sabato 30 gennaio 2021

VERDERIO NELL'ARCHIVIO STORICO DE "LA STAMPA" di Marco Bartesaghi

Il 9 febbraio del 1867 nasce il quotidiano torinese “Gazzetta piemontese”, che mantiene questo nome fino al 1895, quando assume quello nuovo, ancor oggi in uso, de “La Stampa”.


Fino al 1908, però, i due nomi rimarranno affiancati.


Il 31 dicembre 1930 esce il primo numero di “La Stampa della Sera”, che in seguito diventerà “Stampa Sera”, edizione pomeridiana e del lunedì de “La Stampa”.

 

Dopo la Liberazione la pubblicazione de "La Stampa", come quella di altri quotidiani, venne sospesa su richiesta del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per le connivenze con la Repubblica Sociale. Riprese la sua attività il 21 luglio 1945 con il nime di "La Nuova Stampa".


Dal 2010 tutto l'archivio del quotidiano, compresi gli anni della “Gazzetta piemontese” e le edizioni pomeridiane di “Stampa Sera”, è stato digitalizzato e può essere consultato gratuitamente all'indirizzo www.archiviolastampa.it   (1).
Io l'ho fatto, non recentemente, inserendo come parola chiave  “Verderio”. Quello che segue è il risultato di questa ricerca. Alcuni di questi articoli erano già stati pubblicati su questo blog. Ora ho cercato, quando sono riuscito, di corredare ogni articolo con qualche notizia in più, tratta da documenti di diverso tipo.

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Il più antico articolo che ho trovato risale  al marzo del 1872. Lo presento insieme ad un altro uscito qualche mese dopo, in ottobre, perché riguardano lo stesso argomento, la fusione di Verderio Superiore e Verderio Inferiore in un unico comune:

ATTI UFFICIALI
La Gazzetta Ufficiale del 29 febbraio reca un regio decreto (n. 678) del 1° febbraio, con cui a partire  dal 1° aprile 1872, i comuni di Verderio superiore e Verderio inferiore sono soppressi e riuniti in un solo colla denominazione di Verderio Superiore, tenendo separate le rispettive rendite patrimoniali, le passività e le spese.
 

“Gazzetta Piemontese”, Torino, domenica 3 marzo 1872


ATTI UFFICIALI
La Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre reca un regio decreto (n.1001) del 1° settembre, che autorizza il comune di Verderio Superiore, nella provincia di Como, ad assumere la denominazione di Verderio.

 “Gazzetta Piemontese”, Torino, Sabato 5 ottobre 1872

Una bella gaffe aver chiamato il comune unico con il nome di uno di quelli soppressi, Verderio Superiore. Chissà che polemiche e che malumori aveva scatenato, tanto che solo qualche mese dopo si decise di porre rimedio, chiamandolo Verderio.

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FATTI DIVERSI
Notizie delle campagne – L'agenzia per gli agricoltori ci notifica un fatto che segnaliamo all'attenzione dei nostri benemeriti naturalisti.
In un fondo di Romello (di circa 70 pertiche) i gelsi non mettono foglia; le gemme sono fuori, ma non si aprono. Lo stesso si verifica in altre località, come, per esempio, in Terrazzano, provincia di Milano, e in Verderio, provincia di Como. È da notarsi che i terreni nei quali si verifica lo strano e deplorevole caso sono di non vecchio dissodamento.


Da “Gazzetta Piemontese”, 25 aprile 1872

Su questa notizia non sono riuscito a trovare alcuna ulteriore documentazione. Mi sono rivolto anche  al signor Flavio Crippa, esperto di produzione della seta e autore, molti anni fa, di un libricino sul museo della seta di Garlate, per chiedergli se ne sapesse qualcosa. Mi ha risposto di no, fornendomi però alcune informazioni sulle malattie dei gelsi nella seconda metà dell'ottocento, che mi sembrano molto interessanti. Ecco la sua risposta:

“La notizia di gelsi senza foglia a Verderio nel 1872 non l'ho mai sentita. Ma nella seconda metà dell'Ottocento a causa della forte diffusione e densità degli allevamenti di bachi da seta quindi di grandi quantità di piante di gelso bianco (Morus alba) molto produttivo di foglia, vi furono almeno due malattie responsabili di gravi danni che furono indagate e combattute soprattutto in Lombardia e nella Pianura Padana, zona di Milano. Sono:  
 

- La "Fersa" del Gelso bianco (Morus alba) che si manifesta con macchioline color ruggine
sulla superficie della foglia che via via aumentano fino a farla arricciare e morire.
La causa della "Fersa" è un fungo il "Mycosphaerella morifolia". Se non viene combattuto in certe stagioni in 10-20  giorni attacca tutte le foglie di un gelso bianco alto 2 - 4 metri.
Questo fungo attacca altrettanto bene anche il Gelso nero (Morus nigra) che però nel Nord  Italia dal Seicento  non è quasi più coltivato per i bachi.
Per combattere la Fersa nell' 800 si spruzzava tronco e foglie con la poltiglia bordolese, soluzione acquosa di rame solfato e calce (come per le viti), quattro o cinque volte l'anno.
Le foglie trattate non dovevano essere date ai bachi. Con un trattamente efficiente e ben fatto l'anno successivo il gelso dava foglia sana. Questa malattia, In tono minore, si può vedere ancora oggi sui gelsi.
 
-La "Cocciniglia bianca"  (Diaspis pentagona) è un insetto biancastro grande meno di un cm che in grandi quantità incrosta la corteccia e le parti legnose dei rami del gelso bianco (e altre piante), inietta liquidi nel ramo facendolo morire. A partire da metà Ottocento ha creato gravi problemi.
Viene combattuto spruzzando tutte le parti dove è presente con una soluzione acquosa di "polifosfuro di calce". Il contenimento maggiore fu ottenuto a fine Ottocento con l'introduzione il Italia dall'Oriente di un insetto antagonista, una sorta di vespa, che deponeva uova nel guscio della Cocciniglia.  Quest'ultimo metodo per il gelso fu molto efficace”

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Vimercate, 17 – Da qualche tempo i terrazzani nel limite tra Vimercate, Trezzo, Tresciano e i due Verderio sono in allarme per l'apparizione in quei luoghi di una banda di ladri, e i loro timori sono giustificati dalle molte rapine verificatesi anche in questi ultimi quattro giorni.
A capo della masnada pare si trovi un tale da poco tempo evaso dalle nostre carceri.
Fra gli ultimi fatti citasi quello di due carrettieri di Verderio Inferiore, derubati pel valore di oltre 150 lire; due donne furono poi derubate, ed una di esse, inoltre, deturpata, versa in pericolo della vita, mentre l'altra ha quasi perso la ragione per lo spavento sofferto.
Un fattore di Aicurzio venne poi derubato di somma rilevante. L'ardire di questa banda di malfattori, che si tiene al sicuro della giustizia, non è poco, ed è provato dalla seguente impresa contro il curato di Verderio Superiore:
Nella scorsa domenica mentre il vice-curato faceva la spiegazione del Vangelo e i terrazzani stavano radunati nella chiesa, tre individui si portarono alla parrocchiale e con molte scuse poterono ottenere l'accesso nell'interno della casa. Presentatosi al curato lo richiesero di elemosina, ma mentre il prete metteva mano al portamonete e l'apriva, i malandrini, scortovi un biglietto di Banca di L. 100, l'agguantarono subito, obbligando il curato a ceder loro quella somma, e poi quatti quatti, lasciando il reverendo impaurito, se la svignarono.
L'autorità di pubblica sicurezza ha diramato ordini rigorosissimi per l'arresto di questi malviventi ed all'uopo venne spedito in Vimercate buon nerbo di bersaglieri e di carabinieri. (Lombardia).

