giovedì 1 ottobre 2020

UN MONDO TRA REALTÀ E FANTASIA di Ivano Riva

Da Ivano Riva, un amico conosciuto da poco, ho ricevuto questo testo di ricordi e di fantasia che molto volentieri pubblico. M.B.

 

UN MONDO ... E FANTASIA

 ACQUA CORRENTE

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia…”
(Tratto da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni)  

 

Scorre l’Adda, scorre verso sud mantenendo fede alla direzione di quel ramo del lago. Dopo il lungo abbraccio materno e ristoratore lacustre, ora il fiume scorre placido e languido.
I Celti, popolo molto intelligente, quando per la prima volta intravvidero tra la folta vegetazione questo maestoso fiume, lo chiamarono da subito “Abdua”; da lì Adda cioè “acqua corrente”. Peccato non ci fosse uno nei paraggi che avesse fatto notar loro che ogni fiume è “acqua corrente”. Alcuni storici affermano che il termine “corrente” non è riferito allo scorrere delle acque, ma alla capacità di produrre energia elettrica che il fiume ha regalato e regala ancora alla comunità. Quindi, possiamo dire, se questa tesi è valida, che i Celti oltre che intelligenti possedevano anche il dono della preveggenza.
Lasciata Lecco, come dicevamo, il fiume non ha fretta nel suo viaggiare in pianura. È un susseguirsi di placide anse che bagnano i piedi ai monti; ogni tanto rallenta a formare lanche dormienti, infilandosi tra i canneti o lasciandosi accarezzare dalle fronde degli alberi.  

Poi, improvvisamente, a Paderno d’Adda, come se solo allora si fosse accorto di essere in ritardo all’appuntamento con il Po, il fiume si mette a correre a spron battuto lanciandosi in una lunga gola dalle sponde ripide e rocciose; monta su enormi massi lasciandoli  dietro immersi in una schiuma biancastra. È un susseguirsi di curve, controcurve e in questo frenetico andare, ansimante e caotico, non misura le forze, per ritrovarsi alla fine di questo inferno senza più energia. Ora il fiume è sfinito e chiede aiuto a gran voce.
L’Adda è fortunata, la sua richiesta di aiuto è raccolta da una comunità di persone di animo buono che qui vive da secoli. Discendenti dei Celti, queste persone hanno sviluppato un’economia e una cultura che li ha resi ancora più intelligenti dei padri. Infatti si chiamano “portensi”. Sembra un gerundio ma non lo è. Il significato di questo termine è “portatore di luce”, cioè di saggezza. Siamo a Porto d’Adda e qui il fiume si rigenera e si ristora tra sponde accoglienti. Vorrebbe fermarsi per sempre, godere di questa pace bucolica, assaporare le delizie del luogo e dimenticare il motivo del suo viaggio. Ma poi la ragione prevale sul cuore e il fiume riprende il percorso verso il Po.

 

BENVENUTI IN PARADISO

C’è una strada bianca che correndo tra campi fertili, giunge là, dove la pianura lascia il posto a una dolce valle che il fiume Adda ha scavato milioni di anni fa. La strada è affiancata da una roggia brulicante di vita palustre, e attorno sono campi di mais e grano. Qua e là si vedono i “casotti”, depositi per gli attrezzi agricoli. Si arriva da Cornate d’Adda e, dopo la cascina Brugherio, il viandante ha modo di scorgere le prime case del paese. Si giunge in paradiso passando per l’inferno.

Ebbene sì, com’è giusto che sia, il paradiso non è un diritto acquisito, lo si deve guadagnare senza cadere in tentazione. Cascina Brugherio è posta sul cammino per mettere alla prova la purezza d’animo del viandante. Tale cascina è la cartina di tornasole che misura la moralità di chi vuole arrivare alla santa soglia.

