensione dal vino e dalla carne di maiale, ecc.).
Confrontando la religione cattolica con islamica, l’autore afferma che mentre la prima si diffuse attraverso la predicazione pacifica, l’altra lo fece con la violenza e la guerra; l’una ha sempre predicato la lontananza dal mondo, l’altra la voluttà.
Il Corano (chiamato Alcorano), che prometterebbe  ai buoni un paradiso dove si godranno in eterno tutti i piaceri sensuali, viene accusato di propagare un pensiero “tutto lusinghiero, tutto umano, tutto carnale” e di avere solo per questo avuto tanto successo nella sua diffusione.
Infine Sala definisce Maometto “maledettissimo figlio di Satana”, paragonandolo  in ciò a Martin Lutero, per poi, con un legame poco chiaro, passare  all’ attualità dell'inizio del novecento e prendersela  con “L’Asino”, rivista satirica romana audacemente anticlericale, chiedendo, contro di essa, l’intervento delle autorità
.


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