Da  “Gazzetta Piemontese”, sabato 20 luglio 1872

Per attualizzare l'entità del danno subito dal parroco si deve sapere che 100 lire del 1872 corrispondono a un valore di circa 367 euro nel 2008 (la più recente tabella ISTAT che ho trovato).  Le 150 lire dei due carrettieri corrisponderebbero quindi a circa a 550 euro. Il sacerdote derubato era don Olimpio Tacconi, che fu parroco di Verderio Superiore dal 1843 al 1897.


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L’agitazione agraria in Lombardia
Scrivono da Verderio Superiore (Lecco – Como)

[…] della sera:
[…] agosto (sera)
Al mattino di buonissima ora, alcuni contadini erano in piazza Comunale, e formati in vari gruppi discutevano (pareva) e parlavano tra loro. Ma viceversa quando si allontanarono si trovò affisso all’angolo di una casa un manifesto sovversivo. Il cursore del paese Cassago (?), informato del fatto, andò in piazza e fece per staccare il manifesto, ma gli fu imposto di non toccarlo. Allora egli corse alla casa dell’assessore Lissoni Eugenio, agente di casa Gnecchi, e questi subito mandò per i carabinieri a Merate . Quando furono arrivati, il signor Lissoni, in mezzo ai carabinieri, andò a strappare il manifesto che diceva propriamente così:
“Restate avvertiti, signori di questo comune, voi non avete la premura di [… - …], noi [… - …] cominceremo a incendiare delle ville, dei palagi e temete che non si scherza”
Si radunarono quindi nella sala comunale il Lissoni, che è un bravissimo ed energico assessore, il Sottocornola, il segretario comunale , e decisero di mandare subito a chiamare il pretore.
Fu pure telegrafato al tenente dei carabinieri e al questore di Lecco, che risposero di partire subito per Verderio.
Intanto il pretore col brigadiere dei carabinieri confrontarono  i due manifesti di Verderio Inferiore e quello di Verderio Superiore (che è distante dal primo 200 metri), ma non trovarono niente di somigliante. Pare che per questo manifesto si fosse  già vociferato qualche cosa in paese.
Ultime […]: -I palazzi dei principali signori di Verderio Superiore  sono guardati dai carabinieri.
Si teme che si ripetano simili cose a Verderio Inferiore.

 

Da “Gazzetta Piemontese”, giovedì 13 agosto 1885

 

Di questi fatti parla anche “Il Corriere di Lecco” del 14 agosto 1885:
 

“A Verderio la mattina del 10 corrente, venne trovato affisso, sopra la cassetta delle lettere, il seguente avviso: “Restate avvertiti i Signori di questo comune. Vui non avete premura di tener quieto vivere e nui, 200 associ, comincieremo at incendiare delle ville, dei palagi, e temete, non si scherza”.
L'avviso venne tolto dal comandante la stazione dei carabinieri di Merate e fu trasmesso al Pretore di Merate pel relativo procedimento. Durante la notte dal 10 al 11 il comune di Verderio fu sorvegliato dai carabinieri per impedire la ripetizione dell'affissione dei manifesti (2)."

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Tutta la Brianza in sciopero.
Togliamo dai giornali di Milano:
Gli scioperi continuano a Novate, Imbersago, Paderno, Merate, Sartirana, Sabbioncello, Asnago, Mariano Comense, Fabbrica Durini, Anzano del Parco, Arosio, Romanò Brianza, Cremnago, Inverigo, Nibionno, Figino Serenza, Carugo, Brenna, Novedrate, Lomagna e qualche altro.
Il ritornello è di dire che gli scioperanti si mantengono quieti, ma non mancano atti quotidiani di violenza o di vendetta.
I sindaci, i brigadieri dei carabinieri e persone influenti si adoperano per trovare un componimento.
Le richieste dei contadini non sono dappertutto identiche, però si assomigliano assai ed hanno tutte la stessa base.
La giornata del contadino è calcolate ora su una media di centesimi 80 al giorno. Esso chiede invece, durante la falciatura, L. 0,20 all'ora e la giornata di 10 ore: ciò che equivale a L. 2 al giorno.
Chiede inoltre che vengano aboliti gli appendizi o che si modifichino la mezzadria ed i patti colonici.
A Verderio, a Lomagna ed in qualche altro luogo l'accordo è avvenuto; ma i più sono ancora in trattative.
In Piano d'Erba vi sono pure scioperi, ma localizzati o in via di accomodamento.
A Saronno 500 contadini dell'Amministrazione  del marchese Antici si posero in sciopero domandando il ribasso degli affitti o del frumento.
Lo sciopero si estese anche ai contadini dell'Amministrazione del conte Taverna.
Una Commissione di contadini si recò dai proprietari per trattare, ma ebbe un assoluto rifiuto.
I contadini ora si rifiutano di battere o consegnare il frumento.


Da  “La Stampa”, Lunedì 22 luglio 1901

 

Di questa stagione di  scioperi dei contadini parlò anche il giornale “La Provincia di Como” in tre articoli pubblicati il 2 giugno, il 20 luglio e l'11 agosto 1901. Essi sono trascritti nel libro Imbersago. Il fiume, le torri, le chiese, le ville nella storia di Imbersago, Missaglia, 2002, alle pagine 245, 246, 247.

Sullo stesso argomento, don Luigi Galbiati, parroco di Verderio Superiore dal 1897 al 1923, annotava nel Liber Cronicus  (3):

"Luglio – In questo mese, nei dintorni i socialisti, sguinzagliati dai sovversivi apostoli di Satana della città, vennero a gettare nei popoli la rea semenza dell'universale uguaglianza, dell'insubordinazione a qualsiasi autorità si civile che ecclesiastica; a questa però per maggiormente illudere e [parola incomprensibile] il popolo nelle loro spire. Le popolazioni, attonite alle nuove e per loro apparentemente vantaggiose dottrine, abboccarono all'amo, imponendo in massa ai padroni l'elevazione del salario e la diminuzione delle ore giornaliere. Per certi casi e per certi padroni egoisti poté esser questo un provvedimento necessario, ma non per quelli che coscienziosamente solvevano i patti stabiliti e davano a ciascuno il suo. Da qui vennero minaccie [sic], sommosse e delitti. Di notte tempo si appiccava il fuoco ad un casotto [parola incomprensibile] di campagna, si tagliavano gelsi, viti, tenute di granturco. Quindi reciproca avversione dei coloni contro i padroni, che prima si consideravano quasi dell'istessa famiglia, rispettandosi a vicenda.
Contuttocché i socialisti affettassero rispetto alla Religione, pure nei loro discorsi tacevano l'odio accanito che avevano anche a questa, e il loro fine ultimo era di scuoterla  opponendo viva resistenza all'azione cattolica che cercava smascherare  le insidie della nuova propaganda sovversiva. Epperò in tanti, meno radicalmente fondati si affievolì il sentimento religioso. Per buona sorte qui non si ebbero a deplorare alcuni disordini sia per le esortazioni del parroco, sia per la previdenza e fermezza dei padroni, sia anche per la docilità della popolazione, che, essendo sempre stata trattata con equità e giustizia nei loro interessi, non aveva motivo di lamentarsi della loro posizione economica; tanto più che i nostri signori avevano sempre procurato loro il benessere nell'aver eretto e condotto un fiorente asilo infantile, donata l'acqua potabile, fatto un elegante cimitero, e la nuova chiesa in costruzione, senza dire delle larghe elargizioni in loro favore".

