giovedì 3 novembre 2022

UN CONVIVIO PER CHI AMA L'ARCHITETTURA prefazione di Giancarlo Consonni a "Storie di architettura" di Francesco Gnecchi Ruscone

Con le autorizzazioni dell'editore, Francesco Brioschi, e dell'autore, Giancarlo Consonni, che ringrazio, vi presento la prefazione al libro "Storie di architettura"  che, nel 2014, l'architetto Francesco Gnecchi Ruscone  ha scritto, in forma di conversazione, con Adine Gavazzi.



UN CONVIVIO PER CHI AMA L'ARCHITETTURA

di Giancarlo Consonni

Introduzione a Francesco Gnecchi Ruscone, Storie di architettura, 2014

Storie di architettura è un libro inusuale e per certi versi controcorrente. Lo percorre una felicità aurorale, mattutina, che è tutt’uno con un modo di disporsi nel mondo. A cominciare dal fare bene il proprio mestiere, cogliendo ogni occasione per portare a miglior espressione le potenzialità ricevute in dono. E, se in fatto di architettura Francesco Gnecchi Ruscone ha dimostrato tutto il suo valore di progettista, allo stesso tempo ha saputo muoversi su un orizzonte assai ampio dando forma e sostanza, con determinazione e fiuto sicuro, al progetto di una vita. Un modo di essere della ευδαιμονία (eudaimonìa). Non a caso la parola compare a un certo punto in queste conversazioni, a suggello di ciò che il libro lascia prima intravedere e alla fine esplicita a tutto tondo. 

Il racconto ha un procedere rapsodico, ben sollecitato in forma conviviale da Adine Gavazzi, che qui combina le sue capacità di ricercatrice con quelle di maieuta. Di formazione architetto, la curatrice del volume ha alle spalle un percorso che l’ha portata a studiare in chiave antropologica le civiltà precolombiane con risultati di grande rilievo. Una passione per l’avventura intellettuale e umana che può spiegare come questa singolare figura di architetto antropologo sia stata attratta dalle esperienze e dagli incontri di cui è costellata la vita del suo interlocutore. 

Essere architetti è certamente un privilegio. Abbiamo completato cicli di studi appassionanti su temi che hanno a che vedere con la bellezza e godiamo del lusso di offrire i nostri servizi a gente che ce li richiede in un momento felice di speranza [...]. 

Questo passaggio, come diversi altri di Storie di architettura, rivela come tra Adine e Francesco si sia stabilito un patto tacito. Il loro conversare sulla terrazza di Largo Richini 4 a Milano non si è svolto solo di fronte a un capolavoro – l’Ospedale Maggiore di Filarete – ma idealmente anche al cospetto di due ampie compagini: quella degli appassionati di architettura e quella di coloro che si avvicinano all’architettura da neofiti. Rendendo palpabile il pubblico a cui si rivolge, il libro rivela così il suo intento. Non è solo una testimonianza sul lavoro sapiente e appassionato di un progettista di vaglia che ha operato per oltre mezzo secolo: è un tentativo di dar vita a un convivio, a uno spazio ideale nel quale ragionare insieme - soprattutto con i (potenziali) lettori più giovani - sulle buone pratiche. Un modo per chiamare a convegno chi è interessato al concreto operare per il bene comune, in particolare a rendere l’ambiente fisico abitabile, bello e fecondo per gli individui e la società. 

Francesco Gnecchi Ruscone ha sempre diffidato delle costruzioni teoriche poste aprioristicamente a guidare il fare. È cresciuto nutrendosi dell’esperienza diretta, cercando di trarre insegnamenti dai risultati, quelli conseguiti dai migliori architetti come quelli pazientemente conquistati in prima persona. Questa disponibilità a imparare in lui è tutt’uno con una spiccata propensione didattica. Ne ho avuto conferma quando da studente, nel 1964-65, ebbi modo di vederlo all’opera tra gli assistenti di Ernesto Nathan Rogers, nel corso di Elementi di composizione al Politecnico di Milano. 

Eppure, lui che di energie a insegnare ne ha spese, a conti fatti è stato un antiaccademico. Evidentemente non gli si confaceva l’aria di chiuso delle conventicole, le schiere adoranti e i tristi rituali delle accademie: quelle spiagge desolate in cui si arenano le migliori intenzioni, quando la fame di consenso prevale sul prendere rischi in campo aperto. E Francesco Gnecchi Ruscone di rischi ne ha presi, per curiosità e tensione etica; e anche per il gusto di mettersi continuamente alla prova nel perseguire «virtute e canoscenza» (in chiara continuità con il suo impegno nella Resistenza). Il suo tenersi alla larga dalle liturgie accademiche, non ha impedito che, anche lontano dall’università, egli continuasse a mettere a disposizione a chiunque fosse interessato le competenze accumulate nel suo lavoro in patria e in giro per il mondo. È questa stessa disponibilità del resto che lo ha portato a fornire un contributo prezioso nella difficile fase costitutiva della Scuola di Architettura di Algeri.

