Un' “aia”, secondo il dizionario Zingarelli, è “un'area di terreno sodo o pavimentato, contigua ai fabbricati rurali, destinata ad accogliere i prodotti da essicare, trebbiare, cernere, …”.
Quella fatta costruire dal conte Luigi Confalonieri Strattmann a Verderio, nel 1857, e progettata dall'architetto Besia, è un quadrato di lastre di granito, rialzato di un paio di metri rispetto al terreno. Le piastre poggiano infatti su pilastri di mattoni pieni, poggianti a loro volta su muri in pietra.
Le lastre di granito di Montorfano dell'Aia di Verderio |
Il sotterraneo, è sottoposto al passaggio dell'aria, poiché è aperto verso l'esterno per tutta la lunghezza di tre dei suoi lati. La circolazione dell'aria aveva il compito di contribuire, con i raggi del sole, all'essicazione delle granaglie esposte sul piano di granito, accorciando i tempi e aumentando così l'efficienza dell'impianto rispetto alle aie tradizionali poste a livello del terreno.
Pilastri di mattoni, su muri di sasso, su cui poggia l'aia |
La scala di accesso al sotterraneo dell'aia, di recente costruzione, e le aperture originali |
Adiacente al lato nord dell'aia, un elegante edificio a portico fungeva da luogo passaggio per le messi da esporre al sole.
Tutta l'area era cinta da un muro, aperto, in un angolo del lato est, da un cancello.
Nel 1888 l'aia, insieme alla gran parte della proprietà Confalonieri in territorio di Verderio, fu acquistata dalla famiglia Gnecchi Ruscone. Con la nuova proprietà continuò per decenni a svolgere il suo compito al servizio dell'agricoltura, per poi essere trasformata in abitazione ed infine abbandonata..
Nel 1980 è stata venduta alla famiglia Sala di Monza.
Nel 1996, grazie a (“o per colpa di”: ci sono due scuole di pensiero) una segnalazione all'Ufficio Beni Ambientali, fatta da Sinistra per Verderio, gruppo di minoranza nel Consiglio Comunale di Verderio Superiore, l'edificio è stato sottoposto a vincolo insieme al resto del territorio comunale.
Acquistata, nei primi anni del nuovo secolo, dalla ditta COVERD dei signori Angelo Verderio e Ornella Carravieri, dopo importanti e attenti lavori di restauro è tornata a nuova vita.
Sul sito di COVERD ( http://www.coverd.it/index.php ), cliccando prima su "pubblicazioni", e poi sulla voce "Aia: la storia", trovate un libretto in PDF intitolato: "Aia. L'antico e il nuovo in bioedilizia", sulla storia passata e recente dell'aia.
Angelo Verderio |
Quello che segue è invece il frutto di una lunga chiacchierata con Angelo Verderio, fondatore di COVERD e artefice, insieme al resto della sua famiglia, della rinascita dello storico edificio.
Lo incontro in uno degli uffici del nuovo fabbricato, quello che ha sostituito il muro di cinta del lato ovest, e per prima cosa gli chiedo cosa lo abbia spinto a comprare l'aia e a investirci tante energie.
Angelo Verderio (A)- Avevamo bisogno di più spazio per gli uffici, perché ormai eravamo in tanti, 12, e la palazzina all’interno del capannone non era più sufficiente. D’altronde non potevamo più ampliarci perché in precedenza avevamo occupato tutto lo spazio disponibile.
Marco (M) – Di che anno si parla?
A – 2004. Il secondo motivo è che ormai prevalevano, nel lavoro della ditta, le consulenze e le realizzazioni ad alto livello e l’ambiente non era più adatto ad accogliere le persone che dovevamo ricevere.
M – Avete puntato subito sull’aia?
A – No, in un primo tempo abbiamo cercato un capannone più grande, con annessi degli uffici, ma quelli che si trovavano erano tutti fuori Verderio e le mie donne, mia moglie e mia figlia, non volevano uscire dal paese.
Dal tecnico comunale ho poi casualmente saputo che l'aia era in vendita.
