domenica 8 dicembre 2013

DA GRANDE VOGLIO FARE IL POETA di Giancarlo Consonni

Giancarlo Consonni nasce nel 1943 a Verderio Inferiore, dove abita fino al 1967, quando si trasferisce a Milano. Professore di Disegno Urbano presso il Politecnico di Milano, Consonni, oltre ad essere autore o coautore di numerosi libri ed articoli riguardanti l'urbanistica, ha pubblicato alcune raccolte di poesie, tre delle quali in dialetto di Verderio:

Lumbardia, I Dispari, Milano 1983;
 
Viridarium, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1987;
 
Vûs, Einaudi, Torino 1997.



Ora è uscito un suo libro in prosa, intitolato Da grande voglio fare il poeta, pubblicato dalla casa editrice milanese "La vita felice". Il libro si compone di una serie di brevi capitoli, in ciascuno dei quali è tratteggiato un aspetto o un episodio di vita di Verderio Inferiore, a volte più personale, legato alla famiglia, a volte invece riferito all'intera comunità. Ricordi che provengono dal periodo dell'infanzia e della giovinezza che l'autore ha trascorso in paese e che, per la delicatezza con cui vengono narrati, mi fanno pensare a dei dipinti ad acquerello.

Il brano che, con il suo consenso, vi presento è una parte del capitolo intitolato "Il Presepe", pag. 43 - 44



DA GRANDE VOGLIO FARE IL POETA di Giancarlo Consonni

Il Presepe

In casa nostra il presepe era allestito nella cavità di un camino, reso ormai inutile dalla bianca cucina economica nuova di zecca, le cui piastre roventi ad anelli concentrici obbligavano le donne a trasformarsi in giocolieri. La notte d'oriente - una tempera su carta comperata al mercato - faceva da fondale. Ma senza il muschio quello non sarebbe mai stato un presepe e, se avevi sette - otto anni, procurarlo era già compito tuo.



Un motivo in più per scorrazzare, in piccoli gruppi, nelle immense stanze che avevano per pareti le robinie e per tetto il cielo. Le gambe seminude sprofondavano violacee nella neve a cercare il verde pelo. Lo porgevano, sul lato a settentrione, i tronchi rugosi dei vecchi gelsi che ancora punteggiavano l'Altopiano. Talora ti sorprendeva un rampichino che in qualche cavità alta del tronco aveva il suo nido. Il paese era là: presepe vivente. Quello ospitato nel camino in disuso non era che la sua miniatura. Ed ecco il muschio finalmente al suo posto: una carezza alla terra. Lo punteggiava un gregge, come negli intervalli televisivi di qualche anno dopo.









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