Francesco Gnecchi Ruscone e Adine Gavazzi presentano il libro a Verderio (27/2/2015)

Fare di un libro un ideale convivio passa inevitabilmente anche attraverso la ricerca di una sintonia. Sintomatico il modo in cui il lettore viene messo a contatto con l’emozione provata dal protagonista nell’intraprendere la sua prima esperienza progettuale: quell’esercizio di immaginazione, condiviso con il committente, che assume i caratteri di un sogno ad occhi aperti, a cui anche chi legge è invitato a partecipare. Ma l’emozione non si spegne: si rinnova nella restituzione di ogni momento importante: di pagina in pagina è tenuta viva come una fiammella. 

E non si tratta solo di un artificio retorico. Episodi, incontri, traiettorie, intersezioni, successi e fallimenti, scontri e sinergie possono essere riproposti in modo coinvolgente perché sono stati vissuti dal protagonista a tutto campo: hanno una portata culturale e umana, oltre che professionale. Così condividiamo i timori e l’ebbrezza per lo schiudersi di una prospettiva, per una sfida che sollecita a mobilitare tutte le energie di cui si dispone e a rinvenirne di nuove nel compiersi della prova. Il senso di felicità che da tutto questo traspare è tutt’altro che a buon mercato: ha il suo contrappeso nelle difficoltà che, in imprese piccole e grandi, si sono dovute superare e persino nello sgomento provato di fonte a prove di grande portata, come quella che ha visto il protagonista lavorare a fianco di Adriano Olivetti nella ricerca di un habitat civile per gli abitanti dei Sassi di Matera

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Così Storie di architettura, oltre a disegnare nei tratti essenziali la biografia operosa di un architetto, restituisce la linfa che ha sostenuto e percorso il suo operare. Un qualcosa che attiene al sentimento intimo del soggetto narrante e che, allo stesso tempo, poggia sulla consapevolezza che l’opera è più importante dell’autore e che le opere di un architetto sono tanto più feconde quanto più sono il frutto di un ascolto attento della vita. Il portato delle realizzazioni – ci lascia intendere il volume in ogni suo passaggio – è duplice: da un lato l’apporto che può venire alla vita dei pochi o dei molti che con quelle realizzazioni avranno a che fare; dall’altro l’insegnamento che l’autore, ma anche chiunque si cimenti col fare architettura, riesce a trarne, così da accrescere la propria capacità di far fronte a nove sfide. 
L’eloquio appassionato dell’io narrante non è mai disgiunto da misura. La grande nobiltà d’animo che traspare nel dire di sé consente al lettore di trarre autonomamente bilanci e insegnamenti. È un’ulteriore prova della tensione etica che sta sotto alla vita e all’opera di Francesco Gnecchi Ruscone. Corre poi un filo sottile fra la parola e l’apparato iconografico, chiamato a offrire a chi legge punti di riferimento essenziali; o, se si vuole, le coordinate per un percorso conoscitivo a più diretto contatto con le opere realizzate e con i progetti (di cui il Casva di Milano conserva meritoriamente la documentazione). Su questo fronte quello che il lettore ha sottomano non è che l’invito ad andare più a fondo: a toccare con mano, in piena autonomia e libertà. 
Ma c’è anche una dimensione del volume che va oltre la vicenda del protagonista. Per la capacità di collocare le esperienze nel contesto storico-geografico in cui hanno avuto luogo, il libro, come suggerisce il titolo, ha anche un portato storiografico. In tratti, rapidi quanto penetranti, fornisce elementi preziosi per la messa a fuoco di vicende importanti della storia dell’architettura, come anche della società italiana del secondo novecento. Faccio un solo esempio. Le pagine dedicate al Ciam di Bergamo dell’estate 
del 1949 sono molto più rivelatrici, e utili per un bilancio, di quanto si potrà mai desumere dai resoconti ufficiali. 
Storie di architettura merita infine di essere letto da chi sia interessato alla ricostruzione di contesti culturali e di figure rilevanti per la storia dell’architettura. Chi voglia cimentarsi sulla cultura professionale del secondo dopoguerra a Milano, può trovare qui sonde – e alla fine anche una visione d’assieme – assai utili per cogliere una temperie e i fermenti che percorrevano quel mondo. Francesco Gnecchi Ruscone conosce anche l’arte del ritratto attraverso le parole. Così si trovano disseminati per il libro schizzi sintetici e nitidi che dicono delle persone quello che spesso sfugge a voluminose monografie: tratti che si imprimono nella memoria con la forza dei narratori di vaglia. 

Giancarlo Consonni  

                             
Giancarlo Consonni è stato docente di disegno urbano al Politecnico di Milano. Nato a Merate il 14 gennaio 1943, ha vissuto a Verderio Inferiore fino al 1967. Oltreché urbanista, Giancarlo è poeta, pittore e fotografo.

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