 

Sempione

Tra le floride attività commerciali di cascina Brugherio c’è il bar di Maria, luogo di sosta che regala tepore nelle fredde giornate invernali, e frescura nei lunghi e afosi pomeriggi estivi. La pulizia a dire il vero lascia molto a desiderare. La varietà delle bevande è limitata e la lingua madre della locanda non è l’italiano. Deficit, però, che vengono ampiamente compensati da una malcelata attività ludica che si svolge al piano superiore. Attività che si avvale di una lingua internazionale molto comprensibile a qualsiasi viandante. Da qui deriva la nomea della Maria alias “Maria ciapa bigul”. Capite quanto è difficile resistere alla tentazione di salire le scale che conducono al piano “nobile”? Bollenti pensieri nascono quando, sgolandosi una birra, si posano gli occhi sulle grazie della… ehm… timorata di Dio, mentre traffica dietro il bancone. Così, come un diavolo alimenta la fucina buttando sempre più carbone, la signora monta l’altrui produzione ormonale liberando dalle asole sempre più bottoni.
Punto di forza del bar sono i servizi igienici, di prima qualità e in numero tale da soddisfare ogni esigenza corporale degli avventori e, aggiungiamo, pure del circondario. Infatti nel cortile si trovano ben 7 gabinetti, uno di fianco all’altro come soldati al presentatarm. Le turche che ivi si possono trovare sono lavate non già da un’impresa delle pulizie, ma dallo scorrere dell’acqua piovana che filtra dai fori sul tetto. Infatti precario è lo svuotamento dei visceri in giornate di pioggia. Data questa peculiarità la padrona è detta anche “Maria set cess”.
Capita a persone di Porto, in gita di piacere o di lavoro che si trovino nella bassa bergamasca o magari nel varesotto, di sentirsi chiedere da dove vengano. Inutili sono i tentativi di collocare il paesello nelle vicinanze altisonanti come Trezzo, Vimercate, ecc. La gente a queste spiegazioni rimane con un’ipotetica bandierina in mano senza sapere dove collocarla sulla cartina geografica della Brianza. Ma, prima o poi, si alza dal capannello di curiosi una voce maschile che esclama perentoria “Ho capito, è dove c’è “Maria ciapabigul”.
Vasta è la popolarità di questa donna tra le fila dei maschi nostrani. Solo apprensione e stress regala invece all’altra “metà del cielo”, dove si aspetta con trepidazione il sospirato trapasso della nobildonna dandole modo di regalare i suoi diabolici servigi là, dove più sono consoni, cioè all’inferno.

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CEPPO A CHILOMETRO ZERO

Nell’ipotesi, improbabile, che il viandante esca moralmente integerrimo dalla locanda, egli si trova ad affrontare una dolce e breve discesa sita in zona “Sempione”. Un paio di curve da godersi all’ombra delle maestose conifere di una villa, esempio di residenza di piacere di inizio ottocento. Misteriosa è l’etimologia del nome del luogo. Lo storico Cantù ipotizza che il proprietario volesse ammiccare al parco Sempione di Milano. In effetti il parco retrostante la villa è vasto e vi si trovano anche alberi tipici della foresta pluviale.
Riprendendo il cammino si giunge a una curva a gomito che immette sul viale che porta al centro del paese. Si vuole far notare ai lettori che la curva è sinistrorsa. Il senso di marcia non è casuale. Il progettista della strada voleva dare un segno politico ben chiaro alla popolazione presente e futura. Diciamo che il progetto della strada è venuto bene, quello politico è andato a ramengo.

 