M – Un colpo di fulmine …
A – Sì e no, perché 10 anni prima, nel 1993 avevamo già pensato di comprarla per farci la casa, ma ci era stata rifiutata perché il proprietario, il signor Sala, aveva altri progetti.
L'aia fotografata nel 1993 |
M – Quindi la conoscevate già …
A - Non avevamo mai visto l'interno: ci aveva affascinato vista da fuori. La prima volta che sono entrato, insieme al Sala, qui dentro c'era la foresta. Ho guardato mia moglie e mia figlia: a loro piaceva e allora gli ho detto “Senta, a me interessa: mi dica una cifra e io finché non concludiamo di qui non esco”. Ha fissato una cifra, ci siamo stretti la mano e via. Più una cosa istintiva che di riflessione. Si è fatto tutto in due giorni: martedì l'ho chiamato, giovedì mi ha fatto entrare e si è concluso.
M – Come mai alla fine si era deciso a vendere?
A – Per motivi suoi, personali, famigliari. Mi diceva che si potevano ricavare 250 mq di uffici, fra sopra e sotto …
M- Sotto …?
A - Sotto il cortile dove c'è il museo … che si poteva aprire la cinta e venir fuori con la macchina e costruire delle villette a schiera, sul lato ovest;.. Mi aveva fatto vedere anche dei disegni fatti bene.
M – Era proprio così?
A – Non direi. Quando ho telefonato in soprintendenza, l'architetto De Stefani mi ha detto “Lì non si tocca niente. Comunque faccia un progetto e poi ce lo faccia vedere”. Gli ho risposto che, prima di fare un progetto, volevo parlare con lui per avere delle linee guida e che, in caso contrario, con o senza di lui, qualcosa avrei fatto perché mi piaceva, punto e basta.
M – Un po’ di tensione?
A – Sì, ma dopo che ci siamo chiariti gli obiettivi da perseguire tutto è cambiato. Una volta che si è convinto che non avevo intenzione di fare speculazioni, mi ha fissato dei limiti e poi tutto è andato benissimo..
Il problema che rimaneva era quello delle distanze minime dalla cascina qui di fianco. La mia fortuna
è stata che, quando sono venuto a vedere l’aia con De Stefani, dalla cascina è uscito Cornelio Cassago, il vecchio proprietario, che conoscevo perché macellava i maiali e preparava gli insaccati e qualche volta lo aveva fatto anche per me. Mi ha detto “Ah, te se te 'l prupretari? So’ cuntent insce vegnen mia chi …”, insomma altri che a lui non andavano. Così gli ho detto che avevo un problema di distanze dalla sua casa. “Che prublema l'è? Te me dumandet...Preocupes mia, parli cui mè fiou …”. Mantenne la parola e tutto fu più semplice.
M - Vi siete capiti insomma...
A – Sì. Lui, uomo di parola, mi ha detto “preocupes mia” e così è stato nel convincere i figli all'operazione, concordando con loro il tracciato e le opere necessarie.
Con Cornelio ho risolto anche il problema delle macerie che c'erano sotto l'aia, 800 metri cubi di materiale. Io dovevo smaltirle, a lui servivano come riempimento per le due case che dovevano costruire i figli. È andata bene a tutti.
M - Quando si è accorto dell'importanza storica dell'edificio che ha comprato?
A - Quasi subito, anche se all'inizio ha prevalso l'istinto di risolvere il problema di spazio della ditta.
Ho cominciato a rendermi conto quando sono andato nel sotterraneo, anche se con tutte quelle macerie si capiva poco, e quando ho visto i graffiti della facciata. Man mano che si andava avanti nella pulizia ci si rendeva conto dell'importanza: ci sono dettagli tecnici da cui oggi ci sarebbe molto da imparare.
Il caso ha voluto che abbiamo fatto la sede della nostra ditta, che si dedica alla bioedilizia, in un edificio storico modello di bioedilizia, perché questo è un essicatoio solare, un monumento che ha 150 anni. All'inizio eravamo presi più dalla soluzione del problema uffici che dall'edificio, invece poi ci siamo impegnati a fare in modo che venisse fuori bene, perché piace a noi come famiglia.