 

Degli scioperi del 1901 si tornò a parlare nel 1913, dopo gli omicidi del 26 marzo a Verderio Inferiore, di cui furono vittime Luigia Sottocornola e la sua domestica, Francesca Pochintesta.
La prima pista seguita dagli inquirenti fu quella dei contadini che la Sottocornola aveva licenziato in seguito a quelle agitazioni. Alcuni di loro avevano lasciato Verderio, altri avevano trovato lavoro presso altri proprietari in paese. Tutti avevano motivi di risentimento verso la vecchia padrona.
I sospetti ricaddero soprattutto su Baldassare Negri, detto “Verdé”, a causa di un biglietto lasciato sul luogo del delitto dal vero colpevole. Sul biglietto era scritto: “Il vostro nemico nominato Verte ve la fatta on cascie via più el paisan” .
Poi le accuse caddero e le indagini si indirizzarono su altre vie, una delle quali portò al vero colpevole (4).

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Grave caduta di un muratore.
Milano, 30 notte
Nel pomeriggio in una casa in costruzione in piazza Beccaria da un ponte di fabbrica è caduto il muratore Girolamo Scali di anni 17 da Verderio Superiore. Il poveretto che ha riportato una grave ferita alla testa e contusioni per tutto il corpo, giace morente all'Ospedale Maggiore.

Da “La Stampa”, 1 luglio 1928

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Investito dal proprio carro muore sul colpo
Como, lunedì sera
Tale Aquilino Villa da Verderio Inferiore, era sceso dal carro su cui si trovava per scambiare qualche parola con un amico. La conversazione durò qualche tempo, finché il cavallo, stanco evidentemente di … aspettare, si mise in moto. Il Villa rincorse l'animale tentando di fermarlo, ma cadde ed il veicolo gli passò sul corpo, uccidendolo.

 
Da “Stampa Sera”, lunedì 10 aprile 1939.

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Appicca il fuoco ad una casa per vendicarsi della fidanzata che l'ha piantato.
Como, mercoledì sera.
L'altra sera un violento incendio distruggeva completamente a Verderio Inferiore un cascinotto di proprietà della signora Maria F. ved. O., causando un danno notevole e mettendo in pericolo un gruppo di case posto vicinissimo al rustico in fiamme.
Le indagini svolte in proposito dai carabinieri accertavano che l'incendio era doloso e permettevano di elevare forti dubbi sulla colpevolezza del carrettiere ventiquatrenne Pietro A., del luogo. Costui, invitato in caserma, dopo qualche timido diniego finiva col confessarsi autore dell'incendio, aggiungendo di aver appiccato il fuoco al cascinotto per vendicarsi – attraverso la madre di lei, proprietaria del rustico – della sua fidanzata, la quale, malgrado le sue preghiere, non voleva più saperne di continuare la relazione intrecciata da tempo.
Gli stessi carabinieri stanno ora indagando se vi sia qualche relazione fra l'incendio in parola e un altro incendio che, a qualche ora di distanza, ha distrutto, a Verderio Superiore un cascinotto di proprietà dei cugini Carlo e Luigi S.
Un terzo incendio, di cui però si ignorano le cause, è segnalato da Castello dove le fiamme, sviluppatesi nello stabile di proprietà delle sorelle Todeschini, hanno causato un danno di circa ventimila lire.


Da “Stampa Sera”, mercoledì 13 marzo 1940.

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Denuncia un furto che ha commesso lui. La triste azione di un sagrestano che ha avuto per complici due suoi figli
Como, mercoledì sera
Qualche giorno fa il sagrestano cinquantunenne F. C., da Verderio Inferiore (Como), denunciava ai carabinieri che il suo parroco era stato derubato di 1200 lire in denaro, di diversi tessuti e di altri oggetti, e che egli, a sua volta, era stato derubato della bicicletta. Le indagini svolte accertarono invece che fu lo stesso C. a commettere il furto con l'aiuto del figlio C. e di una sua bimbetta di  8 anni … I due ladri sono stati denunciati.

Da “Stampa Sera”, mercoledì 7 agosto 1940


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Carrettiere trovato cadavere da alcuni passanti
Como, mercoledì sera.
Insospettiti da certi indizi, alcuni passanti si avvicinavano l'altra sera, a Paderno Robbiate, a un carro trainato da un cavallo che da alcuni istanti sostava sulla via.
Malgrado la presenza del conducente, seduto al suo posto, il veicolo sembrava abbandonato a sé stesso. La spiegazione del singolare fatto la si ebbe immediatamente: il carrettiere Longhi Beniamino, d'anni 41, da Verderio, era ormai cadavere, ucciso probabilmente da una sincope.


Da “Stampa Sera”, mercoledì 27 agosto 1941

In questo articolo c'è un errore piuttosto grave: il carrettiere non si chiamava Beniamino Longhi, bensì Beniamino Colnaghi. Questa vicenda è ben raccontata dal nipote del protagonista, anch'egli Beniamino, nel suo blog "Storia e storie di donne e uomini". Trovate l'articolo cliccando sul seguente indirizzo: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2014/01/

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I risultati elettorali di 813 comuni. 318 ai democristiani, 277 ai socialcomunisti, 218 a tutti gli altri

COMO – Nei 23 comuni della provincia di Como in cui si sono svolte le elezioni domenica la democrazia cristiana è risultata vincitrice in 17; i socialcomunisti in 5; gl'indipendenti in 1.I democratici cristiani hanno conquistato i comuni di Airuno, Banzago, Bellano, Brivio, Cassago Brianza, Castello Brianza, Colle Brianza, Cernusco, Lomagna, Merate, Missaglia, Monticello, Osnago, Valgreghentino, Varenna, Santa Maria di Rovagnate. I socialcomunisti hanno conquistato i comuni di Barzago, Bulciago, […], Paderno Robbiate, Verderio Superiore. Gli indipendenti hanno conquistato il comune di Verderio Inferiore.

Da “La Nuova Stampa”, Mercoledì 20 marzo 1946


Ho trovato un prospetto delle elezioni comunali tenutesi a Verderio Superiore nel 1946, in un foglio redatto da Rino Galbusera e destinato probabilmente a un numero del giornalino locale del Partito Socialista, “Il Punto”, in uscita alla fine degli anni ottanta del novecento: 


VERDERIO SUPERIORE
ELEZIONI COMUNALI 17/3/1946

VOTANTI 741; MASCHI 363; FEMMINE 378

ELETTI IN CONSIGLIO COMUNALE
 

MAGGIORANZA
Ugo FESTINI                                   (PSI                  voti 569           
Sigismondo (Dino) PIROVANO       (PSI)                 voti 560      
Marco GARIBOLDI                          (PSI)                 voti 559        
Ambrogio FRIGERIO                       (PSI)                 voti 558                    
Giovanni SALA fu Enrico                 (PCI)                 voti 557              
Angelo OGGIONI                             (PCI)                voti 557                       
Giovanni SALA fu Camillo               (PCI)                 voti 556                 

Luigi RIVA                                        (PCI)                voti 556                                   
Paolo ROTA                                     (PCI)                voti 555                                
Ferdinando VISCARDI                     (PSI)                voti 554                    
Giuseppe SALA                               (PCI)                 voti 553                         
Francesco PASSAQUINDICI    (indipendente)         voti 552 
 

MINORANZA
Maurizio SALA                                (DC)                  voti 155                           
Giovanni MOTTA                            (DC)                  voti 152                       
Giuseppe CASSAGO                     (DC)                   voti 149                   

GIUNTA COMUNALE

SINDACO    Paolo ROTA, toscano, allora direttore dello scatolificio che sorgeva  dove ora c’è il centro sportivo e che poi, dopo un incendio, si trasferì a Carnate.
ASSESSORI EFFETTIVI: Sigismondo PIROVANO, allora contitolare di un’officina in via S-Ambrogio; Francesco PASSAQUINDICi, allora contitolare dello scatolificio

ASSESSORI SUPPLENTI: Marco GARIBOLDI, allora titolare dell’osteria oggi chiamata “da REMO”;     Giovanni SALA fu Enrico, nativo di Cascina Mezzanuga, in seguito abbattuta.