Stria vegia
 

Fiancheggia la curva la cascina “Stria vegia” (strega vecchia) che si accolla il merito di fare gli onori di casa a chi arriva da fuori. Inoltre, orgogliosamente, esibisce su un muro il nome del paese. Qui lo sterrato lascia posto al famoso “ceppo” dell’Adda. Ceppo che lastrica, senza soluzione di continuità, via Mazzini, la piazza, via XXV Aprile, la “riva dei cipressi” giungendo all’Adda tramite la riva del “Com”. Anche qui gli storici ipotizzano un riferimento alla famiglia Comi che abita nei paraggi e gestisce un servizio di barche verso la sponda bergamasca. Decenni dopo un discendente della suddetta famiglia diventerà direttore di banca. Questo a confermare il tasso di intelligenza di questi discendenti dei Celti.
Come si evince dalla foto il manto stradale in ceppo ha bisogno di una costante manutenzione a causa dell’intenso traffico che caratterizza il paese. In particolare al giovedì, giorno di mercato, arrivano da ogni dove artigiani, coltivatori e allevatori. Noto è il “Fiurenten”, venditore ambulante che gode popolarità tra le sottane del paese. Giunge da Busnago con un carro trainato da un cavallo di razza avelignese dalle buffe “calzine”. L’ambulante si annuncia sempre con la stessa frase: “Alluminio, donne! Piatti, bicchieri, tazze e tazzine da caffè, caffettiere. Toglietevi da dietro”. Le ultime parole sono indirizzate ai bambini che immancabilmente si aggrappano al carro.
Ritornando all’Adda non si può non parlare di una grande opera idraulica orgoglio dei cittadini. La famosa Centrale Esterle di proprietà dell’Edison. È stata costruita, come la precedente centrale Bertini, per soddisfare la fame di energia della città di Milano e delle industrie della Brianza. Non si capisce perché di tutto questo ben di Dio non ne possa usufruire anche la popolazione locale. Infatti ancora oggi nelle case dei portensi si fa uso di lampade a petrolio, e le strade non sono illuminate. Di conseguenza gli elettrodomestici sono sconosciuti a questa pia gente. Si mormora che il geometra Radaelli abbia la corrente in casa, ma non ci sono prove al riguardo.
I numerosi turisti che arrivano da tutto il mondo, possono trovare ristoro presso il ristorante “Il molinetto”, eccellente perla della gastronomia brianzola. Rinomate sono le sue rane fritte, il cavedano al cartoccio, lo stracotto d’asino alla portense e, udite udite “la trippa riproposta”. 



Mulinetto

 

Lo storico Cantù scartabellando tra i documenti nell’Archivio Storico di Stato di Milano, ha stabilito con certezza che il ristorante era in precedenza un mulino che generava corrente a una falegnameria situata proprio dove ora c’è la centrale idroelettrica. Falegnameria che era di proprietà dei monaci di Villa Paradiso.

 

Nonno Carlo
In pieno centro storico si trovano due “corti”: la Prima e la Seconda. L’elementare scelta dei nomi è per agevolare il portense quando deve dichiarare la propria residenza alla Pubblica Amministrazione.
La “prima corte”, a differenza della seconda, ha un accesso dalla strada a “cielo aperto”. Inutile dire che l’accesso è lastricato con il ceppo dell’Adda.
A sinistra c’è un piccolo laboratorio di falegnameria, mentre a destra troviamo il muro che fa parte della legnaia e della carbonaia. Notiamo nella foto nonno Carletto che ha preso in consegna il nipotino. Eccolo all’uscita della corte indirizzato verso l’Era, dove risiede. L’incombenza di custodire il nipote è frequente dato che la figlia usa fare shopping con le amiche, e magari ci scappa pure un gelato al bar “Bacheten”. Si sa, spesso i paesi non stanno al passo delle città. Capita che le nuove tecnologie arrivino con ritardo. Infatti notiamo dalla foto che i giochi e gli ausili per i bambini sono alquanto datati. Lo storico Cantù, guardando questa immagine ha asserito che il girello è di epoca napoleonica. Fa male ammettere che il numero degli esercizi commerciali in paese ha subìto una drastica diminuzione dopo la depressione degli anni ’20. Si contano un fornaio, una macelleria-tabaccheria e un piccolo emporio che espone reggiseni in compagnia di quaderni e scope di saggina. In merito alle innovazioni ci sarebbe il ragionier Sala che afferma di aver inventato la macchina da scrivere elettrica ma, in assenza di corrente elettrica, non ha ancora fatto il collaudo. Fa rabbia vedere queste menti eclettiche e laboriose impossibilitate a realizzare le loro idee.

