Di Edgardo Sogno, per molto tempo, ho saputo solo quello che scrivevano i giornali sulle vicende giudiziarie che lo avevano visto coinvolto negli anni settanta - ottanta, e poco, e solo vagamente, della sua partecipazione alla resistenza, per la quale meritò la medaglia d'oro al valor militare. Poi un giorno Aroldo Benini, studioso di storia del Movimento di Liberazione, fondatore della rivista Archivi di Lecco, mi disse che Sogno aveva scritto il più bel libro di memorie sulla resistenza che lui avesse letto (e probabilmente lui ne aveva letti tanti).
Ho trovato per caso il libro su una bancarella, l'ho letto ed ho capito il giudizio di Aroldo (1).
Il brano che qui viene presentato fa parte di una lettera, pubblicata in nota a pagina 329/330 della quarta edizione del libro, gennaio 1951. Firmata "Eddy", è indirizzata a "Rossi", nome in codice di J. Mc Caffery, l'addetto militare inglese che, all'ambasciata di Berna, si occupava della resistenza attiva contro i tedeschi. Essa proviene dal carcere di San Vittore, dove Sogno, catturato durante un tentativo di far evadere Ferruccio Parri, dopo lunghi e ripetuti interrogatori violenti, era in attesa di essere deportato in Germania.
Con molte altre lettere era stata fatta uscire da un addetto alle pulizie che faceva da tramite con l'esterno.
(1) Edgardo SOGNO, Guerra senza Bandiera, Milano 1950
Da GUERRA SENZA BANDIERA - Edgardo Sogno
Per noi è una lotta di espiazione, di redenzione, di riscatto morale e politico che la rende necessaria, indipendentemente dai risultati, dall'opportunità, dal calcolo militare. Probabilmente gli amici miei ed io non abbiamo, in questi mesi, concluso molto; siamo e restiamo dei dilettanti, pieni soprattutto di buona volontà. Eppure la febbre, lo slancio che abbiamo sempre avuto, questo ansioso e continuo desiderio di batterci, senza soste e tregue, è proprio quello che ci dà la certezza di fare qualcosa, che tranquillizza la nostra coscienza, ora specialmente che siamo costretti ad attendere, inutili, fra quattro mura.. Io credo che la lotta partigiana, questa nostra lotta partigiana, non si misuri nei risultati, ma si misuri soprattutto nello spirito di chi l'ha condotta.
Perché la lotta contro la Germania gli Alleati la vincono e la vincerebbero anche senza di noi. Ma la guerra nostra, la guerra per l'Italia, la guerra contro la decadenza morale e politica di questo popolo infelice, quella la dobbiamo e la possiamo combattere soltanto noi e questa di oggi non è che la prima battaglia.
Tu sai bene e da tempo qual è la mia fede, la mia aspirazione, la meta dei miei sforzi. Vorrei che gli italiani riacquistassero una dignità e una coscienza morale degna di uomini liberi, vorrei che ci fosse tra noi meno gente in gamba e più gente onesta. Vorrei che ogni disgraziato con la coscienza a posto sentisse e capisse quant'è più ricco, più sicuro, più forte di un milionario o di un grand'uomo con la coscienza sporca.
Quando speravano ancora di avere da me delle indicazioni per arrestare qualcuno, quei signori andavano dicendo che se li aiutavo un po' non mi avrebbero fucilato. Noi pensiamo al futuro, dicevano, e vogliamo salvare degli uomini intelligenti per l'Europa e per la civiltà. Ho risposto che, secondo me, l'Europa e la civiltà hanno bisogno soprattutto di uomini onesti. Il mio pensiero è tutto qui. E oggi sono convinto che non è onesto per nessun italiano restare con le mani in mano. Il tempo stringe; i mesi in cui possiamo ancora fare qualcosa sono pochi, forse pochissimi; non c'è da perdere solo un minuto e tu devi lasciarci combattere questa battaglia. Non hai il diritto di impedircelo. Ricorda che noi siamo alleati non perché facciamo la stessa guerra, ma perché ci battiamo per la stessa idea. E per quella idea questa è la prima battaglia, è la premessa indispensabile. Dopo ne verranno delle altre. Combatteremo anche quelle. Vinceremo? Io penso che per noi stessi, per la nostra coscienza, anche allora, come adesso, importi soprattutto e innanzi tutto combattere
La lapide all'ex albergo Regina |
Dal 27 gennaio 2010, Giorno della Memoria, una lapide posta sull'edificio, oggi sede di uffici, ricorda questi fatti.