Il risultato delle elezioni amministrative di Verderio Superiore non lasciò indifferente il parroco , don Carlo Greppi, che, con pessima calligrafia, annotò sul “Liber Cronicus”:
 

" Elezioni amministrative – quello che si prevedeva fu. Una ripetizione in ben più larga misura di quelle politiche del 1925. Anche queste dunque […] decisamente sulla Casa Padronale e sugli arricchiti di guerra, più ancora però sulla prima. Per questo i cortei, le adunate al circolo o cooperativa comunista di P. Roma, gli sbandieramenti e le chiassate in altri paesi …, … da farsi non poco compatire. Ed era bello e consolante sentire anche i bambini dell'asilo, educati tanto bene dai loro genitori e fratelli e sorelle, a braccetto a […] - per ben due mesi, cantare a squarciagola “avanti o popolo … rivoluzio … ne, rivoluzio ...ne”. Frutti naturali di una mancanza di oratorio m. e di A. C. sempre avversata e ostacolato il primo quando era assai più facile formare (?) dei caratteri ...
Per le elezioni dunque qui si fecero due sole liste: la comunista e quella dei cosiddetti indipendenti. Non si poté fare una lista democratica perché i pochi ben pensanti furono diffidati in piena regola e i rappresentanti di Como e Milano venuti ben 4 volte per parlare, sondato il terreno, non credettero né prudente né conveniente parlare e ritornarono sui loro passi.
Schede nulle 10-12 – Comunisti coi socialisti voti massimi 569 a Rag. Festini Ugo, Sindaco di Robbiate – Paderno – 105 a Gavazzi dott. Rodolfo della lista degli indipendenti.
Si è ripetuto, come era da prevedersi, in assai più larga scala, quanto si è fatto nel 1925: per il fatto che hanno votato anche le donne infatuate di comunismo sempre per le stesse ragioni già dette.
In proporzioni assai più ridotte e senza le pagliacciate fatte da questi anche fuori paese per quasi due mesi, sono conquistati dai comunisti anche Paderno, Robbiate e Imbersago. Anche questi Parroci si sono lamentati troppo giustamente delle ottusità di cervello delle donne che forse abbiano perduto la capacità di sinderesi (6). E vanno tutti in chiesa! Il colmo delle incongruenze!
Per la verità però e a parziale discolpa di quella popolazione è doveroso notare che la compagine contro la Casa Padronale, acuitasi in questo periodo di elezioni per la eterna questione degli affitti,  fu [alimentata] e sovvenzionata dalla casa Passaquindici e dipendenti sfollati in casa Gnecchi Vittorio, e in aperta pubblica lotta con la stessa per tante ragioni che qui non importa accennare. I tanti affitti pagati in 4-5 anni alla casa Gnecchi V. si tramutano in bocconi ben amari. Centro del movimento è l' [...] S. Giuseppe in piazza Roma, covo dei partiti estremi.
Se i Gnecchi avessero accettato subito il consiglio da loro richiesto più volte al Parroco non avrebbero aspettato a combinarsi cogli affitti – per cedere più di quello che il Parroco suggeriva – quando l'incendio già divampava a tutto loro danno e, purtroppo, della Parrocchia. Non avrebbero fermato una reazione che si può dire era in incubazione da cinquanta e più anni, ma almeno non si sarebbero inaspriti gli animi al punto di dare, anche le donne, ben 569 voti  comunisti. Che ne verrà fuori da questo caos a Verderio Sup.?
Risultarono quindi eletti: Sindaco Rota Paolo – direttore dell'azienda Passaquindici. V. Sindaco Franco Passaquindici. Consiglieri tutti gregari degli stessi. Alla minoranza: dottor Gavazzi, Sala Maurilio, Salomoni Angelo di Riccardo, Motta Giovannino.
Siamo in pieno regime rosso e che Domineddio la mandi buona a questa povera parrocchia avvelenata. Di Democrazia [?] non c'è neppure da pensare come partito. Le donne per le prime sono idrofobe. Lo scrivente è tentato di pensare che non tutto questo spaventoso movimento rosso sia frutto appena del dissidio insanabile Gnecchi – popolazione di Verderio, ma che questa col voto rosso nel 90% abbia rivelato la stessa contro [ … ]. Tanto più che in preparazione alla Costituente (5) – le donne in prima linea – sono più furibondi di prima contro la Democrazia [?]. La maestra Ravasi di Merate venuta all'Oratorio femm. per donne e figliuole fu diffidata e minacciata. Don Natale Basilico idem. Lo stesso venuto in Domenica (il parroco non era del parere) a predicare alla 2° Messa suscitò un vero pandemonio … alcuni uscirono di Chiesa. L'auto di Gavazzi che portava a Merate Don Natale, fu fermata dai comunisti locali, i quali si portarono in 10 – 12 a casa del Parroco (parevano animali) a protestare per don Natale e a minacciare [ … ] se lo stesso fosse ritornato nel pomeriggio a parlare … Le donne sembrano belve. Due della Democrazia venuti a parlare sul sagrato dovettero sostenere un dibattito sconcio e villano. Il nobile Franco Greppi che credette di parlamentare  con donne e comunisti locali dovette sostenere una lotta verbale violenta e villana essendo subito la polemica degenerata in fatti personali all'indirizzo dei Gnecchi, i quali non si vedono neppure uscire dal Palazzo. Sembra un paese invaso dallo spirito del male".

* I tre punti fra parentesi quadre indicano parole che non sono riuscito a decifrare. Le parole fra parentesi quadre, sono incerte.  In due o tre punti, dopo la parola "Democrazia" il parroco mette una sigla illeggibile che forse sta per "Cristiana". L'ho indicata con un punto di domanda fra parentesi quadre.

 

Andarono diversamente le elezioni a Verderio Inferiore. Qui vinse la lista degli indipendenti, che indicò come sindaco Gianfranco Gnecchi Ruscone, che già ricopriva la carica da subito dopo la Liberazione, quando era stato nominato dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), e che la mantenne fino al 1960.

***


Condanna di 11 coscritti per resistenza ai carabinieri – Volevano fare baldoria
Lecco, 11 gennaio (1951)
La Corte d'Assise di Lecco ha giudicato, nell'udienza  di oggi, undici giovani di Verderio, quasi tutti facenti parte di una compagnia di coscritti che la notte dell'8 aprile 1950 festeggiarono la visita militare con una cena e un ballo in un'osteria del loro paese. Gli undici detenuti erano imputati di resistenza ed aggressione a due carabinieri, che erano entrati nel locale intimando al proprietario di chiudere e ai presenti di sgomberare essendo da parecchio passata l'ora lecita di apertura dell'esercizio.
Sul banco degli imputati sedevano i giovani Cornelio Aldeghi, Carlo Spada, Giuseppe Colombo, Arturo e Maurilio Villa, Guido Sala, Antonio e Bruno Gariboldi, Arnaldo e Carlo Viganò, Napoleone Ponzoni e, a piede libero, l'oste con i due figli imputati di contravvenzione, falsa testimonianza e di resistenza a pubblico ufficiale.
All'udienza gli undici imputati maggiori si sono difesi per lo più mantenendosi sulla negativa. Dopo l'escussione dei testi ha preso la parola il P.G. Dottor Migliau, il quale ha chiesto per tutti gli imputati maggiori una condanna a pene varianti dai 2 ai 3 anni e sei mesi di reclusione; e pene dai quattro ai sei mesi per gli altri imputati a piede libero. Chiusa con la requisitoria del Procuratore Generale l'udienza del mattino, nel pomeriggio la discussione del processo è proseguita con le arringhe dei difensori; dopo di che la Corte ha emesso la sentenza di condanna degli undici imputati detenuti alla pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione, con il beneficio della condizionale; il Gariboldi Bruno, imputato anche di lesioni, è stato condannato alla pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione senza il beneficio della sospensione condizionale. Il Riva Francesco, proprietario dell'osteria, è stato condannato a 5 mila lire di ammenda, mentre i suoi figli, Luigi ed Ercole, sono stati assolti.
 