 

 

CASA DOLCE CASA

Casa mia

 

Arrivati all’interno della corte si ha la piacevole sorpresa di ammirare un pregevole esempio di architettura rurale lombarda: un edificio ottocentesco di rara bellezza e di rifiniture classicheggianti occupa la parte ovest della corte. Particolari sono i ballatoi con gli archi “a botte”. Questi ballatoi sono spazi aperti e in comune, che favoriscono la socialità delle famiglie. La privacy non è una virtù da queste parti, infatti possiamo vedere la signora Cornelia stendere i propri panni senza vergogna, il signor Tunen fumarsi la pipa scaccolandosi le narici, i bimbi giocare a palla senza il timore di una reprimenda. Sentire qualche discussione accesa tra marito e moglie non è motivo di pettegolezzo, tutti fanno parte di una grande famiglia. Ogni ballatoio è come un palcoscenico su cui va in scena la vita quotidiana di gente operosa e onesta.

Un mare di mais
Nelle giornate settembrine il ballatoio diventa uno spazio dove stendere il raccolto del mais ad asciugare al sole. Non un chicco va perso, calpestato o mosso. Anche i bambini coscientemente rinunciano ai loro giochi in questo frangente. Non tutti i bambini a dire il vero. A volte c’è un monello che scambia il tappeto di mais per una spiaggia dei tropici. Si noti pure, nella foto, l’incongruenza tra la giornata calda e l’abbigliamento del bimbo. È tradizione del luogo prendere i bambini e avvolgerli in vari strati di cotone, tela di juta e lana caprina per difenderli dalla Natura matrigna. La conseguenza è che questi bambini nei primi anni di vita non riescono a toccare nessuna parte del proprio corpo. Non conoscono il calore della propria pelle. A volte le loro mani sono avvolte in tela per impedire loro di interagire con il mondo esterno, e quindi di beccarsi la peste bubbonica o il verme solitario. Tutto ciò è frutto di tradizioni che si tramandano da secoli. Diciamo che si tramandano più che altro le paranoie e le fisse. La mamma di questo bambino è fedele alle tradizioni e, diciamo pure, ci aggiunge del suo.
 

Ora propongo ai miei lettori di unirsi a me per far visita alla famiglia Riva che occupa un appartamento al piano intermedio, lato destro dell’edificio. Notiamo alla destra della porta d’ingresso una vasca per lavare i panni. La vista da qui è fantastica: orti, stalle, campi coltivati e alberi da frutta. Bussiamo. La porta si apre e la signora ci dice che non vuole comprare niente. Capiamo il disguido e ci presentiamo. Chiarito il qui pro quo ci fa entrare. Ci troviamo in una grande sala da pranzo dove campeggia al centro un tavolo rettangolare; ecco l’immancabile cucina economica in ferro-smalto. Facciamo una foto con il permesso della signora. In un angolo fa bella mostra di sé un lavabo con il suo supporto in ferro battuto.
 

 


 