L'opuscolo con la petizione e le firme a favore della lapide |
La proposta di porre una lapide in quel luogo risale al 25 dicembre 2008, ed era stata sostenuta da una petizione con più di 1800 firme.
Francesco Gnecchi Ruscone ha posto come condizione alla sua adesione alla petizione, che nell'epigrafe venisse ricordato il tentativo di Edgardo Sogno e di alcuni suoi uomini di liberare Ferruccio Parri, che era tenuto prigioniero dai tedeschi.
Al signor Gnecchi ho chiesto di spiegarmi i motivi della sua richiesta. Questa la risposta.
Sì, avevo chiesto che nella lapide sull'ex Albergo Regina, sede dal '43 al '45 del Comando SS di Milano, oltre al ricordo delle sofferenze dei Patrioti che vi erano stati detenuti e torturati, venisse citato anche il tentativo di Sogno con altri tre uomini della "Franchi", nel Febbraio del '45 per liberare Ferruccio Parri, capo carismatico del Comitato di Liberazione Alta Italia, che era stato catturato qualche settimana prima e stava per essere deportato in Germania. Era un tentativo temerario, oggettivamente con irrisorie probabilità di successo e naturalmente concluso anche con la cattura dello stesso Sogno ma testimoniava oltre al suo coraggio personale anche la sua generosa fede nell'unità della Resistenza . Parri e Sogno erano rivali politici, profondamente divisi da visioni opposte sul futuro dell'Italia: Parri economista e intellettuale di sinistra, desideroso di cambiamenti radicali del tessuto sociale e politico italiano, fieramente repubblicano, Sogno ufficiale di Cavalleria monarchico e liberale, che malgrado la giovane età aveva conquistato con l'attività della sua "Organizzazione Franchi" la fiducia degli Alleati più di qualsiasi altro leader della Resistenza. Il suo modello era la Resistenza francese del Generale De Gaulle.
Il rifiuto di citarlo sulla lapide è stato un altro tentativo di accreditare la Resistenza ai soli movimenti di ispirazione marxista, filo conduttore di tutta un storiografia ufficiale degli anni del dopoguerra. Questo non solo insulta la verità ma, fatto secondo me ancora più grave, diminuisce la Resistenza a movimento di parte quando invece è stata uno dei rari momenti della storia del nostro Paese in cui i valori supremi di Patria e Libertà hanno prevalso sulle differenze di ideali, interessi, modelli ideologici e politici.
Per un altro motivo chiedevo che l'episodio fosse ricordato: è certo giusto ricordare tutte le sofferenze che in quel periodo sono state inflitte a tutti i popoli dell'Europa occupata ma se dobbiamo trarre dalla memoria un insegnamento per i giovani è almeno altrettanto giusto indicare che al sopruso e all'infamia si può e si deve reagire.
La mia conoscenza personale con Sogno è nata dopo la guerra: sua moglie era stata una mia amica d'infanzia e adolescenza. Nei nostri pochi incontri non ricordo che avessimo mai parlato delle nostre esperienze di guerra. Certo sapevamo che la "Franchi" e la "Nemo" avevano cooperato in varie occasioni ma la guerra era finita e chi l'aveva fatta davvero era riluttante a fare il reduce. Avevamo da pensare al futuro.
Francesco Gnecchi Ruscone
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