Da “La Nuova Stampa”, venerdì 12 gennaio 1951

L'arresto e la condanna di 11 persone di Verderio Superiore fu un avvenimento grave che lasciò un segno profondo nella vita del paese, sia per il peso che ebbe sulle famiglie dei condannati, sia per i risvolti politici della vicenda. Alcuni dei condannati erano, direttamente o indirettamente coinvolti nella vita politica cittadina e ci fu chi pensò ( e alcuni ancora lo pensano) che si trattò di una provocazione per mettere in difficoltà l'amministrazione di sinistra eletta nel 1946.
Vero? Falso? Non lo so, non ho elementi per esprimere un giudizio. Di certo il sospetto ci fu ed è rimasto ben radicato nella memoria,  soprattutto di chi quegli avvenimenti li visse in prima persona, ma anche nella memoria collettiva del paese.
Riporto qui due ricostruzioni dei fatti dell'8 aprile 1950, vigilia di Pasqua. 

La prima è stata scritta da Rino Galbusera,  verso la fine degli anni ottanta del novecento. Era destinata ad essere pubblicata sul giornalino locale del Partito Socialista, “Il Punto”, ma credo sia rimasta inedita.

L'altra ricostruzione è Giulio Oggioni ed è contenuta  nel suo libro “Quand sérum bagaj” , pubblicato nel 2004.

Il testo di Rino Galbusera:
 

"LA TRISTE PASQUA DEL 1950
Subito dopo la Liberazione, Verderio Superiore ebbe un’Amministrazione di sinistra e il paeseera talmante rosso da essere soprannominato la “piccola Sesto” e la “piccola Stalingrado”. La divisione tra bianchi e rossi incideva negativamente nella vita quotidiana dei Verderiesi di allora, resa appunto difficile dagli steccati dogmatici e pseudo-religiosi, infatti era difficile un matrimonio tra figli di famiglie DC con quelli PCI.
È in questo clima del periodo scelbiano che avvenne un fatto che sconvolse il paese.
L’8 aprile del 1950 i coscritti del 1930 stavano festeggiando la leva com’era nella tradizione di quell’epoca e cioè mangiando, bevendo e ballando “in del prestiné”, ossia l’osteria e panificio Riva, e alla festa solitamente si aggregava anche la gente del paese.
Verso le ore 23 arrivarono i carabinieri, chiamati – si dice – pretestuosamente per provocare una lite in modo da “prendere” le persone rappresentative della sinistra presenti e rovesciare l’amministrazione non gradita alle famiglie locali emergenti.
Infatti in quel periodo erano frequenti i controlli delle persone di Verderio, soprattutto all’osteria “Carlon”, che era in un’ala dell’attuale centro sportivo, per cogliere il momento propizio per fare una retata. Si dice anche che i carabinieri circolassero con liste di nomi in tasca e, ancora si dice, che nel mirino ci fossero i quattro attivisti comunisti più importanti: l’assessore Giovanni Sala, il presidente della coop. San Giuseppe, Francesco Robbiati, napoleone Ponzoni e Carlo Viganò.
Ecco i fatti, come li hanno raccontati alcuni protagonisti della vicenda.
Era la vigilia di Pasqua e mentre al suono della fisarmonica la gente ballava entrarono i carabinieri, invitando tutti ad uscire, perché era già trascorso l’orario consentito, e chiedendo i documenti ai presenti.
Le uniche reazioni furono di protesta verbale per quell’irruzione che interrompeva una festa di gente umile, povera e buona.
In quel momento Bruno Gariboldi  stava tornando in bicicletta dalla casa della fidanzata, per andare alla cooperativa in piazza Roma a prendere l’uovo vinto alla lotteria, ma, vedendo tanta gente in strada, si diresse dal “prestiné”.
Il brigadiere con una spinta lo fece cadere dalla bicicletta e il Gariboldi, rialzatosi, come reazione, gli tolse l’arma puntata e disse: “Non mi  hanno ammazzato in Germania, dove ho fatto ventun mesi di prigionia, mi devo far ammazzare a Verderio?”. Poi, lui e altri presenti diedero i documenti alle forze dell’ordine e se ne andarono.
Alle 5 del mattino successivo, Verderio fu invasac dei carabinieri, che presero 6 coscritti più il fisarmonicista Michele di Monza, che dormivano alla cascina Airolda, nella vecchia casa di Antonio Gariboldi. Si salvò solo il coscritto Carlo Galbusera, che riuscì a scappare saltando il muro della cascina. Ercole e Luigi Riva furono fermati nel loro prestino, mentre facevano il pane; Luigi Colombo mentre andava alla Messa delle ore 6; gli altri nelle loro abitazioni.
Carlo Spada, Arturo Villa e Cornelio Aldeghi furono rilasciati e poi ripresi due mesi dopo con Arnaldo Viganò, Napoleone Ponzoni e Carlo Viganò. Altre persone furono fermate e rilasciate.
Fortunatamente la denuncia a Bruno Gariboldi, per lesioni alla fronte del brigadiere, cadde subito. Il suo avvocato chiese immediatamente di verificare la ferita, e sotto il cerotto non c’era nemmeno un graffio. Gariboldi  avrebbe rischiato da 4 a 16 anni: ciò è un’ulteriore prova che tutto era preparato?
Il direttore del carcere continuava a ripetere: “Questo è il prezzo che deve pagare la Stalingrado della Brianza”. Lo ripeté anche le due volte che fece visita a Gariboldi a casa sua.
Il processo si celebrò alla Corte di Assise di Lecco. Gli 11 rimasti in carcere, essendo più di 10, furono condannati a 2 anni per associazione a delinquere. La deposizione del parroco, don Carlo Greppi, nonostante non fosse presente ai fatti, fu determinante per la condanna. La famiglia Gnecchi scrisse invece che erano tutte brave persone e, quando uscirono dal carcere, furono invitate alla villa per un rinfresco.
Questi i protagonisti:
Bruno GARIBOLDI,  classe 1924, mesi di carcere 16, perché considerato “capobanda “;
Antonio GARIBOLDI, classe 1930, mesi di carcere 14;
Carlo VIGANÒ, classe 1914, mesi di carcere 14;
Napoleone PONZONI, classe 1914, mesi di carcere 14;
Guido SALA, classe 1924, mesi di carcere 14;
Arnaldo VIGANÒ, classe 1929, mesi di carcere 14;
Giuseppe COLOMBO, classe 1930, mesi di carcere 14;
Maurilio VILLA, classe 1930, mesi di carcere 14;
Arturo VILLA, classe 1930, mesi di carcere 14;
Carlo SPADA, classe 1930, mesi di carcere 14;
Cornelio ALDEGHI, classe 1930, mesi di carcere 14;
Luigi COLOMBO, classe 1913, giorni di carcere 20;
Ercole RIVA, classe 1914, giorni di carcere 20;
Luigi RIVA, classe 1924, giorni di carcere 20;
Michele, fisarmonicista di Monza, giorni di carcere 3.
È inutile rimarcare lo sconcerto e il dolore delle persone ingiustamente coinvolte e dei loro famigliari, e i grossi problemi che dovettero affrontare, che si sovrapponevano a quelli già acuti del dopoguerra.
Se, come molti pensarono, si trattò di una manovra politica, lo scopo fu raggiunto nella primavera del 1951, quando alle elezioni comunali, in un paese sconvolto, la coalizione PCI-PSI fu sconfitta e vinse la lista democristiana.
Visto che l’obbiettivo era stato raggiunto, la domanda di grazia presentata dai condannati fu accolta: il 19 giugno 1951 furono liberati Giuseppe Colombo, Guido Sala, Maurilio Villa  e Antonio Gariboldi. Gli altri furono scarcerati in agosto. Tutti furono sottoposti a un periodo di 9 mesi di sorveglianza, durante il quale, ogni settimana, dovevano firmare un registro presso i carabinieri di Merate. Dopo tale periodo i coscritti del 1930 e Arnaldo Viganò, partirono per il servizio militare.
Chissà, se non fosse stato forzato con questo intervento violento il corso della storia, come sarebbe ora l’Amministrazione di Verderio Superiore. Questo è un triste evento sconosciuto ai giovani e ai nuovi arrivati, che a quasi quarant’anni e giusto ricordare  e far conoscere, per conservarne la memoria.
I fatti descritti sono certamente frutto di un determinato contesto storico, ma questa considerazione non cancella il dolore e le privazioni subite dagli arrestati e dalle loro famiglie"
.

