Da un punto di vista strutturale l’arco sostituisce la cosiddetta “architrave” (elemento con andamento “rettilineo") dove questa non permette di realizzare luci elevate fra gli appoggi situati alle estremità di una struttura: sia quando – appunto- si vuole realizzare tale struttura di collegamento con materiali costruttivi (quali mattoni e pietre naturali, ad esempio) che per loro natura non possono resistere a forze di “trazione” e di “flessione” se realizzati con forme rettilinee, sia quando si deve sopperire all’utilizzo dei materiali da costruzione “primigeni” (quale il legno per esempio) che possiedono sì una certa resistenza a trazione ma che per come si trovano in natura (con alberi di forma rettilinea e di limitata lunghezza ) non permettono di realizzare strutture di grandi luci, come per il tipico caso di un ponte che permetta di unire le sponde opposte di un fiume. E, infine, quando i carichi da sopportare diventano elevati, e quindi tali da mettere in crisi, anche per luci piccole, le architravi rettilinee realizzate con materiali comunque poco resistenti .
Come tante altre scoperte e invenzioni dell’Uomo, anche l’arco è stato quindi scoperto, o meglio inventato spinti probabilmente da un specifica necessità.
Volendo approfondire un poco l’aspetto statico, l’arco (anche nelle sue forme “ibride“ di contrafforte e arco rampante) permette anche di trasferire i carichi sopportati ai punti di appoggio terminali sotto forma di forze “verticali” (dette anche “assiali”) piuttosto che di “taglio” o a flessione. Questo tipo di carico verticale è molto più facilmente sopportabile(rispetto agli altri tipi di carico indicati) dai materiali “poveri” da costruzione quali le pietre naturali, i mattoni e il legno che sono stati per lungo tempo i materiali che costituivano i pilastri sui quali l’arco appoggia.
Il corretto funzionamento statico dell’arco è legato quindi al contatto diretto tra i vari “conci” che lo compongono, che trasferiscono per “attrito” lo sforzo derivante dai carichi che devono sopportare ai conci vicini, fino all’elemento strutturale verticale (il “pilastro”) che a sua volta lo trasferisce poi al terreno attraverso le opportune “fondazioni”.
Per essere certi che il contatto fra i vari conci ci sia e non venga meno (con il conseguente drammatico crollo dell’intero arco), la “chiave” dell’arco ha solitamente una forma conica ed è più grande dei singoli conci, in modo che può essere “forzata” alla chiusura dell’arco, la cui costruzione si realizza con due semiarchi (sostenuti provvisoriamente da ”centine” di supporto) partendo ognuno dai pilastri di estremità fin verso il centro, appunto verso la “chiave di volta” dell’arco stesso .
Nomenclatura dell'arco: (1) chiave di volta; (2) cuneo; (3) estradosso; (4) piedritto; (5) intradosso; (6) freccia; (7) corda o interasse; (8) rinfianco.
Solo di sfuggita, ricordiamo che l’evoluzione “tridimensionale” dell’arco è la base della costruzione delle “cupole” e delle “volte”, che in pratica non sono che tanti archi diretti in tutte e tre le dimensioni spaziali.
Con la scoperta (o l’invenzione) di materiali da costruzione ancora più resistenti e duraturi del legno e delle pietre naturali - -materiali come l’acciaio, il “calcestruzzo armato” (“c.a.”) il “c.a. precompresso” e anche il legno “lamellare”- ., nel tempo si sono potuti superare i limiti dimensioni delle architravi rettilinee prima realizzate con i materiali da costruzione più “poveri”. Ma l’arco è rimasto sempre un elemento architettonico e strutturale comunque importante, e ha anzi sfruttato i nuovi materiali più resistenti per raggiungere luci ancora maggiori e forme architettoniche sempre più ardite.
Guardandoci intorno troveremo facilmente diversi e diffusi usi e tipi dell’arco strutturale, ma sicuramente quella che è più appariscente è quella dell’arco che realizza le campate dei vari ponti.
Ponte ferroviario tra Cisano Bergamasco e Pontida |
E senza andare troppo lontano, diversi ponti ferroviari , stradali e di servizio attraversano l’Adda tra Lecco e Trezzo sull’Adda , anche con caratteristiche costruttive e strutturali molto differenti tra loro.
Robbiate |
Il Azzone Visconti di Lecco (ponte Vecchio), il Ponte in ferro di Paderno e il Ponte stradale (non dell’Autostrada) di Trezzo sono 3 ponti che rappresentano ciascuno una diversa e classica tipologia costruttiva dell’arco strutturale.
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Il Ponte Vecchio di Lecco è realizzato in pietrame (costruito nel 1300), ha dimensioni massicce e campate di luce piuttosto limitata, soprattutto per i carichi importanti, tra cui la corrente dell’Adda che esce dal lago, che deve sopportare.
Ponte Azzone Visconti, o ponte Vecchio, di Lecco. Foto tratta da "Il lago di Lecco", Aloisio Bonfanti (a cura di) |
Questo ponte ha una particolare caratteristica architettonica/strutturale: le 11 arcate (campate) da cui oggi è composto sono tutte di ampiezza diversa…
Il ponte Azzone Visconti in un rilievo del 1962 |
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Nel celebre Ponte di Ferro di Paderno d’Adda, progettato da un ingegnere collega di Eiffel (della famosa Torre parigina) e realizzato a fine del 1800, la struttura dell’arco è realizzata con elementi in ferro. In questo caso l’arco è caricato non da un carico “uniformemente distribuito” lungo la sua arcata ma da 8 carichi “concentrati” portati da dei pilastri secondari che, al loro volta, sorreggono la sovrastante ferrovia e strada carrabile.
Ponte di Paderno d'Adda |
Progetto originale del Ponte di Paderno d'Adda (tratto da: Il viadotto di Paderno sull'Adda 1889 - 1999) |
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Il ponte stradale di Trezzo è realizzato con struttura in “calcestruzzo armato precompresso”, che gli ha permesso di raggiungere una forma molto più sinuosa e quasi rettilinea, quindi con un arco molto “ribassato” (cioè poco accentuato), anche su una luce di campata molto lunga.
Ponte "stradale" di Trezzo d'Adda |
Ponte di Brivio |
Qui lo schema strutturale generale è piuttosto complesso, ma la funzione dell’arco è sempre quella di riportare i carichi della struttura sui piedritti (piloni immersi nel fiume) nella maniera più “verticale” possibile.
Ezio Colnaghi
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