M – Parliamo del restauro. Cosa vi ha “concesso” la soprintendenza?
A – Eravamo in contatto diretto con l'architetto De Stefani. Ci ha chiesto che l'altezza della nuova ala fosse più bassa rispetto a quella dell'edificio originale
L'edificio originale e la nuova ala, in un disegno dell'arch. Bruna Galbusera e in una foto recente |
e che l'entrata assumesse un aspetto meno importante rispetto all'aia.
Disegno dell'entrata degli uffici COVERD |
De Stefani chiedeva anche che il corpo nuovo fosse in stile moderno, squadrato, per staccare meglio rispetto all'antico. A me e a mia moglie però questo stile moderno non piaceva, così il nostro progettista, l'architetto Bruna Galbusera, ha presentato un disegno con le finestre ad arco, stile “orangerie”, che alla fine è stato accettato. Sono state invece eliminate le passerelle che avrebbero permesso il passaggio diretto dalle porte finestra dell'edificio nuovo all'aia.
L'ala nuova in stile "orangerie" |
La soprintendenza ha chiesto anche che il tunnel di passaggio dal nuovo al vecchio non desse fastidio, che fosse il più leggero possibile, magari in vetro.
Il tunnel di passaggio fra il vecchio e il nuovo edificio |
Inoltre abbiamo ottenuto di fare due scale d'accesso al sotterraneo, che sono servite durante i lavori, ma che soprattutto ora sono essenziali per permettere ai visitatori di accedere al sotterraneo.
M – Prima come ci si entrava?
A - Saltando dentro: non c'era nessuna entrata, perché lì sotto non era prevista alcuna attività, doveva solo scorrere aria.
M – Posso scrivere che i rapporti con la soprintendenza sono stati buoni?
A – Eccezionali ...
M – Hanno apprezzato il risultato finale?
A - Sì, tanto è vero che mi hanno fatto avere un contributo, nonostante io non avessi fatto alcuna richiesta, perché non sapevo di poterla fare. Hanno posto come condizione, e c'è un atto notarile che lo attesta, che l'aia sia aperta alle visite almeno una volta al mese per 10 anni. Sono già venute molte associazioni, scolaresche, gruppi di pensionati, oltre ai partecipanti ai convegni organizzati da COVERD (circa 4000 persone).
Mi stupisco del fatto che il Comune di Verderio non approfitti culturalmente di più dell'opportunità di avere un edificio come questo, che comprende anche un museo della vita contadina (sul sito del comune, ad esempio, non se ne fa alcun cenno).
M - Avete ospitato anche degli spettacoli, vero?
A – Sì: un concerto di “firlinfeu”, in occasione del 150° anniversario della nascita del gruppo che suonava, e uno di musica classica.
Il primo, promosso in collaborazione con il gruppo pensionati, è stato un mio regalo a Giulio Oggioni, che aveva fatto tante cose per me, sempre “gratis”. Sapevo che aveva questo desiderio e l'ho accontentato.
Il concerto di musica classica invece rientrava nelle iniziative del Festival di Bellagio, noi abbiamo messo solo a disposizione lo spazio.
In tutte e due le occasioni ho avuto modo di ammirare l'impegno dei volontari della protezione civile.
Mi piacerebbe che l'aia accogliesse altri eventi del genere e sto cercando di trovare i contatti perché ciò avvenga periodicamente. Vorrei contribuire a risvegliare l'attenzione verso la cultura, che i cittadini di Verderio hanno già dimostrato di apprezzare.
M – Mi parli un po' dei lavori.
A - Il progetto era stato affidato all'architetto Bruna Galbusera, a cui avevamo dato l'incarico di “tirar fuori” i volumi che rispondessero all'esigenza nostra di ricavare più spazio possibile, però con l'impegno di salvaguardare anche l'aspetto estetico dello stabile.
Per il restauro non ci siamo rivolti a un'impresa vera e propria, ma ad alcuni esperti artigiani che anni prima avevano costruito la nostra casa.
La nostra ditta si occupa di edilizia, e quindi noi stessi abbiamo seguito i lavori.