 

Ed ora il brano scritto da Giulio Oggioni:
 

“Il fatto accadde l'8 aprile 1950, sabato Santo, quando avevo sette anni, ma mi ricordo vagamente solo il momento del loro fermo all'ingresso del paese.
Di quanto successe esistono versioni contrastanti e per questo ho voluto farmelo raccontare dall'amico Mario Colombo, pure lui coscritto del 1930, e coinvolto direttamente.
Era passata la mezzanotte da una decina di minuti, quando alcuni carabinieri fecero ingresso nell'osteria dei Riva, Prestinée, per contestare al proprietario il fatto che fosse ancora aperta al pubblico. In quei tempi la licenza prevedeva infatti la chiusura entro le ore 24 e quelle di Verderio, paese con amministrazione comunista erano, a torto, particolarmente sotto tiro delle forze dell'ordine che temevano disordini.
All'interno dell'osteria si trovavano tutti i coscritti del 1930, tranne due, Alberto Comi e Armando Villa che erano già tornati a casa insieme ad alcuni avventori. I coscritti rimasti fecero notare, all'inizio con molta calma, che se ne sarebbero subito andati. Lo stesso maro Colombo, con il fratello, disse ai carabinieri che non c'era il “coprifuoco” e non stavano facendo niente di male. I carabinieri chiesero di controllare le carte d'identità dei presenti trascrivendo a verbale nomi, cognomi e residenza. Ci fu un parapiglia con spintoni fra presenti e forze dell'ordine e questo forse suscitò la reazione di alcuni  che, non propriamente padroni di sé stessi, disarmarono del fucile un carabiniere e, addirittura,usciti all'aperto, scherzosamente e bravamente spararono alcuni colpi.
I carabinieri tornarono alla caserma di Merate, ma il giorno seguente, in forte numero e alle cinque del mattino, mentre la gente usciva di casa per recarsi in chiesa per la prima Messa di Pasqua, formarono un blocco stradale all'incrocio di via sant'Ambrogio e via Sernovella, per bloccare eventuali fughe e iniziarono ad arrestare tutti coloro che erano stati schedati la sera precedente. Alcuni coscritti furono prelevati presso la cascina Airolda dove avevano continuato la festa e dormito. Mario Colombo, con il fratello, fu salvato dall'arresto solo perché, quando furono chieste le carte d'identità la sera precedente, voltò le spalle ai carabinieri e fece finta di non aver sentito.
Tutto questo trambusto nel giorno di Pasqua fece accorrere la gente del paese, che assistette al carico di undici poveri coscritti e di alcuni cittadini in manette sul camion, per essere trasferiti al carcere di lecco.
Ci fu un processo che terminò con condanne diverse. Ai riconosciuti “capibanda” furono comminati dai sedici ai quattordici mesi di reclusione, mente ai gestori dell'osteria solo due giorni. Anche il fisarmonicista, Michele di Monza, restò in carcere tre giorni.
Dei reclusi si occupò il parroco, don Carlo Greppi e don Carlo Molteni, che lomsostiutiva l'anno dopo.
Si adoperò molto anche la famiglia Gnecchi, che testimoniò la buona condotta dei ragazzi, ma alla sentenza qualcuno in tribunale sussurrò: “Questo era il prezzo che doveva pagare la Stalingrado della Brianza” (7).

***


Tre operai carbonizzati. Il fermo del capo cantiere.
Una gru contro i fili ad alta tensione.
Milano, 2 giugno
Una paurosa sciagura ha gettato nel lutto le famiglie di tre operai, che lavoravano in un cantiere di Ospitaletto di Cormano: i tre miseri sono rimasti letteralmente carbonizzati da una scarica di corrente, sprigionatasi da una linea ad alta tensione.
La disgrazia è avvenuta ieri pomeriggio, nel cantiere di costruzioni edili della ditta Bassanini, poco prima che il alvoro avesse termine. Erano suonate le 16,30 quando una squadra di operai, adibiti alla costruzione di un nuovo capannone, si accingeva a sollevare un vasto recipiente di cemento, che doveva essere spostato da una gru. Gli operai lavoravano in un punto attraversato da grossi cavi della linea aerea di corrente elettrica ad oltre 20 mila volts, che alimenta tutte le industrie dei dintorni.
La linea è situata ad una quindicina di metri dal suolo: altezza, secondo i tecnici, insufficiente all'assoluta incolumità di quanti devono passare in quel punto, per eseguire le manovre indispensabili alle nuove installazioni in corso nel cantiere.
Il tragico incidente è stato infatti provocato dal movimento, forse incauto, della gru, usata per il trasporto del materiale.
Alla sommità della gru – alta più di 14 metri – era innestato un braccio di ferro lungo circa due metri, che teneva fissata una carrucola. Su di essa scorreva una fune metallica per lo spostamento dei materiali.
Ma oggi, durante il lavoro della squadra, si è verificata a un tratto una strana fatalità: un lieve sbilanciamento del carico appena ultimato ha fatto cadere una delle rotaie di legno sulla quale scorrevano i carrelli della gru. Col respiro mozzo dal terrore i tre operai cercavano immediatamente di aggrapparsi alla colonna della gru per controbilanciarne il pauroso ondeggiamento che minacciava di fare urtare il braccio di ferro della sommità contro i fili della corrente.
Purtroppo ogni sforzo riusciva vano: con una scarica assordante, una vampa azzurrognola guizzava lungo l'intelaiatura della gru ed investiva i tre operai, aggrappati alla colonna nel loro tentativo disperato.
Il bagliore e il fragore della scarica faceva accorrere altri operai del cantiere, ma ormai i tre uomini  non erano più che tre mucchietti informi di membra nere. Altri tre operai, che si trovavano a poca distanza dalle vittime, erano stati a loro volta investiti dalla scarica e scaraventati contro un muro, ma senza gravi conseguenze. Per loro estrema fortuna, si erano staccati dalla gru proprio in quel momento per andare a bere alla fontana.
Soltanto dopo un quarto d'ora, interrotta la corrente elettrica, si potevano rimuovere le povere salme carbonizzate per trasportarle su un vecchio autocarro al vicino cimitero di Ospitaletto. Qui sono state composte in una saletta mortuaria.
I tre morti sul lavoro sono Umberto Vicari di 43 anni, abitante a Milano in via Gratosoglio 79, - che lascia la moglie  e due figli – Giovanni Spagnoli da Montichiari, padre di 6 figli e Giuseppe Maggioni da Verderio Inferiore, di 34 anni, anche lui ammogliato e padre di un bimbo in tenera età.
L'autorità giudiziaria ha immediatamente ordinato un'inchiesta, che è ancora in corso: secondo le prime constatazioni dei periti eseguite oggi sul posto pare accertato che la causa del sinistro sia l'insufficienza delle più indispensabili precauzioni anti-infortunio.
Il capo cantiere, Gaetano Gaffuri, che si è allontanato subito dopo la sciagura, dovrà presentarsi all'autorità, che ne ha ordinato il fermo. Il Procuratore generale della Repubblica che dirige l'inchiesta, ha interrogato oggi anche il titolare dell'impresa Bassanini.