Gentilmente la signora ci mostra anche gli altri locali. Oltre alla sala da pranzo troviamo una camera da letto spaziosa con un letto matrimoniale e due lettini singoli. Notiamo con discrezione un pitale in ghisa pulitissimo sotto il letto matrimoniale. Ci sono poi due locali dall’uso indefinito. Uno è praticamente un grande sgabuzzino, e tra le tante cose ci sono pure due biciclette. L’altro è una camera da toilette, vero lusso per i tempi. Dato che la casa è sprovvista di bagno, la famiglia Riva usufruisce di una tinozza. Qui a turno ci si immerge per lavarsi, rigorosamente solo al sabato. Quando necessita un pentolone d’acqua, questo viene messo a scaldare sulla cucina economica e poi versato nella tinozza. La signora ci sussurra sottovoce che per risparmiare qualche spicciolo è abitudine che i figli abbiano a disposizione la stessa acqua. L’ordine di fruizione viene stabilito con un “pari e dispari” secco, sotto la supervisione della signora.
Usciamo dall’appartamento e ci ritroviamo sul ballatoio, e sentiamo la porta chiudersi alle nostre spalle con garbo, ma è evidente che la signora non vedeva l’ora di liberarsi di noi. Di sicuro ha da fare in casa, ed è più che giustificata, se pensate, cari lettori, che abbiamo visto ben sette finestre. Tutte pulitissime!
Ora ridiscendiamo in cortile per mezzo della bella scala e ci dirigiamo alle stalle. Cosa ci fanno quelle strane porte con un foro ad altezza del viso? Apriamo e abbiamo la risposta a una domanda lasciata in sospeso. Ecco dove la gente di questi paraggi si libera del superfluo corporale. A dire il vero i progettisti non hanno sprecato tempo ed energie per mettere in piedi questo gabinetto. Infatti notiamo che a parte un buco nel pavimento non c’è altro. Niente water e niente turca, solo un buco! Sembrerebbe quasi un passaggio per gli inferi. Mentre ci turiamo il naso per la puzza, notiamo penzolare da una parete un gancio con infilati quadretti di carta di giornale. Bravi, un tocco di eleganza.
Immaginiamo la scena. Uno arriva e guardando da sotto la porta verifica che il cesso sia libero. Entra, non è buio perché la luce entra dal foro sulla porta. Meno male, si può vedere se si imbrocca il buco. Ipotizzando l’operazione corporale più impegnativa, il tipo si accovaccia e si concentra; gli fanno compagnia muggiti, ragli e starnazzamenti. Non solo, squadriglie di mosche ubriache di fogna lo attaccano da tutte le direzioni. Grazie a questa atmosfera rilassante, il tipo è costretto ad accelerare le sue manovre e ciò è causa di errori. Si può rischiare di infilare un piede nel buco o di aggrapparsi alla porta per la necessità di un punto di appoggio, scardinandola. Ipotizziamo che tutto vada per il meglio, arriva il momento di pulirsi; lo sguardo cade malinconicamente sui foglietti di carta tagliati con precisione maniacale. C’è il lusso della scelta tra la Famiglia Cristiana e la Gazzetta dello Sport. È un dilemma! Ambo le opzioni hanno pregi e difetti. La prima non si spezza, ma ha la proprietà di scivolare portando lo “sporco” in giro. Il risultato è uno spalmare ovunque quello che prima stava solo in un punto. La seconda, la Gazzetta, non spalma ma si rompe spesso e soprattutto colora il didietro di rosa come quello di un bebè. Alla fine dell’operazione il tipo, in debito di aria pura, esce spalancando la porta proprio nel mentre che un altro sta guardando sotto di essa per vedere se il cesso è occupato. Beh, sono momenti in cui nascono nuove amicizie!

 

 RITORNO AL FUTURO

Che mondo, che vita c’era nella prima corte! Che ricordi!
Ricordo un bimbo in braccio alla madre a godersi il cielo d’estate punteggiato di miriadi di stelle.
Ricordo mani materne che chiudevano le imposte della finestra per tranquillizzare un bimbo impaurito dal pianto lacerante di un maiale al cospetto del patibolo.
Ricordo una bimba alla quale i medici avevano consigliato di ritardare i primi passi, eppur costretta dal fratello a camminare per la sala da pranzo a insaputa dei genitori.
Ricordo colpi con un coltello sul mobile alla Ringo Starr mentre la madre era assente. E poi le botte della madre, alla Ringo Starr, su delle chiappe.
Ricordo il giocare a “nascondino” sul fienile ed essere beccati per via dell’allergia al fieno.
Ricordo le galline, poverine, che morivano dissanguate con le forbici infilate in gola.
E poi le mosche, milioni di mosche. Era una convivenza naturale e scontata. Stava scritto nel contratto di affitto: “Vivrai gomito a gomito con le mosche”.  
Che mondo che era la prima corte, un mondo che si ricorda con piacere, così come si ricorda con piacere Porto d’Adda dei tempi andati.

 

 Ivano Riva


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