Il gruppo artigiani. Fra loro Gigliola, in piedi, e Beatrice, le decoratrici |
M – Quando e come avete iniziato?
A – Nel novembre del 2004 abbiamo iniziato i lavori di messa in sicurezza: liberato dalle macerie il sotterraneo, disboscato il cortile e sistemato le tegole del muro di cinta.
M – Il piano di granito del cortile ha avuto bisogno di interventi?
A - No,No. E nemmeno i pilastri di mattoni: la legatura del cotto era meglio del cemento armato. Quando erano stati costruiti non si usava il cemento, che non c'era, bensì la calce, che ha la proprietà di diventare dura con il passare tempo, perché è soggetta al fenomeno della carbonatazione.
Particolare dell'aia |
La nostra fortuna è stata quella.
Il problema erano i muri di sasso che erano legati con della malta esausta. In quel caso la fortuna sono state le macerie. Man mano che le toglievamo intervenivamo sui muri, dall'alto verso il basso, intanto che le restanti macerie tenevano in compressione i muri non ancora recuperati. Andavamo avanti per gradi.
Le macerie le asportavamo con un trattorino e, come ho già detto prima, le scaricavamo nel terreno del signor Cassago, senza doverle portar via. Cassago ci aveva anche permesso di entrare con il camion nel suo terreno. Per fortuna, perché il comune sembrava facesse apposta a crearci difficoltà.
M - La parte decorativa, esterna ed interna dell'edificio, è stata fatta da due decoratrici di Verderio, Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri. Come le avete incontrate?
A - Mentre facevamo i lavori c'era qui una squadra di giovani, neolaureati, tutti accreditati presso la soprintendenza, che facevano dei disegni, delle prove: ma io vedevo che “non c'erano”.
Un bozzetto presentato dalle decoratrici Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri |
Decorazione geometrica delle pareti esterne e elemento tondo di pietra molera |
M - Non le conosceva?
A - Le conoscevo di vista, ma non avevamo mai parlato. C'era il problema che non erano iscritte ai beni ambientali per il restauro: ho parlato con De Stefani gli ho chiesto se l'iscrizione fosse indispensabile. Lui mi ha detto di no, che dovevo dare priorità alle capacità tecniche. e che se mi ritenevo soddisfatto del loro operato, a lui andava bene. Così è stato.
Particolare della decorazione del soffitto del tunnel fra vecchi e nuovo. Foglie di platano in "onore" del bellissimo platano esistente nelle vicinanze dell'edificio |
M – Avete acquistato l’aia nel 2004: quando è stata pronta?
A - Il rogito risale al giugno del 2004; a settembre era già abbozzato il progetto; a novembre sono iniziati i lavori di messa in sicurezza. A febbraio del 2005 l'aia era finalmente pulita e libera.
Alla vigilia di Natale del 2004 mi telefona De Stefani per dirmi che mi ha fatto un regalo, ha approvato la pratica: “Il tempo di spedirla in comune, fissare i costi di urbanizzazione e potete partire”.
A febbraio 2005 il sotterraneo era finito, compresi gli impianti che collegano i due edifici.
Sono andato avanti con i lavori di conservazione e messa in sicurezza approvato dal ministero anche se.
il comune non mi aveva ancora dato la concessione. A fine gennaio 2004 la pratica era arrivata in comune; a metà febbraio era verbalizzata. Si dovevano solo fissare i costi di urbanizzazione (interesse del comune) e poi avrei potuto partire con la nuova ala. A giugno, nonostante i continui solleciti, non avevo ancora ricevuto niente. Sono andato in comune e mi sono sentito dire che mi avrebbero comunicato gli oneri a settembre. Mi sono alterato non poco, per la loro superficialità e lentezza, così tre giorni dopo mi hanno comunicato gli oneri: una mazzata, ma comunque potevamo iniziare i lavori della parte nuova. A giugno del 2006 eravamo già operativi con gli uffici. Tempo totale: due anni reali. Abbiamo battuto tutti i record.
M - Quali sono le caratteristiche dell’aia che ritiene più interessanti?