 Da “La Nuova Stampa”, giovedì 3 Giugno 1954

***


 

In questa sciagura perse la vita Gino Motta, 29 anni, di Verderio Superiore. Si tratta di un lungo articolo di cui trascrivo solo una parte.

TRAGEDIA ALL'AUTODROMO DI MONZA
L'auto di Von Trips piomba tra la folla uccidendo 11 spettatori e ferendone 20.

Da uno dei nostri inviati.
Monza, lunedì mattina

Ieri, mentre si svolgeva il “Gran Premio Automobilistico d'Italia”una spaventosa sciagura ha funestato la gara. Due macchine in cirsa sono entrate in collisione e sono finite contro la rete dietro cui si assiepava il pubblico. Uno dei due piloti, il campione tedesco Wolfang Von Trips, è rimasto sfracellato, uccisi sono rimasti 11 spettatori, una ventina sono i feriti, alcuni seriamente, al punto da far pensare che il bilancio della tragedia non sia ancora definitivamente concluso.
La sciagura è avvenuta alle 15,06, cioè a pochi minuti dalla partenza. Dopo il primo giro, le macchine di testa marciavano sul rettifilo  e si trovavano a circa 200 metri dalla curva sud. Il campione della “Ferrari”, Von Trips, era alla guida della corsa; alle sue spalle correva Maclaren della “Cooper”; in terza posizione Jim Clark della “Lotus”.
Il bolide di Maclaren pare abbia sfiorato la coda della “Ferrari” di Von Trips facendola sbandare, mentre stava allargando a sinistra disponendosi per la curva. La velocità delle macchine in quel momento era di circa 200 chilometri all'ora. Toccata da tergo la macchina del campione tedesco
non ha più obbedito al volante del pilota ha così tagliato la strada a Clark.
È stato un atroce, terrificante spettacolo. L'auto di Clark e quella di Von Trips, agganciate, hanno proseguito per un centinaio di metri e quindi sono finite ai bordi estremi della pista, dove si alza il terrapieno destinato al pubblico.
L'auto di Clark, infine, travolta la macchina di Trips, è andata a sfiorare rudemente la rete di protezione sul terrapieno. Anche l'auto di Trips si avventava contro la rete, radendo per un tartto di oltre 40 metri la siepe degli spettatori. Colpiti in pieno viso e sul petto tre spettatori sono stati uccisi all'istante dall'auto di Clark, cinque da quella di Von Trips, pochi metri lontano, Von Tripsrotolava sfracellato fuori dalla sua macchina in fiamme. Clark invece si è rialzato quasi indenne dalle macerie del suo bolide. Il corridore ha dato uno sguardo intorno, con un braccio si è coperto gli occhidavanti allo spettacolo atroce ed è fuggito di corsa verso il prato.
Mentre la gara continuava, venivano esposte ai boxes le bandiere bianche, segnale di pericolo in pista, e le bandiere con la croce rossa , per avvertire della presenza di autoambulanze sul percorso. La scena che si presentò agli occhi dei primi soccorritori fu tra le più orrende: oltre ai morti sotto l'urto delle due automobili da corsa, c'erano sul prato altre dozzine di feriti. Una “600” di Aosta, ferma sul terrapieno, con otto spettatori sulla capote, era stata travolta dalla marea della folla atterrita: la vettura si era rovesciata lungo la parete del terrapieno ed aveva causato così altre vittime tra la folla.
Il cadavere di Von Trips è stato portato subito nella camera mortuaria dell'ospedale di Monza.

A questo punto il cronista elenca i nomi delle vittime. Fra loro “Luigi Motta di 29 anni , da Verderio Superiore (Como)”.

Questa pagina sanguinosa della storia dell'automobilismo ha avuto aspetti paradossali. Quel settore del pubblico che era stato investito direttamente dalla sciagura si è diviso: in parte la folla si è precipitata a raccogliere i propri congiunti feriti o dilaniati, in parte ha cercato di abbandonare il circuito, ingorgando così le vie d'accesso. Negli altri settori, invece, non si è avuta la sensazione dell'accaduto, o almeno non si è compreso che la sciagura fosse stata così grave, e si è continuato ad assistere senza molta preoccupazione al carosello delle macchine sul percorso.
Nel tratto di pista vicino alla curva di Vedano (la curva sud), morti, feriti, accorrere di gente, sirene che annunciavano l'arrivo delle autolettighe, affannarsi di infermieri, corpi straziati caricati sulle barelle o trasportati via, in mezzo al frastuono, al pianto e ai lamenti. Altrove invece la consueta eccitazione della corsa, quasi senza il minimo turbamento […]..

Da “Stampa Sera”, Lunedì 11 – martedì 12 settembre 1961

 
Anche su questo fatto ho trovato alcune notizie interessanti nel libro di Giulio Oggioni, “Quand sérum bagaj “. Luigi Motta, conosciuto come Gino, era figlio del sacrestano Olimpio Motta.

 Ecco cosa scrive Giulio:


“Quel giorno, 10 settembre 1961, la macchina del pilota Von Trips al secondo giro, in prossimità della curva parabolica, venne agganciata dalla vettura  di Clark. Von Trips, che correva per la Ferrari ed era in testa alla classifica mondiale con quattro punti su Phil Hill, volò sul terrapieno investendo in pieno gli spettatori, uccidendone 14 e ferendone molti altri. Fra loro c'era anche Gino che morì sul colpo.
Toccò al padre suonare le campane a lutto, con la morte nel cuore e da quel giorno Olimpio invecchiò precocemente.
Gli rimasero le tre figlie, una delle quali, Franca, alcuni anni dopo partì missionaria per l'Africa. Prese nome di suor Gina in ricordo del fratello scomparso” (8).

***


Malato fugge dall'ospedale per gettarsi sotto il treno.
Como, sabato sera
(l.p.) Un ammalato è fuggito dall'ospedale per andare a buttarsi sotto il treno. Protagonista del tragico fatto, avvenuto ieri a Como, è stato P. O. di 59 anni da Verderio Superiore, ricoverato da un paio di settimane all'ospedale S. Anna perché sofferente di cuore.
Ieri poco dopo le 15 l'O. ha lasciato, per cause non ancora accertate, la corsia e, in pigiama, confondendosi fra i numerosi parenti degli ammalati ammessi a quell'ora alla visita ai degenti, è uscito dall'ospedale, ha attraversato di corsa sotto la pioggia la strada Napoleona e ha raggiunto una scarpata in fondo alla quale passa la linea ferroviaria Como-Milano. In quel momento transitava il “treno dei fiori” proveniente da Zurigo e diretto a Ventimiglia: il convoglio ha investito l'O. che si era posto fra i binari. Il poveretto è morto sul colpo.


 Da “Stampa Sera”, sabato 21 – domenica 22 marzo 1964

***


Incolumi cinque giovani travolti in auto dal treno.
Tornavano da una festa – La vettura ha sfondato le sbarre del passaggio a livello ed è rimasta sui binari – L'incidente sulla Bergamo-Seregno.