A - La struttura architettonica, i disegni e, sotto il profilo tecnico, la ventilazione perché è l'unico esempio in tutta Europa. Non è un modello copiato, è un “unico”, un vanto per Verderio.
Poi ci sono i particolari
Le finestre scorrevoli, anche quelle interne, con una meccanica d'avanguardia, cose solitamente usate per le case nobili.
La cupola, che da 150 anni è sottoposta al vento eppure nessuno ha mai dovuto metterci mano
Ecco, una domanda che ci si pone è come mai ci sia stata tanta attenzione e bellezza per un edificio di lavoro, un edificio destinato all'agricoltura.
Qualche altra riflessione.
Nei muri non abbiamo trovato una crepa, eppure su questa strada ne sono passati e ne passano di camion pesanti, che certo non erano previsti quando l’aia è stata costruita.
Una gronda così è tecnica pura, fatta di pietra molera, a trapezio per caricare il peso sulla struttura di sassi. Anche qui, neanche una crepa.
Il cancello era fatto in modo che, quando lo si chiudeva, dall'interno non lo si poteva più aprire: chi rimaneva dentro non poteva più uscire.
M – Perché?
A – Mistero. Probabilmente era un sistema di sicurezza: quando c'era la merce non la si poteva portar via se non aprendo da fuori il cancello. Probabilmente per lo stesso motivo, per poterla controllare meglio, l'aia era stata costruita vicino alla casa padronale.
Poi c’è uno scarico dell’acqua che fa paura.
M – In che senso?
A – La fogna, 50x50, fatta di muri di sasso coperti con lastre di granito, ha due scarichi, uno alla profondità di 6 metri, l’altro di un metro e mezzo, che scaricano nella campagna.
Particolari dei canali di granito che, nel sotterraneo, raccolgono l'acqua dai pluviali e la scaricano nel canale del cortile. |
M - Cosa mi dice dei materiali usati? I più importanti
A – L'aia è fatta di granito estratto dalle cave del Montorfano nell'alto Verbano.
Poi c'è la beola bianca della val d'Ossola, utilizzata per i pavimenti dell'edificio.
Il cornicione e le colonne sono di pietra molera, che veniva estratta a Oggiono o anche qui dalle nostre parti.
Colonne, capitelli e archi in pietra molera della facciata sud |
Colonne in pietra molera del protiro del lato nord |
M – Sotto l'aia avete allestito un museo di oggetti della vita contadina. Come mai?
A – Da diverso tempo, per una passione nostra, raccoglievamo questo tipo di oggetti. Il lavoro di restauro, quasi sempre necessario, lo faceva mio suocero, Mario Carravieri. A lui abbiamo perciò dedicato, qualche giorno dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, il piccolo museo che abbiamo realizzato e denominato “Museo vita contadine del novecento.
Come ci è venuta l'idea? Abbiamo pensato di offrire l'opportunità a coloro che hanno l'occasione di visitare l'aia, di poter osservare degli oggetti che, con l'edificio, hanno in comune il legame con il mondo contadino.
L'ambiente "lavanderia" del museo della vita contadina del novecento |
M – È in preparazione un nuovo libro sull'aia ..
A – Sì, lo stanno scrivendo Giulio Oggioni e l'architetto Samuele Villa. È la storia dell'aia, inquadrata nel contesto della storia locale, dalla sua costruzione all'attuale recupero. Sarà distribuito da COVERD, soprattutto ai clienti in visita alla sua sede. Lo abbiamo fatto per festeggiare i trent'anni della nostra ditta e i prossimi 150 anni dell'aia.
M – Iniziative future?
A – Il museo contadino è stato riconosciuto e proposto dalla Provincia di Lecco nel percorso museale del territorio.
L'edificio è entrato nel programma “Ville aperte”in Brianza, promosso dalla provincia di Monza e Brianza: domenica 28 settembre, ad esempio, l'aia sarà aperta alle visite del pubblico.
Sia l'iniziativa della provincia di Lecco che quella di Monza Brianza sono patrocinate dalla Regione Lombardia e da EXPO 2015.
Marco Bartesaghi
Nessun commento:
Posta un commento