(Dal nostro corrispondente)
Bergamo, 1 gennaio
(u.g.) Cinque giovani sono piombati, all'alba, contro le sbarre abbassate di un passaggio a livello, le hanno abbattute, e si sono fermati sui binari. Proprio in quel momento sopraggiungeva un treno, che ha travolto la vettura e l'ha scaraventata in un fossato. Nessuno dei cinque giovani è rimasto ferito. L'incidente è avvenuto alle 4,40 sulla linea ferroviaria Bergamo-Seregno.
A.C., di 21 anni, di Verderio Inferiore (Como), percorreva la strada provinciale alla guida di una “Giulia” super, e recava a bordo due amici e due ragazze. Ritornavano da una festa ed erano diretti a Calusco d'Adda.
Quando il C. si è trovato a breve distanza dal passaggio a livello ha frenato, ma a causa dell'asfalto ghiacciato l'auto ha continuato la corsa, è piombata contro le sbarre e le ha abbattute. Prima che i cinque giovani potessero uscire dalla vettura, è sopraggiunto il treno passeggeri diretto da Bergamo a Carnate. La “Giulia è stata investita e scagliata in un fosso. L'auto ha riportato danni ingenti, ma i giovani se la sono cavata soltanto con un terribile spavento.
 
Da “La Stampa”, sabato 2 gennaio 1971

***

Gli ultimi due articoli riguardano un gravissimo fatto di sangue avvenuto a Verderio Superiore nel 1972. Un fatto relativamente recente, per cui ho preferito, come per la verità ho fatto anche in precedenza, non indicare per esteso i nomi dei protagonisti, sostituendoli con le iniziali.
Anche questo avvenimento, con maggiori dettagli, è raccontato da Giulio Oggioni nel libro “Quand sérum bagaj”, alle pagine 158 e 163.



Lascia il marito nudo in cortile. Morto di freddo – La donna arrestata per omicidio preterintenzionale
[nostro servizio]
Lecco, venerdì sera.
Un uomo che l'altra sera era stato percosso dalla moglie perché ubriaco ha passato la notte nudo nel cortile di casa e al mattino è stato trovato morto. È un meccanico di Verderio Superiore, A. M., di 41 anni, padre di due figlie di 14 e 9 anni. Il M. era rincasato alle 22,30 completamente ubriaco. La moglie T.S., di 37 anni, ha cominciato a inveire contro di lui e, spingendolo fuori di casa, gli ha ordinato di lavarsi e cambiarsi prima di rientrare. L'uomo ha reagito ed è scoppiata una violenta lite durata più di un'ora. Alla scenata ha assistito la figlia maggiore, I..
Secondo quanto ha raccontato la ragazza ai carabinieri, il padre è stato picchiato dalla moglie  anche dopo che si era del tutto spogliato nel cortile. La donna a un certo punto, è tornata in casa dopo aver detto al marito di rientrare soltanto “quando fosse stato in condizioni decenti”. A. M., coperto di lividi e graffi, si è rincantucciato in un angolo del cortile, dove il mattino dopo è stato trovato morto.
T. S. ha detto ai carabinieri che appena alzata è andata nel cortile non avendo trovato il marito nel letto; “L'ho visto immobile in un angolo – ha detto e mi sono resa conto che era morto; allora mi sono fatta aiutare dalla mia figlia maggiore per portarlo in casa”. La donna ha aggiunto che da molti anni era vittima di insopportabili angherie, per cui nutriva odio per il marito.
Il fatto è stato scoperto dai carabinieri dopo che il messo comunale, avvisato dai vicini che avevano udito ieri sera le grida del meccanico, era stato avvisato che poteva essere successo qualcosa. T. S. è stata arrestata e chiusa in carcere con l'imputazione di omicidio preterintenzionale. Il procuratore della repubblica ha ordinato l'autopsia che sarà fatta domani (Ansa)


Da “Stampa Sera, Venerdì24 – Sabato 25 Marzo 1972



Arrestate moglie e figlia del morto in cortile -  Le donne, 37 e 14 anni, l'avrebbero ucciso in una lite.
(Dal nostro corrispondente)
Lecco, 25 marzo
(g.p.g.) Il procuratore della Repubblica di Lecco, dottor Arcangelo Miceli, in merito alla morte di A. M., l'uomo di 41 anni di Verderio Superiore morto per strangolamento causato dalla moglie e dalla figlia quattordicenne I., durante la brutale lite di mercoledì sera nel cortile dell'abitazione, ha terminato oggi di vagliare tutti gli atti e le prove raccolti dai carabinieri: in conclusione ha emesso mandato di cattura nei confronti delle due donne.
La moglie della vittima T. S., di 37 anni, si trova già in carcere a Lecco da giovedì mattina, rea confessa delle violenze, anche se non fino al punto da ammettere che sono state esse a provocare la morte del marito. Sostiene, infatti, che il decesso è stato causato da assideramento, perché il marito era nudo in quanto stava cercando di fare un bagno perché era rientrato ubriaco. La figlia I., invece,  si trovava ancora in libertà presso la nonna materna: è stata quindi arrestata e condotta nel carcere minorile di Milano. Per entrambe, l'imputazione è di omicidio volontario.
Il provvedimento  a carico di una ragazza così giovane ha suscitato viva impressione nella zona, anche se erano ormai noti da tempo gli interventi della ragazza in appoggio alla madre nel picchiare il padre, ridotto a un relitto umano per alcoolismo cronico.
Il provvedimento del procuratore della Repubblica è dovuto al fatto che l'autopsia effettuata ieri presso l'obitorio di Verderio  dal professore Pierucci sul cadavere del M., aveva chiarito le cause della morte: si era trattato di decesso per strangolamento e non per assideramento, come si era creduto in un primo tempo.

Da "La Stampa", 26 marzo 1972


NOTE
 

(1) Se in questi giorni si clicca su questo link si trova questo annuncio:
"Il servizio sarà nuovamente disponibile a partire dal 15 febbraio 2021.
Ci scusiamo per il disagio. Eventuali richieste, limitate a motivi di studio o ricerca, e che siano da evadere in modo inderogabile entro il 15 febbraio 2021, potranno essere inviate alla casella di posta: cultura@regione.piemonte.it circoscrivendo gli ambiti di ricerca, ovvero fornendo elementi precisi, utili all'individuazione delle pagine di interesse, quali: nomi, parole chiave, articoli, date. Si avvisa che nel periodo tra il 20 e il 30 gennaio i tempi di recupero dei materiali potranno subire dei rallentamenti a causa delle attività di manutenzione in corso, necessarie per rispettare la data in cui il servizio sarà nuovamente disponibile per tutti gli utenti".
 

(2) Trascritto dal libro Imbersago. Il fiume, le torri, le chiese, le ville nella storia di Imbersago, Missaglia, 2002 , p.236.
 

(3)  Don Luigi Galbiati, Liber Chronicus, cronaca di Verderio Superiore dal 1897 al 1913,Archivio parrocchiale San Giuseppe e Floriano.
 

(4) L'intera storia di questo fatto si trova in questo blog cliccando su: https://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2014/03/26-marzo-2013-duplice-omicidio-verderio.html
 

(5) Sinderesi in vocabolario Zingarelli: 1- Nella filosofia medievale, facoltà per cui è possibile distinguere il bene dal male. 2 - Coscienza di sé, capacità di connettere.
 

(6) Si riferisce alle elezioni che, nello stesso anno, il 2 giugno, si sarebbero tenute per  eleggere l'Assemblea Costiuente. Nello stesso giorno gli elettori vennero chiamati, attraverso un referendum, a scegliere fra Repubblica e Monarchia. Quell'anno, sia alle elezioni amministrative che in quelle per Assenblea Costituente e Referendum, il suffragio fu universale e aperto anche alle donne.
 

(7) Giulio Oggioni, “Quand sérum bagai”, casa editrice Marna, pp.194 e 209.
 

(8) ivi, p 177

Marco Bartesaghi


 

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